top of page

Sahara Algerino

Sahara algerino - tra il Tassili du Hoggar ed il Tassili N'Ajjer

1° giorno Parto di primissima mattina da Bologna in un giorno di grandi difficoltà di trasporti, così in stazione apprendo che il treno che avevo prenotato arriverà chissà quando. Devo comprarmi un nuovo biglietto (di prima mattina le biglietterie sono chiuse) alle biglietterie automatiche non potendo così sfruttare quella già pagato e salgo sul primo treno per Roma, un Freccia Rossa che nasce a Bologna e quindi non porta ritardo (58€). Arrivo comunque a Roma con 70’ di ritardo, ma al volo prendo il Leonardo Express (12€) ed in 30’ sono a Fiumicino. La coda per il check della Air Algeria è corta, e non ci fanno nemmeno problemi ad imbarcare bagagli pesanti (cioè gli zaini son leggeri ma le vettovaglie più tutto il cibo “secco” non proprio), superiamo di poco la quota di 20kg a testa ma per loro va bene così. Si parte con un’ora di ritardo, arriviamo con lo stesso ritardo ad Algeri dopo 1:45, volo allietato da un pranzo disgustoso, un pollo bollito anni prima al limite del commestibile. All’aereoporto di Algeri i bagagli vengono consegnati velocemente, occorre ritirarli perché il terminal internazionale è separato da quello nazionale. Le pratiche per uscire sono veloci, viene presa anche la termperatura corporea come precauzione per la ormai dimenticata influenza H1n1 (automaticamente con una sonda a distanzae ed il tutto proiettato in una tv). C’è un ufficio cambio valuta operativo e celere che consegna banconote intonse, sulle quali spiccano alcuni graffiti che poi si vedranno nei tassili. Il terminal nazionale dista 300m, che si percorrono sotto una tettoia ed all’entrata occorre passare sotto al primo metal detector. L’attesa per il check è lunga e la passiamo al Timgod caffè, prezzi europei ma buona qualità sia per spremute che caffè (350dz per le 2 bevute). Fatto il check occorre andare ad un altro sportello per il controllo passaporto e biglietto, poi nuovo metal detector per arrivare al gate. Qui l’attesa si prolunga e partiamo in ritardo di 3h con un aereo della Neos, che fa servizio in waiting list per Air Algeria (in pratica lavorano sui ritardi della compagnia di bandiera che dvono essere uno standard). Prima di salire sull’aereo occorre riconoscere il proprio bagaglio sulla pista, caricarlo sul carro che lo porterà all’aereo e passare un nuovo controllo per il bagaglio a mano. Sul volo, personale italiano ed altrettanto la compagnia, che ci serve uno spuntino veloce. L’orario è già abbondantemente dopo mezzanotte, dormirei volentieri ma una ragazza algerina che mi siede accanto è curiosissima di sapere del perché me ne vado nel mezzo del deserto, per lei è solo un viaggio a trovare il padre militare a Tam. Dopo un po’ le faccio notare che da noi è vietato tenere il cellulare acceso in volo, per lei che viaggia sempre su aerei militari è una sorpresa, fortunatamente una hostess la redarguisce facendo stare tutti un po’ più sereni. All’arrivo le pratiche per uscire sono velocissime, e facciamo conoscenza coi 2 autisti che ci porteranno in giro per il deserto, Ahmed e Mustafa, che ci portano di volata al Hotel/Camping Agencia 4X4 (8.200dz) dove alle ore 5 ci buttiamo a dormire.


L'uscita dal Erd d'Admer


2° giorno

La sveglia suona alle 8, dopo una “lunga” dormita facciamo colazione nell’albergo di stile coloniale, iniziano a preparare le vettovaglie dividendo per bene quello che ci servirà per colazione, pranzo e cena e ci accorgiamo che salendo sulle mure che circondano l’albergo si scorgono già le prime montagne che fanno da sfondo a Tam. Ma occorre partire per far spesa, così ci fermiamo al mercato centrale (a Tam si trova di tutto) per comprare frutta, verdura, uova, pane (la baguette è ovunque), taniche per l’acqua, stuoia da utilizzare come tavola, spruzzino a diffusore per lavarsi (già, non si può sprecare acqua e con poca si deve fare tutto, ma come insegnano i maestri del deserto, qui non si suda e non si sente l’esigenza di lavarsi) e bombola del gas per cucinare (la bombola ci vien fornita, noi dobbiamo però caricarla del gas). Espletate tutte queste operazioni riempiamo le taniche di acqua (scelte da 20 litri cad.) ad una fontana preposta in una via di Tam e procediamo a filtrarne una alla volta col micropur (una pastiglia per litro, deve rimanere almeno 30’ in filtraggio). Le jeep sono rodate Toyota Landcruiser (già a referto 300.000km cadauna) che si avventurano ovunque salendo dove pare impossibile anche per merito di chi le guida con grande precisione, e con queste iniziamo il viaggio in direzione sud verso il Tassili du Hoggar dopo che Ahmed ci ha già chiesto se ci va di fare una deviazione rispetto a quanto avevamo ideato noi. Ci propone di passare qualche giorno in più verso sud, in luoghi meno battuti per recuperare tempo nella seconda parte. Dice che quanto visiteremo è particolarmente bello e così accettiamo subito, prendendo la strada asfaltata in direzione In-Guezzam che sarebbe poi il posto di confine col problematico Niger. Lasciamo la strada dopo pochi km, seguendo per Tamekrest lungo una strada che è già una pista sovente all’interno di un uadi (letto di fiume secco, almeno al momento, non sempre nella stagione delle pioggie che coincide con l’estate). Per gli autisti la pausa di mezzogiorno è d’obbligo, noi sfoggiamo scatolette di tonno o salmone con un po’ di verdura comprata al mercato, loro si cucinano subito qualcosa sul fuoco realizzato con legna che si son presi dalle loro case. Fa caldo ma non eccessivamente e terminati i giri di te (tanti ogni volta, ma è veramente squisito) si parte per le cascate di Tamekrest che però in questo momento son praticamente secche. Si notano già rocce levigate in maniera incredibile dalla forza dell’acqua, quindi l’acqua ci deve essere sul serio. Continuiamo verso sud-est fermandoci a far campo in un uadi laterale di quello di Agargar, il sole si perde dietro alle montagne verso le 18:30 ma la luna fa una buona luce ed abituandosi non servirà più di tanto nemmeno la pila (consigliabile quella da testa a led così si consumano poche batterie), godendoci così un cielo stellato che mai diventa nero ma resta di un blu cobalto persistente. Il tramonto non è particolarmente bello in questo posto un po’ anonimo ma l’orario non ci permetteva di procedere ancora. Ci prepariamo la prima cena nel deserto cadendo su mezze maniche al tonno arricchite di varie verdure accompagnate in seconda battuta da una ricca frittata di uova, cipolle e zucchine. Non male come prima cena, ma il cous-cous degli autisti pare farci una grande concorrenza. Nonostante si sia cercato un luogo riparato c’è vento e nelle tende si sente abbastanza. Percorsi 159km, su piste buone.


Tramonto all’Assekrem


3° giorno

Sveglia ore 7, colazione al campo poi smontate le tende scendiamo a piedi al uadi principale, vedendo come si siano sviluppare le piante di qui alla ricerca di acqua. C’è un albero distante oltre 30m che ha le radici fino al uadi alla ricerca di acqua, la sua sopravvivenza in questo luogo arido. Partiamo ma subito gli autisti notano ottimo legno di acacia e ne fanno scorta, le braci che produce sono le migliori per il fuoco. Poi si entra veramente nel deserto, saliamo su di un grande pianoro con sui lati lontanissime montagne e nel mezzo strane formazioni lavorate dal vento. Il senso di “desertico” è già presente, non c’è più traccia umana ma siamo solo all’inizio. Facciamo una escursione in una grotta dominata da un arco triplo, ed uscendo sullo sfondo compaiono già le formazioni a canne d’organo che svettano un po’ in ogni posto nel Tassili du Hoggar diventandone un simbolo. Procediamo velocemente sempre su piste arrivando ad un luogo fantastico, un canyon tra rocce favolose con dune che lo attraversano dai colori intensi. Proprio qui nel mezzo facciamo sosta, e mentre gli autisti si preparano il solito lungo pranzo noi abbiamo tempo per visitarci il canyon incredibile. Le viste valgono già la scelta di far questa deviazioni e siamo già esaltati. Il posto si chiama El Ghessour e si trova nel Tikadiren, sembra di stare nel mezzo della creazione del mondo quando l’uomo non aveva ancora fatto la sua comparsa. Poi ripartiamo scendendo da questo altipiano per salire su di un altro nelle vicinanze dove si trovano alcune pitture rupestri (niente di troppo spettacolare) ed una guelta (specie di laghetto naturale dove si può recuperare acqua, ma utilizzate prevalentemente da animali). Come ci insegnano le guide, quando si trova acqua, sempre meglio prenderla. Così riempiamo alcune taniche vuote, non mischiando questa con altra più pulita e partiamo per un lungo percorso in direzione di Tinakacheker, la perla del Tassili du Hoggar. Dal lato da dove preveniamo iniziamo a scorgere un gruppo di dune perfettamente vellutate, sovrastate da formazioni con archi e canne d’organo, poi avvicinandosi lo spettacolo diventa sempre più inverosimile. Siamo già estasiati, ma le guide ci dicono che questa è la parte posteriore e non merita tanto. Aggiriamo le dune ed entriamo in una anfiteatro naturale cinto da dune che lascia senza fiato. Ci dicono che possiamo far campo qui, e quasi mi vergogno di pestare queste dune che sembrano intonse da sempre. Piantiamo in tutta fretta le tende per goderci il tramonto che colora le dune e lancia le ombre delle rocce su di esse come fossero pennellate del più increbile dei pittori. Ma dovrebbe essere l’alba lo spettacolo migliore, già questo pare impressionante e la memoria della Nikon si riempie di scatti. Prepariamo la cena ed ormai siamo una collaudata macchina da guerra, ogniuno al suo ruolo ed i tempi si accorciano, godendoci una abbondante pasta con ratatuia di contorno. La sabbia è fondamentale nel lavare le pentole e permette di non sprecare troppa acqua, non più di 3 litri al giorno devono essere sufficienti per lavare e risciacquare. Le rocce calde dal sole del giorno fanno da termosifone naturale e riparano anche dal vento, così la notte non è per nulla problematica, ma si entra in tenda quando abbiam già visto tutte le stelle inimmaginabili, vedendo che qui la cintura di orione è difficile da distinguere per il troppo affollamento nel cielo! Una stella dalla forte intensità che compare a sud è per le guide la stella del Niger, ovvero quella che ne indica il percorso, da qui mancano meno di 200km. Per tutta notte il blu non scivola mai nel nero, regalando uno spettacolo aggiuntivo a quanto visto di superbo nel giorno. Percorsi 142km, su piste buone ma anche su dune da passare solo grazie alla forza delle marcie ridotte e con pneumatici sgonfiati all’occorrenza.

Le dune di velluto di Tinakacheker

4° giorno

Sveglia per l’alba alle 6:30. Le dune in lontananza iniziano a colorarsi, poi nemmeno troppo lentamente sorge il sole e tutto diventa rosso, ocra ed infine giallo. Ma lo spettacolo incredibile è alle spalle, le grandi formazioni rocciose sembrano prendere fuoco dal rosso intenso che spargono in giro riflettondosi sulle dune. Queste poi, attraversate da zone di ombra sono una spettacolo che fluttua in continuazione, e si finisce sperduti in questo mare di sabbia colorata. La bellezza del luogo è incredibile, solo quando il sole inizia ad essere già alto si passa alla colazione ed a richiudere le tende per poi partire in direzione della Chambre de Tagrira. Si tratta di una grande formazione rocciosa che nel corso dei secoli il vento ha modellato per creare una grande camera all’interno di rocce a forma di funghi. Ci sono ovviamente varie aperture ed archi a regalare viste che variano da ogni lato e qui incontriamo anche qualche altra persona in escursione, una coppia francese con al seguito i 3 figli (pensabile per degli italiani?) che attraversano a piedi questa parte di Tassili du Hoggar. Da qui si parte a tutta velocità su di un plateau che pare infinito, non avendo riferimenti non se ne percepisce l’immensità, solo dopo circa 40km ci fermiamo nei presi di una roccia con diversi graffiti rupestri a ricoprirla. Ci sono giraffe, cervi e rinoceronti a dimostrazione che tanti anni fa qui non c’era il deserto ma la savana. Siamo nel mezzo del uadi di Tin Tarabine, ma non proseguiamo lungo questo uadi perché ci aspetta il luogo di Youf Ahakit (che in tamaschek significa Meglio Della Tenda) famoso le le sue guglie di roccia a canna d’organo. Prima di arrivarci si vede l’enorme roccia modellata dal vento a forma di capra, poi nei dintorni si trovano altre pitture rupestri e sotto ad una grande formazione rocciosa facciamo tappa per il pranzo. Qui si sfiorano i 30° e conviene trovarsi un’ombra tra le tante zucche del deserto, cibo per i dromedari. Si riparte velocemente per una posizione dopo salire a vedere nel modo migliore le canne d’organo, che svettano al fine di una grande distesa di rocce nel mezzo della sabbia. Continuiamo per un posto che si innalza al di sopra di rocce incredibili e dai colori dettati dal sole, luogo che si apre dopo di una grotta dai tanti archi. Sabbia ocra con rocce che paiono prendere vita in personaggi di ogni tipo, su tutti, almeno per me, il ritratto del Passator Cortese di Romagna, che chissà cosa starà facendo qui nel deserto del Sahara! Il luogo (Youf Aharlal che significa Meglio di una coppa d’acqua, che qui vale oro…) lascia perdersi in svariati sentieri ma non ci si perde mai veramente se non nel proprio subconscio, anche perché occorre ripartire in jeep e salire ancora all’interno di un alteriore altipiano che domina per intero questo Tassili. Incredibile da descrivere, roccie ancora più fini e lavorate, con sabbia a darne un quadro del tutto particolare, come se lo scenario fosse stato pensato da Dalì. Scendendo decidiamo di fare campo dietro a rocce colorate dal sole nel mezzo di una sabbia talmente ocra che pare finta. Ma nessuno ha voglia di piantar le tende in questa meraviglia, così si visita il luogo in tutti i suoi anfratti, oppure c’è chi si mette in meditazione faccia al sole caricandosi di una energia sconosciuta. Per cena ci regaliamo tortellini in brodo seguiti da una gustosissima frittata umbra, degno finale di una giornata che ci ha regalato viste indimenticabili. Qui, protetti dalle rocce, con la luna che ancora non ci illumina è possibile farsi una grande idea del cielo stellato, e vista la temperatura c’è la possibilità di dormire all’aperto senza paura che il freddo arrivi nel pieno della notte. Percorsi 131km, tutti su pista ed anche al di fuori di queste ricorrendo sovente all’uso delle marcie ridotte per cavarci dalle sabbie più infide.


Riposo all'oasi di Djanet


5° giorno

Lo spettacolo dell’alba sulle montagne di fronte è splendido anche se non vale la magnificienza di Tinakacheker, consumata colazione e caricate le jeep occorre dar una mano ad una jeep nei paraggi che non riesce a partire. L’autista è un amico dei nostri 2 autisti (ovvio, si conoscono tutti tra di loro) e sta trasportando 2 ragazzi francesi preoccupati per le prossime partenze nel deserto, visto che gli incontri sono saltuari. Scendiamo a malincuore dall’altipiano affiancando una enorme roccia a forma di cammello per percorre svariati uadi dovendo rientrare lungo il percorso nei paraggi di Tadant. Dal uadi di Telonfasa si passa per quello di Afalarfal, poi Tihinarar dove incontriamo un ragazzo con al seguito 2 dromedari (con lui una bottiglia di acqua non proprio potabile e nulla di più, per un percorso a piedi da almeno 2 giorni e mezzo), e poi Takaloss dove dopo stranissime formazioni rocciose con infiniti buchi ed anfratti c’è una distesa di marmo nel bel mezzo del deserto. Arrivati al uadi di Tadant troviamo un luogo all’ombra per pranzare (sempre tonno e salmone in scatola nel mezzo di baguette che tengono sempre ottimamente la forma, con pomodori che anche loro dimostrano valida tenacia nel sopravvivere al deserto) e poi arriviamo ad un posto dove recuperare ottimo legno di acacia. Subito si riparte per il villaggio di Tadant, facendo però prima tappa all’omonimo pozzo dove far scorta d’acqua. Questo pozzo è controllato dall’ufficio sanitario di Tam, quindi si va sul sicuro, ma noi filtriamo sempre una tanica destinata a bersi. A fianco del pozzo c’è anche una piccola costruzione che serve per lasciare acqua agli animali, insomma, tutto è preparato a dovere. Vista l’acqua ne approfitto per un abbondante lavaggio di capelli e piedi, che centellinando quella dello spruzzino non avevano ricevuto getti del genere già da un po’. Facciamo tappa al villaggio di Tadant nel mezzo di nulla, dove si stanno costruendo abitazioni in muratura, ma dove la popolazione ha un grave problema, quello della congiuntivite dettata dalla forte e costante luce del sole. Tanti ne sono soggetti, ma qui nessuno mendica nulla, al massimo vi chiedono se fosse possibile avere del collirio adeguato. Il villaggio è chiuso dietro ad un muro bianco, si scorgono da subito pentole e bollitori per il tè ad asciugare, però all’interno non entriamo non essendo stati invitati anche se tutti ci tengono a far chiacchere sul perché siamo da quelle parti. Lasciata Tadant continuiamo per il uadi che passa nel mezzo di un largo canyon attorniato di dune di roccie tutte tonde e che per miracolo non cadono sulla pista, per fermiaci a far campo presso Yfarakaten, sotto ad una roccia a forma di tartaruga, nel mezzo delle montagne del Tissalatine. Si sale facilmente la roccia fino al suo punto più alto dove ammirare il solito splendido tramonto, poi vista le temperatura ancora buona è tempo di lavarsi alla solita maniera con lo spruzziono, alzare le tende e regalarci una mangiata abbondante. Finite le innumerevoli bevute di tè, buonanotte a tutti dopo 252km tutti su pista e qualche fuoristrarda vero e proprio.


La vista da Jabbaren


6° giorno

Solita robusta colazione e poi via sempre lungo lo stesso uadi del giorno precedente, dove ci imbattiamo in un gruppo di rocce basse ma dalle particolari forme, tanti anfratti quasi che fossero comode sedie di giganti, e da qui si prosegue verso il Plateau de Tafarslesnar, prima però sosta ad un ulteriore pozzo, a dimostrazione che nel deserto l’acqua non manca. Il plateau è infinito e non ha montagne ai lati, così pare di immergersi nel nulla ripieno di miraggi, il paradiso della Fata Morgana. Lontano scorgiamo un piccolo punto, come fosse qualcosa di reale che cede il passo al miraggio. Non può essere, invece dopo un po’ di minuti pian piano il puntino si trasforma in una jeep in panne. Gli autisti si fermano per cercare di aiutare i 2 viandanti che occupano il mezzo, ma il problema è legato dall’eccessivo consumo di benzina da parte della vecchissima jeep e non possiamo nemmeno fornire carburante in aiuto perché le nostre Toyota vanno a gasolio. Stipato nella jeep in panne c’è il mondo ed anche di più, i nostri autisti ci dicono che è abituale incontrare commercianti (forse meglio dire contrabbandieri) che tentano di attraversare il Sahara portando di tutto ai mercati del nord dell’Algeria. L’unica cosa che possiamo fare è segnalare la loro difficoltà a chi incontreremo per cercare di intercettarli, ma almeno acqua ne hanno e questo basta per lasciarli lì con la tranquillità che ce la potranno fare. Facciamo tappa con anticipo per pranzo riparati sotto ad una formazione rocciosa del gruppo Tisnar, visto che in questa spianata fa particolarmente caldo. Finito di mangiare via subito per affrontare uno dei posti più spettacolari di questa parte di Sahara, l’Erg d’Admer, una grande distesa di dune interminabili, alte ed intonse. Ci entriamo in jeep passando dove ci si immagina di piantarci, poi è tempo di scalarle per ammirare lo scenario dall’alto di queste. Vista l’assenza di ogni forma rocciosa, si parte scalzi, così si evita la grande fatica di salire con le scarpe sempre al di sotto della sabbia, immancabilmente la prima parte è facile, poi via via che si sale un passo in alto corrisponde a due in discesa, così come ben si sa occorre trovare la vena giusta per conquistare il crinale e da lì muoversi a piacimento. Dire che lo spettacolo sia grandioso è poco e non rende l’idea, un altro luogo che riempie la memoria della macchina fotografica, e non si vorrebbe mai rientrare alla base. Ma poco prima del tramonto occorre cercare un luogo per la notte, possibilmente ben riparato perché tra le dune fa più freddo non essendoci nessuna roccia a trattenere il calore del sole e a far da diga al vento. Troviamo un luogo fantastico, una piccola insenatura nel mezzo di dune mozzafiato ed il tramonto qui nel mezzo si colora di ogni tinta possibile, finiamo così a montar le tende già col sole calato, ma la luna è già comparsa e non viene mai scuro. Sembra incredibile, ma c’è sempre luce, nemmeno fossimo al circolo polare artico in giugno, eppure è così. Consumata una abbondante cena dove approffittiamo del pane cotto sotto alla sabbia che Ahmed e Mustafa hanno preparato in più per noi in cambio di alcune porzioni di frittata che loro amano particolarmente, finiamo al solito a rimirare stelle di ogni tipo che questa sera danno l’idea di essere in costante movimento. Evidentemente il tè della sera ha portato effetti benefici a tutti, al termine di una giornata di 182km, su piste ma anche nel mezzo di dune andando più a sentimento che a senso vero e proprio, a dimostrazione che non c’è stradario o navigatore che tenga di fronte alla conoscenza del territorio dei tuareg.


Ingresso sull’Erg d’Admer


7° giorno

Sveglia alle 6:30 per rimirare l’alba, al termine di una notte molto fredda, però lo spettacolo scalda cuore e mente così si affronta lo smontaggio delle tende con meno ghiaccio nelle mani dopo di una massiccia dose di bollente caffè. Partiamo attraversando l’Erg d’Admer e non vorremme mai lasciarlo anche perché nella parte finale con la vista sui denti di Tim Rass lo spettacolo non termina mai. Nel bel mezzo dello scenario, dopo non aver mai incontrato nessuno, ci imbattiamo in una lunga comitiva di Deserctica, quasi 15 mezzi proprio qui dove non pare passar mai persona, ma effettivamente scesi dalle ultime dune si scorge la strada asfaltata che collega Djanet ad Algeri (circa 2.100km). La imbocchiamo ma dopo poco la lasciamo svoltando a destra nei pressi di una centrale elettrica per raggiungere Terarar (pista di sabbia, brigosetta) dove alla base di una grande roccia rossa intensa si trova scolpita la Vache Qui Pleure, la mucca che piange. L’incisione risale al neolitico, e leggenda narra che fu realizzata da un mandriano che perse le sue mucche. Ha immaginato che le mucche, rimaste sole, si mettessero a piangere, e questa idea del mandriano è giunta fino a noi per mezzo di questa opera che risulta veramente perfetta. Meglio arrivarci dopo le 11:30 quando il sole la illumina di fronte, così da goderne ogni venatura e prospettiva. Nei dintori ci sono capre al pascolo, non mucche ma comunque sempre animali che rappresentano la sussistenza dei nomadi del luogo. Rientriamo sulla strada ma dopo Djanet, nel pezzo di strada asfaltata che va all’aereoporto (dista 20km dalla città, solitamente i voli Algeri-Tam fanno tappa qui al rientro nella capitale), ed andiamo a pranzare in un secco uadi sotto ad un albero di acacia che ci regala una propizia ombra. Ripartiamo entrando in un piccolo canyon per ammirare una roccia che il vento ha lavorato creando una copia perfetta di elefante. Se arrivando non dava nessuna idea di questo, dal fronte è incredibile la somiglianza, sembra quasi che un elefante vero e proprio sia finito mummificato nella roccia. Riprendiamo la strada imbattendoci nella nazionale 3 che si dirige verso est in Libia, asfaltata e ben tenuta, poi dopo meno di 10km, e 7 km prima di Djanet facciamo tappa all’ Hotel Tenerè (12.000dz), che sarebbe poi quello gestito dall’agenzia che organizza il nostro viaggio. Si tratta di un villaggio vero e proprio (e decisamente molto bello visto dove ci troviamo), grandi camere con bagno ed acqua calda, dove finalmente ci concediamo una doccia, anche se occorre andare subito in città per far spesa e regolare permessi ed attraversamenti futuri. Djanet è una cittadina di oltre 30.000 abitanti, che sorge nel mezzo di un’oasi con infinite palme, luogo di accesso al Tassili n’Ajjer famoso oltremodo per le incredibili pitture ed incisioni rupestri che hanno permesso di comprendere lo sviluppo della vita di larga parte del continente africano. Ci si può trovare un grande numero di agenzie di viaggio, ma seppur in maniera molto minore rispetto a Tam, un po’ tutto quello che serve per lunghe escursioni nei tassili che la circondano. Compriamo frutta e verdura al mercato centrale, ma anche dadi per brodo (con montone), scatolame, olio, pepe, cioccolata, marmellata e pane in un lucentissimo minimarket dai prezzi occidentali, insomma tutto quello che occorrerà per la prossima settimana. Evitiamo di comprare la testa di dromedario che il macellaio espone proprio all’entrata della sua bottega, un’immagine alquanto forte, dopo aver visto tantissimi dromedari muoversi beati nel deserto nei giorni precedenti. Recuperiamo anche una guida per il giorno seguente (1.500dz, comprensivi del permesso per il parco del Tassili n’Ajjer che comunque costa la miseria di 100dz, è più il tempo che si perde a compilare il lungo incartamento che altro), per raggiungere il sito di Jabbaren è obbligatoria oltre che fondamentale perché il percorso non è segnalato e le pitture rupestri non sarebbero localizzabili nel mezzo di stretti e fittissimi canyon. Qui a Djanet c’è il pieno di gente, il luogo è ideale per riposarsi dalle fatiche del deserto, non c’è tanto da vedere ma visto che la cittadina si appoggia su di una collina salire per rimirare la zona è un obbligo. Anche qui stanno costruendo varie case, senza però cadere nella facile tentazione di palazzoni che conterrebbero molti turisti ma che finirebbero per essere un pugno in un occhio rispetto alle case bianche con porte e finestre azzurre che si incontrano ovunque. Vista la tanta gente avevamo tentato di prenotare un ristorante in città ma quando torniamo per cenare ci dice che non è riuscito a comprare nulla al mercato e non ha niente da offrirci. Così rimediamo sul rist. e caffè Scanaire (450dz) dove avevamo fatto tappa per il solito tè ormai immancabile nella nostra giornata (del resto Paul Bowles aveva insegnato a tutti la valenza del tè nel deserto…). Siamo a fine giornata ma c’è ancora qualcosa da scegliere (ci fanno entrare direttamente in cucina per mostrarci le loro cibarie), io finisco su polpette con purè, son ottime e non mi chiedo di cosa realmente siano ripiene. Per una volta una cena servita non è poi malaccio, e dopo c’è anche la possibilità di farci un vasca per la via centrale di Djanet, ma alle 21:30 non c’è più anima viva in giro e così ritorniamo al nostro hotel a goderci la nottata su di un comodo letto. Percorsi 134km, almeno 30 su strada asfaltata, il record fino ad oggi.


La Vache Qui Pleure, la più celebre incisione rupestre algerina


8° giorno

Colazione ore 7:00 al rist. dell’hotel, vista l’ora e visto che si tratta dell’ultimo giorno del 2009 dove in tanti si preparerano per le feste non c’è nessuno, nemmeno gli inservienti. Fortunatamente una persona arriva e pian piano predispone il tutto e recuperiamo anche un extrapranzo da mangiare in seguito. Si parte per salire sul tassili, destinazione Jabbaren il sito con la più grande concentrazione di graffiti e pitture rupestri dell’Algeria, scoperte nel secolo scorso da Henry Lhote (si possono trovare svariati libri in italiano sull’argomento). Si prende la strada per l’aereoporto ma la si lascia subito dopo di un nuovo agglomerato deviando a sinistra nel mezzo del deserto per circa 20km. Qui verso le 8:00 le jeep ci lasciano con la guida ingaggiata il giorno prima (che parla solo tamaschek ed arabo…) ed iniziamo a salire sull’altopiano del Tassili n’Ajjer. I primi 75’ sono su di un percorso in leggerissima salita nel mezzo di una pietraia, poi si entra in un canalone in forte ascesa coperto interamente da massi di ogni tipo. Orizzontarsi è facile ma il percorso non è una passeggiata, si arriva al passo dopo 2-2:30’ di cammino a seconda del proprio passo. Da qui si attraversa un plateau per un nuova salita di 15’ per arrivare sul tassili vero e proprio, immergendosi in infiniti canyon strettissimi dove si iniziano a vedere le pitture rupestri. La guida è fondamentale altrimenti non sarebbe facile scorgere le opere sulle rocce ma soprattutto si finirebbe per perdersi perché si passa in un toboga interminabile, anche se altamente spettacolare. In un’apertura che da sul uadi principale consumiamo il pranzo (solito tonno e pane al quale si aggiungono i formaggini prelevati a colazione), è ovvio che occorra portare tutto il necessario visto che qui non si trova nulla e non si può lasciare nulla. Sarà la giornata di attesa per la fine dell’anno, ma non incontriamo nessuno a parte 3 ragazzi del nord d’Algeria e relativa guida, quindi il posto è tutto a nostra disposizione. Pian piano che ci si immerge nell’osservazione delle pitture ci si fa una idea ben precisa della vita, le prime incisioni vengono datate nel mesolitico, e si diventa esperti anche nel capire l’evolversi dei luoghi e delle rocce utilizzate come tela privilegiata. Sull’altopiano si percorre un anello che permette di rientrare dalla parte più alta per godere lo scenario verso Djanet col favore del sole, almeno immaginiamo che l’intenzione della guida sia stata questa. Si potrebbe anche realizzare un trekking fino a 7 giorni per attraversare tutto questo tassili, ma in quel caso occorre un’altra programmazione, cosa comunque fattibilissima con una qualsiasi delle agenzie di zona. Scendere il canalone pietroso non è piacevole, ma senza problemi arriviamo al luogo di ritrovo per le 17:00, notando la mancanza delle jeep. Gli autisti erano andati a Djanet per organizzare la cena, tra una cosa e l’altra arrivano a prenderci (solo una jeep…) dopo più di un’ora di attesa (che passiamo a vedere il diventare rosso incandescente del tassili colpito dal sole calante) che poi si prolunga nel cercare già al buio il luogo dove l’altro autista con la jeep ci attende per la cena di fine anno. Riusciamo a trovarlo orizzontandoci con le stelle ma solo dopo 30’ di disperazione dell’autista e della guida, rientriamo in hotel per recuperare abbigliamento pesante per la sera nel deserto e per lavarci (la doccia fino a quando c’è va sfruttata), poi si torna nel deserto per la cena che questa volta ci hanno preparato e che gustiamo maggiormente dopo quasi 8 ore di camminata impegnativa. Abbondantissima cena di fine anno, ovviamente la fa da padrona il cous-cous, ma non mancano zuppe, verdure, pollo e così via, comprese le bibite che da tempo avevamo dimenticato (per chi vuole, gli autisti hanno trovato anche la birra, nonostante il paese sia di religione musulmana). Per il tutto lasciamo 400dz a testa come mancia, visto che loro non vorrebbero nulla. Fa troppo freddo per attendere la fine dell’anno qui in mezzo, quindi ripariamo in hotel e decidiamo che le 22 sian per noi il nuovo anno, tanti auguri e una buona dormita sull’ultimo letto vero e proprio che incontreremo. Il chilometraggio giornaliero della jeep è stato di 111km, ma perché ha affrontato varie volte il percorso Djanet-hotel-deserto, io di questi ne avrò fatti poco più di metà.


Tuareg nel Tafedest nero


9° giorno

Siam sempre i primi a far colazione in hotel, poi partiamo passando da Djanet solo per far gasolio (137dz al litro, la benzina 212dz, ovvero 0,13€ e 0,21€, avete letto bene!) prendendo la strada in direzione Illizi. Visitiamo Tikobauin, luogo superbo all’interno del uadi Asasu, un canyon tra enormi roccie lavorate dal vento in forme incredibili attraversate da dune che cambiano colore nelle varie illuminazioni del sole. La chicca del luogo è un arco doppio, anzi quasi triplo visto che al di sopra dei 2 archi c’è una piccola spaccatura che potrebbe essere venduta come il terzo. Qui però par di essere in centro a Londra, c’è gente ovunque, molti han passato qui la fine dell’anno e devono ancora smontare i campi, quindi certi passaggi perdono un po’ di magnificenza. Ma il passaggio di alcuni nomadi con dromedari che se ne infischiao bellamente di tutto questo paglione riappacifica la vista. Uscendo per tornare sulla strada asfaltata ci imbattiamo in una antica tomba preislamica dalle forme circolari disegnate sul bordo di una duna, poi si prosegue fino alla devizione sulla destra per Issendilene. Prima di entrare nel canyon alla ricerca dell’omonima guelta, pranziamo e mostriamo il permesso del tassili al guardiaparco. La guelta dista 30’, il percorso passa tra le pareti strettissime del canyon e sovente il sole non riesce a filtrare, le escursioni termiche sono numerose e forti, poi dopo aver passato un’enorme roccia alta e strettissima si apre la guelta che qui nel mezzo pare un prodigio della natura. Tutto attorno è roccia e sabbia, ma per arrivare alla guelta occorre oltrepassare palme, acacie, tamerici ed oleandri, una giungla in miniatura che accresce il fascino del posto. Ci sono marmotte che reclamano rumorosamente la loro tranquillità, mentre gallinelle selvatiche cedono il passo con sufficienza. Troviamo un gruppo di giovani dottori di Algeri in vacanza, uno parla perfettamente italiano e ci scambiamo impressioni del luogo, mai visto da loro come da noi. Poi ci raccontano della situazione politica algerina, della mancanza di alternative elettorali e del cambio della costituzione, ne emerge un posto dalle limitate libertà individuali e dalle poche alternative condite da una tranquillità sociale dovuta alla repressione totale delle forze jiadiste, spazzate via con violenza inaudita. Per ora quindi tutto tranquillo, la paura loro che questa azione di forza possa essere proposta a parti invertite in un futuro per ora non immediato. Ma intanto ci godiamo il luogo, rientrando pian piano alle jeep per prendere la strada del ritorno alla strada asfaltata. Ritorniamo tra le dune sull’Erg d’Admer dove la vista è al solito superba ed infinita. Predisponiamo il campo e la cena, che non può competere con quella della sera precedente, ma come tradizione per gli emiliani, non possono mancare i tortellini in ottimo brodo fatto col dado di montone a capodanno. Alle 20:00 la luna sorge rossa in maniera inquietante, sembra un ufo (per un momento ho pensato che il mio amico Catch avesse ragione nel crederci ciecamente!), ma poi quando il riflesso delle roccie non la invade più torna al suo candore solito. In lontananza si scorgono le luci delle jeep che passano sulla strada nazionale, ma ci accorgiamo che pian piano 3 mezzi stanno salendo verso di noi. Paiono moto, poi quando arrivano ci accorgiamo che son jeep con una luce sola, oltre agli autisti non c’è nessuno a bordo e qualche inquietudine ci coglie vedendo questi scendere e precipitarsi verso di noi. I nostri autisti conversano con loro, poi gli altri se ne vanno senza mai rivolgerci parola, ci viene detto che stanno cercando i loro equipaggi non più trovati dall’escursione pomeridiana e che il riflesso delle nostre pile li ha tratti in inganno. Non invidio gli escursionisti che se ne stanno nel mezzo delle dune di notte, si prospetta fredda, che noi affrontiamo dopo aver percorso 188km con temperatura sempre piacevole.


Alba a Tinakacheker


10° giorno

Risveglio all’alba dopo una notte fredda, molto fredda come al solito tra le dune, e subito dopo colazione scendiamo dalla dune inbattendoci in una carovana di cammelli in lento movimento mentre taglia la piano sottostante, regalandoci subito un’immagine da deserto perfetto. Prendiamo la statale asfaltata in direzione Illizi che percorriamo fino a Bordj El Houas dove facciamo sosta ad una stazione di servizio. Attraversando il paese ci imbattiamo in un folto gruppo di donne che stanno preparandosi ad una festa, cosa che da queste parti capita ben di rado (il gruppo di donne riunito sulla pubblica via, non la festa). Il paese è costituito da tante case basse quasi tutte disposte lungo la strada, di pietra color deserto bordate di nero, che fanno un effetto di villette residenziali da quartiere bene, insomma un paese curatissimo, e non traggano in inganno le baracche che si incontrano in entrata ed uscita perché servono per gli animali al rientro dai pascoli. Poi la strada sale lungo la Falesia Tin Halfatine, una rocciosa formazione che si estende per vari km, e appena scesi prendiamo a destra la deviazione per il sito di Didier, dove si trovano i graffiti rupestri di Tin Taghiut. Col permesso per il tassili si entra gratuitamente (lasciamo una mancia alla guida di 200dz in totale) per vedere i celebri graffiti tra cui quelli dell’antilope coricata che fa bella mostra sulla banconota da 100dz. Lasciamo il posto mentre un numero imprecisato di auto militari è in arrivo, c’è in visita una delegazione straniera accompagnata dal ministro della cultura. Nessun problema però, anzi il ministro si ferma a salutarci ed a ringraziare per la nostra presenza in questi luogi, poi ripartiamo rientrando sulla strada principale sempre asflatata fermandoci lungo il percorso a ridosso di una capanna per pranzare sotto ad un sole bello forte. Si continua per pochi chilometri poi nuova deviazione sempre a destra per raggiungere, in salita, Ihrir, dove facciamo tappa ad una bella guelta e in seguito ci fermiamo sul bordo di una altissima falesia a rimirare l’incredibile canyon. Centinaia di metri sotto di noi sorge ancora un villaggio costituito da perfette capanne rotonde abbandonate, le guide non sanno spiegarcene il motivo, sarebbe una bella escursione, ma il tempo dedicato in avvio al Tassili du Hoggar ci impedisce di scendere per passare la notte in questo luogo. Ma nessun rimpianto, l’Hoggar merita molto di più. Si può far tappa su questo mirador perché proprio nei paraggi sorge una specie di campeggio attrezzato, servirebbe per i lavoratori o militari che fanno tappa qui, ma al momento non c’era nessuno. Rientriamo sulla statale fino ad un bivio con controllo militare. Occorre avere la lista dei partecipanti al viaggio con tutti i dati girati all’ambasciata, la copia deve rimanere ai militari, ma non c’è nessuna altro controllo e si perde poco tempo. Prendiamo per Afra a sinistra, entrando subito su di una pista ben lontana dalla comodità dell’asfalto fermandoci dopo poco sulla sinistra dalle parti di Tin Tihdof dove faremo campo tra roccie e dune. Prima con una guida (200dz di mancia) recuperata mentre pascolava dromedari (tra cui uno col suo piccolo tutto bianco), andiamo a vedere varie pitture rupestri tra le formazioni rocciose del posto. Nulla di paragonabile a Jabbaren, però una rappresentate una mucca con alte corna è di una perfezione che lascia sbalorditi. Vicino alle roccie par di avere un termosifone a fianco delle tende, buono per la notte ed anche per riparare a lavarsi qui nel mezzo senza il freddo solito della sera che non permette allegramente di spogliarsi. Ci deliziamo con una cena abbondante cucinando sul calar del sole con le roccie alle spalle di un rosso che nemmeno il fuoco porta con se. Al calare del sole la vista delle stelle è ancora più spettacolare anche perché la luna sorge ogni notte più tardi e così risulta maggiore il numero di stelle scrutabili. In una giornata di tanta strada asfatata abbiamo percorso 222km.


Tramonto con tuareg nell'Erd d'Admer


11° giorno

Sveglia dopo un’ ottima notte, colazione e poi via per attraversare questa valle verso il posto di vedetta del guardiaparco e poi le vicine pitture rupestri di Tasset, all’interno di uno stretto canyon che di mattina ha un’illuminazione ottimale. La zona delle pitture è talmente sovraccarica che risulta difficile vedere ed immaginarle tutte nel momento del suo massimo splendore. Gli stupidi esistono anche qui, così su alcune è stato scritto il nome di Taleb o Massiq o simili, insomma il coglione di turno passato in cerca dell’immortalità come le opere lasciate ere fa dai suoi avi. Ripartiamo già avvisati che entreremo su piste pessime, pochi km in tante ore, con nel mezzo un controllo militare che necessita della solita lista di passaggio. Vien male a pensare ai militari di stanza qui (che non sono volontari, vien da pensare che siano quelli puniti…), che per fortuna non decidono di passare il loro tempo con assurde richieste ai pochi passanti. Alcune forature ci permettono di goderci lo scenario che si apre sulla nostra destra, altissime pareti rocciose dalle forme più incredibili (una che pare il disegno dell’Australia, un’altra un pollice alzato alla Fonzie), poi continuando per Afra ci si imbatte in alcune mandrie di capre portate al pascolo da donne del luogo. Afra dovrebbe essere nelle vicinanze, ma per arrivarci occorre attraversare un campo pieno di cespugli del deserto, trovarne l’uscita pare un gioco da settimana enigmistica e ci impegniamo tanto tempo dovendo inventarci passaggi di difficoltà elevata anche per le ridotte delle nostre jeep. Visitiamo Afra facendo scorta di acqua direttamente dal rubinetto di una caserma del posto, poi visitiamo alcune case-botteghe che creano oggetti di metallo da vendere nei mercati di Tam o Djanet (soprattutto gazzelle ed antilopi) e usciamo per trovarci un posto all’ombra per il pranzo, dove sbucato dal nulla ci raggiunge un mandriano incuriosito dalla nostra presenza. Continuiamo lungo una infinita spianata che non permette di capire le distanze in nessuna direzione per far tappa al pozzo di Uhnan. Gli autisti improvvisano una lavanderia ambulante utilizzando un barile tagliato a metà dove lavano con acqua del pozzo e detersivo quasi tutti i loro abiti. Ne approffittiamo anche noi per qualche lavaggio compresi piedi e teste, ed anche qui dal nulla compare un tuareg che dopo qualche scambio di frasi in tamaschek con gli autisti beatamente se ne va verso il nulla da cui era comparso. Sosta per recuperare legna per la notte, poi ripartiamo per l’Erg di Tihoudaine e le sue meravigliose dune dove facciamo tappa per la notte. Ma prima di predisporre il campo si parte per fare un giro a piedi su queste enormi e perfette dune. Anche qui le dimensioni non sono misurabili, nonostante la prima parte sia ben solida e la salita non difficoltosa non pare mai di arrivare ad una meta. Ma dalla sommità lo spettacolo è meraviglioso in ogni dove, e come si fa a scendere? Meglio continuare la passeggiata camminando sul crinale anche se chi soffre di vertigini potrebbe avere soverchie difficoltà nonostante la sabbia freni la discesa. Ma dall’alto del crinale largo un millimetro l’impressione di altitudine è molto forte. Si scende che è già buio per predisporre il campo e la cena, ed il freddo qui nel mezzo arriva velocemente dando ad intendere che la notte sarà dura. Ma ci fortifichiamo con un ottimo brodo coi dadi di montone (dopo qualche giorno qui nel mezzo tutto pare buonissimo, strana sensazione eh?) e nulla fa più paura dopo la solita abbondante cena. Orione e la sua cintura sono la più banale delle viste ormai, al termine di una giornata di 143km con piste veramente dure e pessime.


Erg di Tihoudaine


12° giorno

La notte è freddissima e non si vede l’ora che faccia mattina per incontrare il sole e far colazione con dosi abbondanti di caffè. Nel mentre che smontiamo il campo, al di sopra delle dune sbuca la luna, un’immagine fantastica da riprendere, e pazienza se per lo smontaggio vien perso un po’ di tempo. Partiamo in direzione Tafedest, dorsale granitica che si divide in due parti, quella più meridionale conisciuto come Tafedest nero, per via delle sue montagne e plateau ovviamente neri a causa delle eruzioni vulcaniche di ere fa (non ci sono ora vulcani attivi) e quello bianco settentrionale, formato in prevalenza da dune. Si percorre una pista nel mezzo del nulla, e proprio qui nel mezzo l’unica indicazione è una balise che segna “l’incrocio” tra la pista per Tam e quella per l’ovest. Una tappa è d’obbligo, anche perché il sole inizia a scaldare e fa piacere sentirselo sulla pelle. Continuiamo verso il lago salato attualmente secco di Amed Gher, però scavando con pale e picozze ne recuperiamo un po’ per arrivare su di un altipiano che scegliamo come luogo base del pranzo. Riprendiamo la marcia sempre in direzione ovest, dove si inizia a scorgere la catena montuosa del Tafedest che ha come vetta principale il Garet Djenoun (2.327m, in tamaschek Uhden), ovvero la montagna del diavolo, una grande parete di granito da cui la vista spazia infinita. La possibilità di scalarla c’è dall’altro versante, quello settentrionale, ma noi non abbiamo questo obiettivo e resteremo nel versante meridionale da dove arriviamo. Lungo la pista ci imbattiamo in un vecchio camion francese incidentato ed infiammato, tra i relitti tante taniche di caburante, ma anche una macchina da scrivere. Apparteneva ad una famiglia francese, nell’incidente l’autista rimasto ferito ha riparato qui, mentre la moglie col cane è andata a cercar aiuti, trovati solo dopo svariati giorni di lunghe fatiche. Il marito, allo stremo e ferito ha deciso di darsi fuoco col suo camion utilizzando il carburante ancora a disposizione, e quando la moglie ed il cane son tornati con gli aiuti hanno potuto constatare solo la fine dell’uomo. A suo modo un simbolo del deserto, da affrontare sempre con circospezione anche quando pare di esserne già padroni. Arriviamo alla base del Garet Djenoun quando il sole è ancora alto, e per una volta non c’è fretta di organizzare il campo così ci godiamo il luogo con tranquillità, girandoci a piedi il uadi sotto a cui la montagna si trova nel mezzo di un posto che pare disabitato da sempre, non si incontra persona e nemmeno animali al pascolo. Fra le roccie dove facciamo tappa la temperatura risulta molto meglio di quella della notte precedente, così è un piacere improvvisare doccie minime riscaldati dal tepore che emanano i grandi massi al nostro fianco e ci godiamo una prelibata cena dopo 191km tutti su pista.


Una guida per Jabbaren


13° giorno

Sveglia all’alba per rimirare il rosso infuocato del Garet Djenoun, che in queste condizioni pare proprio incarnare lo spirito del diavolo, poi seguiamo il uadi che costeggia la catena montuosa alla ricerca di legna per le prossime notti che si prevedono molto fredde. Ci imbattiamo più volte in gazzelle che però non si riescono mai ad avvicinare e ci fermiamo dopo 30km ad un pozzo usato dai nomadi locali (serve però una corda da legare al secchio a disposizione). Fatta scorta di acqua continuiamo lungo un percorso che più che una pista è giusto un andare in parallello alle montagne e dopo 90 km è già tempo di pranzo (dal poco chilometraggio si può capire lo stato del cammino). Ripartiamo e dopo nemmeno 10km un nomade ci chiede un passaggio per il primo villaggio. Anche lui dovrà fermarsi svariate volte con noi per le tante forature/sgonfiamenti di gomme che gli autisti sistemano alla meglio nella speranza di arrivare a sera in un luogo adatto per predisporre il fuoco e vulcanizzare le camere d’aria. La pista corre sempre nel mezzo di roccie che limitano la velocità, poi c’è il bivio per Tam ma noi continuiamo ancora un po’ per il villaggio di Mertoutek (prima di arrivare sulla destra si trova un’immesa roccia spezzata in tre, come se fosse un uovo appena aperto) che visitiamo brevemente dopo aver ricevuto l’ok dai signori locali, per cercare un posto dove far campo subito dopo. Qui scorre un piccolo fiumiciattolo, quindi ai lati sorge una lunga oasi e ci sono tante abitazioni e tanta gente a lavare, lavorare, insomma dove c’è acqua ci sono attività. Facciamo campo in un uadi a sinistra del principale ovviamente senza acqua, di fronte a noi una grande montagna sovrastata da uno zuccotto color seppia che col calare del sole e l’arrivo di alcune soffici nubi regala colori spettacolari. E’ bello starsene sulla vetta di questi rilievi (percorsi semplici per salire) a godersi il tramonto, molto meno bello dover scendere quando il sole tramonta, visto che il tutto avviene in tempi talmente stretti che gli ultimi tratti particolarmente impervi sono da percorre solo con la luce delle torcie. Prima di cena arrivano alcuni locali a scroccare un po’ di benzina, gli autisti ci dicono che è normale dover cedere qualcosa agli abitanti del posto in cambio del passaggio sulle loro terre. In previsione del freddo notturno, ci regaliamo l’ultima porzione di tortellini con un surplus di brodo caldo per non farci sentire il freddo prima di dormire, al termine di 148km quasi tutti su strada inventata.


Alba all’Assekrem


14° giorno

Siam tutti svegli ben prima dell’alba alla ricerca di un caffè caldo, il freddo è stato molto intenso e non si vede l’ora di muoversi. Prima di riattraversare Mertoutek, sulla destra del uadi principale un km fuori del paese ci sono interessanti pitture rupestri, per trovarle ci aiutano ovviamente gli autisti perché stanno all’interno di ripari naturali dove chi soffre di claustrofobia farà meglio a non entrare, però ci sono alcuni passaggi tra fori e crepe che sono proprio belli da percorrere. In paese facciamo nuovamente scorta di acqua a fianco dell’ufficio del parco e ci dicono che oggi ci sarà un matrimonio tra una ragazza del posto ed un ricco cittadino di Tam. Se vogliamo fermarci siamo ospiti graditissimi, ma occorre attendere tutto il giorno perché l’ingresso della delegazione dello sposo avverrà non prima delle 16, oggi è solo il primo giorno della festa che potrebbe durare fino ad una settimana. Optiamo per procedere, ci dicono che potremo incontrare la comitiva lungo il percorso e far tappa a pranzo con loro, così usciamo da Mertoutek e ci avviamo verso sud lungo una pista che, passato il bivio per risalire al Garet Deanoun, si trova in condizioni nettamente migliori rispetto a quella del giorno precedente. Ed effettivamente ci imbattiamo nella comitiva dello sposalizio, e gli autisti scendono a parlare con un po’ di persone che ci accolgono. Ci inviato a rimanere con loro, ma lo sposo ha avuto un lutto a Tam ed il matrimonio sarà in forma minore, quindi il tono generale è molto dimesso. Le donne se ne stanno appartate e solo alle donne che sono in viaggio con noi è permesso andare a visitarle, nel frattempo a noi ci viene offerto il pranzo, carne di montone stufata con pasta un po’ scottarella. Gradiamo comunque, visto che per una volta evitiamo tonno e salmone e iniziamo a farci spiegare il rito dei matrimoni tra queste genti ricche del posto. Per lo sposo (di 44 anni) la giovane ragazza (18 anni) di Mertoutek sarà la seconda moglie, lui può garantirle una vita decorosa e così la prenderà in moglie, anche se per lo stato algerino i diritti saranno garantiti solo alla prima moglie. Per la giovane ragazza questa sarà una maniera per uscire dall’isolamento del suo piccolo villaggio, ma a Tam finirà per fare poco più che la donna delle pulizie a disposizione del marito-padrone. Unica consolazione per lei, lo sposo pare una persona educata e colta con la quale si dialoga molto bene (almeno questo è quanto accaduto a noi), e Tam si rivelerà una vera e propria città come avremo modo di constatare quando la visiteremo in seguito. Ripartiamo salendo su di un plateau tutto nero da dove si scorge finalmente il gruppo montuoso dell’Atakor, ovvero l’Assekrem di Padre De Foucauld e il Tahat, la montagna che coi suoi 2.908m è la più alta dell’Algeria. Qui nel mezzo il Tafedest fa impressione, nerissimo e circondato solo da vulcani altretanto neri, pare non esistere vita se non fosse per le rose di gerico che si possono scorgere ovunque la nera roccia lasci spazio alla sabbia. Arriviamo a Hirafok dove occorre mostrare il permesso per il parco dell’Hoggar e dove facciamo un piccolo giro del paese. La gente pare più abituata che altrove alla presenza di viandanti, ci sono alcuni negozietti che vendono poco ma di tutto e dove gli autisti fanno scorta per gli ultimi giorni di campo. In una grande casa che fa anche da laboratorio e bottega artigianale veniamo invitati a conoscere il loro progetto di espansione delle attività locali, molta dignità e poco piangersi addosso qui attorno, dove per chi fosse interessato i cellulari funzionano. Prendiamo la strada che esce in direzione dell’Assekrem, ma poco dopo facciamo campo in una depressione naturale a fianco della riva di un uadi cercando di risparmiarci il forte vento previsto per la notte. Il cielo si riempie di leggere nuvole che il sole al tramonto colora in modo impossibile, ad un certo punto pare che tutto il cielo sia sottoposto ad incendio, situazione splendida ma un attimo inquietante, poi pian piano tutto diventa blu colbalto ed è già tempo di stelle e cena, occorre scaldarci ben bene, la notte sarà fredda. Percorsi 110km.


15° giorno

Notte fresca ma non fredda, colazione rapida e partenza per quella che è ritenuta la perla del viaggio, l’Assekrem, da salire lungo la pista che passa da nord, segnalata come pessima. Si parte su pista buona, almeno 25km tranquilli dove rimirarsi lo spettacolo della catena dell’Atakor, con sosta ad una splendida guelta. Poi pian piano la pista peggiora ed alcuni passaggi diventano complessi con jeep appoggiata sulla parete della montagna sperando che il fondo non ceda nello strapiombo sottostante, mentre vediamo una carcassa di dromedario (e mi torna alla mente un servizio di un “folle” che attraversava deserti in solitario utilizzando queste carcasse per passarci la notte). Incontriamo saltuari nomadi lungo il percorso che pian piano sale e diventa sempre peggiore. Si vede in lontananza un passo nel mezzo di una canalone che pare duro da salire a piedi ed in effetti una salita di nemmeno 2km ci porterà via quasi un’ora. Si sale dove si può, orizzontandoci con gli omini di pietra che indicano il senso più che la via, l’arrivo al passo regala la pace di aver superato questo terribile pezzo di pietraia e la vista dell’Assekrem che però non è proprio così vicino. Per compiere 60 km impieghiamo 5:30’, passando a fianco delle splendide montagne gemelle del Tezouai che viste mirabolanti regaleranno al tramonto ed all’alba. Si arriva ad un bivio dove a destra si va per l’Assekrem mentre a sinistra si torna verso Tam, 8km che percorriamo in 30’ così per questi pessimi (come percorso non certo come viste) 69km impieghiamo 6h. All’Assekrem si soggiorna presso il locale rifugio gestito dall’equivalente del CAI francese, ed arriviamo in un momento di lutto perché il responsabile francese è deceduto da pochissimi giorni. Troviamo alloggio in uno stanzone spartano dove ci sono materassi per terra con coperte e cuscini, nelle vicinanze è possibile trovare un bagno ma nessun lavandino o doccia. L’alloggio compreso di cena e colazione costa 1.500dz, ed alternative non se ne trovano. Tira un vento costante e ruggente, pranzato alla meno peggio col solito tonno si sale all’eremo di padre Charles de Foucauld dove la vista può spaziare su tutto l’Hoggar. Quassù (2.780m) si rifugiò per 6 mesi il padre (ucciso nel 1916 a Tam da una fucilata sparata da un tuareg impaurito, 5 anni dopo aver lasciato l’eremo) costruendo il piccolo eremo dove ora vivono 3 frati, uno dei quali è qui da 37 anni, dedicandosi in parte al lavoro di metereologo per la vicina stazione presidiata dall’esercito. C’è un ingegnoso sistema per recuperare e filtrare l’acqua piovana, mentre per i viveri i frati vengono riforniti ogni 15 giorni dai tecnici della centrale metereologica. Si incontrano militari di vedetta, parlando con loro ci raccontano che son qui soprattutto a protezione dei turisti, troppo importanti per l’economia algerina. Ma han ben poco di militaresco, son più interessati a far chiacchere con chi passa o far festa la sera, almeno quelli a cui non spettano turni notturni. Lo spettacolo è fantastico, fermarsi qui a rimirare il mondo regala visioni superbe ed una pace infinita, non c’è posto dove cada la vista che non meriti di essere ammirato, ma ovviamente il bello arriva col tramonto. Il gruppo del Tezouai è ovviamente il pezzo forte, ma il tramonto è splendido dall’altro versante, poi quando il sole cala il freddo ed il vento sono micidiali ed occorre scendere velocemente accompagnati dalla luce delle torce, fondamentali per camminare tra le roccie. Dopo tutto quello visto si sarebbe già sazi, ma è tempo di cena nella vasta sala comune, menù fisso ed abbondante (zuppa, cous-cous di verdure e carne e per finire il dolce) e poi assieme agli altri ospiti, agli addetti del rifugio, agli autisti ed alle guide fino alle 22 si fa festa. Alle 22 l’energia elettrica prodotta da un generatore vien sospesa ed occorre affrontare il glaciale vento per rientrare nello stanzone per dormire, dopo aver percorso 69km.


16° giorno

Sveglia alle 6:30 per salire all’eremo e gustarci l’alba. Passata una fantastica e calda notte, il freddo dell’alba a quasi 3.000m nel mezzo del deserto è come un pugno di Tyson inaspettato, ma occorre salire per non perdersi lo spettacolo. Dal rifugio non è possibile vedere granchè, in meno di 20’ si arriva in cima, guidandosi sempre con le torcie (e coprendosi con tutto quanto possibile, fondamentali guanti e cuffia). Non occorre però arrivare fino in cima per iniziare ad osservare una meraviglia talmente intensa che pare finta. Tra la forcella naturale creata dalle due montagne del Tezouai (per intenderci stile cime di Lavaredo) il sole sorge in stile africano, la palla rosso fuoco che pian piano si tinge in giallo, è talmente superbo tutto questo che potrebbe essere scambiato per una scenografia costruita al computer, ma il vento, gli altri viandanti che esclamano la propria incredulità ed ammirazione per quanto abbiamo di fronte ci riporta sulla terra, anzi sull’Assekrem. Come se la nascita del mondo avvenisse proprio davanti ai nostri occhi, mentre anche il freddo non ci colpisce più. Sole, ombre, montagne, picchi, vallate a perdersi nell’infinito, c’è tutto quello che la perfezione della montagna mette a disposizione, peccato che ad un certo punto bisogna scendere, far colazione e partire per il rientro a Tam. Si scende velocemente, il percorso è molto meglio da questo versante, e dopo meno di un’ora ci si scorda già del tormento del giorno passato. Facciamo tappa alla guelta di Afilal, incontrando una comitiva di francesi che in 24 giorni compiranno il percorso Tam-Djanet a piedi passando per questa montagne, ed alle 13 siamo a Tam. E’ venerdì ed arriviamo nel giorno di festa e nell’ora della preghiera, la città sembra disabitata ma fortunatamente il Rest. Nina è aperto e ci facciamo il primo vero pranzo di tutto il viaggio (800dz) con ogni specialità che ci possano servire, soprattutto carne visto che ne siamo a secco da tanto tempo e qui hanno una super griglia. Poi tappa al camping 4x4 dove negoziamo un prezzo per usare la doccia (300dz) di cui si ha un bisogno molto forte, ed infine giro per Tam, partendo dal mercato centrale (che però è made in China) per finire nelle vie del centro tutte ben tenute e dalle case in perfetto ordine. Nei negozi è possibile trovare qualsiasi tipo di souvenir, basta aver tempo cosa che io non ho e quindi mi accontento di qualche banale sasso preso nel deserto come ricordo del Sahara, senza poter consigliare nulla di tipico. Tam è molto grande, ma non ha perso il suo aspetto di città del deserto, non ci sono casermoni e le costruzioni rispettano uno stile desertico sia nei colori che nelle pietre utilizzate per realizzare tutto quanto. Andiamo anche al mercato africano, o meglio quello utilizzato dagli abitanti locali per i propri consumi, ma anche qui è tutta Cina, a dimostrazione che non occorre invadere militarmente gli stati per conquistarli. Tam è divisa in 2 parti dal uadi dall’omonimo nome, la ripresa del turismo ha portato soldi e ci sono vari ponti per passare da una parte all’altra anche se in questo periodo il fiume è secco e lo si può attraversare senza problemi. Come da accordi ceniamo a casa di Ahmed, l’autista capo, che mette la moglie ai fornelli e ci presenta i 2 figli, un bimbi di 4 dal nome impronunciabile e la bimba di 2 anni, Sayra. Ma per quanto sia aperto di usi e costumi certe tradizioni permangono, quindi sole le donne possono andare in cucina a parlare con la moglie (e ad offrirle una mancia per tutto il disturbo, visto che Ahmed non vuole nulla). Verso le 22 è ora di andare in aereoporto, che dista circa 10km e poi tempo di commiato con gli autisti che ormai sono diventati parte integrante del gruppo. Per entrare nel piccolo terminal dell’aereoporto occorre passare tutti i bagagli subito nel metal detector, e chi ha fatto un pacchetto con qualche sasso o si è preso un ricordo di sabbia magica del Tassili du Hoggar lo deve lasciare, ma se mettete qualche sasso sparso nello zaino non ci sono problemi. Per le carte di imbarco è un attimo, mentre passare il metal detector per il gate ci son dei problemi perché non funziona. Mentre qualche addetto prova a sistemarlo si inizia il controllo manuale, poi l’aggeggio riparte e si può far passare i bagagli a mano nel metal detector, chi nel frattempo era nel limbo come il sottoscritto vien spedito al gate senza nessun controllo. Nell’ultimo giorni di jeep percorsi 131km, per un totale di 2.293.


17° giorno

L’aereo dell’Air Algeria è in leggero ritardo, scarica le persone provenienti da Algeri, ed imbarca quelli in partenza per Djanet o Algeri, prima però solito riconoscimento del proprio bagaglio sulla pista, ulteriore controllo per quello a mano (controllo giusto per dire...) e si parte per rientrare con prima stop a Djanet. Ripartiti da Djanet ci viene servita un’ottima colazione e dopo circa 3h atterriamo ad Algeri, dove sulle colline circostanti c’è la neve, ed il vento e la pioggia che ci accolgono la fanno da padroni. Di nuovo occorre ritirare il bagaglio per andare al terminal internazionale sfruttando al meglio la tettoia che c’è tra i 2 terminal. Ennesimo passaggio al metal detector, ed anche questa volta nessun problema coi sassi sfusi (o forse han visto la banalità di quelli che mi porto io) e fila lunga ma veloce al check. L’attesa per l’imbarco è lunga ma al piano superiore i bar aprono tardi (soprattutto quello all’estrema sinistra del terminal) e le comodissime potrone sono un giaciglio insuperabile. Nuovo passaggio al metal detector per il bagaglio a mano ed espletazione delle procedure di frontiera (velocissime) per entrare nella parte dell’aereoporto destinata ai voli internazionali dove c’è la possibilità di collegarsi ad internet (1h 450dz), di far colazione all’occidentale (caffè e pan au chocolat per 900dz) e per i fumatori di far scorta di sigarette a prezzi contenuti (consigliato il negozietto sulla sx e non il duty free per via dei prezzi migliori). E’ possibile pagare ovunque in euro e ricevere anche il resto, i dinari algerini non potrebbero essere portati fuori dal paese, ma il controllo consiste nella sola domanda se ve ne siano rimasti, vedete voi per la risposta. Il volo per Roma è puntuale, occorre nuovamente riconoscere il bagaglio sulla pista sotto la pioggia e passare ad un nuovo blandissimo controllo, poi si parte ed Air Algeria ripresenta lo stesso cibo dell’andata, immangiabile. Arriviamo a Roma in perfetto orario e la riconsegna dei bagagli, strano ma vero, è immediata. Col primo Leonardo Express (11€, 35’) arrivo in stazione Termini dove riesco a cambiare il biglietto che avevo preso per la partenza inutilizzato, col primo freccia argento destinazione Bologna. La pratica è fattibile con un supplemento di 3€ (costo finale 61€), ma almeno risparmio di gettare 34€. In perfetto orario dopo 2:22’ arrivo a Bologna e da lì a casa, anche se ormai ho compreso che la casa è dove ritieni opportuno fermarti, la lezione impressa a fuoco a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di calcare coi propri passi la magnificienza del Tassili du Hoggar e dei suoi luoghi limitrofi è inconfutabile.


2 note di commento Il viaggio si è svolto tra dicembre e gennaio, periodo in cui le temperature massime sono ottime mentre le minime, soprattutto nella zona a nord di Tamanrasset scendono pericolosamente di notte. Tutti i costi di seguito riportati sono da intendersi a persona quando non specificato, ma c’è da dire che c’è ben poco da spendere nel deserto, occorre essere autosufficienti di tutto, fatta eccezione per acqua (sì, se ne trova tanta) e legno per il fuoco. Un € valeva nel fine 2009 indicativamente 105 dinari algerini, io ho cambiato alcuni euro direttamente all’ufficio cambio dell’aereoporto di Algeri, più conveniente che al mercato nero di Tam (circa 100dz per €). Quando vi dicono un prezzo vien sempre riportato senza l’ultimo zero, considerate da subito questa abitudine perché i conti son ben diversi. Per entrare in Algeria serve il visto, da richiedere all’ambasciata a Roma, inviando passaporto ed un modulo scaricabile da loro sito con le info relative al lavoro ed ai dati anagrafici dei genitori (30€). E’ possibile telefonare senza nessun problema col cellulare, ma la copertura esiste solo a Tam e Djanet, a volte saltuariamente quando si passa vicino ad alcuni villaggi, ma è bene non farne conto. In città ci sono anche posti internet, ma visti i tempi molto tirati non ho avuto tempo di verificarne la funzionalità, però a Tam la maggior parte degli abitanti ha un e-mail quindi problemi non se ne dovrebbero incontrare. Tenete conto che fuori dalle città non vi è nulla, quindi nemmeno possibilità di ricaricare batterie di qualsiasi tipo, perciò per macchine e video camere portatevi le scorte necessarie. Il freddo pungente delle notte necessita di un sacco a pelo con confort molto sotto allo zero, poi sull’Assekrem meglio andarci con pile e giacca a vento senza dimenticare guanti e cuffia. Ma occorre soprattutto un paio di occhiali da sole molto protettivo, come prova vedrete gli occhi rovinati di molta gente che si incontra. La lingua ufficiale è l’arabo, ma solitamente gli autisti tra di loro parlano tamaschek, la lingua dei tuareg, che a Tam è praticamente la lingua ufficiale. Però praticamente tutti parlano francese quindi problemi non esistono, o per chi non lo parla almeno la possibilità di intendere le lettere è garantita. La situazione nella zona da me visitata è di grandissima sicurezza quindi nessun problema legato all’integralismo, si viaggia sereni ed i vari controlli non sono mai invasivi. Ogni agenzia (non si può viaggiare soli ed occorre appoggiarsi ad una agenzia di Tam/Djanet autorizzata) deve ricevere l’elenco dei partecipanti coi propri dati, tante liste vi verranno rilasciate da fornire ai posti di controllo che si trovano soprattutto nella zona a nord, tra il Tassili N’Ajjer, l’Assekrem ed il Tafedest, mentre nel Tassili du Hoggar non c’è quasi traccia umana e non si viene mai fermati. Tam è piena di agenzie viaggi autorizzate, come Djanet, e sovente si scambiano gli autisti tra di loro. Gli autisti sono la chiave determinante dell’escursione, si è totalmente nelle loro mani e quindi instaurare un buon rapporto è basilare, sono loro che, al di là di quello che uno apprende interessandosi da lontano, consigliano su dove andare e cosa vedere, fungono quindi anche da guide, meccanici, gommisti, raccoglitori di legno ecc… Noi (siamo in 6 e ci eravamo già documentati a lungo) ci siamo affidati alle loro indicazioni traendone fantastiche visioni nemmeno pensate prima di partire, ed anche se si è autonomi per la preparazione delle cene, un interscambio è sempre un valore aggiunto al viaggio. I nomi di posti li troverete riportati in tante maniere diverse, magari si legge una guida o si sente una persona parlare di un certo luogo diverso da quell’altro per finire nello stesso posto. Quindi un po’ di elasticità sulle varie interpretazioni è necessaria, se deriva dall’arabo, dal tamscheck o da quanto gli affibiarono i francesi fa una grande differenza. In Algeria vige lo stesso orario italiano, quindi nessun futile prestesto di jet-lag può essere avanzato.

bottom of page