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Deserto del Kalahari - Botswana

1° giorno

Da Bologna con un freccia rossa raggiungo Milano Centrale (65’, 19€, biglietto comprato in anticipo), da lì le navette partono ogni 5’ per l’aeroporto di Malpensa (50’). La fila al check-in del volo Turkish per Istanbul è veloce, ed anche i controlli portan via poco tempo, ma quando siam pronti a partire l’aereo non si muove. Dopo 30’ veniamo informati che un passeggero ha imbarcato con un solo porto d’armi svariate armi, quindi viene fatto scendere ed in un secondo tempo viene prelevato anche il suo bagaglio a mano, operazione che impiega circa 90’, mettendoci a rischio per la coincidenza futura. In volo (2:30’) non recuperiamo tempo, ma come da tradizione della compagnia (votata la migliore in Europa) il servizio è ottimo. All’aeroporto Ataturk di Istanbul (quello nella parte europea, non quello nuovissimo nella parte asiatica) velocemente veniamo indirizzati alle partenze internazionali, ci garantiscono che il volo per Johannesburg è in orario ma potremo prenderlo, sperando che altrettanto accada anche ai bagagli.

Lungo il Nossob River, un ghepardo in attesa di caccia

2° giorno

Appena passata mezzanotte partiamo per il Sud Africa (10h), ci viene subito offerto uno snack, poi la cena e finalmente le luci si abbassano non prima di aver ricevuto il kit confort ormai sconosciuto tra le compagnie europee (almeno in seconda classe…). Ovviamente ogni poltrona è dotata di schermo personale ed ingresso usb, chi non vuol provare a dormire può gingillarsi a piacimento. Poco dopo colazione atterriamo al O.R. Tambo Int. Airport, di fatto a metà strada tra Johannesburg e Pretoria, dove ci dirigiamo una volta espletate le operazioni di dogana (velocissime), ritirati gli zaini arrivati puntuali (un plauso agli operatori dell’aeroporto Ataturk) e quelle relative a prelievi e cambi moneta. A casa del corrispondente locale prendiamo possesso dei mezzi per affrontare il deserto e di tutto il vettovagliamento (controllare tutto nei minimi particolari, visto che una volta nelle sabbie non si potrà più porre rimedio a qualcosa che non vada) necessario, facendo la prima tappa ad un enorme supermercato (Pick’n’pay, ma penso che tanti si equivalgano) dove recuperare cibo a sufficienza per la prima parte del Kalahari meglio chiamato Kgalagadi Transfrontier Park che si estende sul confine tra Botswana e SA, nella zona sudovest del primo di questi. Stivato il tutto con una logica ben precisa, dividendolo a seconda degli usi (prodotti per colazione in un luogo, spuntini di metà giornata in un altro, cene in un altro ancora, sembrerà una banalità ma alla lunga la certosina operazione pagherà) facciamo rifornimento di benzina (12r al litro) il minimo necessario per attraversare il confine. Al supermarket si può anche pranzare, così per accelerare i tempi prendiamo qualcosa nel posto, con 20r ci si riempie la pancia con buone specialità, tralasciando il bilton (carne secca essiccata, qui ne vanno pazzi, si trova di qualsiasi animale pensabile) per il quale occorre investire qualche rand in più e farne pian piano abitudine. Partiamo su larghe autostrade in direzione nord con destinazione Zeerust dove facciamo tappa al She Henne’s (200r con colazione compresa) e dove ceniamo (100r) nel ristorate dell’hotel. Lungo il percorso si vede un panorama di colline verdeggianti, ogni tanto qualche insediamento minerario al momento in situazione di lotta tra lavoratori in condizioni disagiate e governo locale e qualche baraccopoli, difficile dire come l’integrazione proceda, anche se solitamente i neri lavorano ed i bianchi gestiscono, praticamente mai li si vede assieme. La temperatura, gradevolissima di giorno, una volta sparito il sole precipita, e buona cosa che le camere siano dotate di riscaldamento. Cena a base di carne, qui nessuno si fa mancare una enorme bistecca, diciamo che la scelta è con o senza osso, per i vegetariani non è posto, direi qualche insalata indistinguibile oppure una possibile scelta di patate. Carne va detto, ottima. Percorsi 240km, tutti su asfalto.


Kubu Island, un isola nel deserto


3° giorno

Colazione abbondante in hotel e poi si parte per un lungo trasferimento che ci porterà alle porte del Kgalagadi, già nel bush. Arriviamo velocemente al confine del SA a Pioneer Gate, veloci le operazioni di frontiera, poche centinaia di metri dopo a Lobatse si entra in Botswana, c’è da registrare il classico modulo riportante i vari dati ma non serve un visto e non si paga nulla. Vi si trova un ufficio cambio ma non un bancomat, meglio cambiare a Kanye, primo paese di una certa consistenza che si incontra, dove facciamo rifornimento riempiendo anche una tanica aggiuntiva da 150 litri. Strade asfaltate, procediamo spediti verso Sekoma (dopo 270km) dove prendiamo un break all’uscita della città già nel bush iniziando ad affettare i primi insaccati portati dall’Italia. Si riparte velocemente perché la metà finale della giornata, il Berry Bush (75p) poco fuori Tshabong dista dalla partenza 540km, gli ultimi già su pista sabbiosa. Il posto lo avevamo prenotato dall’Italia, nel mezzo del nulla sorge questa struttura che offre camere di un certo livello con bagni dotati di acqua calda ed altre stanze più simili a baracche con bagni in comune senza acqua calda, ma scroccare una doccia calda non è un problema, e poi essendo l’ultima per qualche giorno, fa piacere. Primo vero e proprio tramonto africano, da non mancare, anche se poi diventerà una operazione di routine. La proprietaria ci organizza una grande cena dove la portata principale è costituita da spezzatino di impala, tenero e gustoso, ma copre la tavola di ogni possibile leccornia, quindi chi non riesce a mangiare un animale che magari poco prima si è fotografato può buttarsi su altro. Poi la proprietaria ed il marito iniziano a raccontarci aneddoti vari sul posto, sulle genti, sugli animali, loro sono afrikaner, quindi dall’alto della loro posizione si ritengono i veri “costruttori” dell’Africa, nutrono disprezzo per gli abitanti locali ed un odio profondo verso inglesi e stranieri residenti in genere. Sentimenti che vengono ripetuti un po’ da tutti gli afrikaner incontrati, a parte questo aspetto sono però ottimi padroni di casa, visto che siamo in periodo di olimpiadi tifano per qualsiasi atleta africano/africana che vedono in televisione, di Caster Semenya parlano quasi con le lacrime agli occhi per tutto quanto ha dovuto subire. Dichiarazioni in antitesi in pochi minuti, la buona fede pare veritiera.


Bucero nel Kgalagadi, solitamente alquanto dispettosi

4° giorno

Abbondantissima colazione presso la G.H. dove iniziamo a familiarizzare coi buceri, che a breve nel deserto saranno compagni invadenti di colazione. Prima tappa a Thsabong dove far scorta di benzina (8,86p a litro) e da qui su pista sabbiosa andiamo all’entrata orientale del Kgalagadi Transfrontier Park entrando nel Mabuasehube Section (qui paghiamo 5 notti, ovvero quelle in Botswana comprese anche quelle nel successivo Central Kalahari Game Reserve e 3 ingressi, 465p). Presso l’ingresso ci sono indicazioni utili su cosa, come e quando vedere gli animali, occorre registrarsi e confermare le piazzole di sosta per le notti, a parte quella a Nossob che essendo in SA va prenotata e pagata a parte. Iniziamo il giro dei pan (enormi fondi di laghi nelle stagioni delle piogge dove stanziano gli animali, ora piane desertiche) in direzione nord avendo come traguardo il Lesholoago Camp. La marcia è forzatamente lenta, sempre sabbia o terreno accidentato, il deserto assomiglia ad una savana, non ci sono dune ma sterpaglie, animali prevalentemente erbivori, iniziando dal più comune orice, per passare all’impressionante kudu, agli eland, agli gnu, ad ogni possibile ed inimmaginabile gazzella, dove svetta primaria quella simbolo del SA, lo springboks. I pan ora sono secchi, in larga parte disabitati ed incutono un senso di desertico vuoto, anche se la temperatura non arriva a 25°. Dopo aver pranzato al sacco usando la ribaltina del camion come tavolo da taglio per affettati e formaggi, riprendiamo il giro di avvistamento animali in direzione del campo notturno, arrivando prima del calar del sole per piantare le tende. Il campo a noi riservato altro non è che uno spiazzo con una capanna definita da tronchi ma non coperta dove impiantare tutto attorno le tende. Qui c’è anche un luogo designato e delimitato per i bisogni con buca nel terreno, niente di più, e noteremo che spesso questo è anche di più della media. Piantate le tende iniziamo a predisporci per la cena, notando subito che la temperatura precipita in tutta fretta. Pasta come cibo principale, terminato di lavare le stoviglie cercando di utilizzare meno acqua possibile, è buona cosa scaldare acqua per un caffè od un the in vista della fredda notte. Fondamentale non lasciare la minima traccia di cibo per non richiamare i predatori al campo di notte, gli animali sono tutti intorno a noi perché quando con le torce illuminiamo le sterpaglie che ci circondano notiamo gli occhi di svariati animali, immagino quelli che di giorno mai scorgiamo. Al primo ruggito di leone, che invece è quello di una iena, tutti in tenda, visto che ci è stato garantito che mai questi animali vi entreranno. La notte è fredda, temperatura minima -2°, ma nessun particolare problema dato che eravamo coscienti di questo fatto. Percorsi 190km, quasi tutti su pista.

Mantide su cactus, Tshitane Pan

5° giorno

Sveglia all’alba, fa ancora freddo, e mentre scaldiamo l’acqua per la colazione notiamo impronte di animali attorno alle tende, iene e sciacalli proprio adiacenti, leoni invece a 10metri, diciamo che abbiamo le nostre guardie del corpo a vigilarci per la notte. I buceri sono terribili, si buttano su biscotti e pane senza paura, tanto da sbattere le loro ali contro le facce, non arretrano mai, si viene infastiditi, bisognerà farsene una ragione per le mattine a seguire. Smontato il campo partiamo in direzione sud circumnavigando vari pan, il Mabuasehube, il Monamadi ed il Bosabogolo dove facciamo tappa per il solito pranzo al sacco, affettati, formaggi e frutta. Per guadagnare tempo a pranzo non monteremo mai la cucina da campo, avevamo stabilito fin da subito questo precetto. Branchi di animali iniziano a diventare presenza costante delle nostre giornate, ma come solito sono gli erbivori a presenziare, i predatori di giorno oziano e raramente faremo la loro visione. Iniziamo a prendere la destinazione ovest lungo un sentiero non proprio facile, dune basse ma poco compatte, occorre sgonfiare oltremodo le gomme, il rischio è quello di sbattere su di una roccia che comprime il pneumatico e questo finisce per uscire dal cerchione, rimanendo così bloccati. Temperatura sempre sui 25° massimo, giusto da rimanere in magliettina senza sudare. Come già segnalato impossibile camminare in autonomia, ci alterniamo sui 2 mezzi a disposizione, un grosso camion col tetto estendibile, ottimo per rimirare il paesaggio e gli animali, ma scomodissimo ed una jeep che è il perfetto contrario. Arriviamo al camp della nottata, il Motopi1 ma lo troviamo già occupato, così ci spostiamo al limitrofo Motopi2, di fatto questi non sono altro che un albero grande con uno spiazzo attorno al quale far campo. Non c’è nulla di più, né un capanno né un buca per i bisogni, da farsi nel mezzo del bush, sorridendo agli sciacalli sempre nei dintorni. Se l’orice e lo springboks sono gli animali di gran lunga più visibili, il grande kudu diventa il più fotografato della giornata. Facile distinguere il maschio dalla femmina, il primo esibisce corna di oltre un metro arrotolate che fanno una notevole impressione, questa netta differenza non la si riscontra con l’orice visto che la sua coppia di corna di un metro è tipica per entrambi i sessi. Solita cena a base di pasta, caffè e cioccolate non mancano mai, buona compagnia verso la nottata, non ci è possibile riscaldarci attorno al fuoco perché ci è fatto divieto di accenderlo utilizzando la legna del deserto. Notte fredda, ma temperatura minima a 0°, percorsi 110km, tutti di pista, decisamente tenuta male.

Rinoceronti e Impala presso Khama Rhino Sanctuary

6° giorno

Sveglia e solita colazione cercando di schivare gli agguerriti buceri intenti a colazionare coi nostri cibi, poi smontato il campo si parte in direzione ovest girando attorno ad alcuni pan con protagonisti soprattutto grandi branchi di gnu, che all’occorrenza si lanciano in lunghissimi e spettacolari salti. Il terreno si fa via via più sabbioso, più deserto tradizionale anche se di alte dune vere e proprie non c’è traccia, ma bastano poche decine di metri di salita e per i mezzi diventa un problema procedere. Così impieghiamo parecchio tempo per raggiungere il Nossob Camp Hut che si trova proprio al di là del confine segnato dall’alveo (in questa stagione secco) del Nossob River, pieno di volatili di ogni colore e di suricati ritti al sole. Da qualche anno per chi entra ed esce dal Kgalagadi sempre dalla parte del Botswana non occorre più fare il passaggio di frontiera, così le pratiche una volta arrivati sono veloci, non ci sono bungalow disponibili quindi si fa campo come al solito (100r), ma ci sono servizi igienici dotati di calde docce, particolare non trascurabile. Visto il vento decidiamo, prima di montare le tende, di smangiucchiare qualcosa e di far spesa al piccolo market che si trova all’entrata, poi terminata questa incombenza di fare un salto al capanno di osservazione coperto che da su di una pozza per abbeverarsi dove dovrebbero passare svariati animali. E’ pomeriggio, caldo, quindi si vede al solito qualche erbivoro, alcuni sciacalli e poco altro, e dopo un po’ di riposo partiamo verso sud, direzione Two Rivers per un game driver, che non sarebbe altro di un giro di perlustrazione alla ricerca di animali. Lungo la pista, su sabbia ma ben battuta, ci sono alcuni luoghi per abbeverarsi ed attorno a questi la vita animale pullula, anche se per la verità gli animali son sempre quelli. Però scambiando info con altri escursionisti veniamo avvisati che nei paraggi son stati avvistati leoni, ed in effetti su di una collinetta di nemmeno 15m ne scorgiamo 3, 2 femmine ed un maschio, dalla criniera folta, tutti in riposo, probabilmente ad attendere il calar del sole per entrare in azione. Sono ben visibili e vicini e soprattutto il maschio incute un certo timore, ovvio che non si possa scendere dai mezzi, ma non possiamo nemmeno fermarci a lungo perché il camp chiude tassativamente alle 18 e per quell’orario, calato il sole, occorre esser già all’interno, è possibile uscire solo con una escursione organizzata dai gestori, fattibile anche di notte. Dopo una fondamentale doccia è tempo di preparare la cena e terminare la serata al capanno di osservazione lungo il Nossob river, una potente illuminazione sparata su di un abbeveratoio permette una semplice visione, ma oltre ai soliti erbivori, a qualche sciacallo poco altro, tranne qualche “risata” di iene, che però non riesco a scorgere. Qui a Nossob la temperatura è più elevata, certamente superiore ai 5°, in confronto alle notti precedenti par quasi caldo così da poter rimanere alzati più a lungo e senza la paura di imbattersi in animali durante la notte, dato che il camp è cinto da una alta rete di contenimento lungo tutto il periplo. Ci dovrebbe essere anche una piscina, ma non l’ho vista e a dire il vero nemmeno cercata. Percorsi 112km, la parte di avvicinamento su pista pessima.

Gnu in fuga nel Kgalagadi Transfrontier Park

7° giorno

Sveglia prima dell’alba per un salto al capanno sul Nossob river dove vedere gli animali che si danno il cambio all’abbeveratoio (una specie alla volta, raramente animali differenti bevono assieme, al massimo sono gli springboks che lo fanno), poi fatta colazione e smontate le tende partiamo in direzione nord costeggiando l’alveo del fiume sul lato ovest, salendo su di una collina che regala una bella visione d’insieme. Da qui vediamo in lontananza 3 leonesse far a loro volta colazione con quel che resta di un grosso erbivoro, nelle retrovie gli sciacalli son già appostati per terminare il lavoro quando scatterà il loro turno. Poco dopo gli autisti notano nel mezzo di alcune sterpaglie un movimento strano, ed incredibilmente proprio a fianco della pista compaiono tre ghepardi che stanno facendo la posta ad un branco di gnu. Disturbati dalla nostra presenza ci guardano a lungo nella speranza di esser lasciati in pace, ma ovviamente la vista di questo “gattone” così vicino ce la godiamo a lungo. Il ghepardo, l’animale più veloce del mondo, è probabilmente il predatore dalla minor forza, basa la sua sopravvivenza e caccia su di una velocità impressionante, può raggiungere i 130kmh, ma lì può sostenere per circa 30” e dopo deve riposare per quasi 45’. La pista è buona e quindi abbiamo tempo per osservare questi predatori nel mezzo del loro terreno. Quando ripartiamo incrociamo la strada con una iena in fuga, enorme e con in bocca una zampa di non so che animale ed a breve distanza una leonessa si abbevera in una pozza. Disturbata da qualche mezzo di troppo ci taglia la strada buttandosi di fretta tra le sterpi che riempiono la zona, poi poco oltre lasciamo la pista principale per prendere una deviazione verso nord-est che si snoda tra una vegetazione di altezza media, gialla e regolare, tale da non dare una precisa profondità al luogo. Nel mezzo di questa, ben attenti a chi ci sia a fianco decidiamo di far tappa per uno spuntino, gli unici animali che si scorgono nei paraggi sono struzzi che però scappano alla nostra apparizione. Sulla pista impronte di ogni possibile animale, ma come sovente accade di giorno finiamo per vedere solo erbivori, anche se oggi è stata una giornata decisamente fortunata. Continuando il percorso peggiora, la velocità si riduce e così arriviamo al Sesatwe Pan nel tardo pomeriggio. L’enorme pan è solcato solo da 2 orici che alla nostra vista iniziano a correre dalla parte opposta ma pian piano con tutto lo spazio a disposizione ce li troviamo quasi sotto alle ruote. Un incidente in mezzo al nulla più totale sarebbe il massimo dell’assurdo, riusciamo a schivare il danno e giungiamo al nostro camp, il solito albero col nulla attorno. Al calar del sole sale un vento incredibile che non ci permette di montar le tende, l’unica possibilità è quella di ripararci all’interno dei mezzi attendendo che si plachi, cosa che avviene solo in parte una volta che il tramonto è terminato, così dobbiamo montare le tende la buio con la temperatura che precipita. Tra il vento residuo ed il freddo decidiamo di cenare a secco, senza utilizzare i fuochi della cucina da campo se non per scaldare alla meno peggio un po’ di acqua per un caffè, buono a tonificarci per la notte più fredda del viaggio, tra -3/4°. Ovviamente qui dove pare non passar nessuno da giorni siamo super osservati nel nostro campo da svariati occhi appartenenti a indefiniti animali, meglio non pensarci e chiudersi in tenda dentro ad un buon sacco a pelo. Percorsi 162km.


Verso Kubu Island, raggiungibile nell'inverno australe


8° giorno

Sveglia all’alba, freddo intenso e colazione che serve più a scaldarsi che a cibarsi, poi andiamo su pista sempre in pessime condizione al Kaa gate dove si esce da Kgalagadi a nord nel settore del Botswana, tempo per regolarizzare l’uscita e per vedere qualche mangusta che gira indisturbata, poi si prende una pista che riporta distanze non certo incoraggianti visto il fondo. Lo scenario è monotono, una specie di mix tra savana e deserto, non particolarmente elettrizzante, si viaggia piano e ci fermiamo per pranzare dove la vista permette di notare eventuali animali non amici avvicinarsi. Ma a parte qualche kudu tutto è tranquillo, poi ripreso il viaggio una volta giunti a Hukuntsi (passati circa 100km) l’asfalto ricompare e così lo spostamento diventa più agevole ma rimane anonimo alla vista. Tappa a Kang, ma in realtà facciamo sosta prima della città, presso il Kalahari Rest Lodge, un enorme centro visitatori dove poter scegliere tra bungalow, camere vere e proprie o aree per tende. Noi optiamo per questa soluzione (80p), anche perché pare che sia tutto occupato, a vista non sembrerebbe, ma discutere è solo tempo perso. Ci offrono the e biscotti, molto english come accoglienza, e per chi decidere di cenare al ristorante meglio ordinare in anticipo. C’è anche un interessante libro/guida su tutti gli animali del posto, dalle impronte, a cosa mangiano, dalle forme delle feci alle dimensioni fino a cosa cacciano e da cosa possono venir predati. Quando si finisce nelle pagine di leopardi e leoni alla voce di chi siano i loro predatori emerge forte e dura una parola : uomini! E guarda caso, mentre giriamo per il posto ci imbattiamo in vari cacciatori qui in battuta, 2 mostrano orgogliosi un leopardo abbattuto, purtroppo fuori dalle aree protette è possibile cacciare, i costi sono elevati (parlano di 15.000€ per il permesso più altri svariati € tra animali uccisi e tipologia di battuta scelta, compresa quella con elicotteri) ma pare che il Botswana sia un piccolo paradiso per questa malvagia forma di “sport”. Dopo giorni in cui per lavarsi occorreva ricorrere a salviette umidificate o ingegnosi sistemi con spruzzini vari qui ci sono enormi docce, peccato che l’acqua calda arrivi a fatica, e nonostante se ne trovino svariate occorre bagnarsi uno ad uno, quindi poco sollazzo e tanta fretta, ma meglio dei giorni precedenti. Ceniamo al rest del lodge (105p), scelta quasi esclusivamente legata alla carne, al massimo accostata o ad una crema di formaggio insapore o ad una zuppetta di funghi, quella invece ottima. Carni tutte deliziose, dalla canonica T-bone di manzo allo spezzatino di orice. Il campeggio è totalmente al buio, per rientrare senza una torcia si vaga nel bush a caso, uniche indicazioni le caldaie a legna per le docce, che essendo esterne mandano un bagliore che si nota da lontano, ma quale sarà quella nelle vicinanze della propria piazzola? Temperatura sullo 0°, vista la notte precedente, perfino buona. Percorsi 290km, passando da un sentiero terribile ad un buon asfalto.

9° giorno

Facciamo colazione in autonomia presso lo spiazzo delle tende, poi dopo aver sostituito una gomma partiamo per Ghanzi, la città che funge da capitale del Kalahari, parecchio distante da Kang ma collegata lungo una ottima strada. Arrivati in città facciamo tappa prima da un gommista e poi ad uno dei tanti supermarket presenti in città, saremo nel mezzo del deserto ma pare di esser in piazza di qualsiasi grande città, negozi, bar, banche, insomma quanto serve ed anche di più qui c’è. Facciamo bene i conti di quanti giorni dovremo gestirci in totale autonomia nel futuro e poi passiamo agli acquisti, compresa la legna per il fuoco serale, fino ad ora negato. Per guadagnare tempo ci compriamo qualcosa per pranzo al banco del market, non par vero di pranzare con qualcosa di caldo ed evitare i soliti insaccati/formaggi, con 25/30p si prende sia un prodotto salato che uno dolce. Le taniche di acqua al solito sono i prodotti più ingombranti e più delicati perché sbattendo possono rompersi, quindi massima accortezza nel riporli, da qui usciamo dalla città per raggiungere il G. Trail Blazers camp dove faremo tappa e dove andremo a fare un’escursione a piedi nel bush accompagni da alcuni boscimani. Al camp non dobbiamo montarci le tende, ci sono le tipiche capanne boscimani (90p) che assomigliano ad igloo ma costituite da sterpi a ricoprirle in ogni parte, questo sistema di coambientazione naturale aiuta nelle fredde notti invernali come in quelle torride estive. All’interno spazio per 2 letti veri e propri e nulla in più, come in tenda serve avere a disposizione una torcia. L’escursione nel bush (120p) è abbastanza carnevalesca, la famigliola boscimane non è propriamente credibile se non nell’anziana matriarca, diciamo che almeno ci si è potuti finalmente muovere. Da qui si può proseguire l’escursione ad una della poche rivendite autoctone in città, il Gantsi Craft, fondato e gestito da una cooperativa di san, ma le info sullo stato della popolazione del luogo latitano, pare quasi che a fronte della possibilità di esporre e vendere i loro artefatti abbiano dovuto soprassedere nel portar avanti le proprie rivendicazioni sulla terra e soprattutto sull’utilizzo dell’acqua, fonte primaria di sopravvivenza ma fondamentale per le lavorazioni nelle miniere di diamanti (da qui la ricchezza del Botswana) e per il ricco flusso turistico (all’insegna del alto costo-basso impatto). Qui si potrebbe rifare un’altra visita ad una comunità san, io preferisco rientrare al camp per un po’ di relax, incontrando finalmente altri viandanti con cui far 2 chiacchiere su cosa han visto e cosa dovranno vedere. Il gruppo in cui mi imbatto si muove su di un enorme camion che all’occorrenza diventa persino una sorta di spartana camerata, il gruppo è costituito da gente di tutto il mondo, ed in 3 settimane vanno dalla Namibia al Malawi, ritmi forsennati quindi. Ovviamente la gestione è tutta in mano ad una organizzazione del SA, come del resto la nostra, e come più o meno tutti i noleggi di jeep incontrati lungo il viaggio, la dominanza su tutti gli stati limitrofi è evidente. Fantastiche docce calde sono a disposizione separate le une dalle altre da divisori fatti di rami o sterpi, ma finalmente una doccia vera e propria. Cena al rist. del camp (110p), buffet a volontà, dove oltre alla solita t-bone è possibile recuperare insalate di vario tipo per finire con un caffè che se ne esce da una fumante caffettiera. Durante lo spettacolo boscimano compreso nel kit del camp, scambio qualche chiacchiera con la guida che gestisce i boscimani locali, ed effettivamente mi conferma che vivono in città, a turno vengono ingaggiati per queste carnevalate, ed a parte l’anziana signora vista nel pomeriggio che vive ancora secondo i dettami tradizionali, gli altri lo fanno come “secondo lavoro”. La guida comprende perfettamente il mio disinteresse allo spettacolo, poi grazie al fatto che parla un po’ di castillano come una ragazza tedesca ed una spagnola anche loro poco propense a sorbirsi la rappresentazione finiamo per intervistarlo e recuperare innumerevoli info a proposito di questa popolazione. Uno degli attori al momento impegnato davanti al pubblico del “primo mondo” la mattina dopo lo potremmo incontrare alla cassa di uno dei market in città, giusto per dirne qualcuna, ma tante info sulle rivendicazioni del popolo san mi sono arrivate da questa serata. Temperatura decisamente più elevata nella notte e nessun pericolo di incontrare predatori nei dintorni della capanna, percorsi 250km, tutti su asfalto.

10° giorno

Colazione da campo, partenza con direzione Central Kalahari Game Resert, la prima parte della strada è buona e così si procede spediti, poi gli ultimi 70km cambiano e diventano pessimi rallentando l’arrivo nel cuore del deserto del Botswana. Lo scenario però non è particolarmente bello, solita savana coperta da sterpi, animali pochi anche perché di giorno qui le temperature si alzano ed anche gli erbivori sono meno propensi a muoversi. Arriviamo all’entrata di Xade, dove contrattiamo una notte di permanenza in più di quanto fissato in precedenza, operazione non problematica ma lunga, con qualche variazione sulle piazzole di sosta, visto che nessuno par arrivare nei paraggi per la prima notte ci lasciano stare in quella adiacente all’ingresso dove sorgono anche i servizi, acqua calda nelle docce ma mancanza di illuminazione elettrica. Pranzato come al solito, predisponiamo il campo per partire nel tardo pomeriggio per un game drive che come al solito porta a vedere erbivori, tra cui spiccano enormi kudu ma nessun predatore, nonostante ci venga detto di fare particolare attenzione, e di non spostarci di notte, il solo tragitto tende-servizi che pare banale deve esser fatto possibilmente in gruppo e con più torce. Oltre agli animali ci han fatto osservare enormi nidi sugli alberi, si tratta di nidi collettivi usati di volta in volta da più specie di uccelli, una abitudine del luogo che in alcuni momenti presenta condizioni di vita particolarmente dure (estate, caldo estremo e piogge torrenziali, con umidità impossibile e vie non sempre percorribili). Dopo una doccia calda inattesa è tempo per preparare la cena, la temperatura ci permette di allungare un po’ i tempi ed anche di starcene finalmente attorno al fuoco alimentato dalla nostra legna comprata in precedenza. Unica annotazione, appena si guarda il presunto vuoto del deserto ci si accorge di esser osservati da svariati animali, occhi che brillano come le stelle in cielo. E così il tragitto per i servizi dove lavare le stoviglie diventa qualcosa da affrontare con inquietudini varie, ma che il luogo di notte sia vissuto lo si riscontra da strusciamenti vari di bestie sulle tende e da ribaltamenti di sedie attorno al tavolo. Finalmente una notte non gelida in tenda contrappuntata da presenze animalesche nel vicinato…Percorsi 200km


11° giorno

Sveglia ben prima dell’alba per un game drive che però come ormai prevedibile non ci permette di veder nulla, poi durante colazione siamo invasi da buceri particolarmente ostici. Smontiamo il campo in tutta fretta e prendiamo la via per Deception Valley, la zona più conosciuta del Kalahari anche per via delle lunghe e celebri ricerche che qui vi fecero Mark e Delia Owens su iene, leoni ed altre specie del posto, da cui scaturì tra i tanti libri specifici anche il più noto Il Grido Del Kalahari, base per ogni conoscenza desertica di qui. Ma per arrivarci il cammino è lungo, nella prima parte il sentiero è tutto su sabbia cedevole, si procede molto piano, mancano però dune emozionanti da rimirare e solo la perizia di uno degli autisti riesce a scorgere un branco di leoni che si riposa nel mezzo di sterpi. Il colore di questi animali è perfetto per mimetizzarsi, fortuna che sono veramente grossi e così ben indirizzati da esperti riusciamo a scorgerli, anche se ovviamente al minimo rumore percepito pian piano si allontanano, non è tempo di caccia ma di riposo questo. Dopo 80km, usciti dal sentiero su sabbia il Kalahari si apre lungo Deception Valley e con la vista che spazia possiamo far sosta per il solito pranzo al sacco nei dintorni del Piper pan, tra il vuoto intervallato da qualche grande albero sotto al quale si riparano a riposarsi springboks, orici e gnu, mentre i kudu pian piano si spostano per non dare riferimenti a probabili predatori. Circumnavighiamo il Deception Pan, di dimensioni ben maggiori dei pan visti nel Kgalagadi, per far tappa ad una della piazzole del Kori Camp dove abbiamo una riserva per il primo giorno al n° 2 e per il secondo giorno al n°4, dopo aver rimediato a qualche foratura. Ovviamente cercheremo di evitare il trasferimento, notando come l’area riservata a noi è già occupata da una coppia olandese che apprenderemo in viaggio da 10 mesi, partiti da Port Fuad in Egitto con termine viaggio della loro jeep a Maputo in Mozambico (da dove rientrerà via nave) mentre per loro Johannesburg dove troveranno l’aereo per casa. Dimostreranno di apprezzare notevolmente la nostra pasta al pesto ed altre piccole cose che abbiamo in dispensa, mentre ci narreranno del loro peregrinare in zone ancora controverse dell’Africa, come il Sudan, ora tranquillo il nord pericolosissimo il sud, oppure il Congo dove trovare gli ultimi gorilla di montagna in un parco sperduto ed accessibile solo via Uganda (a costi non proprio ristretti). Nel camp non ci sono servizi ma si trovano due separè, uno con buca per i bisogni, l’altro con possibilità di appenderci una doccia da campeggio, ma nonostante la temperatura sia buona occorre muoversi prima che il sole tramonti altrimenti non la si può godere appieno. Percorsi 167km, di asfalto neppure una briciola.

12° giorno

Dato che oggi non sposteremo il campo posticipiamo la colazione ma così facendo, col sole già alto siamo sotto assedio dei buceri in maniera incredibile, conquistata a fatica la colazione partiamo a visitare la zona centrale del Kalahari con prima meta il Sunday pan, enorme, bianco e col vento che spira coperto da uno strato di polvere che rende il luogo ostico oltre il reale. E’ probabilmente la visione più bella ed intensa di questo deserto al vero non entusiasmante nel suo complesso, tanti animali che sembrano anche loro particolarmente perduti, che provano a spostarsi di pozza in pozza sperando in una pioggia che per mesi non arriverà, nascondendosi sotto a piccoli alberi piantati in un terreno che pare un misto di sabbia e sale. Da qui andiamo al Leopard pan, ma come prevedibile di leopardi nessuna traccia, solo un grandissimo passaggio di springboks, avvicinabile più che altrove. Su di un sentiero difficile da percorrere perché pochissimo battuto rientriamo al campo per un pranzo ormai da copione (affettati e formaggi) e dopo un po’ di relax improvvisato prendiamo la direzione contraria verso Deception pan perdendoci più volte. Avvistiamo da vicinissimo branchi di orici e kudu che si danno il cambio ad una pozza, ma come prevedibile niente predatori. Tra l’attesa e lo sbaglio di percorso arriviamo al campo quando il sole non si scorge più e questa sarebbe regola da non trasgredire, gli autisti sono dispiaciuti di questa situazione, poi al campo riusciamo a convincere quelli che dovevano pernottare nella piazzola ad andare a quella a noi spettante, così da evitare definitivamente lo smontaggio e rimontaggio del campo. Acconsentono, forse non proprio contenti, anche se in realtà significa per loro fare il campo a 200m di distanza in un luogo simile a questo, niente c’è qui e niente ci sarà nell’altro. Cena come atto conclusivo della giornata, temperatura non dico gradevole ma possibile rimanere fuori dal sacco a pelo per più tempo, meglio nelle vicinanze del fuoco. Percorsi 165km, anche se siam rimasti nello stesso luogo a pernottare, e fatti tutti su percorso poco agevole.


13° giorno

Di buon mattino sveglia e colazione così da non essere obiettivo privilegiato dei buceri, poi smontato il campo partiamo con destinazione Matswate gate da dove usciamo definitivamente dal Central Kalahari Game Reserve dopo 40km di pista, dopo poco inizia l’asfalto e muoversi diventa più semplice. Facciamo sosta a Lethkane dove dopo aver riparato alcuni pneumatici, fatto un minimo di spesa, rabboccato serbatoi, taniche e scorta di acqua ci regaliamo un pranzo al rest. Sachama (30p) che non avrà una scelta infinita ma serve piatti caldi e per una volta sembra quasi un lusso. Ma si riparte velocemente, la meta finale è lontana e non si raggiunge su strada in asfalto, che lasciamo subito dopo Mmatshumo, scendendo in una distesa salata dalle grandi dimensioni. Sono più parti di vecchi fondali marini, nessuno raggiunge l’ampiezza del Salar de Uyuni (e nemmeno la bellezza di quel paradiso sulla terra) ma nell’insieme lo superano, la via per raggiungere Kubu island è lunga, iniziato l’attraversamento del primo mare di sale si arriva al reticolato impiantato per le difese veterinarie che hanno però lasciato sul terreno tanti animali morti, dove occorre esibire il permesso per procedere, da qui si passa tra sale e sabbia e solo dopo almeno 30’ si scorge in lontananza l’ex isola di Kubu, nota come l’isola dei baobab perché da questi giganteschi alberi rossi è ricoperta. La vista da lontano nel mezzo del sale è probabilmente lo spettacolo più bello visto in questo viaggio, una volta raggiunta il fascino aumenta ancora. Prendiamo possesso della piazzola a noi riservata, come al solito non c’è nulla se non una minuscola tazza attorniata da assi decrepite, ma vista la collocazione e l’orario decidiamo di montare il campo in seguito e salire immediatamente alla sommità dell’isola per ammirare il tramonto. Già, ma perché isola? Fino al 1500 c’era tutto attorno l’acqua e quindi era un’isola vera e propria, ma ci viene riferito che durante la stagione delle piogge può essere che la situazione si replichi. In questo momento l’acqua è l’ultima delle cose ipotizzabili nel luogo, dall’alto la vista che spazia in ogni dove verso le distese di sale illuminate dal sole al tramonto coi baobab a delimitare il contorno dell’isola è una spettacolo favoloso, un luogo particolarmente newage, disturbato solo dalle continue urla di una comitiva tedesca che ha abbondato con le latte di birra. Zittiti ad urlacci scendiamo solo quando il sole è da tempo dietro l’orizzonte per montare il campo con la luce delle torce mentre l’inserviente del parco passa a controllare la prenotazione ed il pagamento che deve essere fatto tassativamente in precedenza (via internet, ma i tempi di risposta sono africani, meglio muoversi in anticipo), ad ogni comitiva è assegnata una piazzola, indipendentemente da quante persone e mezzi abbia ogni comitiva. Cena al campo, iniziando a far conto di quanto abbiamo in dispensa (che sarebbe lo spazio sotto alle panche del camion), ed iniziando a regalarci qualche prelibatezza in più. Temperatura buona per un deserto, ma notte particolarmente ventosa, non ci sono gli animali a muovere la tenda ma ci pensa il dio Eolo. Percorsi 270km, buona parte su asfalto, l’altra parte non difficoltosa per il fondo ma per la navigazione da compiere, i navigatori hanno ben riportato il posto ma i sentieri cambiano ogni volta che terminano le piogge e quindi si procedete a vista, coi poveri navigatori che ripetono all’infinito il ricalcolo del percorso che non c’è ma va improvvisato.


14° giorno

Sveglia 30’ prima dell’alba, al buio iniziamo a salire sul promontorio di Kubu island ma ci rendiamo conto ben presto che il primo giorno con le nuvole lo incontriamo proprio oggi qui dove potremmo goderci un’alba fantastica. E così i colori rimangono spenti, il sole non ci regala la sua palla colorata african style che in questo scenario sarebbe stato spettacolare, a questo punto meglio farsi un bel giro a piedi dell’isola ed inoltrarsi nel mare salato che starsene ad attendere qualcosa che non avverrà, una mesta colazione e smontato il campo per l’ultima volta, riattraversiamo il mare di sabbia dove su di un piccolo e largo cactus fa bella mostra di se una mantide, usciamo dal Makgadikgadi National Park dirigendoci a sud lungo una buona strada asfaltata verso il Khama Rhino Sanctuary che raggiungiamo dopo lo spuntino di pranzo consumato a fianco della strada. Il santuario dei rinoceronti è stato creato per preservare questa specie animale che in Botswana era in via di estinzione, quando fu istituito rimanevano 3 rinoceronti bianchi ed uno nero, grazie ad alcuni arrivati dal SA per cercar di riprodursi ora si è arrivati a 41 bianchi e 4 neri. Il grande parco (circa 4500 ettari) come tutti i parchi veri e propri in Africa ha costi enormi, la possibilità di accoglienza di vario tipo e la certezza di vedersi determinati tipi di animali, perdendo il fascino selvaggio del Kalahari certo, ma che alla lunga ha stancato visto anche l’aspetto ripetitivo e anonimo di quel tipo di deserto. Per entrare al santuario si pagano 50p, per l’alloggio in dormitori da 6 letti con bagni separati 90p, il giro in jeep per il parco 120p, ma ne vale la pena. La guida ed autista, Muwanba, illustra tutti gli aspetti del luogo, sa dove si muovono i rinoceronti e finiamo per vederne un numero molto elevato presso alcuni abbeveratoi dove si danno il cambio con zebre ed impala. Nel parco ci sono 6 leopardi, dei quali scorgiamo solo le impronte, introdotti per regolare il ciclo vitale del luogo, a breve verranno introdotti anche i leoni per i quali stanno studiando come procedere, rientrati dall’escursione è tempo per una doccia calda e poi cena presso il ristorante del centro visitatori (85p), con prezzi tutto sommato abbordabili visto che in realtà le alternative non esistono. E’ possibile portarsi le proprie bevande, non fanno storie, il servizio è ovviamente molto lento, ma altro da fare qui non c’è. Percorsi 265km, quasi tutti su asfalto.


15° giorno

Anche questa mattina sveglia ben prima dell’alba, abbiamo il walking safari (270p, evitare di vestirsi con colori sgargianti) da compiere, in jeep raggiungiamo un posto nel parco dove ci son tracce recenti di rinoceronti e a piedi, controllati da 2 guide armate (una è quella del giorno precedente che ammette di chiamarsi Rafael, ma dice che Muwanba fa molto più Africa selvaggia e gli vien utile a rimorchiare turiste di passaggio…) ci inoltriamo nel territorio alla ricerca di questi grossi animali dalle sembianze di dinosauri. Ci illustrano le differenze tra i bianchi ed i neri (questi ultimi hanno una bocca differente, che permette di mangiare non solo erba a terra ma anche foglie sulle piante), distinguibili in primis dalla feci, che in Africa sono fondamentali per capire che tipo di animale si stia seguendo. Non sono aggressivi, ma possono avere reazioni scomposte quando i piccoli si avvicinano troppo, altrimenti se ne vanno da soli, scappando a velocità sorprendente. Riusciamo ad avvistare una madre col piccolo a qualche decina di metri di distanza, ed in effetti appena il piccolo cerca di avvicinarci, probabilmente per curiosità, la madre ne devia il percorso e cerca di allontanarlo il più possibile. In seguito uno enorme si avvicina padrone assoluto del territorio, le guide ci dicono di non spaventarci, ma è talmente vicino che col teleobiettivo montato non riesco ad immortalarlo per interno, devo accontentarmi di primissimi piani del preziosissimo corno! Rientrando in jeep scorgiamo anche qualche giraffa, ma son quasi le 8 di mattina, una colazione velocissima e poi usciamo dal Khama Rhino Sanctuary, costosissimo ma molto interessante ed emozionante, ora ci aspetta un lungo trasferimento con attraversamento del confine tra Martins Drift in Botswana e Groblesburg in SA, lungo il fiume Limpopo. Le pratiche sarebbero veloci e semplici se non fosse per un problema tecnico col software dei pc per le registrazioni che ci fa perder tempo nel lato SA, da qui arriviamo nei dintorni di Thabazimbi dopo esser passati a fianco di verdi montagne ma anche favelas come in Botswana non avevamo incrociato. Girando a lungo troviamo il Mongatane Lodge (150r), posto veramente splendido, molto meno la grande sala che la proprietaria ha addobbato con innumerevoli animali imbalsamati. Aveva un gran orgoglio nel mostrare tutta fiera una iena, non capivo come potesse essere in casa, poi vedendola in quello stato ci son rimasto assai male, ma evidentemente qui è pratica comune. Il posto ha a disposizione un enorme barbecue, andiamo a comprarci il cibo che desideriamo in città (80r) e ci godiamo una cena pantagruelica con uno degli autisti a grigliare qualsiasi tipo di carne e verdura. Percorsi 395km, notte in lodge fantastici, un appartamento nemmeno tanto mini.


16° giorno

Sveglia senza fretta, colazione e poi si parte con un cambio di mezzo, il grosso camion da deserto ha lasciato la compagnia sostituito da un van più comodo ed adatto alle strade asfaltate (ma anche perché destinato ad un nuovo viaggio con destinazione Malawi), andiamo in direzione Pretoria, vorremo fare il giro di questa città o di Johannesburg ma gli autisti non amano andare in centro a queste metropoli (ufficialmente perché ritenute eccessivamente pericolose, con più probabilità perché avrebbero da faticare nel traffico) ed alla fine trattiamo una sosta ad un mercato artigianale tipico del luogo, scelta che ricade su Hartbeespoort, grande e pieno di negozietti che però esibiscono quasi tutti le medesime cose. C’è una corsa incredibile, anzi un assalto, verso i potenziali compratori, le cose non devono andare particolarmente bene da queste parti, ce ne accorgiamo una volta di più quando finiamo in una specie di campo profughi dove sistemare i mezzi per andare all’aeroporto. Strano che ci vengano mostrati luoghi del genere, quando i nostri accompagnatori non vogliono assolutamente che nulla venga lasciato agli abitanti di questo terribile luogo nella periferia di Pretoria. I contrasti nel poco che abbiam visto in SA son forti, splendide autostrade e in lontananza metropoli con grattacieli, ma favelas, miniere presidiate da ingenti forze di polizia (e pochi giorni dopo rientrati leggeremo di scontri con tanti morti da parte dei lavoratori/schiavi di queste), accattonaggio, nessuna scena di integrazioni tra razze, insomma non un gran ricordo del SA, scene invero non accadute in Botswana dove però non ho visto le grandi città, anche se in confronto a quelle del SA le varie Gaborone e Francistown sono paesini. Prima di salutare l’Africa tappa al market della partenza per far scorta di bilton, il cibo da veri africani, o meglio da afrikaner. All’aeroporto ci arriviamo senza problemi di traffico, anche la fila al check-in della Turkish è breve, a chi ha come meta finale Roma viene offerto un cambio volo con Egypt Air che ritarda l’orario di arrivo di 7 ore a fronte di un rimborso immediato ed in contanti di 500$. Peccato che non ci sia questa possibilità per me che ho il rientro su Milano. Il volo per Istanbul è al solito ottimo, cibo e drink a volontà, kit confort, e tutto il resto come all’andata. Prima del volo percorsi 215km, tutti su asfalto.


17° giorno

Di prima mattina atterriamo a Istanbul Ataturk (10h), ancora pratiche veloci ed attesa in una aeroporto che pare il centro del mondo. Ci incontro anche la nazionale di basket della Georgia in partenza per l’Olanda, e dopo una attesa vera e propria di nemmeno 2 ore è già tempo dell’imbarco per Milano sempre con Turkish, questa volta nessuno intende imbarcare armi e quindi tutto scorre via regolare, 2:45 di volo riprendendo a mangiare nuovamente, atterriamo a Malpensa in perfetto orario dove la consegna dei bagagli è veloce, prendo il primo shuttle (10€, 50’) per la stazione centrale e da qui il primo frecciarossa per Bologna (63’, 40€), arrivo prima di mezzogiorno con una temperatura da deserto estivo, l’escursione dalle notti nel Kalahari si aggirerà sui 40°, meglio muoversi con lentezza, anzi, coi ritmi africani!


2 note di commento

Il viaggio si è svolto in agosto, inverno australe, clima ideale per non cuocersi nel deserto e per affrontarlo nella stagione secca, evitando problemi sulle piste, anche se ovviamente con pochissima acqua a disposizione molti animali migrano verso nord. Tutti i costi riportati sono da intendersi a persona, in Botswana per un € servivano indicativamente 9,70 pula, in Sud Africa (in seguito sempre riportato come SA per semplificare) 9,50 rand. Arrivando in Sud Africa si può prelevare direttamente in aeroporto, ma bancomat sono ovunque, ed anche in Botswana nelle città si trovano senza nessun problema. Non servono visti, mentre per entrare nel Kalahari occorre aver prenotato le piazzole di sosta, ma cambi volanti agli ingressi sono ammessi, o trattabili. Di notte nel deserto fa freddo, temperature che lambiscono lo zero quando non si abbassano ulteriormente. Nel deserto occorre esser autosufficienti di ogni cosa, compresa la legna, quella che si trova non può essere utilizzata, serve per l’ecosistema del deserto stesso. Nella parte del Botswana una volta entrati nel Kalahari non potrete comprare nulla, ma nella parte sudafricana (a Nossob) un piccolo market si trova. I cellulari possono esser utilizzati ma ovviamente hanno copertura solo in corrispondenza delle città, per ricaricare batterie varie si può utilizzare la presa di corrente dei mezzi, utile in quel caso un inverter ed una ciabatta, soprattutto se si è in molti. Utile fin da subito sapere che non si può mai scendere dai mezzi per una passeggiata, il Kalahari non è un parco ma un deserto, gli animali vagano liberi quindi il tutto avviene a proprio rischio e pericolo, quando si fa campo la sera occorre piantare le tende vicine ai mezzi, mai allontanarsi dal campo, ma probabilmente al primo risveglio, meravigliati nel rimirare impronte di animali di ogni tipo, leoni compresi, non vi verrà più nessuna voglia di farlo. Ovviamente gli autisti che fungono anche da guide sono fondamentali, importante stabilire un buon rapporto con loro, parlano inglese, anche se tra di loro i 2 che avevo al seguito parlavano regolarmente afrikaner, a me incomprensibile. Quello a cui vi porteranno ad intendere è che voi non vedete il leone ma lui vede voi, giusto ricordarselo. Al di fuori delle zone protette gli animali sono cacciabili, quindi per loro è guerra di sopravvivenza ogni giorno perché ovviamente non possono distinguere una linea immaginaria che delimita tali zone. Insediamenti veri e propri dei boscimani o dei san di fatto son raramente visitabili, c’è uno scontro molto forte tra queste comunità ed il governo centrale che non vuole che nessun straniero entri in contatto con loro per portare fuori dal Botswana le loro cause. Le visite ad alcune comunità son poco più che una gita in maschera che ogni resort come si deve vuole proporre ai propri visitatori. Giusto a Ghanzi si può visitare una cooperativa di vendita di alcuni manufatti, ma accedere ai villaggi è complesso e richiede tempo.

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