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Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan

Il cuore perduto dell'Asia

1° giorno Da Bologna in treno con un intercity notte (19€ per 2:45h) raggiungo Milano, dove con il Malpensa shuttle che si prende a fianco della stazione (7€ 50’) raggiungo l’aereoporto. Da lì volo della Turkish (2:45h)per Istanbul e dopo un’attesa di 4h nuovo volo sempre Turkish (4:45h) per Tashkent, capitale dell’Uzbekistan. Devo dire che in questi momenti di voli con servizi risicati la Turkish non lesina su pranzi e bevute. Finite le procedure di dogana, lunghe soprattutto perché i doganieri hanno grosse difficoltà nel capire il nostro alfabeto e per chi dichiara troppo contante costretto ad un ulteriore modulo, un servizio a noi dedicato ci porta presso l’Hotel Jam-Buh, nella zona sud della città. Le formalità di registrazione sono velocissime, ci pensa il personale dell’hotel a cui va consegnato il passaporto (che verrà restituito la mattina seguente). Tra viaggio e fuso orario, 3h avanti l’Italia, è già notte fonda ed il primo giorno è già terminato.


2° giorno Colazione a buffet in hotel, iniziando a prendere le misure alle cose tipiche di qui (salame, frutta secca, formaggio…) poi con una guida di chiare origini russe si parte alla visita della città che è divisa in 2 grandi parti, quella nuova di impostazione russa e la parte vecchia, a nord-ovest del XV secolo. Prima visita al teatro dell’opera e del balletto Alisher Navoi, progettato dallo stesso architetto che realizzò la tomba di Lenin nel mausoleo a Mosca e costruito dai prigionieri giapponesi. Per questa ragione la guida ci informa che sia sede di svariate visite del popolo del sol levante, ma onestamente non se ne vede uno in tutto l’Uzbekistan durante la mia visita. Poi si gira attorno alla grande piazza della città nuova, dove fa sfoggio della sua grandezza una statua di Tamerlano a cavallo, visione che in tutto il paese è cosa di routine. Tamerlano ha sostituito Marx, altra situazione tipica del paese. A fianco della piazza c’è la via che fino a poco tempo fa era la “vasca” tipica per la movida locale, ma il fatto che la nuova nomenklatura abbia preso casa nei dintorni ha portato ad un fermo del fenomeno. Da qui ci si spinge poi verso la città vecchia, con prima sosta al monumento commemorativo del terremoto. Il 25/04/’66, alle 5:25 del mattino un fortissimo terremoto distrusse la città segnandone la sua evoluzione. Mosca promise una casa a tutti i volontari che fossero andati a Tashkent per ricostruire la città così da sovieticizzare il luogo, fatto che ora turba la popolazione locale e che viene ricordato come una pesante intromissione, ma va segnalato che la ricostruzione portò un tetto ad oltre 300.000 rimaste sprovviste di una casa. Della città vecchia in realtà non è che sia rimasto molto, tanto è stato ricostruito con in primis moschee e madrasse. Ma la prima tappa è al bazar Chorsu, uno spettacolo soprattutto la parte dove pranzare. Ma inanzitutto è il luogo dove cambiare i soldi. Problema principale è che qui non ci sono le monete, si fa tutto con la carta e la carta più grande vale ben mezzo €. Così prendetevi almeno uno zainetto per metterci anche solo 50€ altrimenti le tasche non bastano. Soprattutto se siete in tanti il problema è trovare lo sgabuzzino che abbia i soldi per tutti, e poi munitevi di tempo, serve una dichiarazione scritta del fatto e come al solito faranno fatica a leggere i dati del passaporto. Poi primo assaggio della cucina uzbeka, tra prelibati shashlyk (spiedino di montone che può essere con pezzi o tritato), laghman (tagliolini serviti in vari modi ed anche senza nulla al naturale), barak (una specie di ravioli al vapore come tutti avranno assaggiato al ristorante cinese)serviti con burro, samsa (sfogliatine ripiene o di verdure o di carne e cipolla, soprattutto cipolla…) per finire con l’immancabile plov che ogniuno realizza a suo piacimento e che sovente si rivela il piatto più sicuro per chi ha problemi con cibi poco conosciuti. Il plov altro non è che riso cotto con qualsiasi tipo di cibo assieme, può essere fantastico come può essere di una banalità tristissima, ma in fin dei conti è riso e problemi non ne da mai. Poi saranno anche orgogliosamente musulmani, ma trovarne qualcuno che non mangi bevendoci birra o alcool è difficile. Anzi, si trovano anche confezioni di birra da 2lt in ottime bottiglie di plastica, altrimenti il chay, ovvero il the. Finito il pranzo è ora di visitarsi il bazar, regno di mille colori, di spezie e frutta secca in ogni dove, tutto tenuto in splendida maniera e con molta pulizia. Da qui al centro religioso il percorso è corto, e così ci si inizia ad immergere tra moschee, mausolei e madrasse, alcune delle quali appena terminate di costruire. Fra tutte queste costruzioni vi è anche il museo Moyie Mubarek dove viene custodito il Corano di Osman, ritenuto il più vecchio del mondo (ma sicuramente in altri luoghi vanteranno la stessa chicca). Il giro della città vecchia porta tra le case di fango, a dire il vero poche sono quelle rimaste, coi ragazzi che si divertono a giocare nei canali ed i vecchi che giocano serenamente a backgamon. E’ già tempo di andare all’aereoporto per il volo della Uzbekistan Airways (1:45h) destinazione Urgench. I famosi voli interni della ex Unione Sovietica incutono sempre un po’ di timore, l’aereo è un RJ85, ci viene risparmiato un Antonov o un Tupolev. Qui tutti telefonano in volo, non c’è senso a dir qualcosa alla hostess perché anche lei si adegua all’andazzo generale. Arriviamo che l’aereoporto è già chiuso, così usciamo direttamente senza passare dal terminal, ed in un secondo tempo ci vengono portati i bagagli che ogniuno ritira direttamente dal camion di trasporto. Da qui un pulman ci porta a Khiva (30’) presso l’Hotel Sobir Arkhanchi (veloce regitrazione del passaporto), dove ceniamo in una sala che pare uscire dalla naftalina del tempo degli zar, non fosse per l’immagine del presidente uzbeko Karimov impresso ovunque, tappeti compresi.

Lago Kara-Kul e sullo sfondo il Picco Lenin, Tagikistan

3° giorno Colazione nella medesima sala del giorno precedente, dopo aver a lungo litigato col servizio idrico della camera, e poi via verso la visita di Khiva, le cui mura-fortezza si raggiungono a piedi in 5’. Famosa come luogo di compravendita degli schiavi lungo la via della seta, Khiva è ora una città-museo chiusa all’interno delle sue meravigliose mura di fango. 10.000sum per entrare e 5.000 per fotografare, la visita richiede almeno una giornata e se non si coglie più l’atmosfera di terrore che regnava all’epoca del khanato, già al primo colpo d’occhio l’impressione è comunque notevole. C’è da perdersi tra moschee, madrasse, mausolei, minaretti, e mura, e soprattutto tra mercati, perché al di là di tutto ovunque vendono qualcosa. Non c’è monumento risparmiato, se non all’interno della moschea del venerdì, e se non vi pesa portarvi uno zaino pesante da subito potete già iniziare a far affari, anche perché qui ci sono meno turisti che a Bukhara e Samarcanda così si può iniziare a trattare da cifre più basse. Unica cosa, il passaggio dollaro-euro è già stato fatto anche in questi luoghi, conviene trattare in euro e poi pagare nella loro moneta, ma se volete semplificare gli euro sono molto ben accetti. Al di là delle visite ovvie, motivo di interesse per gli amanti della foto è sicuramente la vista serale dal bastione di Oq Shihbobo (1.000sum) sulle moschee e sulle mure, colori caldissimi e luce perfetta, mentre l’ascesa al minaretto Islom Hoja (scalini altissimi nella prima parte, 2.000sum) avviene al buio in mezzo a giovani coppiette che lì si rifugiano per attimi di intimità tra viandanti che li usano per non perdere l’equilibrio. Vari i luoghi per pranzare in città, noi optiamo per il Milly Taomlar (7.5000sum), con le solite specialità locali. Fuori dalle mure, consigliata la visita della parte sud-ovest al calar del sole, sorge ovunque un grande mercato con in evidenzia angurie, meloni e zucche. Vari i luoghi di relax, provato il Farruh dove ci si accomoda sui tavoli-letti tipici di qui in una atmosfera di totale relax. Per un chay, sempre da segnalare se verde o nero, 1.500sum. Rientro in hotel e cena, dove si inizia a testare la solita zuppetta che accompagna ogni cena di qui, assieme a tante specialità che ci verranno riproposte all’infinito. Il pane è sempre presente, unica forma tondeggiante alto sui lati e schiacciato nel centro, decorato di disegni e non male da mangiare.

Nei pascoli d'alta quota, Kirghizistan


4° giorno Solita colazione in hotel, poi bus per Bukhara (9h, circa 400km). Lungo la strada nella prima parte domina il verde, poi si entra nel deserto e non c’è più traccia di vegetazione. Incontriamo una pattuglia della polizia col telelaser, non so quanto usato perché il traffico è poco e sovente si incontrano carretti trainati da animali. Prima sosta nel mezzo del deserto con temperatura che inizia a farsi dar del lei, nulla in vista e primi dubbi sul percorrere la via della seta nel periodo estivo. Sosta per pranzo(5.550sum) in una specie di autogrill che fa da deposito di immondizia di vecchie bottiglie sul retro. I tavoli sarebbero pieni, ma ci mettono poco a trovar da far sedere un gruppo di avventori stranieri. Il menù non offre dubbi, i piatti son sempre i soliti e sbagliare è difficile. La cottura dei samsa è visibile proprio fuori dal locale, in un forno a forma di vulcano dove le sfogliatine venono attaccate al bordo del forno con una semplice pennellata di acqua. Poi si continua per Bukhara dove si giunge sul calare della sera presso un hotel appena terminato di costruire, Odl City, veramente bello per i miei standard (poi in Tagikistan mi riadatterò…), per la registrazione occorre lasciare il passaporto che già al rientro dalle cena ci viene riconsegnato. Cena al rist. Al Mukhammad a bordo della vasca che fa da centro della città (da poco riattivata alla sua antica funzione, i sovietici l’avevano riempita di terra perché dall’acqua arrivavano tante infezioni e malattie), con giganteschi spiediti e svariate altre specialità locali. Si cena all’aperto a bordo vasca ma l’aria è ancora calda, per fortuna ci sono i ventilatori, ma una pala decide di prendere aria in autonomia cercando di ferire un gruppo di avventori del locale.

Gher tagika, abitazione dei nomadi lungo la M41, Pamir, Tagikistan


5° giorno Colazione in hotel e poi via a scoprire la città simbolo dell’Asia centrale, luogo di scambi e luogo sacro dell’antico Turkestan. La visita parte dalla zona nord-ovest, per interdeci dal Parco Samani (ex Kirov) coi suoi mausolei per arrivare alla fonte di Giobbe all’interno del mausoleo Chashma Ayub. Leggenda narra che Giobbe allo stremo delle forze battè col bastone per terra e da lì uscisse l’acqua, da qui il perché della fonte sacra. Per fotografare la fonte all’interno occorre pagare 1000sum, ma all’interno non c’è niente altro d’interessante. Si continua passando per le vie che fanno da mercato e che conducono alla moschea Bolo-Hauz proprio di fronte all’entrata dell’Ark, la vecchia città regale della quale però resta ben poco. Prima di entrarci pranzo di fronte all’Ark, in una ombrosa chaykana che propone un plov da insalitissime Rio mare. Per entrare all’Ark oltre al biglietto bisogna pagare 1.700sum per fotografare. Lo sconsiglio, rimane ben poco di questa enorme fortezza, bombardata a lungo dall’Armata Rossa quando entrò in città. Così è meglio dirigersi verso il centro vero e proprio di Bukhara, dove sorgono una di fronte all’altra la madressa Mir-i-Arab con le sue perfette cupole azzurre e la moschea più famosa della città, Kalon, che sorge a fianco dell’omonimo minaretto, unica costruzione non distrutta da Gensis Khan, perché si dovette inginocchiare nel cogliere il cappello che il vento gli aveva portato via (leggenda narra). Purtroppo non c’è traccia di vento oggi, la temperatura si avvicina ai 50°, fortuna che c’è un secco bestiale ed all’ombra si vive bene. La vista più bella di Bukhara è proprio dall’interno di questa moschea (1.000sum per fotografare), dove si incontra un enorme albero di gelso. Da qui per arrivare alla piazza Lyabi-Hauz (quella della vasca) dove i ragazzini locali si tuffano da alberi alti oltre 10 metri, è un susseguirsi di madrasse e mercati coperti, con poca distinzione tra gli uni e gli altri. Alla fine tutto è mercato, nel segno della via della seta dove si andava per far compere già ai tempi di Marco Polo. Un po’ fuori dal centro merita una visita la strana moschea Char Minar, costituita da un corpo centrale e 4 minaretti dalle solite cupole azzurre, un cambio di stile rispetto alle continue costruzioni viste per l’intera giornata. Ovviamente al suo interno sorge un negozio di souvenir, occorre abituarsi a queste presenze ma per 1000sum si può salire, anche se la vista non regala molte emozioni. A Bukhara è sempre esistita una forte comunità ebraica fin dal XII secolo, ed anche ai giorni nostri la presenza si nota in città. Così per cena siamo ospitati in una abitazione tipica dove veniamo serviti con una cena in stile, che per una volta si differenzia (ok, non di troppo…) da quanto sta diventando standard da queste parti. Gente del Pamir in viaggio in motocicletta


Iskander-Kul, il lago di Alessandro Magno, Monti Fan, Tagikistan

6° giorno Solita colazione a buffet, poi giro nei dintorni della città. E’ venerdì, giorno di festa, quindi c’è tanta gente in giro e ne troviamo moltissima al mausoleo Bakhautdin Naqshband (2.000sum). Bello spaccato locale, paradiso assoluto per ritratti di gente con radici centroasiatiche al meglio dei loro lineamenti e vestimenti (è pur sempre giornata di festa). Sono tutti felicissimi di essere fotografati, sovente son loro che chiedono foto a patto che vi facciate a vostra volta fotografare spesso assieme a loro o coi loro bambini ed anziani. Peccato non parlare nessuna lingua in comune, sarebbero tutti molto loquaci e con una gran voglia di confrontarsi. Seconda tappa alla residenza estiva (3.900 per entare, 1.700 per foto), un luogo molto kitch e stipato di pavoni. Infine terza tappa alla necropoli Chor-Bakr (2.000+1.000 per foto). Il caldo si fa opprimente, i 50° sono standard e per muoversi nel luogo è quasi obbligatorio cercare l’ombra per non farsi cuocere. Ricercatissima sia dai giovani che dagli anziani del posto l’ombra del grande albero centrale, naturale luogo di incontro della necropoli. Rientrando a Bukhara è tempo per visitare un aman, il Borzi Kord, in piena zona di bazar. Aman con massaggio, spezie e thè costa 30.000sum ed è un ottimo relax. Vista la temperatura esterna non preoccupatevi per quella interna, non c’è molto da sudare più che fuori. Meglio prenotare in anticipo, il tempo riservato è di un’ora, e le catinellate di acqua fredda con cui vi congederanno sono un toccasana super. Dopo questo trattamento girare per la città è un vero relax, così con ritmi lenti raggiungo la prigione dello Zindon, all’interno di una zona particolarmente incasinata. Mi ci porta un’anziana locale che non potendomi parlare in una lingua comprensibile mi accompagna di persona. Peccato che gli orari siano molto stretti e quando arrivo è già chiusa, sarebbe stato interessante vedere il luogo di detenzioni e di morte di 2 famosi emissari della corona inglese nel 1842, Stoddard e Connoly, morti perché il locale Khan non apprezzò il loro arrivo, il primo a cavallo (doveva entrare a piedi e mettersi ai suoi piedi) ed il secondo senza la lettera di accompagnamento della regina ma solo con quella del comadante delle indie (il Khan si riteneva un pari ruolo della regina, la lettera del comandante delle indie lo paragonava ad un personaggio di secondo piano). Cena di nuovo a bordo vasca della piazza centrale, con menù sempre similare. Da segnalere che quando i getti d’acqua del bordo vasca cessano la temperatura diventa calda anche col sole calato da ore.

L'oro bianco dell'Uzbekistan, il cotone


7° giorno Colazione sempre in hotel e poi via in bus verso Shakhrisabz (4h), la città natale di Tamerlano, eroe a tutti gli effetti dell’Uzbekistan. Lasciati gli zaini all’hotel Orient Star pranzo al vicino Al Kyarium e poi visita di un coloratissimo mercato. Luogo ideale per compere perché non tanto visitato, ci sono soprattutto generi alimentari (ottimi i pistacchi ed i semi di albicocche che qui si trovano solo essicate) e copricapi (si impara che ne andrebbe sempre portato con se uno piccolo e nero decorato a piacere di chi lo realizza, pronto all’uso in caso di dover partecipare alle essequie di un conoscente) ed in generale una grande calma ed un grande senso di sicurezza, peraltro riscontrabile in tutto l’Uzbekistan. Attorno all’enorme statua di Amir Timur (il nome originale di Tamerlano) ci sono sempre comitive di matrimoni, pare porti bene venire a festeggiare qui. Dietro alla statua sorgono alcune parti dell’enorme palazzo di Tamerlano, purtroppo ancora in rovina, anche se su di una parte è possibile salire per avere una vista della città. Attraversando tutta la città si arriva alla zona della cripta di Amir Timur, che però è vuota. Il condottiero morì di polmonite nell’attuale Kazakistan in una campagna invernale, riuscirono a portare le spoglie fino a Samarcanda ma a causa della neve il passo per arrivare a Shakhrisabz era invalicabile e così fu tumulato nella capitale della via della seta. Resta comunque la sua cripta con le iscrizione che volle riportare. La sera la città si vuota, ceniamo in albergo veramente male in una sala infinita dove siamo soli, poi proviamo a visitare la città in notturna ma non c’è un’anima in giro e nessun locale aperto e tantomeno luci sui monumenti per foto particolari. Così mestamente si rientra in albergo tenendo le energie per un’altra volta.


Moto e cappello kirghizo lungo la M41, zona di Bulunkul, Tagikistan

8° giorno Pessima colazione in hotel (coerentemente con la cena) ed in 3h raggiungiamo Samarcanda, fermandoci dalle parti di Jom dove incontriamo un gruppo di motard locali in sella alle loro HH, ovviamente tutti senza casco. Tra loro anche un gruppo di persone a dorso d’asino, come al solito tutti molto gentili e partecipativi. In città ci fermiamo al B&B Furkat, il primo sorto dopo l’indipendenza, dov’è possibile cambiare soldi e dove si pernotta in un luogo dai mille angoli ed anfratti, posto bello e caratteristico e dove son sempre pronti a darti un tè. Come in tutta la città, spesso manca l’alimentazione elettrica, così è consigliabile avere un posto da dormire dotato di almeno 2 finestre che creino un minimo di corrente d’aria. Prima tappa al bazar di Siob, il più grande della città e dove si può trovare da mangiare qualcosa di tipico (6.000) che non sia per forza una zuppa nauseabonda. Primo giro della città, conosciuta ovunque, anche da chi non ha mai sentito parlare di Uzbekistan, per entrare in sintonia coi le sue tante moschee, madrasse e col suo unico Registan. Prima di una visita dettagliata della città è bello vagare casualmente tra le sue vie ed i suoi tanti negozi e bazar, presi d’assalto dai tantissimi turisti presenti, primi tra tutti italiani e spagnoli. Trovo anche un internet point proprio di fronte al Registan (1.000 1h, velocità buona ma tastiera solo in russo). Per cena finiamo in un ristorante di un grande hotel con bella vista sui monumenti in parte illuminati. Al piano terra c’è una grande festa di matrimonio, a cui veniamo invitati, ci liberano perfino un tavolo e facciamo festa coi locali. L’orchestra suona, tanti ballano ed una cantante-ballerina gira per la pista a prendere le offerte per la banda (che viene pagata solo con quelle), tutti son festanti, allegri ed alticci, tutti tranne la sposa, forse ben cosciente di quanto le spetterà dal giorno seguente in avanti. Immagino si trattasse di un matrimonio di gente benestante visto quanto ben di dio c’era in ballo, ovviamente noi eravamo i messi peggio della combriccola, io raramente avevo partecipato ad un matrimonio in maglietta (non proprio fresca), bermuda e ciabatte, ma nessuno ha lamentato la situazione, anzi al momento del commiato lo sposo ha voluto salutarci ad uno ad uno ringraziandoci vivamente di aver fatto festa con loro. Splendidi usi e costumi locali…


Tramonto a Khiva, Uzbekistan

9° giorno Abbondante colazione al B&B all’aperto, poi inizia la visita della mitica Samarcanda. Prima tappa subito al Registan (pronuncia Reghistan, mi raccomando, come ben ci insegna la guida, una ragazza dai modi molto occidentali), 5.000sum+2.000 per foto. Ovviamente poco da dire che non si legga su qualsiasi guida, se non iniziare ad annotare le tante cose costruite dal nipote di Tamerlano, Ulughbek, che più che un comandante in capo fu un ricercatore ed un scienziato, ovviamente ucciso da un complotto. Seconda tappa alla moschea Bibi Khanym (3.500+1.500 per foto), la seconda moglie e quella preferita di Tamerlano e poi da lì pranzo al vicino bazar Siob (4.500), con possibilità di variare un minimo il menù. Da qui costeggiando il viale delle tombe si raggiunge uno dei monumenti più belli di Samarcanda, lo Shah-i-Zinda (4.000+1.500 per foto). Insieme di svariate tombe, decorate in maniera splendida, pare un lungo e stretto corridoio in salita con tombe di ogni tipo al suo lato, luogo di pellegrinaggio da parte delle genti locali, quindi il silenzio è particolarmente indicato. Meno famoso del Registan ma forse il luogo di maggior bellezza della città, dedicateci un tempo adeguato. Da qui è possibile passare nella parte vecchia della città (zona nord-est) per arrivare all’osservatorio di Ulughbek (3.000+1.500 per foto). E’ ancora visibile il lungo piano inclinato su cui scorreva lo strumento per osservare le stelle. L’osservatorio si trova su di una collina preceduto da una grande statua di Ulughbek, proprio dove la città termina. Riattraversiamo tutta Samarcanda per visitare il mausoleo Guri Amir, dove si trovano le lapidi di Tamerlano, del suo maestro spirituale, dei figli e di Ulughbek. Ma il mausoleo è famoso soprattutto per la meravigliosa cupola azzurra scanalata a fianco di un altrettanto splendido minaretto. Fantastici al tramonto, tenetene conto se siete amanti della fotografia. Però le lapidi che si possono vedere non sono quelle contenenti i resti, quelle sono in una cripta non visitabile. Dopo aver fatto un tour de force di Samarcanda la cena ci aspetta presso di una abitazione privata nella zona russa, a ovest della città. Si immagina un qualcosa tipo la casa ebraica di Bukhara, invece il luogo è un gigantesco ristorante della zona sovietica che si fa passare per abitazione ma che di questa nulla conserva.


Venerdì di preghiera al mausoleo Bakhautdin Naqshband, Uzbekistan

10° giorno Solita abbondante colazione al B&B poi in bus destinazione Urgut (40’), cittadina dove sorge un gigantesco mercato, magari non proprio folkloristico ma talmente grande da perdersi. Se vi serve mercanzia per la casa o per il vostro abbigliamento qui c’è da sbizzarrirsi, sempre che amiate i gusti del centro Asia. Diviso per tipologie di prodotto, si fanno centinaia di metri in mezzo a strettissime viuzze con espositori che ripropongono sempre le medesime cose, sovente di produzione cinese. C’è un grande reparto per i soliti tappeti, di dimensioni gigantesche, ma forse di qualità scarsa. Poi si possono ammirare anche cataste della specialità locale, il cotone, di cui si trova anche l’olio (l’Uzbeksitan ne è un grandissimo produttore, tanto da deviare il corso dei fiumi che correvano verso il Lago d’Aral per irrorarne i campi. Questo ha portato a far in parte essiccare l’Aral, coi danni ben noti a tutto l’ecosistema). Meglio andarci di mattina per trovare più mercanti, ma bisogna andare per vivere la vita di tutti i giorni della popolazione non per cercare di trovarci pezzi splendidi da portarsi a casa come ricordo, a meno che per qualcuno non lo sia un paio di scarpe di dubbia fattura. Il rientro a Samarcanda coincide col pranzo al solito bazar (5.000) a cui si aggiunge un lungo giro per la città con visita alla parte russa, meno caratteristica ma più viva di quella monumentale. Vie squadrate spesso nel mezzo di alti alberi, grandi parchi e tanti negozi come siamo abituati noi occidentali (qui i prezzi non si trattano), uno spaccato completamente differente dalla impressione di città museo che lasciano il Registan ed i luoghi limitrofi. Con un lungo giro (la temperatura qui è molto più mite che a Bukhara) che mi porta in mezzo ad enormi hotel ora semiabbandonati (dopo i fatti di Andijon le multinazioali americani ed anche varie ONG hanno lasciato il paese) rientro nella Samarcanda storica con un percorso che mi porta alle spalle del Registan per tornare poi a rimirare la zona della Shah-i-Zinda, vicino alla quale si trova qualche negozietto che propone belle t-shirt (prodotto che non va molto in Uzbekistan e quindi quasi mai proposto). Visita della moschea Hazrat-Hizr dove decliniamo un gentile invito ad unirsi ad un gruppo in preghiera, moschea da poco ristrutturata e quindi in perfetto ordine. Cena la rist. Old City, un bel passo avanti dalla sera precedente.

Mercato di Tashkent, Uzbekistan


11° giorno La partenza di prima mattina da Samarcanda coincide con la partenza dall’Uzbekistan. In bus dopo un’ora si è alla frontiera col Tagikistan, i controli ai bagagli non esistono ma le registrazioni sono lunghe anche perché ci si ritrova assieme ad un gruppo di italiani ed uno di francesi (non propriamente pronti nella compilazioni dei moduli…). Occorre riempire nuovamente il modulo con riportate le info di quello che si ha, solo che qui esiste solo in russo, unica maniera per non sbagliare è copiarsi quello di entrata in inglese segnando bene che si esce e mettendo valori minori sui soldi che si hanno. Procedura non particolarmente lunga anche nella parte tagika, il problema è sempre quello che tutto deve essere trascritto a mano e le lettere son di difficile interpretazione. In Tagikistan ci viene assegnata una guida che rimarrà sempre con noi, pare una cosa assurda o stupida, ma nel corso del viaggio ne capiamo il motivo, viste le difficoltà di ogni tipo (anche legate a forze dell’ordine che fermano di continuo) che si incontrano in uno stato dove sovente le vie non esistono più. Il Tagikistan dopo l’indipendenza del 1991 ha vissuto 6 anni di guerra civile ed i segni si riscontrano ancora ovunque, tanto che nel Pamir si è tornato da poco all’uso dei soldi dopo una stagione di baratto. Prima sosta all’antica Penjikent, antico insediamento sogdiano, del quale però non resta praticamente nulla. Personalmente eviterei questo luogo, ma per i tagiki la loro società deve molto a questo posto e quindi non si scappa. La moderna Penjikent ha ben poco da mostrare, luogo di frontiera dove scambiare qualsiasi cosa e ricavarne soldi per una dura sussistenza, ci serve come luogo dove incontrarci con gli autisti dei mezzi speciali coi quali dovremo andare sulle terribili strade di questo stato. Dopo aver pranzato in una casa locale arrivano un grande camion che fatica a muoversi ed un vecchio furgone Uaz che pare già da antiquariato e che abbisogna di acqua per il radiatore come il mio amico Sam di birra. Dobbiamo sempre viaggiare con circa 10lt di acqua che ingegnosamente l’autista versa nel radiatore da un imbuto posto nel cruscotto altrimenti il motore cade a pezzi, ma incredibilmente il problema non è questo mezzo che si rivela robusto ma l’altro camion che fatica da morire in salita. E di salita da subito ne affrontiamo, con asfalto inesistente e polvere ovunque per salire al lago Iskanderkul, conosciuto anche come il lago di Alessandro Magno. Fino a quando c’è luce ci riempiamo la vista con gli scenari dei monti Fan, poi al calar della luce la situazione diventa più noiosa e raggiungere il passo a quasi 3000m è un’impresa. Quando arriviamo il buio è totale e così nemmeno si ha idea del lago, ci dirigiamo nelle turbaze di una ex colonia sovietica che non riceve manutenzione da quando i sovietici se ne andarono. Però i letti ci sono (le reti non del tutto), le coperte anche e pazienza se le latrine si sentono da lontano, la natura qui è sovrana, e per giunta un po’ d’acqua nei lavandini c’è pure. Cena con zuppa liofilizzata e carne mista a patate e peperoni, il tutto di gran lunga più gustoso delle solite zuppine uzbeke.

12° giorno Sveglia di prima mattina per andare a vedere delle vicine cascate (30’ a piedi), dove si trova anche un albero dei desideri sormontato da tanti piccoli pezzetti di stoffa, uno per ogni desiderio. Visto il posto c’è da meravigliarsi che qualcuno sia giunto fin qui per esprimere un desiderio, forse sarà quello di tornarsene a casa sano e salvo. Dopo colazione, ispezionando il lago mi imbatto in un tester motociclistico della Repubblica Ceca che su di una moto Kentoya sta facendo la Pechino-Praga in solitaria. Il modello, un 250cc, se il test sarà positivo, sarà posto in vendita dal 2009 anche in Italia, ma ho i miei dubbi che di questa 2 ruote ne vedremo molte. Però il mestiere del personaggio è veramente affascinante, tra l’altro se ne gira con un notebook e con un satellitare ed aggiorna giornalmente il suo percorso ad uso e consumo di chi lo segue via internet. Partiamo da Iskanderkul a passo lento ammirando finalmente il lago dall’alto in piena luce per poi riprendere la strada, o meglio il sentiero, per la capitale Dushanbe. Ma come ci avevano anticipato ci sono dei lavori sulla strada, in un punto stanno costruendo un lungo tunnel dove ci lasciano passare alla faccia della normativa 626. Stanno lavorando, il fondo stradale non si vede perché coperto da un fiume d’acqua, l’illuminazione manca ma si va, però il problema vero lo incontriamo dopo; i cinesi stanno costruendo la strada alla loro maniera, bombardando i pezzi di montagna in più e dove questo avviene il traffico viene bloccato. Visto che qui esiste solo una strada si aspetta (6h…) che finiscano i lavori, e fortunatamente la nostra guida (dal nome italianizzato in Stella) se ne va prima a piedi poi scroccando un passaggio alla ricerca di cibo. Tornerà con pollo arrosto per tutti, tra le ovazioni generali. Qui ogniuno ha il suo commento su come e quando aprirà la strada, intanto molti camionisti, abituati a questo, se la dormono su materassini al bordo della strada. Arriviamo a Dushanbe alle 21:30 fermi ai tantissimi posti di blocco che solo l’intervento di Stella riesce a velocizzare, il tempo di lasciare gli zaini all’hotel Avesto (soviet style, lunghissimi corridoi degni di Barton Fink) un tempo sede delle ambasciate sovietica e statunitense e si dice strapiena di microfoni e cimici. Perché poi i sovietici avessero un’ambasciata in un pezzo di terra che era loro rimane un mistero. Ma subito, accompagnati anche dalla splendida Zarina (la figlia del boss dell’agenzia che ci ha noleggiato il servizio di trasferimento) andiamo a cenare al Rohart, grande e bella chaykana all’aperto. Qui nella capitale ho anche il tempo per un internet point (dopo una qualche trattativa mi accettano i dollari, non avevo ancora cambiato in somoni) con collegamento veloce a 5 somoni l’ora.

Nell valli del Kirghizistan, tra i villagi di yurte

13° giorno Dopo colazione via per un velocissimo giro di Dushambe, che si sviluppa tutta lungo la prospettiva Rudaki, dove si può trovare da cambiare qualsiasi valuta del centro Asia, oltre ovviamente ad euro e dollari. Ristrutturata di fresco dai bombardamenti della guerra civile, calma e rilassata con le sue strade alberate non è che abbia proprio molto da offrire, quando all’improvviso si apre una gigantesca costruzione che pare piovuta dal cielo, il palazzo di rappresentaza dello stato. Enorme e bianchissimo, con ancora operai che lavorano alla sua costruzione, pare non centrare nulla con tutto il resto, soprattutto con quello che si vedrà poi di questo stato ancora in condizioni di arretratezza assoluta. Poco oltre sorge la statua di Ismael Samani, considerato il padre della patria, forse l’unica figura che han trovato per rimpiazzare la statua di Lenin. Visti i vari palazzi governativi e qualche timida rimanenza di stella rossa si parte con destinazione Kalaikhum, che disterebbe meno di 300km, ma che per raggiungerla sarà un’odissea. I primi 80km sono asfaltati, lungo il cammino nelle tante soste per recuperare l’acqua per il radiatore si scorgono tanti uomini nullafacenti sempre vestiti col cappotto color verde islam, poi lo scenario migliora col peggiorare della strada. I segni della guerra civile iniziano a farsi vivi, campi minati ancora non bonificati indicati da splendidi cartelli con gambe spezzate, ruderi di carri armati lungo il cammino sono visioni standard, e con la strada distrutta il grande camion che trasporta una parte del gruppo avanza troppo lentamente, così accumuliamo molto ritardo. Ci si ferma lungo il percorso ad una chaykana che ci offre quel che ha, compreso del pesce immagino e spero del fiume che fiume nelle vicinanze e che segna il confine con l’Afghanistan. Poi riprendiamo la marcia, ma salire il passo Sagirdasht (3.252m) è come scalare l’Everest in infradito. Il camion grande va più piano di una persona a passo d’uomo consumando il mondo, prima dello scollinamento rimane senza benzina e bisogna rabboccarlo prendendo carburante dallo Uaz. Passata mezzanotte arriviamo in vetta, ma scendendo rimane senza benzina il Uaz, e così l’unica alternativa è farsi tirare da un mezzo che avanza già di suo a passo d’uomo. Ma si arriva a Kalaikhum, alle 3 siamo presso una casa privata con materassini per giaciglio, acqua calda contingentata ed un buco per i servizi, questa volta senza possibilità di andar per natura perché ci troviamo in un centro abitato. Ma si rimane qui talmente poco che non c’è tempo per pensare a queste piccolezze, compresa quella di cenare. Per le registrazioni ci pensa la nostra guida, avendo dovuto riportare l’elenco completo dei luoghi dove dormire prima di intraprendere il cammino.

14° giorno Poco dopo esserci messi a dormire è già ora di svegliarci per colazione e per partire con un nuovo mezzo al posto del camion ormai a pezzi. Raggiungiamo il confine afgano, che dista dalla nostra strada solo lo spazio del fiume Pyanj, ed ovviamente si cerca subito di vedere come vadano le cose dall’altra parte. Di strade non c’è traccia per gli oltre 200km di confine che facciamo ma solo sentieri, ogni tanto si scorge qualche mulo cavalcato rigorosamente da uomini con varie donne a piedi sotto al burka che portano di tutto. In seguito si incontrano villaggi, ma in nessuno di questi c’è l’elettricità, insomma un mondo che rivaluta l’acciacato Tagikistan. Non mancano però posti di vedetta presidiati da militari e da bandiere afgane sovente stracciate. Ma il nostro osservare si ferma presto, la strada altro non è che un taglio a metà di grandi montagne dove gli spazi per passare sono angusti. In un di questi un vecchio camion Kamaz ha distrutto balestra e sospensione, non si riesce a spostare e tutti si devono fermare, eccetto un motard estone a cavallo della sua Suzuki che passa smontando le borse laterali. Ovviamente il nostro interessamento su chi potrebbe arrivare per rimediare il guasto è considerato come una barzelletta, qui si fa tutto a mano (da qui l’utilizzo di mezzi molto basici e privi di elettronica). I pareri si sprecano, nessun occidentale avrebbe altro rimedio se non gettare il mezzo nel fiume e far passare tutti, ma dopo quasi 6 ore di attesa i camionisti locali riescono a rimediare al guasto col solo utilizzo delle mani, per me degni eredi di Silvan. La giornata è persa, però della montagna di fronte al luogo del guasto conosco ogni singolo sasso, poi continuiamo fino ad un posto di blocco dove si trova anche un arcaico luogo per cenare. Il menù è quel che rimane, per il bere fortuna che abbiamo varie cose al seguito, e non bisogna farsi troppe domande sulle vettovaglie che ci vingono portate. La destinazione finale della giornata è irraggiungibile, dobbiamo provare a trovare una casa privata lungo la strada che ci ospiti anche alla meno peggio, cercando poi l’indomani di registrarci immediatamente alla polizia. 80km dopo il posto di blocco si trovo un posto che ci ospita, ci sono i soliti materassini e devo dire che il posto è persino accogliente, potendo sfruttare la natura circostante ed un fiumicattolo che passa per l’aia, con splendida cascatina, come lavatoio.

15° giorno Colazione e poi partenza per Khorog dove dobbiamo registrarci immediatamente. Nel frattempo ci giriamo il posto, luogo di accesso al Pamir. Qui la figura di riferimento è l’Aga Khan, ismaelita come la locale popolazione e praticamente finanziatore di tutto quello che avviene da queste parti, in primis l’università. Qui a Khorog c’è anche uno dei pochi posti di passaggio ufficiali verso l’Afghanistan, e quindi i controlli sono molteplici. Il mercato è in smobilitazione, allora tanto vale fermarsi per una foto col busto di Lenin che qui non è stato rimosso. Del resto dal dissolversi dell’Unione Sovietica questo angolo di mondo è passato da trovarsi all’interno di una delle maggiori potenze mondiali ad essere al termine della guerra civile uno dei luoghi più poveri del mondo, tanto che i soldi non circolavano più e proprio qui a Khorog si viveva di baratto. Anche ora la situazione non è che sia così florida, le donazioni dell’Aga Khan fanno il suo percorso, ma come noto l’attività più remunerativa è il sequestro delle droghe che passano dall’Afghanistan per raggiungere l’occidente. Ritiramo l’ennesimo permesso, questa volta per entrare nella zona del Pamir (non basta il visto tagiko), facciamo spesa e poi si parte sulla M41, la strada del Pamir considerata una delle vie montane più belle del mondo. Lasciamo Khorog e dopo poche curve si entra in lunghi tunnel di costruzione sovietica, e vien da pensare che probabilmente dal 1991 nessuno abbia più prestato manutenzione a queste strade. Sosta lungo la strada per un pranzo al sacco, alcuni avanzi di scatolette di pesce locale le diamo ad una famiglia di contadini del posto, ma invece di mangiarle le danno al cane, evidentemente la nostra spesa non deve aver privilegiato la qualità. Poi dopo pochi km incontriamo le statue della capra di Marco Polo, simbolo dell’entrata nel Pamir. Si sale immediatamente verso il passo Koi-Tezek (4.272m) mentre bambini vendono latte e yogurt di yak che il nostro autista non lesina a comprare e a conservare fuori dal finetrino, e con le prime nuvole arriva la neve. Ma non è un freddo duro, si sta comunque bene all’aperto a rimirare i primi grandi panorami, per arrivare al remoto villaggio di Bulunkul (3.715m circa). La sensazione che ci sia lasciati il mondo alle spalle è forte, il villaggio è formato da alcune costruzioni e da yurte, a noi vengono lasciate alcune stanze nelle case, stanze dove bisogno mangiare e dormire, mentre i servizi igenici sono la solita buca maleodorante e per lavarci c’è un secchio attaccato ad un palo all’aperto (e di sera o notte fa veramente freddo). Ma il luogo è comunque incantato, non sarà oltre la fine del mondo ma è sicuramente un altro mondo. Ci si scalda con potenti stufe alimentate con sterco di animale, ci si adatta a distinguere quali siano i materassi e quali le coperte, e si prende confidenza con le batterie delle macchine che servono per alimentare l’impianto elettrico di alcune stanze. Per il resto è contatto diretto con la natura, tra cielo, terra e vento.

16° giorno Mi sveglio con un forte mal di testa causato dall’altitudine, ma appena prendo aria mi passa immediatamente e già dopo colazione il problema dell’altitudine è solo un lontano ricordo. Ci dirigiamo verso il lago Yashil-Kul che sovrasta il villaggio. Verde intenso, nel mezzo di montagne che sembrano non finire mai, fa bella mostra di se mentre i paesani se ne vanno lungo i suoi sentieri a cavallo. Rientrando sulla M41 ci imbattiamo in un padre e figlio che corrono veloci sulla loro vecchia HH, moto del Pamir. Però i guasti sono tanti, così li raggiungiamo e familiarizziamo, notando che qui il copricapo è già quello tipico kirghizo, altissimo, biancopanna con scritture nere. Ovvio che faccia le veci del casco, che non mi pare obbligatorio. Lungo la M41 si incontrano laghi salati (Tuz-Kul), chiaro il riferimento ad un vecchio mare, come avviene sovente anche nel mezzo delle Ande, mentre poco dopo con una passeggiata breve si può raggiungere il lago puzzolente (Sassyk-Kul). Da qui si percorre l’altopiano, e la bellezza dei luoghi è padrona di ogni visione. Nel mezzo del nulla sbucano yurte abitate, per arrivare al lago e fonte sacra di Ak-Balyk presso Alichur. Ci fermiamo a pranzare presso la yurta di una famiglia particolarmente gentile, e anche se non riesce a capire da dove provenga, fra le varie cose che ci portano c’è anche del pesce. Sento per la prima volta lo yogurt di yak (delizioso) e la panna (buona ma di una pesantezza unica), mentre lo sterco di animale sta facendo diventare la yurta una specie di camera a gas dal tanto scalda. Però fuori una nuvola ha cambiato il tempo, un po’ di neve fa capolino e lo sbalzo interno/esterno è devastante. Si continua verso Murgab, passando per la splendida valle di Madiyan che col bel tempo già di ritorno regala visioni affascinanti. Murgab è il paese di riferimento del Pamir occidentale, qui la gente si considera kirghiza e ne adotta l’orario (un’ora avanti). Ci fermiamo presso una casa locale molto bella nella parte finale del paese, anche se i servizi sono i soliti, buca per i bisogni e secchio attaccato ad un palo all’aperto per lavarsi (volendo ci sarebbe un metodo per incamerare acqua calda in un catino e provare a lavarsi con quella, ma è impresa per contorsionisti visto il tipo di bagno a disposizione). Una volta accordatici per l’orario (tagiko o kirghizo?) si esplora il paese. Se le montagne che lo circondano sono splendide, altrettanto non si può dire per Murgab, cresciuta casualmente lungo la M41. Il centro è ancora ai piedi di una bianca statua di Lenin che indica la via, ed un grande pannello indica tutto quello che il Tagikistan ha fatto per la zona (in pratica nulla, a parte costruire l’ennesima moschea qui però col tetto fatto come quello di una yurta). Teoricamente dovrebbe esserci anche un museo ma nessuno ne conosce l’esistenza. Chiunque incontriam vuole farsi fotografare, e soprattutto i bambini si accaniscono gli uni con gli altri per essere i soggetti unici delle foto, ma i vecchi col tipico capelo kirghizo sono veramente una fonte infinita di immagini particolari. In centro sorge anche lo spazio per un grande mercato, ma verso sera è completamente deserto. Si mangia bene presso la famiglia che ci ospita, con 2 delle ragazze che assistono la proprietaria che addirittura parlano inglese, così fra le varie richieste si può perfino recuperare della carta igenica modella carta vetrata.

17° giorno Colazione in casa a Murgab cercando di smaltire il mal d’altura che la notte mi porta con regolarità, poi veloce visita alla locale moschea, quello col tetto fatto a yurta, ma lo scenario più bello è quello con la vista del Muztagh Ata, un 7.546m che sorge appena al di là del confine cinese. La splendida e limpida giornata permette di vederlo come se fosse a pochi km di distanza, quando invece sono quasi 80. A Murgab ci dovrebbe essere un ampio bazar ed almeno di mattina dovrebbe brulicare di bancarelle e genti, ma in realtà non c’è anima viva, a parte qualche passante contraddistinto dal solito copricapo kirghizo ed alcuni poliziotti che causa l’assenza di Stella trovano modo di farsi pagare per farci procedere. In giro per le strade di Murgab si vedono una infinità di piccoli furgoncini cinesi nuovissimi, sono quelli che arrivano per essere qui venduti, visto che in Europa non possono essere commercializzati a causa del fatto che non passano i crash test di sicurezza. Qui quel problema è irrilevante. Carichiamo sul camion un giovane medico belga che sta girando questi luoghi in un viaggio di 3 mesi, per un passaggio verso nord, senza eccessiva fretta e senza porsi troppe domande su dove sarà domani. Si sale verso il passo più alto del Pamir, Ak-Baital (4.655m), con viste spettacolari su tutto l’altipiano dove le montagne sempre coperte di neve iniziano a diventare realtà. Il vicinissimo confine cinese è delimitato da una rete metallica avvolta dal filo spinato, nel caso qualcuno non capisse dove si trovi, la terra di nessuno che un tempo faceva da cuscinetto ora è territorio cinese, evidentemente i tagiki han preferito liberarsi di quelle terre in cambio di vari favori gentilmente offerti dai cinesi (vedi la costruzione delle strade). Ci avviciniamo a Karakul, meta della giornata dove si trova l’omonimo lago formato dalla caduta di un meteorite e che fa da sfondo ad alcune delle montagne più alte del Pamir, fra cui il Picco Lenin (7.134m), oggi chiamato Koh-i-Garmo o Koh-i-Istiqlal a seconda delle interpretazioni (sorge sul confine tra Tagikistan e Kirghizista, ed ogniuno lo chiama alla sua maniera…). A Karakul ci fermiamo presso una casa locale che espone perfino un cartello di Homestay, i servizi sono i soliti, stanzone con materassini da mettere per terra, buco per i servizi sulla montagnetta attigua ed acqua in un lavandino portatile al posto del solito secchio attaccato al palo, insomma un passo avanti. Qui il tempo è splendido, la temperatura molto buona (siamo pur sempre a 3.914m) ed è possibile fare svariati giri a piedi per rimirarsi i dintorni. Però fate attenzione, le montagne che paiono sovrastare il lago nella parte opposta al paese sembrano facilmente scalabili col piccolo problema che son già in Cina e non è possibile attraversare il confine. Così vale la pena di farsi un giro lungo il lago dove però le zanzare sono ovunque anche perché spostandosi nella zona a nord si passa nel mezzo di un acquitrino. A parte questo inconveniente il giro è però molto bello, si finisce per passare in una zona piena di vecchi bunker militari sovietici, un tempo questo confine sovietico-cinese era particolarmente strategico ed ogniuno alla sua maniera lo presidiava in qualsiasi modo. I bunker sono ruderi, ma incutono ancora timore e dopo aver visto i resti dei carriarmati della guerra civile sono un altro ricordo di una zona ad alto potenziale bellico sempre pronta per scoppiare. Rientrando alla base, mentre sopraggiunge una comitiva di motard italiani, è tempo per rimirarsi lo splendido tramonto sul lago, ma occorre andarci vestiti pesanti, quando cala il sole ed aumenta il vento il gelo è immediato. Cena in casa, sulle panche che faranno da giacigli per guide ed autisti, ed essendo l’ultima notte tagika è tempo di festeggiare. Spuntano vodke ed anche grappe provenienti dall’Italia in un gemellaggio a suon di brindisi e bevute non propriamente da alta quota.

18° giorno Dopo colazione si parte con prima sosta ai tumuli funerari di Kara-Art, antico cimitero con in bella vista le tombe di alcuni potenti del tempo addobbate coi crini di cavallo. Salendo verso il passo Kyzil-Art ci sono le ultime viste dell’incredibile blu del lago Karakul, mentre le montagne altissime lasciano piccoli spazi a valli dove a volte fanno capolino allevatori di bestiame, soprattutto capre, pecore e yak. Pensare ad una vita in solitaria in questi luoghi fa rabbrividire, ma un senso di pace interiore emerge intenso. Le ultime viste del Tagikistan son fantastiche, il Pamir stupisce ogni giorno di più e lasciarlo diventa triste, nonostante non si abbia mai incontrato un letto, un bagno ed un servizio igenico. All’uscita del Tagikistan occorre far controllare tutti i bagagli che vengono riversi nel mezzo della strada (si fa per dire, ovviamente), dove un piccolo cagnolino ci scorrazza nel mezzo alla ricerca di droga. Dove si ferma per un po’ occorre aprire il bagaglio, ma è più un teatrino che un dispiacere. I militari vestono in tuta e ciabatte, insomma non ci si imbatte in un controllo troppo ferreo, mentre pochi metri dopo c’è la regitrazione dei passaporti, cosa lunga per via delle difficoltà nell’interpretare la lingua ma non brigosa. Da qui ci sono 20 km di terra di nessuno, attraversati a bordo di furgoni kirghizi, strada al limite dell’impraticabile e per fare i 20km occorre più di un’ora. L’entrata in Kirghizistan è brigosa e snervante, oltre 2 ore di attesa per la registrazione (e non c’era nessuno altro), con controllo dei bagagli casuale ma da lunga perdita di tempo. Quello che più da fastidio è l’atteggiamento arrogante di alcuni militari, che si rivolgono esclusivamente in kirghizo e dopo qualche rimostranza se ne escono parlando un inglese fluente. Insomma, la solita storia di far valere la leva del comando su viandanti inermi. Coi furgoni guidati da personaggi che paiono più malviventi locali che autisti, partiamo in direzione di Sary Tash, dopo che veniamo fermati due volte da loschi figuri, la prima volta bloccati da gipponi nel mezzo della strada tipo assalto al furgone dei valori, la seconda da un tipo a cavallo che esibiva brillantemente una pistola nella fondina. Sary Tash è un crogiolo di contrabbandieri, ci sono camion che trasportano di tutto per tutti, ci si muove in modo poco sicuro e trovarci un posto da pranzare decente pare utopia. Si continua così in direzione Osh mentre mangiamo un po’ del solito pane di qui, con l’intento di non fermarci a pranzo, iniziando a rimirare le valli kirghize dove i villaggi di case son sostituiti da quelli di yurte. Di asfalto lungo la strada pochino, e la discesa dal passo Taldyk è impressionante (è impressionante anche la storia della costruzione di tale strada. Un giovanissimo ingegnere sovietico progettò questa ardita ascesa, dopo solo 3 anni il tragitto era pronto, ed al primo passaggio di un mezzo ne fu così felice che fu colto da infarto morendo all’istante. Sul passo c’è ora un piccolo monumento alla memoria dell’ingegnerino). Gli autisti/malviventi hanno intenzione di fermarsi per pranzare in un luogo loro “convenzionato” che ospita anche i preparativi per una festa di matrimonio. Ci rifiutiamo di prazare per non perdere tempo ma loro lo fanno ugualmente. Scocciati continuiamo, ma seguono a perdere tempo e a litigare, ad un certo punto ci si perde di vista. Così mentre un autista cerca l’altro ce ne rimaniamo lungo una strada buia per 2 ore, riuscendo comunque ad arrivare ad Osh solo alle 23:30 cenando al buio (al ristorante non avevano più la luce dopo mezzanotte) al rist. Tubaruk. Poi, finalmente, una splendida guesthouse con una doccia spaziale a lavare lo sporco del Tagikistan che ormani era diventato parte di me.

19° giorno Colazione e subito visita di Osh, con in primis il suo enorme mercato dove si può comprare di tutto, e cambiare soldi. Anche qui cambiano di tutto, qualsiasi valuta viene accettata. Il mercato è gigantesco, diviso per tipologie di prodotti, ed ovviamente bella mostra fanno i cappelli locali. Comprarli pare quasi un dovere, le trattative paiono semplici e le venditrici arrendevoli, alla fine per meno di 1,5€ se ne può comprare uno di ottima qualità e fattezza. Ad Osh fanno ancora bella mostra di se i murales dell’epoca sovietica, col popolo festante mentre se ne va al lavoro, con stelle rosse ancora ovunque, anche se il Kirghizistan è lo stato più aperto al liberismo e quello meno burocratico, tanto che qui non è obbligatorio essere registrati ed avere un luogo prestabilito per passare la notte. In città fa bella mostra di se il trono di Salomone, una grande roccia che incombre sulla città e che storia/leggenda narra come un luogo dove Maometto si fermò a pregare. Ma è già tempo di andare, si attraversa una zona di grande produzione agricola, la parte kirghiza della valle di Fergana (famosa ora per essere centro di raccolta dell’integralismo islamico nelle terre degli stan ex sovietici), per poi ripredere a salire verso nord con tappa a Ozgon. Gli autisti/malviventi non sono più i nostri accompagnatori e viaggiamo con maggiore serenità, così ci possiamo godere la visita di questa cittadina che presenta tre vecchi mausolei ed un minaretto ma che ai giorni nostri si ricorda per i violenti scontri ai giorni dall’indipendenza tra russi, tagiki ed appunto kirghizi. Di questo non troverete traccia, si vedranno invece file di persone in attesa che venditrici/scrittrici verghino le lettere scritte alle tante persone che non sanno ancora scrivere. Lungo la strada compriamo angurie e meloni (qui va molto quello bianco), che mangiamo in un campo alberato nei paraggi si una bancarella di vendita di altre angurie. Per i proprietari non c’è nessun problema che ci fermiamo qui a mangiare roba nostra, poi vista la gentilezza compriamo qualcosa anche da loro e non ci lascierebbero più andar via. Continuiamo su buone strade costeggiando molti bacini idroelettrici, fonte di tanta energia prodotta in loco, uno di questi forma anche uno splendido lago, il Toktogul, che verso il tardo pomeriggio regala visioni sublimi tra acqua e montagne a forma di piccoli coni vulcanici (che però in realtà non lo sono) sullo sfondo. Per dimora abbiamo una baita dalle parti di Chychkan, a metà strada (circa 160km fatti oggi ed altrettanti da fare domani) tra Osh e la capitale Bishkek. Cena in baita con possibilità di scegliersi il menù (non ero più abituato), camera gigantesca, dove funziona perfino una doccia con idromassaggio, evidentemente il posto in alta stagione è destinato ai facoltosi nuovi ricchi di qui.

20° giorno Che il posto si bello non è in dubbio, il servizio meno perché a colazione non c’è nessuno a servirci, ma ci si arrangia ugualmente, poi si parte verso il passo Ala-Bel (3.184m). Lo scenario è superbo, montagne di un verde incredibile con un cielo blu intenso, mentre le valli sono piene di abitazioni locali, ovvero yurte, con la vita che scorre tutto intorno. Bambini che giocano con splendidi cani di qui, docili e mansueti, donne alle prese coi lavori di piccole imprese casearie (ok,si fa per dire…), bambini che vendono latte e yogurt di yak sui banchetti lungo la strade, mentre se si entra nelle yurte offrono da bere il famoso latte di giumenta fermentato (che sarà anche buono, ma non al mio gusto). Viste veramente splendide, le yurte tutte bianche (fu per volere di Stalin, così erano più facilmente localizzabili nel mezzo del verde dei prati), le vecchie carovane rosse nel mezzo e gli uomini che sempre nulla fanno se non della chiacchera tra di loro, all’insegna di una civiltà ancora fortemente matriarcale. Ma anche da qui bisogna ripartire, la strada per Bishkek è lunga anche se adesso non occorre risalire il passo Tor-Ashuu in quanto un nuovo tunnel ha abbreviato il percorso, togliendo sicuramente fascino al viaggio. I 150km li percorriamo in 4,5h, arriviamo nella capitale kirghiza dove pernottiamo presso l’hotel Alpinist, ovviamente paradiso degli alpinisti. Ovunque è possibile recuperare info e trasporti per le scalate e le escursioni alle montagne del posto, oltre a riviste, immagini e reperti del mondo dell’alpinismo. Bishkek ha una impostazione tipicamente sovietica, vie enormi ed alberate, nel centro palazzoni come quello del governo o del museo storico statale, mentre la statua di Erkindik (ovvero la libertà) fa bella mostra di se al posto di quella di Lenin, che è giusto stata rimossa dalla piazza centrale per trovarsi alle spalle del museo e di fronte al parlamento. Il cuore della città gravita tutto vicino a piazza Ala-Too, come il parco Dubovy frequentatissimo dai giovani locali, dove si rimirano splendide ragazze dai tratti sovietici ma con lineamenti dolci alla mongola, insomma visioni “celestiali”. Per chi vuole riprendere confidenza con lo shopping qui si trovano nuovamente negozi di ogni tipo (ma scritte solo in russo o kirghizo), ma non mercati come sulla via della seta. Ci sono vari internet point (un’ora circa 200 som, si paga anche in base al traffico scaricato), quello incontrato all’angolo tra la Kiev e la Togolok anche veloce e con tastiera non solo russa. Bishkek mescola costruzioni del passato sovietico come il grande teatro statale dell’opera e del balletto, a fianco di emergenti hotel occidentali, in una città in grande ristutturazione, mentre fa un po’ tristezza il pacchiano museo costruito nel luogo natale dell’ex comandante delle guardie dell’armata rossa, Frunze. Fu lui a conquistare definitivamente questi luoghi nel 1920, e la città prese il suo nome, ma misteriosamente morì durante un’operazione allo stomaco consigliata da Stalin. Il museo a lui dedicato pare più una casa delle bambole che un vero e proprio museo, visitatelo se proprio avete del tempo. A Bishkek è anche possibile riprendere confidenza con tipi di cucina di vario tipo, così la sera testiamo il rist. turco Ioca con un ottimo responso personale. Il nome della capitale kirghiza è così cambiato 3 volte in un solo secolo, prima Pishpek, poi Frunze ed ora Bishkek. Il bishkek è il mestolo per movimentare il latte nella lavorazione per ottenerne il burro, ma il nome è poco amato dalle donne, soprattutto anziane, per un uso non riportabile ma immaginabile!

21° giorno Sveglia alle 2:30, colazione improvvisata e via all’aereoporto Manas di Bishkek (30’). La particolarità dell’aereoporto è quella di far da base agli aerei militari statunitensi di supporto alle operazioni in Afghanistan, così a fianco del nostro volo Turkish ci sono cacciabombardieri ed aerei cisterna che incutono una certa tensione (ma per questa base di supporto il governo kirghizo percepisce una cifra talmente ingente che visti i problemi economici del momento non ne può fare a meno). I controlli per accedere ai voli sono limitatissimi, qui non vigono le regole statunitensi importate in Europa e si può ancora passare con tutto quello che si vuole, bevande, tagliaunghie e coltellini. Unica cosa, la precedenza al volo è per gli aerei militari, così magari si finise per far un po’ di fila al momento della partenza. Nota a margine, noi partiamo di mattina, di sera partirà un aereo di una compagnia iraniana sulla lista nera della Iata che si schianterà dopo nemmeno 5km dalla partenza, aereoporto chiuso e coincidenze che sarebbero inevitabilmente saltate. Arrivo a Istanbul dopo 5h, l’attesa è lunga e come non approffitarne per testare un buon kebab a prezzi da centro di Londra e qualità scarsa nell’aereoporto? Il volo per Milano parte puntuale come puntuale ne sarà l’arrivo dopo 2:45h, con l’ottimo servizio offerto dalla Turkish su entrambi i voli. A Milano mi aspetta il solito triste cammino verso casa fatto col Malpensa shuttle e col treno per Bologna. Il primo che incontro è un Eurostar che costa la bellezza di 30€ (cifra che in Kirghizistan poteva bastarmi per qualche giorno) e che arriva a Bologna in perfetto orario senza strade interrotte dai cinesi, camion rotti nel mezzo ma anche senza viste di scenari unici come quelli del Pamir che ti accoglie in maniera dura ma che ti lascia dentro una sensazione indelebile di sconfinata beatitudine.


2 note di commento Tutti i costi riportati sono da intendersi a persona quando non specificato. Un € valeva nell’estate 2008 indicativamente 2.050 sum uzbeki, 5,2 somoni tagiki e 55 som kirghizi. Al di fuori delle capitali non c’è praticamente mai possibilità di trovare bancomat, quindi approffitatene in quelle città, oppure cambiate nei vari posti ufficiali preposti a farlo che son sempre numerosi. Il viaggio si è svolto durante il mese di agosto, tempo ideale per il Pamir e per le valli kirghize, ma indubbiamente molto caldo per l’Uzbekistan. L’unica lingua che permetta di parlare con qualsiasi persona è il russo, l’inglese è conosciuto da rare persone, praticamente solo le guide e non tutte, gli autisti mai. Per entrare nei 3 paesi è obbligatorio arrivare già coi visti, le richieste richiedono circa un mese. Per il Kirghizistan, non essendoci ambasciata in Italia occorre fare richiesta a quella kazaka, mentre non c’è questo problema per Tagikistan ed Uzbekistan. Ma per quello tagiko, se si entra via terra occorre indicare il luogo di accesso (vale anche per il visto multientrata nel caso del primo accesso) e solo da lì si è autorizzati ad entrare, mentre questa procedura non serve per quello uzbeko, dove però la domanda deve essere corredata da un modulo aggiuntivo con svariate info richieste (oltre a circa 10 foto che però mi son state rese col passaporto, forse con una semplice scansione hanno semplificato i moduli), tra le quali tutti i dati del lavoro compreso un telefono lavorativo di riferimento. Devo dire però che nessuna spia uzbeka mi abbia mai cercato, e che durante tutta la mia permanenza il cellulare di lavoro che avevo lasciato come riferimento era a casa sempre spento e non ho avuto nessun problema. La copertura per i telefoni cellulari va e viene a seconda delle zona, quasi mai in Pamir, sempre nel Pamir serve un prefisso particolare che però non so dirvi visto che non avevo con me un cellulare. Le postazioni internet son scarsissime, sovente di una lentezza insostenibile ed a volte con tastiera solo in russo, scordatevi Skype, se proprio avete bisogno di essere sempre reperibili prendetevi un telefono satellitare, come fanno tutti i motociclisti che ho incontrato.

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