1° giorno
Il check-in a Malpensa è velocissimo, nonostante l’aereo si rivelerà pieno si fa in un attimo, poi via verso Muscat volando con la OmanAir (6:40’), la classica compagnia araba dal servizio superbo, airbus con schermo personale, infinita scelta di film (compresi in italiano) e giochi, ingresso USB, possibilità di utilizzo del cellulare per chiamate, sms e navigazione internet via satellite, il costo però non so dirlo visto il mio inutilizzo di tal servizi. Ma osservando come nessuno si sia buttato sulla cosa mi vien da pensare che costi un botto. Si pranza alla carta, e quando vien distribuito il menù viene servito anche il primo rinfresco. Ovviamente viene fornito il kit confort, cosa ormai dimenticata nelle classi economy del mondo occidentale.
Luang Prabang, Wat Mai Suwannaphumaham
2° giorno
Prima di atterrare viene servita la colazione, anche questa scelta anticipatamente dal menù servito durante la continua distribuzione bevande (bello, sia chiaro, ma anche dormire lo sarebbe…). Arriviamo a Muscat in anticipo, i controlli sono velocissimi e dopo un’attesa praticamente nulla (la preoccupazione è per i bagagli, riusciranno ad imbarcarli?) si riparte sempre con OmanAir destinazione Bangkok dove atterriamo dopo 5:30’. All’aereoporto , dopo aver ritirato i bagagli arrivati assieme al volo, si preleva senza problema dai bancomat (150 bat di commissione) e poi con un free shuttle veniamo portati ad un parcheggio da dove parte un bus per la città (n° 555, 33b) che purtroppo non arriva nella zona di Khaosan Road dove fare tappa. Per arrivarci occorre prendere un taxi (100b, fino a 4 persone) che passa più tempo fermo nel traffico della città che in movimento. Facciamo tappa allo Star Dome-Inn (una camera per 2, 270b, nello stesso stabile anche un internet point, un bar, un’agenzia viaggi)) poi iniziamo subito a visitare la zona girovagando tra le bancarelle per cenare lungo la strada (40b). La confusione regna sovrana e la domanda che mi pongo è : ma tutti gli europei sono in questo luogo? La temperatura mite facilita la permanenza, come anche i prezzi bassissimi,il fatto che i locali non chiudano mai e che tutto sia a portata di mano, ed anche nella confusione più totale la tranquillità è assoluta. Dopo una veloce presa visione del luogo il sonno richiama all’ovile.
Il Mekong a Luang Prabang
3° giorno
Per precauzione, soprattutto per l’arrivo dei bagagli vista la coincidenza strettissima a Muscat, ci eravamo presi un giorno di tempo prima di partire per Luang Prabang (non ci sono voli in coincidenza dall’Italia al Laos), così dopo di una lauta colazione da D-food (120b) si parte per la visita di Bangkok della serie tutto in un giorno. Da Khaosan road arrivare al palazzo reale si fa in circa 20’ a piedi (maggior parte del tempo spesa ad attendere il verde ai semafori…), poi una volta lì nonostante la tantissima gente non c’è fila alla biglietteria (500b), se ne incontra di più a quella per noleggiare gli indumenti per coprirsi le gambe (ideali i pantaloni estendibili con lampo). Le donne possono entrare in gonna, ma deve essere lunga alla caviglia, altrimenti anche per loro c’è una maxi gonna da indossare. Che il palazzo reale sia un autentico gioiello non devo certo esser io a dirlo, è unanimamente riconosciuto come tale, io posso solo confermalo, come segnalare l’incredibile buddha di smeraldo che irradia la sua luce per tutto il tempio principale. Ovviamente nei templi si entra scalzi, e le file sono maggiori per “posteggiare” le calzature che per entrare nei vari luoghi. Nel biglietto è compreso anche il museo sempre nello stesso luogo oltre ad un altro templio che però è fuori città e che non riusciremo a vedere, da qui la prossima tappa è il Wat Pho (50b), conosciuto perché ospita la statua del buddha accasciato più grande al mondo. Il templio esternamente è in ristrutturazione ma comunque visitabile, l’enorme buddha fa effettivamente impressione, come la fanno i giganteschi piedi, finemente ricamati. Il tratto di strada dal palazzo reale a qui è un unico mercato lungo la strada, quindi calcolare il tempo di percorrenza è di fatto impossibile, da 10’ a 2h…Uscendo ed avvicinandosi all’imbarcadero già si scorge dall’altra parte dell’inquinatissimo fiume Chao Praya un’altra delle bellezze storiche della città, il Wat Arun (50b) dove si può ascendere e godersi una bella vista della città dal fiume. Sempre col traghetto (3b) rientriamo all’imbarcadero per mangiare in un ristorante locale sul fiume, iniziando a far prova di noodles (60b). Da qui il tour intensivo continua con una sosta ad un anonimo buddha nero e poi tappa alla Golden Mt. una piccola collina nel pieno centro della città sormontata dal Wat Srakesa, dove è uso lasciare una banconota appesa ad un filo come ricerca della fortuna e firmare su di un lunghissimo telo la propria presenza. Da qui si gode un ottimo panorama, coi canali che si mischiano ai mercati ed ai templi, ed ovunque vaghi lo sguardo si vede sempre la città, un agglomerato-nazione che pone l’immagine del re ovunque. Iniziamo a rientrare a piedi praticamente a caso tra piccoli templi, mercati lungo quasi tutte le strade incrociando anche una sfilata di Harley Davidson, cosa che impressiona perché gli scooter qui impazzano ma le moto sono decisamente più rare. Arriviamo in zona Khaosan road col sole già ampiamente tramontato alla fine di una visita che verrebbe da definire “alla giapponese”, finendo per far confusione tra un templio visto e l’altro. Ci prendiamo un passaggio per l’aereoporto per l’indomani, in zona sono in vendita ovunque. Tra i mille banchetti e ristoranti si trova anche il tempo per un massaggio articolare (250b, sono ovunque, da quelli ai piedi fatti coi pesci a quelli con gli oli, prezzi identici tra tutti), con schiena che “scrocchia” all’impazzata e polpacci stirati che limitano alquanto il giro alla ricerca di un posto dove cenare, finendo come la sera precedente per scegliere una panca lungo la strada a consumare carne alla griglia e riso condito con varie spezie (70b).
In navigazione verso Muang Ngoi Neua
4° giorno
Sveglia di buon mattino, colazione in un 7 eleven in Khaosan road e con un shuttle (130b, 75’) raggiungiamo l’aereoporto muovendoci in un traffico cittadino paralizzante, mentre nel frattempo l’autista si ascolta un The Best dei Boney M. Nonostante l’aereoporto sia pieno di cartelloni che invitino ad arrivare con largo anticipo per poter accedere in tempo utile ai gate di partenza, le file sono ridotte all’osso, anzi al check-in della Lao ci siamo solo noi (23kg max nel bagaglo da imbarcare, quello a mano nemmeno lo guardano), poi con un ATR72 si parte per Luang Prabang che raggiungiamo dopo 1:45’, volo buono con servizio pasto a bordo. L’aereoporto internazionale della vecchia capitale del regno Lao è di dimensioni ridottissime anche se in ampliamento, sorge in mezzo alle montagne e fino all’ultimo non si capisce dove possa essere la pista. Il visto si prende all’arrivo (35$ + una foto, senza viene scansionata quella del passaporto per un costo aggiuntivo di 1$), si può pagare solo in dollari e la tariffa varia a seconda della nazionalità (sono tutte esposte), nonostante l’arrivo di 70 persone la procedura è rapida, come rapida è la registrazione all’immigrazione ed il ritiro bagagli (quando si finisce con le pratiche del passaporto è già disponibile), all’uscita si trova un ufficio cambio valuta (nessuna commissione applicata, consigliabile) ma non un bancomat. Per la città che dista 4km c’è un servizio shuttle a prezzo imposto (50.000k, ci si può stare anche in 6, 5’) che scarica a piacimento. Optiamo per una piccola guest house, Padichith (camera da 2 x 60.000k compresa frutta ed acqua libera) che si trova appena fuori dalla zona che di sera diventa senza pedonale, ma attenzione a carretti, biciclette e scooter. La temperatura è sui 25°, si può pranzare all’aperto (15.000k per panino ed acqua) in una bancarella sulla via principale (Th Sisavangvong) che taglia il centro storico della città, poi percorrendo la via che costeggia il Mekong (Th Khem Khog) iniziamo ad ammirare lo spettacolo del fiume al fianco della città, veramente affascinante come ovunque descritto. In buona parte ricostruita ma sotto l’egida dell’Unesco tutto viene rifatto così com’era, tra vecchie costruzioni coloniali e templi, templi in ogni dove pieni di monaci. Visitiamo il può importante, Wat Xieng Thong (20.000k) dal templio rosa e dal templio con la rappresentazione dell’albero della vita e dal solito viavai di monaci nelle loro canoniche tonache arancioni, per poi percorrere il periplo della città incastonato tra il Mekong ed il Nam Kham che sfocia poco oltre al templio. Alcuni piccoli ponti di legno e vimini collegano le parti della città a nord ed ovest (2.000k) ma preferiamo continuare la perlustrazione perdendoci nel mercato che si sta allestendo sulla via principale. Fortunatamente arriviamo sul lato del Mekong proprio al momento del tramonto, ed il Mekong non tradisce : si illumina di giallo/rosso in modo incredibile, ogni volta sembrerà sempre una visione favolosa di cui non stancarsi mai, la prima volta è ovviamente un incanto. Il mercato notturno funziona da vero e proprio ristorante all’aperto dove cenare a piacimento con ogni specialità del luogo, dai buffett sontuosi di piatti vegetariani (riso, noodles, verdure, tofu, il tutto combinato in ogni stramba possibilità sempre a 10.000k a piatto) per passare alle carni (lì il prezzo si tratta, ma difficile spendere oltre 25.000k per un pezzo grande) ed al pesce di fiume, ottimo ma pieno di lische (indicativamente tra 20-30.000k). Si mangia tutti assieme sui tavoli misti tra una bancarella e l’altra così da scambiarsi anche info interessanti per le escursioni in zona, immancabili i dolci, curiosa una cestina di foglia di palma che contiene le frittelle di latte di cocco (5.000k). Un’ora di internet in quasi tutti i posti in città costa sui 6.000k, ma spessissimo le GH o gli hotel hanno il wi-fi free per chi pernotta. Uscendo dal mercato la temperatura cala, serve almeno una felpa, ed anche nelle stanze ventilatori per non dire dei condizionatori restano spenti, anzi meglio avere a disposizione una coperta leggera.
Petang, lo sport nazionale, qui a Ban Na
5° giorno
Sveglia all’alba per assistere al Tak Bat, o vero la questua dei monaci, ma vista la distanza dalla nostra GH al posto principale del passaggio della questua arriviamo in leggero ritardo ed a quel punto tanto vale goderci un’ottima colazione alla francese da Le Banneton’s (30.000k) aspettando che la temperatura si faccia gradevole per iniziare le visite ai tantissimi templi della zona nord di Luang Prabang, che tolto il Wat Xieng Thong son tutti gratuiti. Si susseguono monaci intenti alle funzioni mattutine, quindi pulizia e lavaggio vesti (rigorosamente arancioni come gli asciugamani, stesi in ogni dove nei templi che qui sono ancora una vera e propria città nella città) e mentre scendiamo a sud le nubi iniziano ad alzarsi regalando la vista della collina Phu Si, proprio nel mezzo della città dove saliamo (20.000k) per apprezzare la vista sul Mekong dal That Chomsi, a fianco di una mitragliatrice antiaerea in funzione al tempo della guerra segreta scatenata dagli statunitensi per poi scendere per il versante nord-orientale alla ricerca dell’impronta del Buddha (che se fosse reale dovrebbe appartenere ad un essere alto almeno 10 metri…) e visionare poi la zona del Wat Wisunarat, molto più tranquilla anche se con vie aperte al traffico che dopo la tranquillità del centro si rianimano di vita quotidiana. Nel mercato della zona ne approffitiamo per un veloce pranzo (30.000k) per partire alla volta della vicine cascate di Tat Kuang Si (trasporto in minivan 50.000k) dove si pagano 20.000k per entrare. I mezzi sostano presso un mercato in forte espansione, questa è una divagazione dalla città praticamente scelta da chiunque, quindi qui vi si trova qualsiasi cosa, da cibo a suppellettili, il percorso per le prime piscine naturali passa nelle vicinanze del recinto degli orsi dove stazionano quelli in cura in seguito a maltrattamentei subiti dai bracconieri. Le piscine naturali che la cascata forma sono di un verde assoluto, ed il contrasto col lento cadere dell’acqua bianco su verde è molto suggestivo, forse anche più della cascata vera e proprio che si può attraversare su di una serie di tronchi, in attesa che il ponte principale venga concluso. La cascata è risalibile dal versante destro, ma purtroppo non ci sono spazi per vedute, nemmeno una volta risalita per intero, quindi l’escursione è evitabile. Nonostante ci si trovi nel mezzo della foresta nel periodo secco come ora, nessuna traccia di insetti, buon segno. Rientriamo in città in serata, tempo giusto per cenare come al solito al mercato notturno (17.000k) e per approffitare del mercato vero e proprio per verificare cosa poter in seguito comprare visto che qui si trova veramente di tutto ed i prezzi sono altamente trattabili. Si va a dormire presto perché per l’indomani la visione del Tak Bat deve essere più puntuale che oggi, quindi sveglia da puntare per le 5.
L'unico rifornimento nel tratto Ban Tha Lang-Lak Sao
6° giorno
Quasi troppo presto la sveglia alle 5, arriviamo nella zona tra Th Sakkarin e Th Thugnaithao che è ancora buio e freddo e abbiamo tutto il tempo per vedere bus e minivan scaricare turisti ad iosa, poi pian piano il flusso dei monaci prende il sopravvento e nonostante per una foto ci si picchi il fascino del Tak Bat prende corpo, tra le nuvole che si alzano lasciando spazio al giorno. Bus e minivan ripartono velocemente così c’è tutto il tempo per godersi il lunghissimo passaggio di tonache arancioni in lungo e largo, sono un numero spropositato, ricevono soprattutto riso ma anche frutta e piatti preparati, lasciando ai bambini quello di troppo o non di proprio gusto (vista l’abbondanza possono fare perfino i “ghignosi”). Da notare che i paesani offrono quanto più possono ai monaci tutti i giorni, ma vendono ai turisti parte della questua per far sì che anche questi ultimi abbiano qualcosa da dare, insomma si dan da fare per offrire e far giornata! Quando la processione termina (una buona oretta) ne approffitiamo per far colazione da Indochina Spirit Rest (18.000k) e poi rientriamo alla GH per ritirare gli zaini e con un tuk tuk che ci chiama il proprietario della GH arriviamo al posto dove imbarcarci con una long boat per risalire il Mekong. Il biglietto per Nong Khiaw (110.000k, circa 8h) lo abbiamo comprato il giorno precedente per evitare il tutto esaurito, anche se nel caso è probabile che aggiungano una seconda imbarcazione. La biglietteria è aperta di mattina e basta, senza una precisa logica vengono chiamati i passeggeri per le varie destinazioni, fa freddo e siamo nel mezzo delle nuvole, fortuna che non piove, ma tra il freddo e tutta l’acqua imbarcata le prime 2 ore di viaggio sono dure, anche perché la long boat altro non è che una lunga canoa con seggiolini stile bambini dell’asilo e nessun riparo dall’acqua. Facciamo sosta al villaggio prima della “deviazione” sul Nam Khan dove velocemente le nuvi si levano del tutto lasciando spazio al sole ed al cielo blu, mentre lo scenario diventa di momento in momento più suggestivo con le classiche formazioni carsiche a picco sul fiume e gente locale che usa il fiume come unica via di comunicazione. Non ci sono soste in “canoagrill” fino a destinazione, meglio portarsi almeno una bottiglia d’acqua al seguito visto che quando il sole esce si fa sentire. Arriviamo a destinazione nell’unico luogo dove un ponte congiunge le 2 anse del fiume, Nong Khiaw è un confuso paese che fa da snodo della zona, non bello ma caratteristico. Troviamo da dormire in un favoloso bungalow sul lato sinistro del fiume presso il Sangdao GH (70.000k per il bungalow da 2 compelto di tutto,oltre all’acqua potabilizzata), dotato di ogni servizio tranne il riscaldamento (ma con doccia bollente) che di notte in questo periodo farebbe comodo, anche se per evitare problemi utilizzo il sacco a pelo e combatto in maniera vincente il freddo. Dopo di un rapido giro del paese per capire da dove ripartire e dove siano ristoranti e terminal dei bus (perché fin qui arrivano, ma per salire c’è solo la barca) ceniamo presso un ristorante sulla via principale senza nome di fronte alla strada che arriva dall’imbarcadero, per meglio definirlo di fronte alla posta. Una signora cucina al momento riso al vapore tirato con carne e verdure dopo di una ottima zuppa di noodles, devo dire che questa è di gran lunga la cena migliore di tutto il viaggio per 39.000k, cena abbondante anche perché di giorno non c’è stata la possibilità di toccar cibo. Qui di sera non c’è nulla da fare e vedere, se non scorgere le minime luci che si rispecchiano sul fiume visibili dal grande ponte, ed in effetti i pochi viandanti si incontrano proprio quassù. La vista è veramente bella, ma se poi la confronterò col piccolo paese raggiunto il giorno seguente perde smalto. Non che Luang Prabang sia un luogo confusionario, ma qui si entra in un’atmosfera di pace e tranquillità che sovente viene accostata al Laos e che confermo in pieno.
That Foun nell'area della Piana delle Giare
7° giorno
Colazione al Rest. Delilah (34.000k, uno dei pochi aperti di prima mattina, possibilità di connettersi ad internet) poi in barca partiamo per Muang Ngoi Neua, raggiungibile solo via fiume, (25.000k,75’). La partenza non è proprio puntuale, dipende da quanta gente c’è per definire il numero di imbarcazioni e più volte si è spostati da una all’altra, ma non c’è fretta, il bello è godersi lo splendido paesaggio che il fiume attraversa. In mezzo a fantastiche montagne a picco sul fiume e coperte all’inverosimile di vegetazione sorge il minuscolo paese, luogo che si apre a svariati villaggi della zona collegati solo a piedi con la “civiltà”. Trovato da dormire nel solito favoloso bungalow al Phetdavanh GH (bungalow da 4, costo 60.000k compresa acqua potabilizzata, con 20.000k aggiuntivi a testa è compresa una abbondante colazione dalla terrazza che da sul fiume, consigliatissima) che ha acqua calda tramite pannello solare dall’effetto alquanto limitato, partiamo per visitare alcune grotte e villaggi della zona, tutto rigorosamente a piedi, qui non ci sono mezzi a 4 ruote. I sentieri non sono indicati (accesso 10.000k), quindi è importante seguire le indicazioni segnalate dalle guide (la LP riporta in modo abbastanza esatto più percorsi), così visitiamo la grotta Tham Khang che si trovano sulla sx del sentiero che procede perpendicolare al fiume, prima di attraversare un piccolo affluente e prendere per il villaggio di Ban Na, raggiungibile in circa 1h (compresa escusione alle grotte citate in precedenza, ma attenzione non quella in alto rispetto a Muang Ngoi). Il villaggio, tipico laotiano, quindi costruito su palafitte anche se siamo su terraferma vive placidamente tra animali, bambini che giocano, adulti che si dedicano come ovunque al petang (lascito francese, gioco delle bocce, sport nazionale) signore ai telai per produzioni di tessuti e qualche piccolo bar (per indicare il tipo di luogo…) dove sorseggiare la immancabile BeerLao (birra del posto ed orgoglio nazionale) oppure l’ottimo caffè laotiano coltivano a sud nell’altopiano di Bolaven. Per raggiungere i villaggi si seguono i divisori delle risaie che in questo periodo sono vuote quindi nessun problema di infangarsi ma anche nessuna visione caratteristica di verde&acqua con montagne sullo sfondo. Nel villaggio si potrebbe anche pernottare, non ci sono GH od hotel, ma chiedendo di far homestay si può trovare posto, però se si deve ripartire la mattina seguente diventa impresa impossibile. Rientriamo che il sole si sta già nascondendo dietro alle montagne e così il tramonto sul fiume ci sfugge anche perché qui alle 17 c’è luce ma la vista del sole è preclusa dalla montagne. Presa visione del paese decidiamo di cenare al Banpha Rest. (25.000k), con buffett di 12 cibi differenti, tutti vegetariani, tra cui un accostamento di zucca e spezie locali da urlo. Si possono fare quanti giri si vuole, tutto è in caldo, ed anzi la proprietaria esorta a rifocillarsi a più non posso. Anche qui da segnalare la qualità del caffè, ottimo, cremoso e dal retrogusto di cacao. Consigliatissima per muoversi nel paese una torcia, possibilmente quelle da mettersi in testa, per raggiungere la GH occorre passare per passarelle lungo il fiume dove non c’è traccia di illuminazione. Nonostante siamo più a nord ed anche nel bel mezzo di montagne la temperatura serale è meno rigida che nei giorni precedenti e ci si può godere un po’ di relax sull’amaca posta nella veranda del bungalow. Con maggior tempo a disposizione questo remoto villaggio sarebbe un luogo a cui dedicare più tempo tra zone adiacenti da scoprire, tranquillità e visioni fantastiche che regala da ogni angolo.
Trasporti a Nam Theun
8° giorno
Sveglia per goderci la colazione sulla terrazza che da sul fiume, vista splendida mentre le nuvole si alzano e regalano le montagne che si abbeverano al fiume, poi salutiamo la cinematografica Muong Ngoi Neua e con la solita minima barca ritorniamo a Nong Khiaw (25.000k, 45’ visto che si è a favore di corrente), il percorso è il medesimo del dì precedente ma non perde certo di fascino. Arrivati all’imbarcadero ci sono furgoni (5.000k) aperti con panche in orizzontale che attendono i viandanti per trasportare al terminale dei bus chi non vuole scendere a Lunag Prabang di nuovo via fiume (altre 8h). Il terminal non ha orari e bus veri e propri, si paga alla biglietteria e si viene caricati dai mezzi al momento a disposizione, nel nostro caso lo stesso furgone di prima (40.000k, 5h) particolarmente scomodo per un viaggio lungo (in teoria sulle 4h, ma fermando ovunque il tempo aumenta) ma comunque più veloce della barca. Fra le infinite soste per caricare gente anche quando pare non starcene più una svetta su tutte : una signora sale con tante galline in gabbie/borse che vengono legate sui fianchi del furgone mentre la signora si mette su di una sedia (ovviamente mobile) nel mezzo dello stretto furgone. Non si trova a suo agio e impone alla ragazza più timida sul furgone di mettersi lei in quel posto poco invidiabile. Non so se stiano più scomode le galline legate o gli occupanti del furgone (visto che gli zaini li teniamo sulle gambe), ma comunque anche se in ritardo arriviamo a Luang Prabang dove veniamo scaricati alla stazione dei bus nord, poi con un tuk tuk (15.000k) arriviamo in centro, solo che a causa del ritardo non riusciamo a visitare l’ex palazzo imperiale, facciamo giusto un giro per il giardino. Ritorniamo alla GH dei giorni precedenti, e con orgoglio noto che il titolare indossa la maglietta a pezzi che avevo lasciato, per giunta tutta bella lavata! Prendiamo visione della miglior combinazione per partire l’indomani verso Phonsavan e dopo un giro in internet (6.000k ora, collegamento tutto sommato veloce) solita cena al mercato notturno (40.000k) compreso giro dolci e infine giro del mercato per recuperare alcuni souvenir, tra cui splendide stampe del caratteristico Tak Bat. Se avete intenzione di far man bassa di oggetti laotiani è consigliato approffitarne qui, non troverete più la quantità e la varietà di prodotti che si trovano concentrati ogni sera lungo la via principale chiusa al traffico, inoltre la grande competizione tra venditori permette di strappare prezzi economicissimi. Unico problema per chi affronta il giro del Laos da nord a sud (di fatto la stragrande maggioranza dei viaggiatori), il fatto di doversi sempre portare tutto al seguito. Nota sul percorso del viaggio : tutte le persone incontrate son partite da nord per scendere a sud, nessuna nel percorso inverso, anche perché il naturale seguito è entrare in Cambogia, molto più facile che ritornare a Bangkok per prendere verso casa, anche per via del fatto che non ho incontrato nessuno che rimanesse in viaggio meno di 3 mesi, ma anche chi se ne stava nel sud-est per 6…
Il tak bat a Luang Prabang
9° giorno
Colazione al mercato (16.000k) poi veniamo prelevati dal minivan (120.000k 6:30h, comprato il giorno prima) che ci porterà a Phonsavan direttamente alla GH. Il primo tratto di strada è lungo la statale 13 che scende verso la capitale, ma l’asflato è in pessime condizioni e siamo sballottati tra una curva e l’altra. Si procede lentamente, sosta per pranzare prima della deviazione a Phu Khoun, temperatura fredda, e nel frattempo facciamo chiacchere con un italiano che passa 6-7 mesi in viaggio nel sud-est asiatico eliminando di fatto i costi morti di mantenersi una casa in Italia (in estate lavora in spiaggia a Jesolo dove gli viene dato anche un posto letto). La statale 7 che porta a Phonsavan ha un fondo migliore e con meno curve da percorrere la parte finale del trasferimento diventa meno impegnativo. Alla stazione dei bus della cittadina ci sono minivan gratuiti forniti dalle varie GH che portano a visionare le strutture alberghiere, optiamo per la Dokhoon GH (60.000k per camera da 2, acqua potabilizzata offerta e doccia calda, qui fondamentale) poi iniziamo subito ad organizzare l’escursione del giorno seguente verso la piana delle giare. Phonsavan città non ha nulla da offrire, si stende anonima lunga la statale che porta al confine col Vietnam, siamo tra le montagne più bombardate del Laos e lo si nota bene perché le fioriere di ogni abitazione sono costituite da enormi bombe, le sedie dei bar idem, i cestini idem, le indicazioni stradali idem, insomma, di reperti di bombe è coperta la città. Lo si può apprendere appieno visitando il MAG, centro per la rimozione degli ordigni inesplosi, ma se siete deboli di stomaco, evitate. Oltre alla storia della guerra segreta (tutta riportata anche in inglese) ed alle foto ci sono reperti bellici (anche se ufficialmente gli U.S.A. mai dichiararono questa guerra) e filmati che ogni ora vengono riproposti. Nell’adiacente centro dei sopravvissuti fanno bella mostra arti, carozzine ed oggetti del genere, qui la situazione fu drammatica e buona parte della popolazione ne paga ancora le conseguenze. Appena il sole si nasconde la temperatura precipita e il problema di dove cenare non è secondario, non ci sono ristoranti (o luoghi preposti a cibarsi che mi pare una dicitura più adeguata…) non dico riscaldati ma almeno con una porta, così prima tentiamo di prenderci qualcosa di caldo in un magazzino che oltre ad una zuppa di noodles (5.000k) altro di commestibile proprio non offre, poi facciamo tappa al Bamboozlei, ristorante carino gestito da un inglese dove la corrente fredda è padrona assoluta del luogo. Ma dopo di una attesa enorme, quasi congelati come gli altri pochi clienti (che poi sono quelli che avevano viaggiato con noi da Lunag Prabang e che vedremo svariate altre volte lungo il nostro cammino) riusciamo a cenare in maniera discreta (23.000k) per tornare nel freddo della camera. Dato che a parte il periodo dicembre/gennaio qui non è mai freddo non c’è traccia di riscaldamento nelle camere, ci viene data una coperta, ma senza del sacco a pelo la notte sarebbe passabile solo sotto alla doccia calda…Una nota, da qui in poi iniziamo a vedere uno strano mezzo di trasporto, di fatto il più utilizzato dalla popolazione rurale del Laos, una specie di basso trattore costituito da un motore da tosaerba sul frontale, collegato da un pezzo di legno lungo 2 metri (ed altrettanto il manubrio…) ad un carro che trasporta merci e gente. Subito fa impressione, poi ci si abitua e diventa visione quotidiana e molto laotiana.
Muang Ngoi Neua, conosciuta anche come Ban Ngoi Kao, raggiungibile solo via fiume.
Barcaiolo all'ingresso della grotta Tham Kong Lo
10° giorno
Colazione in GH (20.000k) poi con Lao Youth Travel Xieng partiamo per l’escursione in direzione della piana delle giare (il tour completo lo avevamo contratto il giorno precedente a 470.000k, dopo lunga e sofferta trattativa, nel van ci si può stare anche in 6, le entrate ai siti sono comprese). La piana, che piana non è, si trova nei dintorni sud-ovest di Phonsavan, dei vari siti se ne visitano 3 dove fanno bella mostra di se incredibili ed enormi giare, di cui ad oggi poco o nulla si sa su chi le abbia realizzate ed il perché. Certo le teorie non mancano ed ogniuno qui si fa la sua idea, ma molto meglio lasciarsi andare alla visita e dimenticare le varie teorie, oppure farsene di proprie che tanto la valenza è la medesima. Il sito 1 è il più vicino ed anche il più vasto, occorre fare molta attenzione ai segnali lungo i sentieri, quando si passa tra le piastrelle bianche si può andare con tranquillità, tra quelle rosse meglio rimanere sul sentiero, dove le piastrelle mancano si va a proprio rischio e pericolo su di un terreno ancora non bonificato dagli ordigni bellici. Enormi crateri di bombe esplose durante la guerra degli anni ’60 fanno bella mostra di se tra gruppi di giare ed altri, alcuni talmente grandi che potrebbero contenerne parecchie, nonostante alcune misurino oltre 2 metri di altezza ed uno di diametro. Le giare si trovano su 3 colline, il percorso va poco oltre il km, quindi si visita il tutto in poco tempo. Da qui prendiamo per Muang Khoun, la ex Xieng Khuang che fu capoluogo di questa provincia, terra di disgraziati bombardamenti, dove però ancora svettano ancora alcuni splendidi monumenti tra cui il That Chom Phet, stupa eretto dai Cham e da cui con una breve camminata si arriva al fantastico ed inquitante That Foun, che nei secoli fu usato per vari scopi. Ritornando nel centro della città tappa d’obbligo al Wat Phia Wat, tra le cui rovine emerge nel mezzo di colonne bombardate un Buddha grigio con ancora i colpi delle granate in evidenza. Rientrando iniziamo a scorgere lungo i campi la forte presenza di bufali, animali adatti al duro lavoro nei campi, mentre si evince con facilità la differenza tra i villaggi lao e quelli hmong, data dal fatto che i secondi vivoni in case costruite sul terreno mentre i primi su palafitte. Prendiamo la deviazione verso i siti 2 e 3, ma prima si fa tappa presso un’abitazione dove si produce il lao lao, ossia wiskhy di riso che chi lo assaggia lo assimila più ad una forte grappa che al figlio più famoso della Scozia. La cosa più interessante della produzione è vedere un’anziana signora tutta presa dalla sua attività che non si nega svariati assaggi della bevanda. Prima di giungere al sito 3 si possono osservare i resti di un carrarmato sovietico, ma carcassa a parte è rimasto ben poco. Il sito 3 si raggiunge tagliando a piedi per le risaie e salendo su di una piccola collinetta, è molto più piccolo del n° 1 ma ha al suo interno le giare più spettacolari, alcune aperte su di un lato altre con fori da farle sembrare scheletri viventi, l’effetto scenico è proprio bello. Attenzione rigorosa a non uscire dal lato a monte dal recinto, il terreno non è mai stato bonificato. Dopo questa visita si giunge al sito 2 che si trova su 2 versanti di una collina tagliata nel bel mezzo dalla strada sterrata, sul lato sx vi sono le giare più belle, ma su quello dx la vista spazia su villaggi limitrofi. Qui facciamo tappa per pranzo (compreso nel tour, bevande a parte) anche se l’orario di pranzo è passato da parecchio, poi continuiamo per la strada che raggiunge i villaggi della zona osservando scene di vita bucolica ed agreste, oltre alle spedizioni di pesca verso il fiume attiguo. Rientriamo a Phonsavan e ci facciamo scaricare al monumento dedicato ai caduti vietnamiti (chiuso, ma non pare di perdere nulla di indimenticabile, volendo si scavalca senza problemi come fanno i ragazzi del luogo) su di una collina a sud del paese, rientrando a piedi in centro (circa 45’) passando a fianco di alcuni wat ed attraversando uno splendido mercato, dove la parte alimentare merita una visione approfondita, soprattutto quella del pesce, dove innumerevoli specie sguazzano ancora vive in multicolori bacinelle. Dopo un’escursione in internet (7.500k x ora, ottima connessione) cerchiamo senza trovarlo un ristorante dotato di porte per non congelare. Il Simmaly sulla via principale non soddisfa la condizione, ma almeno si cena in maniera più che decorosa a buon prezzo (23.000k), per poi riscaldarci con una doccia bollente ed infilarci nel sacco a pelo visto che la camera pare ancor più fredda della sera precedente. Ma questo, avevamo appurato durante il giorno, è un problema che tocca tutte le strutture del luogo visto che la preoccupazione è più per il caldo umido dell’estate e non per il freddo invernale, nonostante Phonsavan si trovi ad oltre 1.100 metri nel mezzo delle montagne.
Khoun Kong Leng, il lago del Gong della Sera
11° giorno
Caffè in GH (5.000€) perché non c’è praticamente nulla da mangiare, rimediamo con qualcosa nel minimarket a fianco (7.000k) che funge anche da base di partenza del minivan destinazione Vang Vieng. La puntualità non è il massimo, invece delle 8:30 partiamo dopo le 9 (110.000k, 5:30’) ripercorrendo la statale 7 fino a Phu Khoun e dopo una veloce sosta si prende a sud per la statale 13 che anche in questo tratto versa in condizioni pessime. Lo scenario però è favoloso, montagne a picco che cingono la via che scende velocemente sempre tra buche ed animali. Il minivan ci lascia ad un piccolo terminal a nord della città, da lì con un tuk tuk (10.000k) si raggiunge il centro di quella che senza mezzi termini si può definire la capitale dello sballo del Laos. Hotel e GH si susseguono a ristoranti ed agenzie viaggi, intervallati da negozi dove trovare di tutto a prezzi imbattibili, qualsiasi cosa si voglia è qui che va comprata. Facciamo base al AK OK GH (doppia con acqua calda, ventilatore/aria condizionata ed acqua purificata 40.000k, in pratica nemmeno 2€ a testa…) nel pieno centro in una antica abitazione tradizionale, poi in uno dei tanti posti di ristoro per 15.000k mangio una ottima baguette al tonno e formaggio con frullato di banana e caffè, prendendo per vero il fatto che qui tutto sia effettivamente a portata di mano. Certo i posti paiono tutti identici, adatti a riprendersi dagli sballi notturni e dagli infortuni che le attività post sbornia lasciano, come ben testimoniato da un imprecisato numero di persone viste con stampelle, bendature rigide, gessi o zoppicanti. Il clou delle attività è il tubing, di cui leggerete Tubing-Vang Vieng su incalcolabile numero di t-shit-felpe-canottiere per tutto il sud-est asiatico, in pratica la discesa del Nam Song su camere d’aria, ma si può fare arrampicata, speleologia, mongolfiera, kayak, cross in bici e moto o escursioni nei dintorni in mille modi, in pratica un piccolo paradiso all’aperto in un punto scenograficamente molto bello, come dimostra la vista sul fiume al tramonto con sullo sfondo le montagne, piccoli ponti di legno barcollanti lo attraversano e quando si incrociano gli scooter non è facilissimo starci in 2…Un’escursione nella parte est del fiume permette di prendere visione della parte meno affollata del posto, dove monaci e turisti vivono in perfetta simbiosi. In serata ne approffitiamo per prendere info a riguardo del giro circolare del giorno seguente tra le montagne e le grotte della parte ad ovest della città da farsi in scooter, per cenare ad un ristorante tradizionale verso il ponte principale a pagamento (26.000k dove assaggio il tradizionale láap, gustoso ma piccantissimo) e per terminare con un giro dalla parte di Don Khang l’isola dove fanno tappa tutti i personaggi più strambi del luogo. Visti all’opera comprendo perché tanti infortuni al risveglio, anche se a portar gessi son soprattutto ragazze quasi sempre inglesi/australiane. Se a Luang Prabang dopo le 22:30 la città inizia a spopolarsi qui per quell’ora tutto si anima e la parola happy inizia a far bella mostra di sé nei dolci e nei cocktail, dove happy vuol giusto dire un’aggiunta di marjuana alla consumazione richiesta. Non che ci sia una legge ad personam per Vang Vieng che lo permetta, solo che qui è così e nessuno pare lamentarse, sicuramente non le attività commerciali di ogni tipo che prosperano alla grande.
Cascate Tat Yuang nell'altopiano di Bolaven
12° giorno
Colazione al Rest Seng Deune (15.000k) poi dopo aver preso a nolo gli scooter Kolao Rio di fabbricazione coreana i uno dei tanti noleggi in città (30.000k al giorno + circa 20.000k di benzina, va lasciato il passaporto e si è già pronti per andare, cambio semiautomatico, in pratica col bilanciere ma senza frizione) partiamo per il giro circolare ad ovest di Vang Vieng, tutto su sterrato. Tutti i noli forniscono una cartina dei luoghi, ma il meglio è quanto riportato da un viaggiatore sulla LP, dove annota in corrispondenza di quale palo della luce girare per trovare le varie grotte, dove sono siti i piccoli ponteggi per oltrepassare i fiumi e a chi chiedere per visitare alcune grotte particolarmente intricate. Oltrepassiamo il Nam Song dal largo ponte a pedaggio nel centro cittadino (10.000k) e da lì prima tappa a Tham Khan (10.000k per parcheggio moto ed entrata nella grotta, deviazione non indicata sulla strada principale, seguire il numero sul palo indicato dalla LP, 42) dove dopo 5’ a piedi si trova la grotta più complessa da girare della zona. Una guida può accompagnarvi (indicativamente dai 30.000k ai 50.000k), soprattutto per la parte finale più che consigliabile è di fatto fondamentale, anche se per chi soffre di claustrofobia è meglio desistere. Un veloce bignami di speleologia con visione obbligata del solito Buddha, che in ogni grotta fa sempre bella mostra di se. Tutte le grotte si trovano nel mezzo delle caratteristiche montagne carsiche a picco sulla valle ricoperte di vegetazione, la tipica vista da sud-est asiatico che non stanca mai. Seconda tappa alla Tham Phu Kham (10.000k), la più famosa, conosciuta anche come Blu Lagoon per via dello splendido specchio d’acqua che si trova prima dell’ingresso dov’è possibile fare il bagno lanciandosi dalle liane degli alberi adiacenti. Se si ha tanto tempo si può far giornata in questa infinita grotta, meglio farlo però con una guida, altrimenti preferibile restare nelle zone limitrofe al grande buddha sdraiato. Si possono noleggiare torce per l’illuminazione, ma in ogni caso per un viaggio in Laos è assolutamente consigliato averne sempre una propria a disposizione. L’accesso alla grotta in questo caso è segnalato, si percorre circa un km dalla via principale, ma qui un po’ di traffico tra scooter e bici fa capire dove si è diretti. Attenzione perché alcuni abitanti del posto spacciano per Blu Lagoon un‘altra laguna nei dintorni, sempre a pagamento, ma che viene descitta come una solenne fregatura. Da qui continuiamo seguendo il percorso principale passando per i villaggi di Ban Na Thong e Ban Phon Sai in mezzo a montagne incantate, ponti che si passano trattenendo il fiato, campi coltivati e risaie che stanno per essere approntate alla coltivazione del riso che qui porta un solo raccolto all’anno. Arrivati fin qui occorre guadare il fiume per spingersi a nord verso Ban Nampe dove il sentiero termina. Il villaggio è particolarmente suggestivo, probabile che più di un abitante vi venga a “visionare”, son tutti molto cordiali anche se la lingua diventa un problema perché a parte qualche parola in inglese di alcuni giovanissimi è impossibile comprendersi coi locali. Rientriamo verso Ban Phon Sai facendo tappa ad un piccolo ed improvvisato bar dove si possono trovare bibite e birra fredda, e dove il titolare ci illustra un percorso alternativo per rientrare costeggiando il lato meridionale della vallata. Si passano alcuni ponti più “seri” di quelli a nord del percorso, anche se la vista da questo versante è meno caratteristica che quella dell’andata, ma arriviamo più velocemente sulla statale 13 in modo da raggiungere e visitare anche la zona a nord di Vang Vieng in corrispondenza del gruppo di grotte di Tham Sang. L’accesso alle grotte non è segnalato se non per un riferimento ad un hotel della zona, comunque fa da indicazione il km 13, si pagano i soliti 10.000k per il parcheggio e 2.000k per passare il ponte di bambù e raggiungere il complesso delle grotte, la prima proprio di fronte al ponte a fianco di un monastero, le altre circa un km in direzione nord e nord-est. A questo complesso di grotte si può arrivare anche in auto, ed esistono varie escursioni organizzate per andarci, di solito di metà giornata abbinate ad una discesa in kayak o in tubing, le grotte ad ovest non sono raggiungibili su 4 ruote, le uniche escursioni organizzate sono in bici, ma la maniera migliore, più veloce, comoda, economica e pratica è in scooter. Rientrati a Vang Vieng optiamo per una cena al Rest Mitthaphang, un BBQ in stile coreano (34.000k) dove si può assaggiare anche la carne di bufalo. E’ una cena particolarmente caratteristica, ma serve tempo e pazienza per cuocersi lentamente tutta la carne e soprattutto per la verdura che viene riscaldata e insaporita con l’acqua che rimane nella parte bassa del contenitore dove va cotto il tutto. Il posto è comunque preso d’assalto dai tantissimi viandanti che fanno tappa nella città, avendo di fatto il fuoco sul tavolo la cena è molto calda, e dopo quelle al freddo dei giorni precedenti fa perfino piacere. Visto che la sveglia dell’indomani sarà molto anticipata, un veloce giro di Vang Vieng poi a letto in anticipo rispetto agli standard del luogo, fortuna che la GH non è in zona particolarmente festante, cosa da considerare se si è qui per far escursione e non per sballarsi. Percorsi in scooter 91km, più della metà su sterrato, ma la strada statale è perfino peggio perché l’asfalto spesso manca e perché passa di tutto lungo il cammino, soprattutto animali di ogni genere. Consigliatissima una mascherina per bocca e naso (in vendita in vari negozi a 2.000k), come vedrete indossare alla maggior parte della gente in scooter.
Antico edificio coloniale francese nell'isola di Don Khon
13° giorno
Alle 5:30 puntuali ci facciam trovare davanti all’agenzia che ci ha venduto il biglietto del local bus per Vientiane ed il passaggio in tuk tuk per la fermata, l’impiegato vive all’interno dell’ufficio così è sempre presente anche a questa ora antecedente l’alba. Dal centro città si raggiunge la statale incontrando “residui” della nottata, gente talmente fuori e felice che fa proprio dire come Vang Vieng sia ancora un luogo utopico. Il local bus (55.000k, 5h) parte dalla statale dietro alla vecchia stazione aereoportuale, ferma di fatto ovunque quindi i tempi non vengono proprio rispettati, ma i servizi VIP o similari partono solo di pomeriggio facendo perdere di fatto la giornata, anche perché la capitale non mostra troppo di interessante e si può comodamente visitare in mezza giornata. Lungo il percorso si fa tappa una sola volta in una specie di Autogrill dotato di tutto, il bus di costruzione sovietica è lento e stracolmo di gente ma il viaggio è piacevole, ci lascia al terminal del centro città, animatissimo e pieno di conduttori di tuk tuk da prendere per farsi accompagnare a destinazione. Un passaggio viene offerto a 25.000k a testa ma visto che sono di fatto abusivi (non potrebbero venire a pescare i clienti dentro al terminal) si può facilmente trattare e con 10.000k a testa ci facciamo scaricare in una zona piena di GH dove peschiamo la Seysouly (120.000k per camera da 2 con doccia calda, ventilatore/aria condiziona ed acqua purificata) che fa anche da agenzia viaggi ma i prezzi sono migliori guardandosi in giro. Dopo aver pranzato da Way Way sandwich (20.000k, i prezzi nella capitale sono decisamente più alti che in tutto il Laos) noleggiamo le biciclette per visitare la città (10.000k da qualsiasi nolo, basta lasciare un passaporto) ed iniziamo la visita partendo dal Wat Si Muang, di fatto il monastero più frequentato. Da lì prendiamo verso sud fino al Wat Sok Pa Luang all’interno di un grande parco per risalire verso il grande arco del Patuxay (stile arco di trionfo francese, non un caso) e proseguire al Pha That Luang monumento simbolo della nazione che racchiude in se la sovranità del Laos e la religione buddhista (premetto che di religione non ne so nulla, ma il buddhisto laotiano nulla ha a che fare con quello tibetano ora famoso nel mondo). Ai laotiani piace poco perché le forme non corrispondo a quelle della tradizione, ma di certo visto dove si trova e come risplende al sole colpisce i visitatori. Per 5.000k si può entrare, ma solamente nel cortile attorno allo stupa centrale, nel monumento vero e proprio non vi si accede. Attorno svettano 2 enormi templi Khmer, ma nei dintorni anche il palazzo del parlamento che nello stile sovietico si erge cubico nel mezzo di una piazza enorme, anonima e già fuori città, in una città dove il traffico ancora non conosce ingorghi come in altre grandi capitali del subcontinente o altrove nel mondo. Continuiamo il giro ritornando pian pian verso il Mekong che qui funge da confine, sono ancora in corso lavori per rendere il lungofiume il più turistico e commerciale possibile, con la statua di Chao Anou a svettare orgogliosa, ma poi è tempo per visitare il monastero più autentico, il Wat Si Saket (5.000k), l’unico ancora conservato in condizioni originali (e si vede…), di fatto il monumento più bello ed interessante della città. Dopo una sosta ad un internet bar (6.000k per h, collegamento veloce) troviamo un bancomat ANZ che distribuisce fino a 2.000.000k ma con commissione di 40.000k e ci rifocialliamo al Rest. Sangthiep (21.000k) popolare ma dalla qualità non eccelsa. Il mercato notturno sul fiume purtroppo sta lasciando posto ad un serie infinita di bancarelle che vendono soprattutto prodotti thailandesi (del resto la Thailandia è giusto li di là dal fiume ed ora i cittadini dei 2 stati possono muoversi senza grossi problemi) come si potrebbero trovare in qualsiasi bancarella in giro per il mondo, la globalizzazione si sta mangiando anche Vientiane. Di notte la città si anima, piena di turisti e dei nuovi ricchi del posto, magari ancora non così sfacciati come da altre parti ma indubbiamente la differenza tra la capitale e tutto il resto del paese è forte.
Risaie nella zona di Tha Khaek
14° giorno
In città colazione alla francese da PatuXay sulla Setthathirath (32.000k), poi dalla GH veniamo prelevati per andare alla stazione dei bus meridionale, fuori città. Il trasferimento è compreso nel costo del biglietto (120.000k, 6:30’) che preso in agenzia in centro è più costoso che al terminal ma evita 2 giri in tuk tuk ed alla fine il prezzo è similare. La grande stazione dei bus non ha nessuna indicazione, occorre chiedere e non è facile capirsi, abbiamo un biglietto per il bus delle 10, ma ci viene cambiato con quello delle 9:30 che sta partendo, anche se l’autista non gradisce, ma il responsabile del terminal è inderogabile e ci fa trovare anche i posti a sedere sul bus stipato. Appena usciti sosta (letto bene, dopo 200m sosta!) per cibarsi ad un mercato di fronte al terminal, si riparte appena il conducente termina di rifocillarsi, stiviamo di tutto sotto, nel corridoio e nel fondo, fino a quando carichiamo anche 2 scooter, uno dei quali di fianco a me nel corridoio con sopra 3 ragazzi che si inventono un posto dove sedersi. Numerose le fermate, di fatto ovunque ci sia gente che sale e che scende, soste veloci per mangiare e fare i bisogni sono frequenti (e nel frattempo il bus è preso d’assalto da venditori di ogni tipo che passano sopra a persone e cose lungo il corridoio), siamo i soli stranieri sul local bus e far conversazione non è semplice al di là di mostrare sulla mappa dove andiamo e dove vadano i passeggeri a fianco, ma nonostante una confusione incredibile il viaggio è comodo. Arriviamo a Tha Khaek (scritta sovente anche Tha Khek) alla nuova stazione dei bus che dista quasi 4 km dal centro, che raggiungiamo in tuk tuk dopo lunga trattativa (10.000k a testa) per far tappa al Phoukhanna GH (la responsabile parla inglese, ma è quasi sempre assente), bel posto dotato anche di ristorante all’aperto frequentatissimo dai giovani del luogo (camera con 2 letti matrimoniali servita al solito di tutto a 65.000k). Approfittiamo del tempo a disposizione per raggiungere il lungofiume dove organizzarci per l’escursione dei giorni seguenti, trovando 2 scooter con caschi un minimo decenti e per far serata sul Mekong chiaccherando con alcuni viandanti di lungo periodo e con alcune addette del mercato in strada che da sulla piazza della fontana, dove esercitano il loro fascino alcune costruzioni coloniali francesi in splendida decandenza. Un frullato costa 8.000k, ma una volta terminato il primo abbondante bicchiere mi viene rabboccato gratuitamente. Il sole scende sul versante thailandese del grande fiume regalando uno splendido tramonto in una cittadina dal ritmo rallentato, dove non c’è più il passaggio di frontiera via barca perché ora è già attivo il collegamento via ponte 6km più a nord, il terzo ponte sul Mekong tra Laos e Thailandia. Anche questo ponte, come i precedenti 2, finanziato da Thailandia e Vietnam, in modo da creare un corridoio privilegiato per il passaggio delle merci, prima bloccate dalla chiusura del Laos. Ceniamo al locale mercato (25.000k), carni pessime, dolci buoni, non una grande cena, ma giunta al termine di una giornata dagli sforzi minimi.
Tramonto sul Mekong tra le isole di Don Khon e Don Det
15° giorno
Colazione in GH (25.000k) dove lasciamo in deposito lo zaino grande ed utilizzato quello più piccolo per farci stare l’occorrente per 4 giorni, poi ritirati gli scooter da Wangwang (50.000k al giorno, basta lasciare un passaporto, il titolare cinese rilascerà un foglio dove dichiara che lo ha in consegna lui per il noleggio) partiamo per il percorso circolare, una delle nuove attarattive del Laos non ancora colma di turisti per via del fatto che si può fare solo in scooter, con a disposizione la mappa che rilasciano tutti i noleggi ma soprattutto con la fondamentale descrizione dell’itinerario che si trova sulla LP. La benzina costa al litro sui 10.200k, riempiamo gli scooter in città e poi via verso le prime grotte che incontriamo lungo il percorso, The Falang, Tham Xieng Liap e Tham Nang Aen (10.000k). Il percorso si snoda tra le tipiche montagne carsiche, dopo aver lasciato spazio ad una piccola visione di risaie inondate con sullo sfondo le montagne, lo scenario che più rappresenta il sud-est asiatico. Da qui lungo la statale 12 prendiamo verso nord-ovest sulla 88 che risale verso la grande centrale idroelettrica di Nam Theun 2. Questa ha cambiato completamente lo scenario della zona, di fatto ora c’è una grande montagna da risalire dove gli scooter (dei Lifan cinesi) faticano parecchio e quando scolliniamo non troviamo concordanza col discorso dei km, evidentemente la variazione della strada ha cambiato lo scenario. Quello che non cambia è lo spettaccoloso spettacolo della zona che attraversiamo ma da Ban Oudomsouk l’asfalto termina; qui si trova l’ultima stazione di rifornimento della giornata, ma poco male se non rabboccate. Per continuare si entra nella grande zona tramutata in lago per via della diga (che poi una vera e propria diga non la si vede, è la montagna spostata a far da sbarramento…), uno spettacolo incredibile di acqua ed alberi, animali e genti, un mondo nel mondo che nulla ha che fare con quanto visto in precedenza. Trovare il villaggio di Nakai non è semplice, quello che viene definito come l’ultimo avamposto lungo il percorso si trova ora a fianco della strada principale (sterrata su fondo terroso che colora tutti i motociclisti di polvere, fortuna che i mezzi a 4 ruote siano pochissimi), non è indicato e probabilmente gli abitanti della zona non lo conoscono con questo nome e rimandano tutti al primo paese che si incontra, cosa che porta a tante piccole deviazioni dal percoso principale verso nuovi villaggi costruiti in seguito alla formazione del lago artificiale. Arrivati a Nakai pranziamo in una capanna che funge da ristorante, si mangia quello che la cuoca decide, solita zuppa di noodles (13.000k con bibita), poi cerchiamo un distributore ma capiamo velocemente che quanto indicato dalla LP (possibilità di rifornimento) in realtà sono solo abitanti della zona che vendono in bottiglie di plastica benzina (da 500-1000-1500cl). Un litro costa 15.000k, ovviamente c’è del ricarico, a dire il vero non sarebbe nemmeno necessario farlo qui visto che in seguito questa opportunità sarà ovunque e si troverà anche qualche rifornimento con vecchi cilindri a pompa. Da Nakai lo spettacolo diventa superbo, sulla sinistra la giungla incontaminata, sulla desta il grande lago, si prosegue incrociando di tanto in tanto grossi camion che viaggiano con la cabina di pilotaggio tagliata per appoggiare meglio giganteschi tronchi (spettacolo da foto), moto ricoperte di ogni mercanzia e qualche viandante che già si era incontrato lungo il cammino in precedenza. Arriviamo a Ban Tha Lang che il sole è ancora alto e splendente nel cielo così decidiamo di continuare, nonostante la via venga descritta pessima. Ci frega il fatto che la prima parte pare come quanto fatto nei precedenti 15km, purtroppo dopo poco così non è più, la strada diventa un sentiero che ci mette a durissima prova ed effettivamente fino a Lak Sao non si incontra nulla per far tappa. Qualche villaggio che definire ad impronta rurale è poco, qualche rifornimento di benzina, ma poco altro, anche la vista non è più quella di prima, il sentiero stretto non regala suggestioni nei dintorni, poi meglio concentrarsi su come evitare le buche che è meglio. Fortuna che le luci del Lifan funzionano, perché per fare gli ultimi 30km impieghiamo quasi 90’ su di una strada impossibile (era scritto, ammetto), quando cala il freddo ed occorre fermarsi per ripararsi al meglio. Alle prime luci di Lak Sao (in realtà qualche km prima) scorgo una GH e mi ci fiondo senza nemmeno pensare ad alternative o a dove mi trovo. Per fortuna trovo un guardiano che dorme all’aperto,ci sono solo camere libere (50.000k, camera per 2 completa come al solito, doccia bollente ma senza riscaldamento che avrebbe fatto piacere) dove docciarsi a lungo per togliersi kg di polvere. Purtroppo il locale di fronte alla GH fa solo da karaoke bar e non serve cena, così occorre riprendere gli scooter per arrivare in città e cercare un posto per cenare. La scelta è scarsissima, fortuna che una coppia vietnamita serve qualche piatto (18.000k) e così possiamo mangiare qualcosa di caldo assieme ad una coppia francese, alla fine ci offrono anche dei dolci vietnamiti, peccato solo che non servano il loro ottimo caffè ma un surrogato in busta stile Nescaffè già completo di tutto, caffè/latte/zucchero, cosa che accadrà in tutto il centro Laos. Lak Sao (che significa km 20) sorge a 32km dalla frontiera vietnamita nel mezzo delle montagne Annamite, il freddo in questo periodo è intenso e la temperatura serale prossima allo zero. Rientramo velocemente in GH, dopo aver percorso 177km, di cui più della metà su sterrato.
16° giorno
Alle 6 dagli altoparlanti applicati lungo la strada principale la radio nazionale inizia a farsi sentire, non si capisce nulla se non ripettumente Pathet Lao, ovvero il partito nazione al governo dal 2 dicembre 1975. Tanto vale alzarci e partire facendo colazione alla prima baracca che si incontra sulla strada (13.000k) e dopo aver fatto rifornimento ad un vero distributore prendiamo la statale 8 verso ovest, asfaltata e costeggiata da belle montagne con la temperatura che pian piano inizia ad alzarsi. Tra una fermata e l’altra merita assolutamente quella al ponte di Tha Bak sul largo e placido Nam Nyuang solcato dalle barche bomba. Queste piccole imbarcazioni sono costituite dai residui dei serbatoi supplementari dei caccia statunitensi che una volta svuotati venivano sganciati, ora hanno trovato un impiego più a misura d’uomo, e rimangano bene impressi alla vista, vista che viene riempita dallo splendore delle solite montagne a picco questa volta sul fiume, il verde nel blu. Si prosegue fino a Ban Khoun Kham, chiamata anche Ban Na Hin, da dove una nuova strada asfaltata porta alla meraviglia assoluta del Laos, la grotta di Tham Kong Lo, dove un grande fiume sotterraneo di 7 km attraversa la montagna per sbucare nel mezzo del nulla o se preferite nel mezzo della foresta. Lungo il percorso che si snoda tra campagne e montagne sorgono alcuni villaggi dove si possono trovare GH oppure homestay, per accedere al parco si pagano 5.000k con diritto di parcheggio, poi una volta giunti alla reception, in puro stile da repubblica democratica popolare, un consorzio di barcaioli vi porterà a visitare la grotta. Un’imbarcazione costa 100.000k, ci si può stare fino a 4 (5.000k per l’entrata nella grotta), ma vista la risibile cifra meglio essere in 2 sull’imbarcazione per meglio vedersi la grotta. Il luogo è incantevole anche solo per fare il bagno, una piscina naturale verdissima sotto di una montagna a picco sormontata da guglie, sul lato dx c’è il piccolo accesso alle imbarcazioni (scarpe e bagagli si possono lasciare in biglietteria) ed una volta saliti sulla barca si salpa verso il buio e l’ignoto. In questo periodo l’acqua è scarsa, quindi occorre esser muniti di ciabatte o meglio scarpette da acqua altrimenti quando si scende a spingere le pietre del fondo tagliano la pianta dei piedi. Pare di entrare nel ventre della terra, il buio è totale, il timoniere ha una grossa torcia legata in testa che all’inizio serve per aver una minima idea di dove ci si trovi, poi pian piano gli occhi si abituano ma soprattutto l’udito fa capire in che punto della grotta si sia, quando il rumore del motore è forte probabilmente l’arco è non oltre i 20m, quando il motore sembra scomparire il tetto può essere a 100m di altezza! Considerando che il fiume arriva in alcuni punti fino a 100m di larghezza e che i canali interni sono infiniti, immaginate la destrezza del timoniere nel capire come procedere, visto che il percorso visitato prima di sbucare nel versante a valle è di 7km. Si fa sosta in un punto che viene illuminato quando visitato pieno di stalagmiti e stalattiti, spettacolo nello spettacolo, gli incroci con altre imbarcazioni si notano giusto per le luci da speleologhi che è sempre meglio portare (volendo si può noleggiare alla partenza). Alcuni passaggi non sono fattibili ed occorre trascinare la barca a braccia, il tutto da ancora più gusto, quando dopo un’ora si inizia a scorgere la luce alla fine del tunnel sembra veramente di ritornare al mondo, e che mondo! Siamo nel bel mezzo della giungla, un punto tra le montagne nel mezzo di un fiume, si fa tappa in un mini barcagrill dove mangiare e bere (se ci si accontenta, chiaro) e contemplare il luogo che non pare di questo mondo. Non ci sono strade per arrivare qui, la grotta sotterranea è stata scoperta ad inizio secolo, probabilmente le genti di qui prima avevano avuto rarissimi contatti con altre popolazioni perché raggiungibili solo a piedi ma facendo arrampicata sulle montagne. Ma non ci si sente di certo pionieri, si contempla un luogo che pare inventato e non ancora inglobato nel nostro modo di pensare. Poi rientriamo riattraversando la grotta che percorsa al contrario pian piano regala altri aspetti prima non incontrati. Arrivati al punto di partenza si resta senza parole a godersi il sole nella piscina naturale che fa da accesso alla grotta mentre i ragazzi locali praticano la petang, il gioco delle bocce importato dai francesi che qui impazza. Rientriamo prima che cali il sole a Ban Khoum Kham trovando alloggio allo splendido Inthapanya GH (60.000k per un chalet da dividere in 2, luogo veramente bellissimo), gestito da un laotiano rientrato da poco dal Canada dopo 33 anni di esilio. Parla inglese e francese, ci racconta un sacco di aneddoti sul posto, sulla storia, vuol sapere dell’Italia e dell’Europa, ci regala anche un’ora di internet, insomma in un attimo è già sera quando per noi sarebbe anche l’ultimo giorno del 2011, ma qui così non è, non si festeggia e trovare un ristorante aperto non è semplice. Fortuna che il Dokkhoum (33.000k) ancora accetta viandanti e non rimaniamo senza cibo. Percorsi 160km, tutti su strada asfaltata in decorose condizioni.
17° giorno
Colazione al Food Rest (20.000k) e dopo aver rifornito gli scooter ad un distributore vero e proprio sulla statale 8 partiamo in direzione ovest con sosta la posto panoramico di Sala, indicato sulla via. La vista spazia verso sud ed ovest, foreste e montagne che si intersecano, poi da qui inizia la discesa verso Vieng Kham dove si ritorna sulla statale 13, la principale del paese che collega Vientiane a Pakse. Andiamo a sud tra cortili invasi da funghi in essicazione, cercando la deviazione per Khoun Kong Leng che viene descritto come lo specchio d’acqua incantato più bello del Laos. Indicazioni vere e proprie non esistono, all’altezza del km 29 (seguire le pietre migliari per orizzontarsi) c’è però una via sterrata all’apparenza buona che si inoltra nell’interno, i primi 5km sono ottimi mentre la descrizione parla di percorso accidentato. Ed effettivamente questo arriva appena si inizia a salire, da qui ci sono almeno 5km pressochè infattibili con un mezzo che non sia una moto da cross, tra buche, guadi, tronchi ed ogni accidente che possa ostacolare il cammino si avanza pochissimo. Fortunatamente dopo 5km questo tormento termina ma lascia via ad un sentiero pieno di sabbia dove le piccole ruote degli scooter spesso finisco per perdere aderenza. Metteteci anche un bivio senza segnalazione ed il bello dell’avventura è centrato, al bivio prendiamo a sx perché il sentiero pare più frequentato, arriviamo ad un villaggio dove nessuno sa indicarci la direzione del lago, preseguiamo e ci si trova nel mezzo della foresta con infiniti sentieri che si diramano ovunque, fortunatamente un locale anche lui in scooter arriva in quel momento e ci fa capire che il nostro specchio d’acqua si trova sulla strada a dx al precedente bivio. Così ritornati sulla via prendiamo a dx arrivando dopo circa 2h al Lago del Gong della sera (5.000k per entrare e parcheggiare). Verde che pare finto, con montagne ad anello che lo cingono, senza nessuno da nessuna parte (al nostro arrivo il bigliettaio decide di rientrare a casa) ci si può tuffare per refrigerarsi e togliersi parte della polvere accumulata, l’acqua è fredda, quasi meglio buttarsi da un trampolino naturale posto su di un albero alla dx del punto di arrivo, poi tramite un piccolo ponte si può fare un percorso circolare per visionare il piccolo lago per intero. Se si volesse fare picnic in questo piccolo posto paradisiaco occorre portarsi tutto con se, qui non c’è nulla, oppure prendersi qualcosa al villaggio che si incontra 2km prima di arrivare, Ban Na Kheu (7.000k per bibita e snack…). Il rientro sulla statale porta via 90’ e quando rivediamo l’asfalto festeggiamo nemmeno avessimo vinto l’Eurolega! Rientrando in direzione di Tha Khaek facciamo tappa al nuovo ponte Laos-Thailandia visitando il vicino centro da dove si faceva il passaggio in precedenza via nave trovandolo già totalmente in abbandono dopo solo 3 mesi, le mucche sono padrone del luogo, le costruzioni sembrano fantasma e la morte pare padrona di un posto che fino a 90 giorni prima era l’unica via di comunicazione tra 2 grandi parti del sud-est asiatico. Sensazione fortissima di come il mondo possa cambiare in breve con piccole cose, anche se il ponte proprio piccolo non è, ma di fronte alla storia di millenni cambia la maniera di interderne la sua fruibilità. Facciamo in tempo a rientrare a Tha Khaek in serata, è già buio ma verso la città ci sono luci così ritorniamo alla GH dove avevamo lasciato in deposito gli zaini, ma problemi con la fornitura dell’acqua ci portano a cambiare alloggio finendo nel lì vicino Dokham GH (camera per 2 completa di tutto a 70.000k). Anche se abbiamo ancora a disposizione gli scooter (abbiamo percorso il giro in 3 giorni invece di 4, ma ci rimangono alcune cose che visiteremo l’indomani) la stanchezza ci porta a scegliere un ristorante nei paraggi finendo al Korea BBQ (38.000k) di qualità inferiore rispetto all’omologa soluzione di Vang Vieng. Percorsi 216km, di cui 40 tremendi tra sassi e sabbia.
18° giorno
Facciamo colazione attingendo in più negozi/bancarelle in città (in totale 9.000k per panino e caffè, sempre cifre irrisorie) e poi prendiamo per Tham Pa Fa la grotta dei buddha che si raggiunge tagliando le risaie che in questo punto sono già una visione tipica del sud-est asiatico come siamo abituati a pensarlo nel nostro immaginario. Così le soste sono ripetute ma senza fretta arriviamo al posto dove parcheggiare gli scooter (3.000k) in corrispondenza di una grande mercato dato che questa è la grotta più visitata oltre che dai viaggiatori anche dai locali. Si sale per una ripida scala dopo aver pagato 2.000k, all’interno le statue del buddha non si contano ma essendo utilizzata per le funzioni religiose non si riesce a visitare per intero (anche perché dovendo lasciare le scarpe all’entrata avventurarsi in un trekking al suo interno non sarebbe così semplice), quindi meglio godersi la grande vista dall’uscita e ripartire per la grotta di Than Xang (3.000k) che si trova dall’altro lato della statale, raggiungibile su 2 ruote passando o un guado impegnativo (non fattibile nella stagione delle pioggie) o su di un ponte da affrontare con tanto cuore. Visitatissima anche questa, forse perché vicino alla città e facilmente raggiungibile, siamo più noi ad essere lo spettacolo dei fedeli che la grotta ad esserlo per noi, se non per una grande roccia che vista da una particolare angolazione richiama un gigantesco elefante. Da qui andando a sud, prima costeggiano il Mekong poi rientrando sulla statale, arriviamo al venerato complesso di Pha That Sikhottabong (5.000k) col suo splendido stupa ad alzarsi orgoglioso sopra al grande fiume. Nei dintorni il mercato è pieno di bancarelle dove pranzare a qualsiasi ora (7.000k) e dopo un attimo di relax ritorniamo in direzione nord alla ricerca di quello che viene descritta la Grande Muraglia Laotiana. Ma prima di scorgerne parti appena all’uscita di Tha Khaek c’è una enorme statua di lavoratori che riempie la campagna, in puro stile sovietico, senza nessuna indicazione di cosa sia e chi l’abbia costruita, senza un custode e senza nessuno che la visiti, quindi di più non posso dirvi, se non che svetta orgogliosa con sullo sfondo le tipiche montagne della zona e che data 1946 come costruzione. I tratti della muraglia che si possono ancora scorgere nulla hanno a che fare con rimandi cinesi, questa se mai lo sia stata altro non era che un contrafforte divisorio non percorribile, l’unica caratteristica è che la giungla l’ha inglobata ed ora pezzi di muro di oltre 10 metri sono sovrastati da alberi e tronchi di enormi dimensioni. A questo punto rientriamo e riconsegnamo gli scooter, ci viene restituito il passaporto senza nemmeno che ci sia un minimo controllo, tutti amici in Laos. Ci godiamo il clima da nullafacenti di questa città in lenta espansione turistica grazie alle bellezze dell’interno del centro Laos, conversando con un po’ di gente vista più volte nel nord sempre sul lungofiume che da sulla piazza della fontana bevendo frappè alle frutte più strambe, o per chi vuoel la immancabile beerlao. Dopo un’ora di internet lungo Th Chao Anou (6.000k x ora) che viene spezzata da più di un blackout elettrico (nonostante il Laos punti a divenire la batteria dell’Asia qualche inconveniente c’è ancora la suo interno), è tempo di cena presso il popolare e frequentatissimo Sweet Home Rest (20.000k), cucina ottima ma non chiedete info su cosa siano alcune portate, nel dubbio non potendo spiegarlo ve le portano direttamente! Percorsi 86km.
19° giorno
Con un tuk tuk fermato lungo la strada (10.000k, poco numerosi, meglio muoversi in anticipo) raggiungiamo il terminal dei bus dove partiamo per Pakse (70.000k, 6:30’, il biglietto preso al momento visto che il giorno prima non era possibile acquistarlo ma ci avevano rassicurato sul fatto che avremmo trovato posto) dopo aver fatto colazione in stazione (15.000k) in una delle tante bancarelle. Il viaggio è tranquillo, prima di arrivare a Pakse ci si riavvicina al Mekong e veniamo scaricati al terminale nord, fuori città e senza di fatto nessun servizio. C’è giusto un tuk tuk (20.000k) che ci stipa tutti scaricandoci in pieno centro dove la scelta per pernottare è ampia. Optiamo per il Lankham Hotel (60.000k camera da 2 con doccia calda ed acqua potabilizzata) perché oltre ad avere camere decenti a prezzi buoni, un terrazzo dove poter ritrovarsi per chiaccherare con altri viaggiatori e mangiare, di fatto funge da agenzia turistica per qualsiasi cosa e meta, nei paraggi ed internazionale. Facciamo un giro della città il cui centro storico sorge incastrato tra il Mekong (qui veramente ampio) ed il Se Don notando che stanno sorgendo a più non posso locali all’aperto sul lungo fiume, segno che la città ha preso vita ed è diventata un punto importante per le destinazioni del Laos meridionale e per gli stati vicini, Cambogia, Vietnam e Thailandia. Si possono osservare alcuni Wat ancora ben conservati, anche se alla lunga appaiono tutti uguali e l’entusiasmo alla vista del primo wat lentamente lascia spazio ad una simile indifferenza (ma questo ovviamente non vale per quelli di Luang Prabang, sia chiaro). Ci organizziamo per i 4 giorni seguenti, optando per noleggiare all’hotel gli scooter (Honda wave 110cc per 50.000k al giorno, in alternativa Suzuki Smash a 60.000k, modello più recente e più prestante, ma viste le strade di qui nulla cambierebbe) con cui andremo a visitare Champasak e ad esplorare l’altopiano di Bolaven, e per entrambe le soluzioni lo scooter è sia la via più economica che più pratica, se non in certi casi l’unica (a meno di non avere tutto il tempo del mondo a disposizione e muoversi a piedi o con bici adatte al fuoristrada). Sulla via principale (quella che scende dal ponte francese per meglio intendere) c’è il Dao Linh (30.000k) un ristorante preso d’assalto dai viaggiatori della zona, molta della fauna in cui ci siamo già imbattuti nelle escursioni precedenti, così è normale ritrovarsi qui ai vari tavoli a gustare una cucina varia all’inverosimile (piatti laotiani ma anche vietnamiti o thailandesi), il tutto preparato a vista, ed anche questo è uno spettacolo. Dalla terrazza dell’hotel giungono le musiche che presumibilmente fanno da sottofondo nei locali sul Mekong, mentre qui da noi ci si può confrontare sui vari itinerati compiuti ed in previsione, e ci accorgiamo che siamo i soli a viaggiare un mese in Laos rientrando alla fine della visita, mentre tutto il resto del mondo qui a Pakse continuerà via Cambogia, la continuazione fisiologica del viaggio. C’è perfino una giovane coppia spagnola, o meglio basca, che disoccupati dopo aver lavorato in estate nei bar di Bilbao ha preferito lasciare la casa in affitto nel paese natio per starsene in questi luoghi dove la vita costa infinitamente meno. Da quassù si vede anche il grande ponte che attraversa il Mekong (quasi 2km, anche questo pagato a suo tempo dalla Thailandia), illuminato con luci verdi e blu, una chicca per il luogo.
20° giorno
Colazione al ristorante dell’hotel (15.000k) con scelte molto varie (c’è anche pane tipo baguette e nutella), poi in scooter si parte per il Wat Phu Champasak oltrepassando il grande ponte sul Mekong e prendendo la nuova strada che segue il fiume nel versante occidentale, così da evitare il traghetto come da sempre per raggiungere il complesso khmer che dista circa 40km. Ecco, appunto, appena si accenna ai siti khmer l’immaginario corre ad Angkor, ma nonostante in Laos questo complesso sia venerato, la visione non è questa meraviglia che si possa immaginare. Dall’ingresso (30.000k, compreso accesso al museo) si procede per un altro km dove si parcheggiano i mezzi a fianco del grande bacino artificiale che fa da ingresso al templio. Le rovine nella zona bassa sono in ristutturazione affidata ad una ditta indiana, non si può entrare perché i lavori fervono ed ovviamente lo spettacolo non è esaltante (grandi gru all’opera per intenderci, sfido a realizzare foto significative), salendo per l’imponente scalone centrale si accede alla parte alta questa sì più interessante anche perché il templio mette assieme simboli hindu misti al buddhismo arrivato in un secondo tempo, anche se la cosa più ammirevole probabilmente è la splendida vista sulla valle che arriva ben oltre al sito fino al Mekong. Qui la temperatura è decisamente più gradevole che al nord, ma non c’è traccia di quell’umidità che solitamente contraddistingue il sudest asiatico, effettivamente la stagione secca è veramente ottima per visitare questi luoghi, così decidiamo di allungare l’escursione verso altre mete nei dintorni scegliendo il Wat Muang Kang (chiamato in realtà Wat Phuthawanaram). Si può raggiungerlo lungo una strada sterrata dall’interno, ma in scooter o bici è possibile percorrere anche un sentiero sull’argine del Mekong passando per abitazioni tipiche della zona. Il Wat è visitabile anche se non pare che i monaci gradiscano eccessivamente i viandanti fuori dagli orari del tak bat, da notare una grande lavagna dove vengono apposti i nomi e le cifre fornite dai donatori. Rientriamo al villaggio di Champasak facendo tappa al Saythong Rest (frullati 5.000k, birra 10.000k) giusto per bere qualcosa godendoci il clima del posto in questo splendido ristorante con terrazza sul fiume, iniziando ad immergerci nell’atmosfera del luogo ed il ritmo cala precipitosamente, ma proprio questo è il Laos. Rientriamo a Pakse con largo anticipo così ci spingiamo a nord verso Ban Saphai, conosciuta come il posto dove si tesse la seta. Non aspettatevi chissà che, donne al lavoro su antichi telai se ne vedono, ma il posto pare più un punto di passaggio per l’isola di Don Kho che un antico sito di produzione tessile. Rientrati nuovamente in città ci concediamo una visita su internet in un posto in fronte all’hotel (5.000k per ora, collegamento veloce) per ritornare a cena al Dao Linh Rest (33.000k), al solito strapieno di gente e sempre qualità buona. Fine serata a ritemprarci al Thaolong, un centro massaggi a fianco dell’hotel, dove un massaggio articolare di 1h costa 35.000k e sistema per bene la schiena che negli spostamenti in scooter, su strada in discrete condizioni, paga dazio. Percorsi 129km, nessun problema nel reperire benzina anche perché l’Honda Wave non consuma proprio nulla.
21° giorno
Colazione al ristorante dell’hotel (15.000k) poi si parte per il percorso circolare meridionale che sarebbe il giro dell’altopiano di Bolaven. Chi noleggia gli scooter fornisce sempre una mappa dettagliata del percorso ma fondamentale si rivela la descrizione precisissima che si trova sulla LP. L’anello si può fare in quanti giorni si vuole, o meglio si ha a disposizione, perché le estensioni potrebbero essere infinite, noi decidiamo di dedicare 3 giorni e di conseguenza regoliamo visite e km in base a questo programma, molto empirico va detto. Si scende verso sud ed all’uscita di Pakse si prende per Paksong ma al km 21 (qui tutti i paesi si chiamano col numero dei km, quindi Lak …) si devia verso nord-ovest sulla statale 20 iniziando la visione delle tante cascate, Tad Phasoume (7.000k) la prima, poi Tad Lo con le sue 3 cascate, la prima decisamente più alta e spettacolare anche ora che l’acqua è poca. Le indicazioni non si sprecano ma si trovano, il giro di Tad Lo si può fare dall’interno in scooter e la vista ci guadagna molto. Qui facciamo tappa per spezzare la giornata, vari sono i posti, infinita la tranquillità, noi scegliamo il Rest. Tam (17.000k) ma direi che una valga l’altro. Temperatura ottima, molti anche i posti dove pernottare, caratteristici perché danno direttamente sulle cascate ma di notte il rumore non può di certo fermarsi. Volendo si possono anche fare escursioni a dorso di elefante, che in uno dei resort se ne stanno in tranquillità di fatto liberi di andare dove meglio credono. Riprendiamo la via salendo verso Thateng su di una strada ora asfaltata, fiancheggiando vari villaggi katu, che anche ad un occhio poco pratico si distinguono da quelli lao. Ci stiamo per inoltrare nell’altopiano vero e proprio, ma l’escursione la lasceremo ai giorni successivi. Prima di arrivare al paese si incontrano alcuni distributori di benzina, poi proseguiamo sulla statale 16 destinazione Sekong dove arriviamo al calare del sole esausti per i tanti km quasi tutti su buone strade ma comunque alla fine stancanti. Sekong non è proprio un luogo turistico, non è facile trovare un posto da dormire, né in centro vicino al mercato né sulla statale che porta ad Attapeu. Le attrattive della zona sono le cascate e le non facile spedizioni verso il confine vietnamita sul sentiero di Ho Chi Min, ma evidentemente è più un parlarne che un andarci. A fatica troviamo posto in una grande struttura praticamente vuota, il Pasaxay (80.000k camera per 2 completa di tutto), dove facciamo conoscenza di un inglese di origine siriana che ci segnala come se il dormire sia un problema il cenare sia anche peggio, perché chiusi i mercati le alternative son quasi pari a zero. C’è giusto un postaccio, Phuong (18.000k) sulla statale proprio all’uscita dell’albergo dove la proprietaria serve riso con carne non identificata e verdure lontanissime dal commestibile. Questo c’è e quindi finiamo per nutrirci qui, pagandone in seguito le conseguenze (quando incontreremo in seguito Rifis ci dirà di aver avuto gli stessi nostri problemi intestinali…). Unica nota positiva il caffè alla vietnamita, veramente gustoso ma occorre tempo per la procedura completa. Del resto come non aver tempo a Sekong? Buio pesto in città, così ne approffitiamo per riposare dopo 196km.
22° giorno
Non serve la sveglia, la radio nazionale dalle 6 irradia nel paese le notizie del Pathet Lao (direi unica parola che intendo, anche perché ripetuta tante ma tante volte), colazione sempre da Phuong (10.000k) poi prendiamo verso sud iniziando ben presto le deviazioni per visitare le cascate in zona. La prima, appena usciti dal paese, è sulla sx a Tad Faek, una cascata multipla che si raggiunge al termine di un sentiero non segnalato dove sbagliare è più facile che indovinare. Ma la cascata merita, anche perché vi si trova un punto di osservazione e l’altopiano sullo sfondo rende l’insieme proprio bello. Da qui rientriamo sulla statale e dopo pochi km c’è una nuova deviazione sempre sulla sx per Tad Se Noi, meglio conosciuta come Tad Hua Khon, la cascata delle cento teste. Il perché risale ad un fatto avvenuto durante la seconda guerra mondiale quando soldati giapponesi decapitarono un centinaio di soldati laotiani gettando nella cascata le teste. Al di là del fatto, la cascata anche se ampia non è particolarmente scenografica. Da qui rientriamo sulla statale e scendiamo sino al villaggio di Ban Lak (ovvero km 52) da dove una via sterrata risale l’altopiano fino a Paksong. La strada, larga alla partenza peggiora velocemente ed i 71km sono molto pesanti, però scenograficamente spettacolari oltre l’immaginabile, ma vanno “guadagnati”. Si risale una vallata verdissima che contrasta con la terra rossa e sullo sfondo le prime piantagioni di caffè qui portate dai francesi che ora sono la coltura dominante di Bolavan. Lo sterrato migliore termina dopo nemmeno 3km, dopo si va come si può, quando non si passa da una buca all’altra è solo perché sabbia infinita ricopre il tutto e la tenuta di strada non è facile. Nessuna indicazione per le 2 cascate che sono la particolarità del posto, anche le indicazioni che abbiamo al seguito lasciano il tempo che trovano perché è tutto in rifacimento così i riferimenti del tipo “dopo 3 ponti e 2 aperture nella giungla…” servono a poco. Per pura fortuna fermo un abitante del luogo in scooter che qualche parola di inglese la conosce così mi spiega dove vedere la prima cascata (facile perché lungo il percorso), ma soprattutto da quella come incontrare la seconda altrimenti non visibile. La prima di queste cascate di cui non sono risalito al nome in nessuna maniera si vede lungo il versante dx del percorso ed è una sosta obbligatoria anche per riprendersi, c’è un piccolo sentiero che scende fino alla parte alta, ma la vista dalla strada è migliore. La cascata sarà sui 30m, ma sorge nel mezzo della giungla e la vista è ottima, da qui si continua fino a dove il percorso si inerpica a dx in mezzo a lavori che devastano il fondo, e proprio lì un piccolissimo sentiro scende a sx verso Nam Tak Katamtok, la più spettacolare delle cascate laotiane, perché al di là dell’altezza (120m circa) la si vede sbucare in mezzo alla giungla dopo aver tagliato un sentiero nemmeno indicato, quindi più un’esplorazione in totale autonomia che una vista di una cascata e nulla più (in seguito abbiamo incontrato gente che non è riuscita a trovarla). La vista sarebbe migliore verso sera quando il sole la illumina, ma visto dove ci si trova meglio riuscire in un modo o l’altro a vederla accontentandoci per essere arrivati sani e salvi fin qui (e soprattutto non dover far nottata in questo luogo). Continuiamo nel mezzo dell’altopiano, vista spettacolare, non si incontra quasi mai nessuno, in corrispondenza delle poche abitazioni tutti si fermano a salutare, si è sempre i benvenuti. Facciamo tappa a Huaykong, che sarebbero 5 case ed un po’ di terre coltivate ma che a noi pare una ridente cittadina dove pranzare (13.000k, per foe e nam deum, meglio imparare il laotiano per sopravvivere in questi luoghi) e riposarsi. Le distese di caffè ad essicarsi iniziano ad essere una costante ovunque, meno un enorme istrice ucciso con una sciabolata lasciato a dissanguarsi a fianco del tavolo dove pranziamo. La gente del luogo è comunque integrata tranquillamente coi viandanti, per quanto questo sia un luogo più remoto di altri del Laos, si rimane sempre tra gente civilissima ed informata di quanto succede in giro, solo che causa principalmente strade il posto è ancora poco battuto. Riprendiamo gli scooter pensado che il peggio sia passato ed in effetti la prima parte del percorso migliora decisamente, così decidiamo di fare alcune deviazioni per visitare le piantagioni di caffè con alberi alti fino a 5 metri coperte all’inverosimile di caffè, ma ad un certo punto la via viene coperta di ghiaia, diventa più trafficata e si trasforma in un vero e proprio inferno. Anche se i cartelli stradali ne vieterebbero l’accesso, siamo costretti a calpestare il percorso a fianco in preparazione per una prossima asfaltatura, ripetutamente annaffiato ma almeno percorribile senza eccessivi rischi. Arriviamo a Paksong sul calare della sera, non certo una città ma comunque un paese, facciamo tappa al bel Simmali GH (60.000k per camera da 2 completa di tutto e rimessa al coperto per gli scooter), il proprietario parla inglese così recuperiamo un po’ di info sul posto e sul vicinato, ci consiglia un ristorante nei paraggi in modo da non dover muovere nuovamente i mezzi finendo così al Nha Hang (25.000k), frequentato anche dai giovani del posto. Al termine di 111km veramente duri crolliamo di sonno appena terminata al cena, dove finiamo gustando il solito caffè alla vietnamita.
23° giorno
Colazione da Nang Aueng (8.000k) poi pian piano iniziamo il lungo percorso delle cascate, ce ne sarebbero ovunque, scegliamo come prima Tad Yuang (3.000k per parcheggio+5.000k per ingresso) al km 40, poco dopo l’uscita da Paksong. Cascata spettacolare, con possibilità di vista frontale e di passaggio su entrambi i lati, da qui a piedi si potrebbe raggiungere anche la vicina e più famosa Tad Fane (3.000k parcheggio+5.000k ingresso) ma avendo gli scooter al seguito sarebbe solo tempo perso. Probabilmente Tad Fane (in corrispondenza del km 38) è la più alta cascata del Laos, a doppio getto in una grande buca dove con l’attuale vegetazione non si riesce nemmeno a vedere la caduta completa, peccato solo che di mattina la luce non sia buona. Dalla parte opposta della strada c’è l’indicazione per Tad Champee che però non è facile trovare. Ci sono 2 bivi senza indicazioni, al primo occorre prendere a sx, al secondo continuare diritto, poi ci si trova nel mezzo di un bosco e lì in tutta onestà siamo andati a sentimento assieme ad altri viandanti che avevano già errato strada, proprio grazie anche ai loro errori siamo giunti alla meta (3.000k+5.000k), si scende alla cascata in un scenario naturale molto bello, una volta arrivati alla base si può fare il giro dietro al getto principale, non alto va detto, ma nel contesto questa cascata è veramente affascinante. Da qui riprendiamo la statale con ennesima sosta a Tad E-tu (3.000k+5.000k) all’interno dell’omonimo resort, al km31. La discesa alla base della cascata passa per una lunga e malridotta scalinata, lo spettacolo è pero bello ma si trova più gente, probabilmente i facoltosi visitatori che fanno base al lussusissimo resort. Dopo questa ubriacatura da cascate iniziamo a scendere dall’altopiano di Bolaven, le piantagioni di caffè salutano il nostro viaggio e la temperatura inizia ad alzarsi di vari gradi. In corrispondeza del km21, dove c’è il bivio tra le strade che percorrono l’altopiano facciamo tappa in una delle tappe rivendite di frutta scegliendo quella di una signora che ha banane in ogni dove. Alla fine le banane ce le offre, così paghiamo solo il bere (5.000k per le bibite/caffè freddo ed i soliti 10.000k per la beerlao grande) e con tutta calma rientriamo a Pakse al Lankham GH dove consegniamo gli scooter (controllo pressochè nullo, restituzione al volo del passaporto) e ci riprendiamo gli zaini che avevamo lasciato per i 3 giorni sull’altopiano, poi ci viene ridata la stessa camera dei giorni precedenti. Qui sbrighiamo anche tutte le pratiche dei giorni seguenti, biglietti per Don Khon e per il rientro a Bangkok a prezzi più concorrenziali che nelle tante agenzia in città. Essendo l’ultima città vera e propria del Laos ne approffitiamo per recuperare un po’ di cose allo shopping center locale, una via di mezzo tra un mercato tradizionale ed un centro commerciale, dove si trovano tanti prodotti per l’occidente ma a prezzo da Laos (per intenderci qualsiasi paio di sneakers di marca non passa mai i 100.000k, meno di 10€), mentre se intendete procuravi souvenir non è luogo (meglio in alcuni posti sulle isole del Mekong, a sud come vedremo nei giorni successivi). Dopo aver ripreso contatto col mondo ad un internet point (5.000k x ora) per cena ritorniamo a viziarci al Daolinh Rest (36.000k) rivendendo un po’ di facce già scorte in precedenza. Niente più caffè alla vietnamita, ma comunque un buon caffè laotiano è sempre disponibile. Poi per sistemare la schiena dopo i 371km in giro per l’altopiano (come già detto, alcuni veramente pessimi) un massaggio articolare al Thaolong (35.000k per un’ora) dove la schiena suona come una batteria a tempo di rock. Percorsi 64km in scooter, gli ultimi del viaggio su questo tipo di mezzo.
24° giorno
Colazione al solito nel rist. attiguo all’hotel (15.000k) poi con Pakse Travel (70.000k per bus e barca, 3h) partiamo per Shi Phan Don, o meglio le 4.000 isole del Mekong. Il servizio bus non è quello di linea e ci vengono a prendere all’hotel, facciamo una sosta lungo il percorso per cibo e bisogni fisiologici poi stop ai due luoghi di imbarco, il primo a Ban Hat destinazione l’isola di Don Khong ed il secondo a Ban Nakasang per le isole di Don Det e Don Khon. In questo punto del Mekong il fiume si allarga fino ad oltre 16km nella stagione delle pioggie, poco meno in quella secca come ora dove affiorano tantissime isolette sabbiose, mentre le 3 citate (va detto assieme a molte altre) sono permanentemente raggiungibile ed abitate. Don Khong, la più grande a nord, la scartiamo perché sulla carta contiene meno attrattive, Don Det è famosa per la movida mentre Don Khon la più tranquilla e pacifica contiene anche la maggior parte di luoghi di interesse, così optiamo per questa anche perché collegata con un ponte a Don Det oltre al fatto che dopo essere sempre stati in movimento continuo vogliamo utilizzare questi ultimi giorni per riposarci e vivere l’atmosfera del luogo al ritmo locale. A Ban Nakasang sembra di essere ai mercati generali, si deduce velocemente che chiunque passi per il Laos qui terminerà il suo percorso (prima di entrare in Cambogia e continuare il viaggio, confrontandoci con tutti gli altri presenti sull’isola risultiamo di nuovo gli unici a dover far ritorno dopo aver visitato solo il Laos…), la barca per andare all’isola è una scelta non propriamente semplice, al momento di imbarcarci la si cambia varie volte (con zaino lanciato al volo da una all’altra) perché tutti i barcaioli abbiano un numero di passeggeri congruo, poi ci inoltriamo tra i tanti bracci del Mekong lambendo un bel wat, e facciamo scalo a Ban Khon, di fatto l’unico villaggio sull’isola che grazie al turismo si espande su tutto il lato nord dell’isola, divisa in 2 dal ponte che collega Don Det e dove occorre pagare la tassa di soggiorno per muoversi nella parte ovest (20.000k al giorno). Nel luogo di approdo, dove le palme fiancheggiano il grande fiume, i bungalow sono ovviamente più cari che altrove in Laos così decidiamo di fermarci in una GH sul lato interno, Prasaya Xaymountry Village (40.000k camera per 2 con ventilatore ed acqua depurata ma doccia fredda), tipica costruizione laotiano palafittata molto bella e caratteristica, possibilità di soggiornare con amache nella parte sottostante e vecchie poltrone di vimini sulla grande terrazza all’ingresso, oltre al wi-fi gratuito. Mangiamo qualcosa nel ristorante infronte, Somchaipong (18.000k) e ci accorgiamo che qui occorre tempo per ogni cosa, ma del resto chi ha scelto di vivere qui è ricco proprio di quello. A piedi iniziamo l’espolarazione della zona ad est dell’isola prendendo per il Wat Khon Tai, poi scendiamo sul sentiero che costeggia l’isola passando tra varie abitazioni, notando che nel fiume i grandi bufali sono padroni assoluti dell’acqua, fino ad arrivare alla deviazione per Don Pak Soi, raggiungibile su di un piccolo e traballante ponte che sorge sopra alle rapide. Eh sì, qui il Mekong non è navigabile in nessun punto, tra la parte nord e quella sud delle isole della zona ci sono circa 50m di dislivello, in ogni braccio o canale del fiume sorgono cascate e rapide, alcune veramente spettacolari ed a causa di questo fenomeno naturale i francesi durante il periodo coloniale costruirono una linea ferroviaria per collegare le 2 parti del fiume in modo da far scendere a valle le tante merci provenienti dal nord, in primis il legname. Ma non solo, anche alcuni tratti del fiume son stati sistemati con barriere protettive in modo da guidare parte dei carichi il più a sud possibile così da limitare al massimo l’uso del treno, che si rivelò però assolutamente necessario. Continuiamo a scendere a piedi verso sud, ma lo sterrato si inoltra nella giungla interna e dopo oltre un’ora dalle rapide decidiamo di rientrare alla base tagliando per le risaie al momento non predisposte all’uopo. Quando arriviamo alla GH è già calato il sole e non riusciamo a gustarci quello che ci accorgeremo in futuro essere lo spettacolo assoluto del luogo, spettacolo che come un pifferao magico attrae a se tutti i visitatori del posto, il tramonto sul Mekong. Vabbè, sarà per i prossimi giorni, finiamo a cenare al Chantaumma Rest (43.000k) scelto anche perché uno dei pochi pieni di gente ma che ci lascia insoddisfatti, come molti altri clienti presenti al nostro fianco. Finiamo la serata seduti sulle poltrone della GH immersi nella lettura alternata alla visione del cielo stellato, con sottofondo di ventilatore come se i bei tempi andati delle terre di oltremare francesi fosse ancora attuale.
25° giorno
Colazione al Somchaipong (19.000k) di fronte alla GH, poi cambiamo base rimanendo sempre nello stesso villaggio ma scegliendo un bungalow da Guyon &Lina’s GH (bungalow completo di tutto, volendo anche x 3, a 50.000k) che non da direttamente sul fiume ma sul lato interno della via principale, dotato di comode amache sulla terrazza d’ingresso. Il titolare chiamato Papa da tutti fa di tutto, da albergatore ad agenzia di viaggio, internet point e ristoratore, forse per il fatto di accompagnare qui da lui anche una coppia tedesca già incontrata svariate volte lungo il cammino non ci fa pagare il noleggio bici (10.000k al giorno, non serve lasciare i documenti) con le quali partiamo per l’esplorazione dell’isola e nel pomeriggio di Don Det. Pagata la tassa di soggiorno (20.000k) entriamo nella parte ovest di Don Khon e rimiriamo la locomotiva francese che trainava i treni che attarversavano le isole (la storia della costruzione delle ferrovia è narrata in vari pannelli con traduzione in inglese) poi ci dirigiamo a Tat Somphamit anche conosciute come le cascate di Li Phi. Distano poco più di 1 km dal villaggio, si entra pagando un biglietto di 20.000k e 1.000k per il parcheggio delle bici, il luogo pare subito turistico perché bar e ristoranti si susseguono a bancarelle dove vendono souvenir, soprattutto t-shirt (in media a 20.000k cadauna), ma la passeggiata per le cascate è cortissima. Lo spettacolo è inaspettato, il grande, maestoso e placido Mekong da sfogo la suo cammino riversandosi in varie cascate e rapide che poi si riprendono in uno stretto canyon, decisamente non navigabile ma percorribile in torrenting alla quale attività molti giovani escursionisti stanno preparandosi (si ouò prenotare seduta stante, poi veirificheranno la disponibilità per la giornata). Il luogo ha una valenza importante per gli abitanti del posto perché le rapide secondo la leggenda intrappolano gli spiriti cattivi lasciando in seguito tranquillo il fiume. Spiriti o meno il posto è affascinante e se solo si vede il fiume qualche km a monte o valle pare impossibile che questo tratto sia ovunque coperto di passaggi del genere. Dopo aver gustato un’enorme noce di cocco (5.000k, una volta bevuta l’acqua viene affettata e servita con cucchiaio) da qui sempre in bici prendiamo il sentiero interno destinazione Ban Han Khon, il villaggio all’estremo sud dell’isola e del Laos (1.000k per il parcheggio delle bici), luogo di una pace e tranquillità fuori dal tempo, base di partenza per l’escursione ai delfini dell’Irrawaddy, enormi delfini di acqua dolce caratterizzati dal muso tondo. Al molo costruito a suo tempo dai francesi è possibile affittare imbarcazioni per l’escursione qui dove il fiume torna ad unire i suoi tanti canali, l’escursione dura indicativamente 60’ ed una barca che può portare fino a 4 persone costa 60.000k, sul posto costituiamo una piccola armata brancaleone con gente proveniente da tutto il mondo, così una giovane coppia slovena ci appare qui come i nostri vicini di casa. Non contrattate l’escursione all’arrivo sull’isola a Ban Khon perché vi chiedono cifre approssimativamente del triplo rispetto a quanto vogliono i pescatori del posto, oltre ad essere sicuri che questi soldi vadano direttamente a loro. I delfini non sono facili da avvistare, non tanto perché in forte dimunizione quasi al limite di estinguersi, ma perché emergono qua e là senza una logica ed il fiume è percorribile solo in una parte, il lato laotiano, non è possibile spingersi in quello cambogiano, di cui si vedono alcuni villaggi sulla sponda. I barcaioli sono bravi ad udire le voci dei delfini che stanno per emergere a respirare, così piano piano anche noi entriamo in sintonia con queste sensazioni, però avere la tempistica per fotografarli è quasi impossibile, questi delfini non vengono a giocare a fianco delle imbarcazioni, anzi tendono a spostarsi da queste. Nel mezzo del fiume il caldo si fa intenso visto che la barca su cui mi muovo non ha ripari (alcune hanno una piccola tettoia, altre no), ma la vista dei musi di questi strambi delfini riappacifica col grande fiume e quando ritorniamo sull’isola non si può non rimanere da queste parti a riprendersi in uno dei piccoli ristoranti con vista sul fiume. L’Alounvanmai (19.000k) è l’ideale se non si ha fretta, ritorniamo alle visite con una vecchia e minuscola locomotiva giapponese che giace sul luogo dove poter apprenderne la storia, da qui ci inoltriamo nel sentiero che tornando a nord prende ad ovest destinazione Kong Ngay, l’unica vera e proprio spiaggia dell’isola con tanto di sabbia stile riviera adriatica. Si trova proprio alla fine del canyon dove corre intrappolato il Mekong in uscita da Li Phi, ma noi ritorniamo in paese e tagliando dal vecchio ponte adibito a percorso ferroviario (ora i binari non ci sono più) entriamo nell’isola di Don Det, il luogo della movida laotiana. All’uscita del ponte seguiamo la via principale (ovviamente sulle isole non c’è traccia di asfalto) arrivando al molo dove le navi venivano rimesse in acqua scese dal treno e dove iniziano a trovarsi i tanti locali per i turisti, GH e bar/ristoranti. Più si va a nord più il posto pare il vero e proprio divertimentificio della zona, a qualsiasi ora del giorno e presumibilmente delle notte tutto è aperto e a disposizione così ci fermiamo in uno dei locali all’estremo nord, difficile da distinguere uno dagli altri, e dalla frequetazione “mondiale”. Si può far tappa alla spiaggia (ma in pochi si avventurano in acqua), bere, mangiare, ballare, insomma far casino indisturbati ed il fatto che le GH stiano diventando sempre più numerose è segno che il luogo è particolarmente apprezzato. Per rientrare scegliamo il versante ovest, chiamato banalmente sunset boulevard, nome però appropriato perché il tramonto regala uno spettacolo splendido, tra le tante sgangheratissime GH rincontriamo anche Saverio, l’italiano di Jesolo che qui passa il suo periodo invernale, poi pedalando speditamente raggiungiamo il ponte tra le isole da dove una fitta parte di viandanti ammira un fantastico tramonto. Ci fossero, verrebbero distribuiti i bigliettini numerati spaccacoda, il ponte funge da gradinata naturale per questo spettacolo tra sole, fiume e montagne sullo sfondo, con le piccole imbarcazioni dei locali a solcare le placide acque del Mekong. Ma appena il sole scende il buio la fa da padrone, l’illuminazione pubblica a Don Khon non c’è, le GH o i ristoranti che sono sulla strada danno una mano a muoversi evitando le buche con le loro luci interne, meglio avere al seguito la propria torcia. Ceniamo, ottimamente, al Cafè Mekong Fish (26.000k), oggi aperto e con diversi piatti succulenti, ma qui è meglio non fare affidamento per il domani su quello che si incontra oggi. A Don Khon dopo le 21 non vola più una mosca, i rumori che si sentono arrivano da Don Det e seppur attenuatissimi durano di fatto per tutta la notte.
26° giorno
Colazione al Somo Oh’s Rest (15.000k) che sarebbe poi il ristorante sul Mekong della GH, chiamato anche Don Khonepasoy, mille nomi per il medesimo luogo, ma qui pare molto normale. La fretta in questo luogo è totalmente sconosciuta, così mentre attendiamo di far colazione ci godiamo i colori splendidi della mattina mentre la gente del posto si lava al fiume (nonostante abbiamo tutti i bagni in casa) e nel frattempo lava la verdura e le vivande varie. Il Mekong come flusso di vita all’ennesima potenza insomma. Diciamo che un’oretta per far colazione ci sta tutta qui dove il tempo deve essere goduto e non gettato in futili corse, poi andiamo a piedi a visitare le rapide ad est dell’isola avendo appreso che attraversando la piccola isola di Don Som (privata, ma raggiungibile su di uno scassatissimo ponte) si accede a questa ennesima caduta del fiume e passaggio precluso alle imbarcazioni. Costeggiamo per interno la parte nord-est dell’isola passando a fianco dei tagliatori di noci di cocco, una piccola catena di montaggio senza macchinari, ragazzi agili salgono sulle piante, tagliano e legano le noci e le calano a basso dove donne e ragazzi le puliscono togliendo la scorza (agli uomini viene lasciata la pesca con le barche, oltre alla gestione della strutture a contatto col turismo). Il numero di frutti è incalcolabile, vien da chiedersi come facciano questi alberi a produrne così tanti, le parti sottostanti alle tipiche abitazioni laotiane sono invase da un quantitavo incalcolabile di noci di cocco. Raggiungiamo l’isola di Don Som dove non è consentito entrare con bici o scooter, pare in stato di abbandono anche se ufficialmente dovrebbero attrezzarla per un turismo più esclusivo che altrove, in breve arriviamo alle rapide che sono molto più ridotte di Tad Somphamit, di fatto costituite da una sola grande cascata molto larga denominata Etouod (ma sul nome non garantisco). All’uscita dell’isola sorge in posizione strategica sulle rapide un ristorante che però non ha praticamente nulla da servire, così decidiamo di rientrare alla base ma attraverso le risaie asciutte incontrando branchi di bufali che pian piano si stanno dirigendo verso le acque del grande fiume. Zigzagando a caso sul percorso interno che un tempo faceva da base per la ferrovia, una volta giunti a Ban Khon ci rifocilliamo al Kheam Khong Rest. (20.000k) che serve ottimi frullati misti al caffè. Lentamente ce ne torniamo alla GH per finire la giornata spaparanzati sulle amache a disposizione sotto al portico antistante il bungalow prima di ammirare uno splendido tramonto che costringe ad infiniti scatti fotografici. Dal rest. della GH, di fatto una palafitta sul fiume, si gode di una vista privilegiata e così il posto diventa tappa di un buon numero di viandanti, ormai ci conosciamo tutti se non di persona almeno di vista. Dopo l’utilizzo dei pc della GH per una veloce navigazione in internet (10.000k x ora, ma trattabilissimi, la nipote di Papa che sparlicchia qualche parola di inglese fa sempre pagare giusto 30’…), anche se il servizio wi-fi è gratuito per chi arriva dotato di zavorra sulle spalle….è tempo di cena e finiamo al Khampasong Rest (37.000k), sempre nella parte ad est del paese, qualità minore rispetto al giorno precedente ma qui i ristoranti alla sera sono aperti a turno, nonostante spesso chi ci lavora dentro sia sempre la stessa gente. Luci che si riflettono sul fiume in veloce spegnimento se volete approffitarne per scatti fotografici consigliabile farlo prima di cenare, altrimenti l’illuminazione lascia spazio al buio di Don Khon e sul lato sud anche di Don Det. Fortuna che la luna splende alta in cielo e pian piano abituandosi si può girare quasi come se ci si vedesse benino.
27 ° giorno
L’ultimo giorno vero e proprio di Laos decidiamo di godercelo al ritmo rilassato di queste splendide isole, quindi colazione a velocità da bradipi al solito Somo Oh’s (20.000k) con un gigantesco pancake alla nutella, accompagnato dal solito caffè laotiano che spesso al sud viene affiancato dal the servito come un dipiù alla colazione. Dopo aver dato indicazioni sui luoghi di maggior interesse ad un gruppo spagnolo, aver consigliato alcuni cechi (repubblica Ceca per intenderci) ed aver salutato la coppia tedesca in partenza per la Cambogia decidiamo di far giornata in totale tranquillità comodamente a riposo sulle fide amache. Le fatiche maggiori sono alzarsi per andare a comprare qualcosa da mangiare o bere (per questo le noci di cocco sono fantastiche) ma soprattutto svoltare le tantissime pagine dei libri in lettura. Probabilmente questo è proprio lo spirito giusto per gustarsi le 4.000 isole del Mekong, una pace assoluta che contagia chiunque decida di fermarsi per più di una giornata, a fianco di gente fantastica che non nega mai un saluto ed un sorriso ed un clima in questo periodo dell’anno perfetto, sole di giorno ma non caldo eccessivo mentre di sera la temperatura cala ma permette di starsene a bordo fiume in maglietta e nulla più, umidà zero ed insetti idem. Ma dopo tanto riposo scelgo un posto ideale per attendere il tramonto, il sole pian piano incendia il Mekong in modo incredibile, tanto che l’acqua pare veramente fuoco, nel frattempo le donne che vanno a far scorta d’acqua regalano un contrasto incredibile, mentre le barche dei pescatori che tornano alla base spezzano l’immagine che pare finta dando movimento ad un quadro d’autore. Anche questa sera ci troviamo in tanti a fotografare questo spettacolo naturale, tanto che anche i fotografi diventano uno spettacolo nello spettacolo. Per cena ritorniamo al Cafè Mekong Fish (30.000) dove incontriamo alcune persone con cui avevamo condiviso alcuni tratti in precedenza, ed abbiamo la conferma come la cucina di Sekong abbia creato problemi non solo a noi! Finiamo di nuovo a dare info sull’isola di Don Khon agli amici di qui, incuriositi dal fatto che domani rientreremo pian piano verso casa senza proseguire a sud, la cosa più normale da fare in questo posto. Ma non vogliamo farci ulteriormente del male e dopo un giro di saluti è tempo di rientrare, ultima notte laotiana in vista.
28° giorno
Colazione al solito ritmo lento da Some Oh’s Rest. (20.000k), poi dopo un veloce giro del villaggio è già ora di imbarcarci per ritornare a Pakse. Il viaggio di ritorno lo abbiamo preso qui in GH trattando con Papa che fa di tutto (45.000k) risparmiando decisamente rispetto agli altri viaggi offerti sull’isola, in più si parte proprio da qui perché Papa usa la sua imbarcazione. E’ un ciclo continuo il suo, parte con noi alle 11 appena rientrato da una escursione di 3h alle rapide con le ragazze spagnole che stazionavano anche loro alla GH, 30’ e siamo a Ban Nakasang che ora sembra enorme e permeata da una confusione incredibile, è sempre Papa, dopo averci salutato come fossimo grandi amici di una vita, a trovarci il bus giusto (non ci sono quelli di linea in paese ma solo sulla statale che va da Pakse al confine, ma infiniti bus o minivan vari) col quale rientriamo, molto lentamente, verso Pakse dove arriviamo dopo 3h ed in ritardo scaricati alla stazione dei bus sud. Di corsa con una specie di tuktuk (15.000k) arriviamo giusto in tempo al Lankham Hotel a ritirare i biglietti per Bangkok (235.000k, viaggio completo circa 14h, comprese soste e passaggio in frontiera, volendo la parte thailandese si può fare in treno per 320.000k complessivi) comprati in precedenza. Da qui partiamo su di un minivan verso Vang Tao, posto di frontiera laotiano che raggiungiamo in circa 45’, le operazioni in dogana sono velocissime, dopo a piedi andiamo al confine. E’ praticamente tutto chiuso nella zona laotiana, banche comprese, così cambiare i kip è possibile solo con le guide che ci accompagnano da un posto di frontiera all’altro, alla fine lo riusciamo a fare una volta regolarizzato l’ingresso in Thailandia dove l’accompagnatore laotiano ci indirizza ai mezzi a seconda delle varie destinazioni. Da notare che questi accompagnatori vengono fotografati da agenti thailandesi appena mettono piede sul suolo del loro regno, anche immaginandone il motivo non lo comprendo visto che da tanto tempo fanno sempre questo mestiere. Fondamentale cambiare i kip rimasti perché non hanno validità fuori dal Laos, i cambi incontrati a Ban Nakasang erano peggiori di quanto ricevuto brevimano qui, poi sul solito tuk tuk andiamo alla stazione dei bus di Chong Mek riprendendo confidenza con la guida a sx. C’è il tempo per mangiare qualcosa al terminal dove ci incontrano alcuni piccoli locali ed una rivendita poi si parte col pulman alle 17 precise, con aria condizionata al massimo livello non regolabile, fortuna che il bus è dotato di panni stile rifugio alpino. Lasciato Chong Mek si va verso Ubon Ratchatani su grandi e larghe autostrade, le strade tutte buche e sterrato del Laos sono subito dimenticate. Nelle varie fermate non c’è tempo per scendere a cenare, ci vien detto che prima che si abbasseranno le luci faremo una sosta in un posto attrezzato e così è, nel mezzo del nulla ci fermiamo poco dopo la mezzanotte in un gigantesco ristorante dove all’interno ci sono almeno 50 tipologie di rivendite di cibo. Veniamo anche serviti di un buono da 15b da utilizzare all’interno, è possibile trovarci veramente di tutto e di più quindi qualcosa da ingurgitare lo pesco, per quanto riguarda il bere nel mezzo ci sono dei distributori di acqua depurata gratuiti. Risaliti con pancia quasi piena è facile cadere addormentati sulle poltrone reclinabili ben avvolti dalle coperte per evitare l’ibernazione.
29° giorno
Arriviamo ad una delle enormi stazioni di Bangkok (non chiedetimi quale, in pieno sonno non mi son posto quel problema) alle 4:30 di mattina, c’è un macello di gente ed una fila interminabile di bus in arrivo e partenza. I taxisti non potrebbero venire sui marciapiedi dei passeggeri, ma comunque ci sono i taxisti e le trattative per la corsa verso il centro son così più facili perché loro stanno facendo qualcosa di illegale, il nostro dopo lunga contrattazione (ma avviandoci verso l’auto sapevamo che non poteva mollarci altrimenti avrebbe perso troppo tempo) ci chiede 200b per 4 persone (di questo si lamenta per via dei bagagli che non entrano nel baule, ma vabbè) e tempo 30’ siamo in Khaosan road dato che il traffico a questa ora non è ancora intenso, o meglio completamente bloccato. Visto che qui ci son sempre locali aperti optiamo per il Maccaroni club dove far colazione, ma questa viene servita solo dopo le 7, prima solo piatti dal menù della cena…Gustata una abbondante colazione (150b) viste anche le ore che ci abbiamo passato, cerchiamo un posto dove passare l’ultima notte, ma quasi tutto è esaurito, troviamo posto in una via a due parallele nel bel Thay Cozy House (750b camera per 2 comprensa colazione e 15’ di massaggio) dove dormiamo per un po’ di ore prima di girarci la città per mercati e posti caratteristici, ma imparando che la visita al mercato galleggiante dei fiori in città non è fattabile in questo periodo. Così pranziamo a bordo fiume in fronte al Wat Arun (70b) e finiamo per girare tra infiniti mercati, partendo da quello a fianco dell’imbarcadero per il Wat Arun terminando per quelli grandi come una città nella zona cinese. Visti i prezzi incredibilmente bassi finiamo per riempire gli zaini non tanto di souvenir quanto di prodotti di normale consumo utilizzabili una volta rientrati in Italia. A prezzi superlativi ci sarebbero anche una lunga lista di obiettivi per reflex, che si possono provare sulla propria macchina prima di comprarli, ma desisto anche perché per questo viaggio avevo risparmiato il peso di reflex ed obiettivi per una comoda, anche se più limitante (ma in alcuni casi mi sono accorto del contrario) compatta. Ubriachi di banchetti e mercati rientriamo verso l’hotel percorrendo una Bangkok dal clima ben differente di quello incontrato un mese prima, il cielo è quasi sempre grigio e l’umidità inizia a percepirsi. Usciamo dall’hotel dopo aver testato i 15’ gratuiti di massaggio, ma preferiamo prendercela comoda e starcene in giro per la città ancora un po’, trovando un posto dove cenare al Cool Corner (200b) che propone piatti viari ed anche la ormai mitica Beerlao anche se solo in lattina e ad un prezzo più elevato delle birre locali thai. Per terminare un massaggio articolare (200b per un’ora) prima di rientrare in hotel, da dove la vista regala interessanti panorami di una Bangkok illuminata.
30° giorno
Colazione in hotel e poi ultimo giro della città a completare gli acquisti lasciati il giorno precedente, segnalo che in questa zona è possibile scambiare in vari negozi libri in inglese e soprattutto guide della Thailandia ma soprattutto per i luoghi attigui, quasi tutte ovviamente in inglese. Rientrati da questo ultimo giro recuperiamo gli zaini dalla camera che si deve liberare tra le 12:30 e le 13 per verificare un po’ cose all’internet dell’hotel (30b per ora) prima di andare a prendere il minivan per l’aereoporto che avevamo trovato ad un prezzo minore (120b) rispetto alla volta precedete. In un’ora siamo all’aereoporto, fatto il check ed imbarcati i bagagli (al solito fila praticamente inesistente) c’è tempo per cambiare i pochi bat rimasti in € o $, in $ è più semplice perché cambiando quasi eslusivamente carta i pezzi da un dollaro permettono di affinare il cambio rispetto alla carta da 5€. Per chi fosse interessato l’aereoporto ha zone per fumatori anche dentro ai gate degli imbarchi, partiamo puntuali su di un volo completamente pieno e fin da subito riprende la trafila dei servizi di bordo con menù alla carta, aperitivo con snack, merenda e cena, in pratica dormire è qualcosa di quasi impossibile. Arriviamo a Muscat in perfetto orario (6:30’ la durate del volo, ovviamente il rientro è più lungo dell’andata), le pratiche per chi è solo di passaggio sono velocissime ed iniziamo l’attesa per l’ultimo volo del viaggio che ci condurrà in Italia.
31° giorno
La navetta che ci porta al volo per Milano ha un’aria condizionata che non arriverà a 12°, il gelo regna sovrano, la condensa fa presa sulle vetrate, è un freddo inspiegabile, ma nonostante le lamentele nulla cambia, fortuna che il tragitto è breve e così sempre puntalissimi ci imbarchiamo per un volo notturno di 7:30 intervallato anche questa volta, da innumerevoli intramezzi culinari. Per gli appassionati di oggetyistica aerea, le posate in classe economica sono di plastica, niente souvenir quindi, mentre le coperte non sono male. Ovviamente il kit confort è sempre uno spettacolo, soprattutto in questi tempi dove tante compagnie lo hanno tagliato anche per viaggi intercontinentali. Arriviamo di prima mattina a Milano, shuttle per la stazione (7,5€, 50’, il bigliettaio ci regala anche qualche corsa futura) e poi dopo un’attesa allungata causa ritardo in arrivo del primo freccia rossa disponibile (42€, 65’) tocchiamo terra a Bologna in un clima rigido, che ha da pochissimo racchiuso la città, proprio quello che ci voleva dopo le ultime miti giornate nel sud-est asitico, ma forse così per un attimo possiamo mentalmente immergerci nelle nottate a Luang Prabang dove la sera il freddo rimergeva da una giornata solitamente da incorniciare.
2 note di commento
Il viaggio si è svolto tra dicembre e gennaio, periodo secco, quindi niente pioggia ed umidità, ma nel nord tra le montagne le notti sono fredde ed occorre arrivarci preparati perché non si trova riscaldamento né nelle stanze né nei ristoranti.Tutti i costi riportati sono da intendersi a persona quando non specificato. Un € valeva nell’inverno 2011/12 indicativamente 10.200kip. I bancomat sono in tutte le principali città, però sovente si può prelevare un massimo di 1.000.000k. I bancomat della ANZ concedono fino a 2.000.000k ma richiedono una commissione di 40.000k, gli altri non praticano nessuna commissione. Facile prelevare con Visa/Mastercard dai numerosissimi uffici di cambio, con commissione tra il 3 ed il 3,5%. Non esiste moneta, solo carta, i tagli vanno dai 500k (ormai introvabili) ai nuovi da 100.000k (qualcuno non li ha mai visti ed usandoli vi guarderà incredulo), considerate che prelevando 2.000.000k (che in Laos sono una cifra enorme visto che con 50.000k al giorno si vive già bene) vi ritroverete invasi da banconote (i bancomat forniscono quelle da 50.000k). Nelle principali città con l’inglese ci si arrangia sempre, con qualche persona anziana anche col francese, nei villaggi la lingua diventa un problema, solitamente non sanno una parola fuori dal loro idioma ed anche il linguaggio dei gesti è incomprensibile. In quel caso basilare il piccolo frasario a corredo della guida Lonely Planet. Le prese di corrente sono quelle a 2 spinotti, nel caso si utilizzi una spina con la terra è necessario un adattatore (si trovano sul posto a costi irrisori). Le postazioni internet sono diffuse (costo da circa 5/7000k all’ora nelle città ai 10.000k nei luoghi più sperduti), ma i collegamenti wi-fi free sempre più presenti. Per i trasporti via bus meglio comprare un passaggio in città presso hotel/agenzia, a parte che si capisce cosa si compra, i biglietti sono più costosi ma comprendono sempre il trasporto presso il terminal (sempre fuori città) e non si perde tempo per andare anticipatamente a prendersi il biglietto che a volte in anticipo non vien venduto. Il cibo è abbastanza monotono, consigliato di cenare presso i mercati notturni dove si trovano perché vivaci, pieni di ogni specialità ed economicissimi. Il Laos è un paese tranquillissimo, quindi le forze dell’ordine si vedono rarissimamente, non occorre mai esibire documenti, che poi non si hanno al seguito quando si affittano gli scooter per girare nei luoghi più selvaggi del paese, perché il contratto di affitto non è altro che lasciare il passaporto e partire con lo scooter. Il visto viene rilasciato all’ingresso senza perder tempo, non occorre richiederlo prima (in Italia non c’è ambasciata), dura 30gg e se si prolunga la permanenza va richiesto ad un ufficio predisposto aggiungendo l’equivalente di 2$ al giorno. Col visto turistico non è permesso lavorare, vabbè, chi lo farebbe durante un viaggio di solo un mese…? Quanto serve per viaggiare è tutto reperibile sul posto, uniche cose comprate dall’Italia il biglietto aereo Milano-Bangkok (con largo anticipo per strappare un prezzo migliore) ed il Bangkok-Luang Prabang. In Laos non volano ancora le compagnie low-coast (tipo AirAsia), quindi l’alternativa quasi unica è la Lao Airlines, a prezzi decisamente più cari che tutte le altre destinazioni del sud-est asiatico via Bangkok. Info per prezzi a Bangkok, 1€ pari a 40bath.