1° giorno
In una fredda giornata di dicembre con un Frecciarossa da Bologna arriviamo a Milano (65’, 19€ per un biglietto preso con anticipo di un mese) da dove con il Malpensa Shuttle raggiungiamo l’aeroporto di Malpensa ( 75’ , 10€) sotto una fitta nevicata in maniera da impiegare più tempo per questo trasferimento di 50km che per il precedente di 200. Al check in della Oman Air la coda è lunga ma scorrevole, coda lunga e lenta ai metal detector così non dobbiamo attendere tanto per l’imbarco. Ma a Malpensa nevica molto forte e fa freddo, ci muoviamo in ritardo di 30’ con destinazione l’area attrezzata a detergere l’aereo (Airbus A330) da ghiaccio e neve dove impieghiamo altri 30’ e da lì finalmente ci spostiamo alla pista di decollo con oltre un’ora di ritardo destinazione Muscat (5.055km, 6h). Le telecamere da cui poter osservare il decollo mostrano solo neve ovunque, una specie di tormenta che l’aereo mediorientale fende senza nessun problema, poi il solito ottimo servizio di bordo inizia ad operare con bevande e stuzzichini prima della cena vera e propria. Ma è il primo annuncio del comandante che ci tranquillizza, recupereremo più di 30’ di ritardo così da non perdere le varie coincidenze. Ogni poltrona è dotata di schermo personale con ingresso usb, forniscono oltre alle cuffie anche il kit confort cosa rara sui voli di compagnie occidentali. Cena alla carta poi le luci si abbassano per chi tenta di dormire, per chi vuole tra giochi elettronici, film (anche in italiano) e diavolerie varie non c’è modo di annoiarsi.
Monaci a Bokor Hill Station
2° giorno
Atterriamo nella capitale dell’Oman con pochissimo ritardo, i lavori nei dintorni dell’aeroporto paiono intensi, si notano gru ovunque, la temperatura è prossima ai 30° ma non abbiamo occasione di starcene all’aperto perché occorre passare le operazioni di dogana velocemente e raggiungere l’imbarco per Bangkok (4.937km, 6h) dove dopo aver nuovamente mangiato diverse volte atterriamo in perfetto orario. Il ritiro del bagaglio è immediato e tiriamo un grande sospiro di sollievo visti i tempi strettissimi, ad un dei tanti bancomat preleviamo (tutti chiedono una commissione di 150b) ed usciti dall’aeroporto prendiamo un taxi ufficiale per raggiungere il centro città (450b, da dividere fino a 4 persone) in zona Khaosan Road, meta di tutti i backpakeristi del mondo. Troviamo alloggio al Cozy Thai G.H. (doppia 750b compresa la colazione) in Th Tani ed immediatamente iniziamo ad organizzarci per l’escursione del giorno seguente e per l’entrata in Cambogia via terra. Le numerosissime agenzie di viaggio offrono tutte le medesime cose (anche visti per Vietnam e Myanmar per i quali occorre entrare già provvisti), i prezzi variano di poco, qualcuno cede su di una meta, qualcuno su di un’altra, con del tempo a disposizione e della pazienza si ottiene il meglio. Per cena una delle tantissime bancarelle lungo Th Rambutri (45b), è già sera, il sole calato da ore ma il caldo è ancora elevato, sarà lo sbalzo dalla neve di casa ma la differenza è forte. Come al solito a Bangkok par di incontrare l’intero occidente qui in vacanza pronto a partire per le infinite mete sudorientali.
Navigando tra Battambang e Siem Reap
3° giorno
Sveglia prima delle 7, colazione al ristorante convenzionato con la G.H. poi con un minivan che ci preleva in G.H. prendiamo in direzione del mercato flottante di Damnoen Saduok (escursione comprensiva di trasporto e giro sul canale per il ritorno 225b, 90’ per arrivare) dove giungiamo dopo aver corso come forsennati sulle larghe autostrade nei dintorni della capitale. Il luogo è oltremodo turistico, sui canali si contano forse più imbarcazioni con turisti a bordo che di mercanti all’opera ma nell’insieme il tutto mantiene un certo fascino, se poi invece di girare il mercato con una barca a nolo lo si visita a piedi percorrendo ponti, passerelle e rialzi vari si può incorrere in interessanti sorprese. E’ il cibo a farla da padrone, sia sulle bancarelle a terra che sopra alle barche, altrimenti si trovano souvenir oltremodo banali. Finita la perlustrazione veniamo prelevati per un giro con barca a motore su canali limitrofi e dopo 20’ ritroviamo il minivan per il ritorno a Bangkok. Qui ci spingiamo in bus (13b) verso Siam Square, la zona dello shopping con interminabili magazzini stracolpi di prodotti elettronici, tagliamo per l’università e raggiungiamo la “celebre” Patpong, la zona del sesso, ma vista l’ora pomeridiana tutto ancora è addormentato. Per rientrare invece di tentare varie soluzioni di autobus misti alla metropolitana, con una passeggiata di 1,5km raggiungiamo il fiume e dopo aver trovato il posto di imbarco (male segnalato quasi ovunque) con il traghetto andiamo da Tha Krom Chao fino a Tha Banglamphu (15b). Ovviamente lo scenario che si ammira dal fiume non ha confronto con quello via terra, il biglietto si fa direttamente sul traghetto quando l’inserviente se ne ricorda. Solita cena lungo Rambutri (65b) e per terminare la serata un massaggio articolare in una dei tanti posti dedicati (220b), meglio far presente di procedere soft altrimenti alla prima occasione le articolazioni subiscono uno stress pesante. Qui il massimo è però il fish massage, fatto da piccolissimi pesci che mangiano le pellicine morte dei piedi, lasciando la pelle morbida e pulita. Khaosan road di sera si trasforma in un gigantesco mercato, tra cibo, vestiti, scarpe ecc ci si trova di tutto, ovviamente i prezzi sono bassissimi, ma molti stati limitrofi saranno ancora più economici dove però sarà difficile trovare tutto quello che si trova qui.
Bayon ad Angkor
4° giorno
Colazione in hotel e poi alle 8 veniamo prelevati dall’autista di un minivan per partire destinazione confine Thailandia/Cambogia. Nonostante avessimo chiesto a chi ci ha venduto il passaggio il trasferimento in bus, non c’è traccia del pullman pubblico e coi trasferimenti in minivan c’è aria di truffa. In effetti il minivan è della compagnia Amazing World che svolge servizio per il confine comprensivo di tutto, ovvero di visto a prezzo maggiorato. Dopo poco più di due ore siamo al posto di servizio della compagnia dove rifocillarsi (60b) e dove ci viene proposto il visto cambogiano ad un prezzo ben superiore allo standard di 20$. In bath ne chiedono 1.200, in dollari 35, il problema è che se non si procede non vi portano al confine, cosa che poi dovranno sì fare ma rallentando le partenze. Così, dopo esserci confrontati con altri viaggiatori col nostro stesso problema decidiamo di pagare in $ e di prendere un altro minivan per il confine Aranya Prathet/Poipet, il più trafficato di tutti. Il minivan ci lascia prima del confine, ci danno svariate informazioni del tutto inutili giusto per farci perdere tempo e ci mettiamo nella lunga fila per l’uscita, poi circa 200m a piedi per arrivare nella parte cambogiana, dove la fila è lunghissima dettata dal fatto che all’ingresso, oltre alle solite scartoffie da passaporto vengono prese le impronte digitali di tutte e 10 le dita delle mani. Passano così oltre 2 ore nelle quali ritroviamo i pochi che avevano tenuto duro ed evitato di pagare il sovrapprezzo per il visto “velocizzato” che si è rivelato del tutto inutile. Da qui un bus ci porta alla stazione dei bus di Poipet dove volendo si possono cambiare bath, dollari, euro e monete del sudest asiatico in riel, ma è sconvenientissimo. Il nostro bus per Battambang non fa tappa al terminal così in motorino ci portano sulla strada principale dove ci viene rilasciato il biglietto del bus che passa pochissimi minuti dopo, saliamo e verso le 18 arriviamo alla periferia di Battambang, il pacchetto trasporto è costato 450b, costo standard in tutte le agenzie di Bangkok, se non fosse per la problematica di uscire dal centro città sarebbe molto più economico far tutta la trafila in autonomia tanto i tempi sono identici. Per andare in centro città da dove ci ha lasciati il bus prendiamo un motoremorque (si differenzia dal classico tuk tuk per il fatto che questo è un vero e proprio 3 ruote costruito per il trasporto persone e cose mentre il motoremorque è un normale scooter a cui legano un trabiccolo per caricare le persone/cose) dopo trattative varie tra quelli presenti (6.000r) e scaricati verifichiamo dove far tappa in città. Optiamo per il Moon G.H. (camera 6$, acqua calda, ventilatori, aria condizionata ed acqua minerale) dopo trattativa visto che in prima battuta il prezzo era molto più elevato. Il posto è centrale proprio di fronte al grande mercato cittadino, cuore del luogo, nei paraggi ci trova tutto quello che Battambang può offrire e dopo aver constatato che effettivamente i bancomat elargiscono solo $ statunitensi ceniamo allo Smokin’ Pot (15.000r) più centrale, quello che non ha le sale per i corsi di cucina. La città, anche se si tratta di una delle più grandi della Cambogia una volta che il sole lascia ogni traccia di se, diventa di fatto abbandonata, in giro quasi solo turisti, anche il lungofiume è abbandonato, se si vuole approfittare delle tante bancarelle che offrono cibo tipico meglio farlo ad orari anticipati.
Battambang, scambi manuali sul treno di bambù
5° giorno
Colazione a spizzichi e bocconi, paste ad un forno vicino al mercato (2 paste, 3.000r, qualità scarsa) e caffè+spremuta da Bus Stop (2$) poi trattato il noleggio con conducente di un motoremorque (15$ al giorno, si può dividere fino a 4 persone) iniziamo la visita dei dintorni della città dopo esserci assicurati un passaggio in nave per il giorno dopo verso Siem Reap. Il conducente ci consiglia di far subito tappa all’escursione con treno di bambù, tutta al sole e viste le temperature prossime ai 35° già nella mattinata meglio seguire il suo consiglio. Il treno di bambù è formato da due rulli sui quali viene posta una tavola di bambù, al rullo posteriore vien collegato un piccolo motore a cinghia che spinge il mezzo, visto che il binario è unico quando si incontrano altri “convogli” uno viene smontato e spostato per far strada. Una maniera pratica, veloce ed economia per spostarsi nella provincia tra boschi e fiumi, usata per caricare il treno dei prodotti della terra ed anche come emozionante e straniante gita i turisti che arrivano fin qui. Un vagone costa 10$, ci si può accalcare in tanti, ma per godersi la corsa a fondo in 2 è il meglio perché ci si gusta vento in faccia il tracciato, occhio alle giunzioni dei binari perché qui di ammortizzatori non c’è traccia e si salta che è un piacere. La corsa di andata dura indicativamente 45’ , dipende dalle soste e dagli smontaggi del treno, il paesaggio di campagne, fiumi e foreste proprio bello, all’arrivo ad un villaggio stanno sorgendo piccoli bar per ristorarsi e dato il caldo meglio approfittarne. Rientrati al punto di partenza dopo un ritorno più lento causa ingorgo della linea (ma si incontrano solo treni di bambù, non c’è traccia di grandi treni su questa linea) andiamo a visitare il Phnom Banan (3$, il biglietto vale anche per il Phnom Sampeau), tempio dalle forme che ispirarono la costruzione dell’ Angkor Wat sito su di una collina raggiungibile dopo oltre 350 gradini. Piccolo ma raccolto il posto è bello e la vista spazia sulle risaie senza fine che attraverseremo per la meta successiva in un intrigo di sentieri che se non fosse per la guida sarebbero un labirinto inespugnabile. Facciamo tappa anche ad un albero coperto da pipistrelli, solo in questo albero si fermano, percorrono centinaia di chilometri ogni giorno per far la spola da qui ad un posto passato il confine con la Thailandia , la guida che parla un po’ di inglese non sa purtroppo spiegarci il perché. Ci mostra la tipologia di riso coltivato, di dimensioni ridottissime, più tondo che ovale, la salvezza della zona. Arriviamo al Phnom Sampeau, decisamente più visitato soprattutto da parte delle genti locali che al tempio chiedono miracoli in cambio di donazioni di ogni tipo, il tempio è più pacchiano del precedente e moderno, la vista ugualmente bella ed i percorsi per salire sono molteplici, poco segnalati, da scegliere in base a cosa si preferisce vedere, panorami o piccoli templi. Da qui rientriamo in città, son quasi le 15:30, facciamo tappa al vecchio ponte francese sul fiume Stung Sangker dove sorge anche la vecchia residenza del governatore (non visitabile) e da lì risaliamo a piedi il lungofiume dove iniziano ad aprire le bancarelle del cibo. Un sandwich cambogiano (5.000r) è fatto con baguette, fette di insaccato di pollo, verdure e salse di ogni tipo, carburante giusto per ritemprarsi del viaggio giornaliero. Giriamo per Battambang a piedi, ma a parte alcune costruzioni del periodo coloniale c’è poco di interessante da vedere se non l’incredibile traffico di motorini e biciclette nei dintorni del mercato dove si stanno iniziando ad unire pickup e suv. A ritmi lenti si procede verso cena, proviamo l’altro Smokin Pot (14.000r), se non si ha fretta un buon posto, menù abbondante anche se alla fin fine son quasi sempre gli stessi prodotti proposti in modo diverso. Come il giorno prima, alle 21:30 son solo facce occidentali a girare per la città, del resto i locali alle 5 di mattina iniziano già la loro complessa attività commerciale, qui tutti vendono qualche prodotto, possibilmente usato.
Monaci ad Angkor Wat
6° giorno
Il conducente del giorno precedente (1$) ci attende puntuale alle 6:40 per portarci all’imbarco della Angkor Express destinazione Siem Reap (20$, 8 ore). Il viaggio lungo canali, fiumi ed il lago Tonlè Sap è gestito a giorni alterni da 2 compagnie, partono sempre alle 7 di mattina, nella stagione secca, ovvero ora, può comportare tempi lunghi e qualche volta scendere dalla barca, a noi questa eventualità è risparmiata ma effettivamente nella prima parte alcuni passaggi son difficoltosi, però il viaggio è veramente splendido. Passate le prime 2 ore piuttosto anonime e lungo una campagna piatta e poco abitata si iniziano a scorgere svariate navi-casa della popolazione locale, posti di pesca, villaggi galleggianti sempre più grandi fino a vere e proprie città sull’acqua. Per molti in questi luoghi il battello che fa il servizio Battambang-Siem Reap è l’unico collegamento col mondo civile, è bello vedere bambini piccolissimi che guidano canoe nel venire a prendere i genitori che sono stati in città a far compere, certo pensare di vivere in questi luoghi durante la stagione delle piogge è durissima, ma ora lo spettacolo è fantastico, così come i colori che riempiono fiumi e campagna. In uno di questi villaggi facciamo una sosta più lunga fermandoci in una specie di rivendita che fa anche da ristorantino (molto sui generis, sia chiaro) dove poter mangiare un piatto caldo (3$, quello che prepara la signora, nessuna possibilità di scelta, roba confezionata quanta se ne vuole) ma anche rinfrescarsi con bibite fresche. Poi si entra nell’enorme lago Tonlè Sap, la vista è meno emozionante anche perché pare un mare, ma per arrivare all’attracco finale ci si butta alla ricerca di strettissimi passaggi tra la foresta di mangrovie, meglio non rimanere sul bordo del battello se non si vuol finire rovinati, si può stare anche sul tetto, ma occorre proteggersi dal sole con creme adeguate. Quando sbarchiamo nel molo in costruzione di Chong Kneas (luogo battutissimo dai turisti presenti a Siem Reap per escursione ai villaggi flottanti del posto, ma se si son visti quelli precedenti nei canali l’escursione è evitabile) siamo attaccati da un numero incredibile di conduttori di motoremorque, siam definitivamente arrivati nei paraggi di Siem Reap, probabilmente il luogo più visitato di tutta l’Asia. Con tutta calma ne scegliamo uno (5$, 20’ ) per essere scaricati presso Ivy G.H. (10$ la camera, quelle al secondo piano senza acqua calda costano 8$ ma sono anche molto più calde) una tranquilla Guest House fornita di tutto appena fuori dal centro vero e proprio di Siem Reap, immersa nel verde, ventilatori ovunque, wi-fi free ma anche un pc a disposizione gratuitamente, doccia calda (va sempre specificato, l’energia elettrica è il costo maggiore delle camere), ventilatori, aria condizionata ed acqua minerale (fornita a giorni alterni…). Un veloce giro della cittadina, imballata di gente in modo incredibile con comitive vocianti di cinesi come mai mi era capitato in passato, giusto per capire come muoverci nei primi giorni, capire come si muova la città ed accorgersi come ci sia ben poco da vedere viste le magnificenze che offre nei dintorni. Ceniamo nei dintorni del mercato (4$), qui si trova di tutto, del resto se c’è un luogo dove trovare un cittadino di qualsiasi nazione al mondo forse è proprio qui che bisogna cercare. Un massaggio articolare costa sui 5$, si iniziano a trovare gli ambulatori dove i massaggi vengono eseguiti da ciechi, molto più sensibili anche se sovente molto più forti, tanto che è bene accordarsi prima di iniziare sull’intensità, anche se in seconda battuta i benefici sono evidenti. Ovviamente spopolano i massaggi ai piedi, viste le strade da percorrere ed i tantissimi gradini da salire e scendere nella foresta, son sempre un toccasana. A Sim Rap fa caldo, forse come a Battambang, probabilmente il caldo maggiore sofferto in Cambogia durante questo viaggio, fortuna che il meglio di Angkor è sempre nel mezzo della foresta, umidità accettabile.
Siem Reap, ricordi del periodo dei Khmer Rossi
7° giorno
Colazione in G.H. (11.000r, costa nettamente di più che dormire) con abbondante insalata di frutta con yogurt, poi appena usciti iniziamo a contrattare con alcuni conducenti di motoremorque per 3 giorni di escursioni verso Angkor. Abbiamo tempo e scegliamo di approcciare il grande complesso in modo graduale, quindi un giorno per ogni circuito, si possono fare più velocemente, diciamo in 2, ma perché privarsi del piacere di godersi questi luoghi al ritmo rilassato, muovendosi nel mezzo della natura senza fretta? Così concordiamo la tariffa di 15$ al giorno, l’importante sarà non correre e lasciarci i tempi che preferiamo. Nella provincia di Siem Reap non si possono affittare motorini quindi o con un conducente di moto o motoremorque se non si è soli oppure in bicicletta, ma in questo caso tenete conto del gran caldo, del fatto che occorre comunque avere al seguito qualcuno che sia informato sui luoghi e che soprattutto il circuito grande non è proprio una passeggiata nel gran caldo. Partiamo per il complesso di Roluos, la parte più antica dei templi, ma prima occorre comprare il biglietto, fattibile solo presso la grandissima biglietteria in direzione di Angkor Wat. Più file a seconda del tipo di biglietto (20$ un giorno, 40$ 3 giorni e 60$ una settimana), noi optiamo per quello settimanale, allo sportello vien scattata una foto che troverete riportata sul biglietto plastificato valido per tutti i templi nella zona, escluso Beng Mealea. Dalla biglietteria a Roulos son circa 12km, percorsi sul motoremorque si è sollevati da una brezza piacevole, che scompare immediatamente appena ci si ferma. Il primo approccio con la mitica Angkor per noi avviene con il Preah Ko, sei torri circolari consacrate a Shiva. Da qui spingendoci poco più a sud si arriva al Bakong, la gemma del complesso, attorniato da un bacino artificiale (che sarà lo standard per tutte le costruzioni khmer) si sale in vetta per godersi la prima splendida immagine della foresta attorno alle costruzioni. C’è anche un moderno wat in uso, ma notiamo come la presenza di monaci non sia così profonda come osservato nel viaggio precedente in Laos. Bakong richiede del tempo per goderne appieno lo vista, compresa quella sul versante esterno del bacino, poi da qui si prende a nord per il terzo monumento, Lolei, decisamente minore e male in arnese causa restauri che di fatto ne limitano la visione. Tutto attorno a questi 3 monumenti sorgono altre rovine che però non vengono minimamente prese in considerazione, ed effettivamente con tutto quello che offre il sito non si può dare torto alle guide nell’evitare soste lungo il percorso. Da qui ci facciamo portare alla collina di Phnom Krom che domina il lago Tonlè Sap, circa 18km a sud-ovest di Roluos, percorrendo vie lungo risaie, canali fitti di abitazioni ed animali padroni della strada. Nel momento di maggior caldo saliamo la collina dominata dall’omonimo tempio poco interessante, il contrario della vista, favolosa soprattutto sul versante settentrionale, dove le risaie regalano uno degli scenari più tipici del sud-est asiatico. Le viste sul lato meridionale sono invece migliori a metà sentiero, in corrispondenza di una piccola costruzione che a parte il belvedere regala anche un attimo di tregua dal sole fortissimo. Qui si ammira lo scenario dal lago fino a limitrofi costruzioni rialzate per evitare di esser coperte dalle acque nel periodo delle piogge, e nel mezzo la foresta di mangrovie. Scesi e recuperato il conducente rientriamo in città per un ristoro da Father’s Rest (2,2$) e per organizzare 2 giorni di escursioni fuori Angkor. Il giro dei luoghi verso Banteay Srei viene offerto da tutte le agenzie di viaggio che sono un numero impressionante, ma noi vogliamo combinare anche quella verso il remoto Prasat Preah Vihear con rientro a Koh Ker, così occorre trattare a lungo con più venditori per combinare qualcosa di logico, economico ed interessante. In realtà nessuna agenzia gestisce l’escursione al lontano sito sul confine in autonomia, si appoggiano ad autisti locali, l’importante e concordare un prezzo che soddisfi entrambi e con tutto ben riportato sul contratto. Cena al mercato notturno, di Siem Reap (15.000r), zona est rispetto alla via principale, un mercato come tutti gli altri, made in China per qualsiasi prodotto.
Trasporti nella zona di Siem Reap
8° giorno
Alle 7 di mattina un conducente differente ci viene a recuperare alla G.H, parla meglio inglese rispetto al suo amico del giorno precedente, e con lui partiamo verso Angkor, circuito piccolo (quello più celebre e famoso), dove facciamo colazione in uno dei tanti bar/ristorante in fronte ad Angkor Wat (3,2$) ma la visita la lasciamo al pomeriggio per via delle migliori condizioni di illuminazione. Entriamo quindi ad Angkor Thom, la città vera e propria edificata dai khmer tra l’800 ed il 1.400. Dalla porta sud la prima sosta è al monumento più rappresentativo di questa perduta civiltà, l’incredibile Bayon opera formata da 2 strutture quadrate sormontate da una circolare. Ma la particolarità sono gli innumerevoli volti di Avalokiteshvara che ci osservano da qualsiasi posizione. Il Bayon non è comunque descrivibile ed anche la vista dall’esterno poco può significare rispetto al perdersi nei suoi meandri, qualsiasi luogo è visitabile e vien da chiedersi fino a quando potrà esser così dato che il numero di persone è elevatissimo e anche prestando la massimo attenzione non si può non portare disagi alla struttura. Ma ora si può fare e conviene approfittarne, poi da qui l’escursione continua a piedi verso nord passando per il Bauphuon dove si sale solamente con pantaloni lunghi (unico monumento dove vien richiesto questo costume) altrettanto imponente anche per la vista che dall’alto regala, sempre verso nord si prosegue al Phimeanakas da cui si sale sulla terrazza degli elefanti per arrivare a quella del Re lebbroso e da lì spingersi ad ovest verso il Preah Palilay, il primo monumento dove al natura si è fatta padrona del posto. Da queste parti si trovano molte bancarelle dove rifocillarsi e rinfrescarsi, perché camminare nel mezzo della foresta non è troppo caldo ma appena scompaiono gli alberi i 35° si sentono tutti. Nella spianata del Kleang, dopo 3 ore di visite ci ricongiungiamo col nostro conducente di motoremorque per continuare verso ovest alla ricerca di altri siti raggiungibili dalla porta est. Uno di fronte all’altro si trovano il Chau Say Tevoda ed il Thommanom e poco dopo altra sosta a Ta Keo, grande tempio a forma piramidale privo però di qualsiasi decorazione, ma da dove il panorama spazia lontano. Ultima tappa al più celebre, sebben piccolo tempio della zona, Ta Prohm, la cui immagine di alberi che si mangiano la porta centrale è uno dei simboli della Cambogia. Ovviamente l’assembramento è incredibile, gli spazi sono limitati, la vista frontale dell’immagine simbolo delimitata da piccole balaustre, ma è comunque possibile girare per le gallerie interne anche se non illuminate. Sarà immagine già vista più volte ma rimane comunque fantastica, la natura che domina le costruzioni umane, qui in una lotta paritaria (mentre a Beng Mealea la natura vincerà alla grande…) con 2 grandi vincenti. Da qui in un attimo arriviamo (gli spostamenti col motoremorque nella foresta sono rigeneranti perché l’aria fresca si rivela una brezza fantastica visto il caldo) al bacino artificiale per le abluzioni reali del Sra Srang attorniato da bancarelle e ristoranti (ananas intera e bibita 2$). Nel pomeriggio riprendiamo l’escursione al limitrofo Banteay Kdei per recarci infine alla meta delle mete, l’Angkor Wat, il più grande tempio al mondo, se non addirittura la città tempio. Nel pomeriggio la luce lo illumina di fronte, l’incanto è ancora maggiore, si entra percorrendo una prima strada rialzata nel mezzo del bacino, una volta varcato il portico ovest ci si trova di fronte il vero e proprio wat, anche qui raggiungibile su di una ennesima strada rialzata di altri 200m. Ma già qui ci sono altri monumenti da osservare, se non fosse che il wat fa diventare tutto minuto al proprio cospetto. La vasca sinistra prima del wat regala quelle favolose immagine dell’ Angkor Wat riflesso sull’acqua, meglio approfittarne quando c’è meno ressa e magari le arancioni vesti dei monaci donano maggiori cromatismi all’insieme. Una volta entrati ci sono tantissime cose da vedere, volendo ogni singolo bassorilievo (in primis le splendide apsara) è un mondo a se per comprendere cosa avvenne qui in tempi fastosi, tanto vale perdersi e ritrovarsi ogni volta in un luogo ancora più incredibile. Unica nota, non si può accedere all’ultimo piano, il Bakan, ma poco male. Permeati da questa magnificenza, attendiamo che il tramonto si avvicini in uno dei numerosissimi ristoranti dove sorseggiare qualcosa di ritemprante dal caldo per andare verso Phnom Bakheng, la collina ad ovest da cui godersi il miglior tramonto su tutta Angkor. Peccato che l’idea sia condivisa da migliaia di persone, la salita per la sommità è un serpente unico di genti, l’ascesa al tempio (niente di particolare) regolata da numerose guardie, una volta in vetta par di essere nella bolgia più totale, dove vedere qualcosa è un’impresa, chiunque scatta a caso chissà cosa e per di più le nuvole mai viste durante il giorno coprono il sole ed il tramonto non colora le fantastiche costruzioni di Angkor. Peccato da poco, scendiamo il sentiero ancora attorniati da un mare di gente, trovare il nostro motoremorque un’impresa non da poco, poi per fortuna il conducente conosce una scorciatoia nella foresta tale da evitare il flusso di pullman che coi gas di scarico a pochi centimetri sarebbero letali. Una volta calato il sole il percorso sul motoremorque pare addirittura fresco, un buon finale per una giornata “emozionante”. Dopo una lunga doccia rigenerante tempo di cena presso il Banteay Sanre BBQ (3,5$), ma a Siem Reap non c’è che l’imbarazzo della scelta, da Pub Street all’infinito.
Gente del Ratanakiri, all'occorrenza stazione di rifornimento
9° giorno
Stesso orario e stesso autista del giorno precedente, oggi è il turno del circuito grande, ovvero i monumenti riconducibili ad Angkor ma più lontani, un giro che si interseca con quello del percorso corto e che può essere interconnesso ad esso, ma che non da la possibilità di vedersi in modo non dico da archeologo professionista ma nemmeno esaustivo il tutto in una sola giornata. Tappa al Thida Speam Neak Rest (3,75$) per colazione poi prima sosta al Pre Rup nella zona denominata Mebon Orientale. Qui una volta saliti sul tempio la vista vista della foresta è ben più impressionante visto che nei dintorni non si scorgono né altre costruzione né persone. Il Mebon Orientale a sua volta oltre a denominare la zona è un tempio, non sorge più su di un’isola ma merita una sosta, molto più interessante il Ta Som, al termine del quale si erge un gigantesco albero che si è mangiato la porta orientale. Per raggiungere il Preah Neak Poan si percorre una lunga passerella sul largo bacino formato dal Siem Reap River, senza protezione ai lati. Peccato che il complesso non sia visitabile, si può vedere solo la parte settentrionale, nulla di più. Da qui la prossima meta è il Preah Khan, la perla del circuito grande, anche questo attorniato dalle acque del Baray, dove si può venir lasciati all’estremità orientale e recuperati a quella occidentale, dopo una escursione, tra edifici, gallerie, alberi di ogni tipo. La particolarità di questo grande tempio è di essere dedicato a più religioni, così le sue forme prendono più ispirazioni, ispirazioni che poi la natura ha terminato a suo piacimento. Nel rientro verso Siem Reap si ripassa da Angkor Thom, così ne approfittiamo per rivedere alcuni luoghi, tra cui la terrazza degli elefanti dal Kleag ed un ultimo assaggio dell’Angkor Wat. In città facciamo una veloce tappa al Wat Thmei dove si trova uno stupa contente alcuni teschi dei caduti sotto i colpi dei khmer rossi. Se ne parla pochissimo da queste parti di quel genocidio, certo la popolazione è molto giovane, ma pare comunque che la memoria collettiva abbia velocemente rimosso disastri e dolori perpetuati in maniera così efferata nemmeno 35 anni fa. Anche se già pomeriggio inoltrato facciamo sosta per uno spuntino presso Ecstatic pizza (4$), ci guardiamo un po’ la città che però è diventata un enorme centro commerciale all’aperto e ci riposiamo prima di cena dove sostiamo al Bhunta Rest (3,5$). Notiamo che in giro per la città, oltre ai soliti motorini e le ormai poche biciclette stanno arrivando numerose le auto, praticamente tutte vecchie versioni di Toyota Camry affiancate da coloratissimi SUV di ogni tipo, il turismo sposta l’economia locale in maniera velocissima, poter aprire una piccola attività turistica cambia subito lo standard di vita, ed anche potersi permettere un motoremorque è fonte di reddito di dimensioni elevatissime rispetto a chi non può permetterselo.
Phnom Penh, palazzo reale
10° giorno
Alle oramai solite 7 della mattina veniamo prelevati da una guida/autista con Toyota Camry per un’escursione fuori Angkor sempre però in siti riconducibili a quella antica civiltà. La guida, per nulla simpatica e più interessata ai suoi affari che a farci vedere quanto richiesto, ci fa far tappa per colazione ad un “suo” ristorante, caro all’inverosimile, il Khmer Ancient Rest, di fronte ai nostri dinieghi i proprietari ci offrono banane gratuitamente, proprio di lato c’è la prima tappa giornaliera, il Banteay Samrè. Ma la perla di giornata è il Banteay Srei, piccolo complesso sito su di una isoletta con templi decorati in maniera sopraffina. Della sua origine vi è ancora discussione sul periodo di costruzione, ma senza perdersi in questi dettagli si può ammirare una vera chicca. Da qui raggiungiamo il punto di partenza per la salita al Kbal Speam, che dista 2km dal parcheggio. La salita in alcuni punti non è agevolissima soprattutto per chi (e sono tanti) la affronta con ciabatte, all’arrivo più che godersi le lavorazioni incise sui massi e sul fondo del fiume (poca cosa dopo quanto visto in questi giorni) ci si gode lo scenario nella giungla. Vi si trova anche una potente cascata dover poter fare il bagno. Tutti questi luoghi sono visitabili col biglietto di Angkor, mentre il prossimo raggiungibile su strada non asfaltata necessita di un biglietto a parte. Quando arriviamo al Beng Mealea facciamo tappa per pranzo al Rum Duol Angkor II (carissimo, 5,5$ per le solite cose, tipo noodles o riso con carne e verdure) dove però ci prendono i bigletti per l’ingresso (5$) facendoci risparmiare tempo. Beng Mealea è cosa a parte da quanto visto in precedenza, qui la natura ha sconfitto l’uomo e più che una visita si tratta di una spedizione alla Indiana Jones. Lasciatevi avvicinare da qualche inserviente, vi guiderà lui tra i meandri del tempio, si passerà per vie impensabili, si scaleranno gallerie, tetti, ci si appoggerà ad alberi e con rami ci si sposta da un tetto all’altro, il tutto in un contesto splendido, quello che avrete visto in passato in alcuni film voi lo farete! Che il tutto sia permesso con così facilità mi pare anomalo, ma rinunciare una volta entrati in questo modo diventa praticamente impossibile, come ritornare sui propri passi se nessuno vi guida? E’ indubbiamente la visita più appagante di tutto il complesso di Angkor, per questo fuori pista lasciamo un dollaro/4.000r a testa alla guida che ringrazia soddisfattissimo. Poi abbiamo anche il tempo di girarci il sito in maniera canonica anche se ad un certo punto invece di rientrare tramite passerelle lo facciamo alla cambogiana, ormai siamo di casa. Beng Mealea è ben poco cosa rispetto ad Angkor Wat, ma l’emozione che sa regalare è ancora più grande, imperdibile. Rientriamo su strade di terra rossa, un percorso che inizia a svelarci una Cambogia bucolica che nulla ha da spartire con Siem Reap, le vie si popolano di camion senza strutture, motorini carichi più che da noi le auto, scooter con intere famiglie trasportate, magari in 5 con un bambino di 8 anni alla guida, benzinai ufficiali sempre vuoti e chiunque che fuori da casa (o meglio baracca) vende bottiglie di benzina a prezzo uguale o leggermente minore, bambini che giocano ovunque senza però disturbare gli stranieri con qualsiasi tipo di richiesta, per quelle bastano ed avanzano i cambogiani “urbani”, che trovano infiniti modi per sfruttare se non truffare gli stranieri, senza tener conto però che appena usciti dalla zona di Angkor chi viaggia in autonomia solitamente ha esperienza e sa come contrapporsi a questi falsi, ipocriti e inattendibili figuri. Ceniamo in un ristorante popolare lungo il fiume di fronte al mercato, Nai (13.000r) in maniera ottima (e questo è particolare da quelle parti) ed economica. Unico avvertimento, lasciate a casa la fretta, mi raccomando. Prima di lasciare Siem Reap sosta al bancomat della Canadia Bank in pieno centro, nessuna spesa di commissione sui prelievi e possibilità di ottenere cifre ingenti tali da coprire tanti giorni dove presumibilmente non si troveranno altri sportelli di questa banca.
Le rosse ed impolverate strade del Ratanakiri
11° giorno
L’autista ci chiede di partire alle 6 per il lontano e remoto Prasat Preah Vihear (questa escursione e quella del giorno precedente costano 140$, da dividere fino a 4 persone), acconsentiamo anche per via del fatto che passando per Anlong Veng vorremmo fare una deviazione di nemmeno 2km presso la casa museo di Ta Mok, fratello n° 3 del periodo dei khmer rossi. La strada a differenza di quanto indicato è ora tutta asfaltata (a parte gli ultimi 5km, che sono comunque buoni), non ci sono indicazioni e per noi capire dove stiamo passando di fatto impossibile, la guida/autista non si vuole fermare subito per colazione e finisce per saltare la deviazione, fermandosi solo una volta arrivati al posto di ascesa al Prasat Preah Vihear. Noi, potendoci orizzontare con tempistiche diverse rispetto a quanto possibile ora, dobbiamo sottostare ma evitiamo di fermarci al “suo” posto che offre solo caffè con ghiaccio e zuppa di noodles con carne. L’accesso al sito è gratuito, non così l’ascesa, ma alterati con l’autista teniamo botta e non prendiamo nessun passaggio per la vetta partendo a piedi col tipo imbestialito perché così gli faremo perdere ore che lui intendeva recuperare. Ma imprecando si rassegna, noi prendiamo la strada per il sito sul confine con la Thailandia , confine chiuso dal 2009 quando è terminata la guerra per questo lembo di terra, ma viste le forze in campo la situazione non deve essere così tranquilla. L’ascesa parte dolce poi comprendiamo perché con la Toyota non sarebbe fattibile, un pickup dell’esercito ci carica (e siam seduti tra pistole, mitragliette, viveri ecc…) e deve utilizzare le ridotte per salite. Il Prasat si trova su di un cucuzzolo ad oltre 700m, luogo strategico per visionare chilometri e chilometri di territorio, da una parte e dall’altra. I soldati ci scaricano direttamente sullo scalone principale, ci forniscono la loro acqua personale e da qui iniziamo la visita che ha il suo culmine sullo strapiombo a sud, nel mezzo di una trincea ancora in essere ed in ottime condizioni. Il luogo non può certo rivaleggiare con Angkor, ma la collocazione è mozzafiato, i militari mi prestano i loro binocoli per ammirare lo scenario in ogni direzione, quando indico la Thailandia mi confermano il nome con un esplicativo “pum pum”. Qui si è pronti a sparare ad ogni evenienza, sul lato nord le trincee e le fortificazioni non possono nemmeno esser fotografate. Un altro aspetto positivo del luogo è la poca gente e la tranquillità, che par strano visto il dispiegamento di armi, ma tale appare, forte anche del fatto che la temperatura è perfetta, una piccola brezza salvifica ci accompagna in ogni pertugio visitabile. Le mogli dei soldati approntano piccole bancarelle dove pranzare (6.000r per noodles e bibita), qui il ghiaccio viene portato su scooter stracarichi, poi prendiamo la via del ritorno ed i posti militari sono ovunque. Il primo pickup militare ci carica questa volta sul cassone, arriviamo al posto di ritrovo ben prima di quanto l’odioso autista si immagini e rimane meravigliato del nostro arrivo in questo modo. Partiamo subito con destinazione Srayong dove faremo tappa per la visita dell’indomani a Koh Ker. Lungo la nuova strada che raggiunge il Prasat asfaltata e drittissima sorgono numerose caserme, l’impresa più ardua per noi è mantenere sveglio l’autista che sfoggia la palpebra calante, gli argomenti di discussione sono pochi vista la reciproca idiosincrasia ma la nostra sicurezza deve andare ben oltre a questo. Ci scarica al villaggio senza interessarsi a nulla di più dell’aver prelevato gli zaini, troviamo posto nell’unica G.H. del villaggio, Ponloeu Preah Chan (8$), grande costruzione tutta di legno su 2 piani. Al secondo offre le uniche 2 camere dotata di bagno, che poi significa una tazza ed un tubo da usare come doccia (fredda) e lavandino, rimaniamo una notte sola, alternative non se ne vedono ed accettiamo subito. La padrona però non parla una parola che non sia cambogiano, provando a chiedere qualche info per l’escursione del giorno seguente a Koh Ker e per andarcene da qui verso Tbeng Meanchey l’unica cosa che riesce a fare è telefonare ad un suo conoscente che sta nella capitale con cui parlare inglese. Ovviamente questi nulla sa rispondere a noi, ma anche parlando con la signora non riesce a strapparle indicazioni utili. Proviamo allora nel villaggio, ma stessa sorte, poi fortunatamente giunge una jeep della CMAC (una ONG che sta sminando il terreno limitrofo) ed il ragazzo parla un fluentissimo inglese così da trovarci 2 autisti di moto per il giorno seguente e da organizzarci il trasferimento nel pomeriggio grazie ad un servizio privato che carica quelli prenotati telefonicamente. Ovviamente senza questa persona il tutto sarebbe stato impossibile, abbiamo avuto buona sorte. La proprietaria della G.H. ci indirizza in un posto 100m a dx per la cena, dire che si tratti di un ristorante è roba grossa ma possiamo cenare, anche se il tutto avviene con la compiacenza di un signore del posto che nel tavolo accanto cena con la famiglia e che parla un po’ di inglese da tradurre al proprietario. In ogni caso le basi di lingua khmer apprese sulla Lonely Planet sarebbero comunque state sufficienti per la sopravvivenza. Cena normale, condita però da un caffè favoloso (10.000r).
Koh Nhek, unico incontro con la civiltà nell'attraversamento del Tonle Srepok
12° giorno
Colazione al mercato (4.500r), unico posto dove poterla conseguire, anche se con estrema difficoltà nell’intendersi, poi caricati su motorini (5$, caricati in modo da avere un guida all’interno del sito) raggiungiamo Koh Ker (10$, biglietteria volante lungo la strada) che prima ancora di Angkor fu capitale dell’impero. Le rovine del sito sono in un raggio molto largo, alcune sono in pessime condizioni, quindi non val la pena rischiar la vita per raggiungerle, buona cosa prestare attenzione ai cartelli che segnalano lo sminamento, dove avvenuto... L’attrattiva principale del luogo ora che raggiungerlo non è più impresa improba è la grande piramide denominata Prasat Thom (o Prasat Kompeng), decisamente straniante come costruzione in questo angolo di mondo, senza turisti al seguito e custodi nei dintorni si potrebbe pensare di trovarsi in Yucatan. Purtroppo non è possibile salire in cima. Altri luoghi interessanti si trovano nei dintorni, non sono di facile reperibilità senza una guida, tra tutti svettano alcuni linga di dimensioni cospicue, quasi certamente i più grandi della Cambogia. La visita può durare da 2 ore anche all’intera giornata, dipende dal vostro interesse, ovvio che dopo giorni e giorni di templi e rovine angkoriane si presti attenzione alle realizzazioni che maggiormente colpiscono l’occhio per poi rientrare verso il villaggio a riprendere gli zaini alla G.H. dove nell’attesa del mezzo per andare a Tbeng Meanchey la proprietaria ci offre banane a non finire, che qui nessuno fa mai pagare. L’attesa è lunga, ci avevano avvertito di farci trovare pronti per le 14:30, in realtà la Toyota Camry sulla quale saliremo arriverà ben dopo le 16, ma l’attesa è all’ombra seduti e quindi a poco serve stare in ansia. In auto sommersi tra svariati bagagli siamo in 8, 4 davanti e 4 dietro, nessuno pare aver problemi, ora la strada è tutta asfaltata ed in 45’ arriviamo (7,5$), mentre poco tempo prima occorreva più del doppio del tempo. In auto un passeggero parla inglese così tramite lui riusciamo ad accordarci col conducente per il lungo trasferimento del giorno seguente, le guide lo riportano come un’avventura e non un viaggio, ma qualche dubbio sorge visto che ci viene sparata una cifra alta, la abbassiamo nemmeno troppo e senza indugio l’autista accetta gli 80$. Facciamo tappa al Marah Sambat G.H. (camera 6$, doccia calda ma posto poco accogliente a dir poco), proviamo a visitare la cittadina che tutti chiamano Preah Viehar (da non confondere col sito al confine thailandese), importante apostrofarla con questo nome perché evidentemente nessuno al villaggio precedente ci aveva dato info sul trasferimento dato che il nome non era a loro noto. La città non ha proprio nulla da offrire, il fiume è fuori città e per raggiungerlo occorre inoltrarsi su sentieri in pessimo stato così desistiamo dando un’occhiata al mercato (solo roba di sussistenza locale), proviamo a verificare se in effetti non esistano collegamenti pubblici per tagliare verso est (e così è) e prendiamo qualche info in un internet point (2.000r x h) prima di cenare a fianco della G.H. in uno dei pochi luoghi dove una cameriera parla qualche parola di inglese (12.000r), in altri al solo chiedere se ci potevamo sedere, probabilmente sentendo un lessico sconosciuto ci avevano detto di no d’impatto, e nessun ristorante esibiva un menù. A Tbeng Meanchey, alle 20 a parte i cani, nessuno più gira per la città, luci ben poche e così non resta altro da fare che rientrare nella poco ospitale camera della G.H. in attesa di tempi migliori.
Nessuno uscirà vivo da qui! Le segrete del famigerato Liceo S21 a Phnom Penh
13° giorno
Lunga giornata di trasferimento, colazione sulla strada a fianco della G.H. con paste (3.500r) e caffè (1.000r) poi alle 8 con l’autista del giorno precedente partiamo per Thala Boravit, sponda occidentale del Mekong. Il percorso viene descritto come un sentiero e poco più, percorribile solo nella stagione secca, totalmente impercorribile in estate. A dire il vero l’autista pare tranquillo, l’auto una “solita” Toyota Camry, pensare di dover attraversare la foresta in questo modo sembra strano, ma non ci mettiamo preoccupazioni inutili. Ci avevano parlato di 6 ore per arrivare, in realtà ora di sentiero non c’è più traccia, una larga strada sterrata taglia questa parte di Cambogia un tempo probabilmente sommersa dalla giungla, ora non più perché l’estrazione del legname ha portato disboscamento e realizzazione di percorsi adatti ai grandi camion che fungono da trasporto (vista la condizione del tragitto probabilmente si può strappare un prezzo migliore di 80$ perché i conduttori restano impegnati per la metà del tempo previsto fino ad un anno fa). Fino a Chhep par di essere su di un bel percorso autostradale, dopo lo sterrato prende il posto dell’asfalto ma la strada è ottima (almeno nella stagione secca, ma stanno costruendo vari ponti per renderla percorribile anche durante la stagione delle piogge), arriviamo al villaggio di Thala Boravit in 2:30, all’imbarco sul traghetto (1.500r, alla guida ragazzini) veniamo caricati su di una piccola imbarcazione, ma con l’arrivo di qualche jeep spostati su di uno più grande dove possono salire anche mezzi a quattro ruote. Si parte quando è pieno, ma attendiamo poco, in 15’ siamo all’imbarco di Stung Treng, lato orientale del Mekong. Qui tutti sembrano grandissimi amici e si preoccupano a trovarci un posto per qualsiasi meta, in realtà di bus pubblici non c’è traccia, è pieno di minivan con destinazione il confine laotiano. Così dopo aver rinunciato a svariate offerte di amici degli amici ci prendiamo un passaggio su motorino (10.000r, 20’ ) per O Pong Moan, da dove passano i bus pubblici con destinazione Ban Lung, capoluogo della regione di Ratanakiri. Qui attendiamo quasi 2 ore il bus, ma il posto è pieno di ristoranti dove rendere l’attesa sopportabile (9.000r noodles e bibita), poi col bus (7$, 2h) raggiungiamo Ban Lung, estremo nordorientale della Cambogia, luogo rurale e bucolico, qualcosa di ben differente dall’idea comune di Cambogia. I bus fermano nella nuova stazione, o meglio in costruzione, ad ovest della cittadina, si è assaliti da chi propone hotel/G.H. e conducenti di moto, sovente i primi offrono il passaggio in centro (2km) o chiedono una cifra forfettaria (2.000r al posto dei 2$ standard). Optiamo per il Theng Dara G.H. (camera 7$ con acqua calda e ventilare, qui l’aria condizionata non serve) sulla via principale, dove dopo aver schivato chi ci proponeva escursioni varie per i giorni seguenti troviamo modo di affittare moto con cambio manuale (molto meglio sullo sterrato e più parche nei consumi), moto che in prima battuta non volevano noleggiarci per farci comprare i pacchetti visite a tutti i costi. Ceniamo decisamente male in un ristorante senza nome sulla parallela a sud della via principale (8.000r), fortuna che in qualche market si può integrare con qualche prodotto “commestibile”. Qui paiono tutti pazzi per i pulcini allo spiedo, piatto che fa impressione a vedersi, tirano tantissimo anche dolci in forma di gelatina, lo strano è non riuscire a finire la cena con un caffè, proprio qui dove è di qualità eccezionale, dovrò accontentarmene solo di mattina. Lunga giornata di trasferimento, le guide riportano tempi ben più lunghi e la giornata era stata impostata senza l’obiettivo di arrivare fin qui con un trasferimento giornaliero, la cosa è fattibile senza problemi e ci fa guadagnare un giorno di escursioni. La sera al solito si vede pochissima gente in giro per la città, ma del resto alle 5 di mattina son già tutti operativi e rumorosi, la temperatura serale permette di starsene in maglietta ma è ben diversa da quella delle pianure.
La raccolta del sale a Phnom Doung
14° giorno
Colazione da Kim Dzung Yoghurt&Cake (5.500r) unico posto dove deliziarsi come da nome con yoghurt (made in Vietnam) e torte (di produzione propria) oltre ad un ottimo caffè (anche quello alla vietnamita, qualità garantita), poi con gli scooter a nolo presi alla nostra G.H. (5$ al giorno, basta lasciare un solo passaporto per tutti i mezzi, non occorre renderli col pieno di benzina perché vengono consegnati senza guardarci, sono tipo scooter ma con le marce sequenziali inseribili col bilanciere, senza frizione) prendiamo in direzione di Voen Sai verso nord-ovest, un raggruppamento di villaggi di etnie distinte che si trova su entrambi i lati del Tonlè San. Per arrivarci iniziamo a fare “amicizia” con le rosse strade di Ratanakiri, il percorso è splendido ma la polvere rossa ovunque, non importa lottare per cercare di evitarla, impossibile. Fondamentale però la mascherina per bocca e naso, altrimenti quando si incontrano furgoni, moto e macchine, oltre a non vedere nulla, è impossibile respirare. Arriviamo sul versante sud di Voen Sai, avevamo fatto il pieno a Ban Lung e non abbiamo problemi di autonomia, attraversiamo il fiume (5.000r a/r) su di un traghetto costituito da qualche stretta barca coperta da un tavolaccio, prassi comune in questo remoto lembo di Cambogia, in un caso c’è perfino un pickup sopra, anche se lo spazio restante è nulla. Qui la Cambogia vista in precedenza non esiste più, si vive sul fiume e grazie alla terra, turismo inesistente e di conseguenza i servizi offerti nulli, ma la gente molto più mite e nel limite imposto dalla lingua più interessata alla presenza di “musi” sconosciuti. Facile distinguere le differenti etnie abitanti dal tipo di costruzione eretta, i cinesi optano per case in muratura, cosa che laotiani, vietnamiti e cambogiani non fanno, anche se all’interno di ogni gruppo esistono tante altre sottotribù, fra cui i chunchiet, i più diffusi in questo fazzoletto di terra. Riattraversato il fiume lo costeggiamo in direzione est passando per Pong ed arriviamo a Kachon, celebre per un cimitero toumpuon visitabile però solo accompagnati. Al momento nessuno dei rari presenti si interessa a questa eventuale escursione così tagliando per la foresta ritorniamo sulla strada per Ban Lung prendendo la deviazione per Ta Veng, non molto lontano da Ban Lung, quindi rifacendo quasi 35km dei 50 totali. La strada è spettacolare, tutta salite e discese, viste mozzafiato del percorso rossissimo che taglia la foresta verdissima, aggiungo un litro di benzina facendo tappa presso un’abitazione lungo il cammino, qui a chiunque si può chiedere aiuto anche se non ci sono sul fronte le solite bottiglie già piene di carburante. Le persone che lì vivono, tutte donne al momento, non parlano una parola che non sia cambogiano, gli lascio la mia @mail perché sono felicissime di vedersi ritratte in b/n sulla loro casa, chissà se riusciranno mai a contattarmi per uno scambio di foto, è una gran festa alla partenza (e quando ripasserò al ritorno tutte pronte a salutare), da lì Ta Veng dista pochissimo, così anche se pomeriggio inoltrato abbiamo modo di prenderci un break in paese, non ci sono veri e propri bar/ristoranti ma più di una abitazione è adibita all’uopo, a prezzi ovviamente irreali (zuppa di noodles e quello che vogliono loro più bibita 7.000r), provo a lavarmi mani e viso con l’acqua di un catino e quello che ne esce è di un rosso accecante. Col caldo ed il sudore si forma ovunque una crosta rossa che sarà difficile da togliere anche dopo una prolungata doccia, ma qui in mezzo a questi splendidi luoghi il problema non sussiste. Ta Veng è noto al mondo, o ad una piccola parte di esso ma le vicende sono terribili, per qualcosa di poco buono, fu la base operativa e di formazione dei Khmer rossi, Pol Pot, Ieag Sary, Ta Mok e compagnia bella si nascosero qui per dar vita alla loro rivoluzione. Indubbiamente la scelta fu felice, ancora adesso il posto non è di facile accesso, figuriamoci a metà anni ’60. Nel villaggio l’elettricità c’è solo grazie a qualche gruppo elettrogeno, acqua corrente inesistente, si va di pozzi o fiume, ma la benzina si trova, rientriamo a Ban Lung in circa 90’ , tutti su strada sterrata a parte gli ultimi 10’ facendo tappa al lago cittadino, dove tanti piccoli gestori di bancarelle o ristorantini stanno attrezzando il bordo del lago con stuoie per la movida serale. Il tramonto regala uno spettacolo molto più bello di quanto in realtà il lago possa offrire e poi dopo circa 200km (19.000r in benzina) è tempo di una sontuosa doccia. Ma oltre 30’ non levano tutta la terra rossa, qui non la si può evitare, occorre conviverci. Per cena tentiamo un ristorante che pare battutissimo, di fronte a quello della sera precedente, ma la qualità rimane scadente (15.000r), oltre al fatto che avevano terminato varie bevande, compresa l’acqua, così da dovermela procurare ad un market nei paraggi. Al solito verso le 21 tutte le bancarelle iniziano a sbaraccare e la città diventa in un attimo vuota e muta, se non fosse per i soliti cani che si danno voce l’uno con l’altro (ma non attaccano mai gli uomini, sembrano tutti molto paurosi nei nostri confronti).
Villaggi galleggianti nella foresta di mangrovie del Peam Krasaop
15° giorno
Colazione nel posto del giorno precedente con medesimi prodotti ma più economica (5.000r), poi riprendiamo gli scooter in G.H. accorgendoci che qualcosa non va con la benzina, evidentemente nella notte gli inservienti devono averceli vuotati (ci avevano gentilmente offerto di riporli al coperto da loro…), ma poco male, rifacciamo rifornimento ad un distributore vero e proprio solo per cambiare una banconota da 100$, e solo dopo lunga discussione mi forniscono il resto (hanno un cassetto colmo di dollari, dove sarà il problema di un resto?) così si parte per Andong Meas, prendendo la via asfalta in direzione Vietnam e la deviazione nord appena prima di entrare a Bokheo (non c’è indicazione, ma di fatto unico svincolo di grandi dimensioni prima del paese). La strada è se possibile ancora più polverosa di quella del giorno precedente forse perché più trafficata, meno spettacolare, Andong Meas un villaggio senza attrattive (pochi anni fa un tifone ha distrutto tutto, compresi quasi tutti i cimiteri jarai a parte, si dice, quelli sull’altro lato del fiume) se non un ponte sospeso con fondo in legno scricchiolante attraversabile in moto per ritrovarsi su di una isoletta nel Tonlè San. La parte ad est di Andong Meas è differente, costruzioni diverse, scritte “leggibili” anche se non interpretabili, qui la comunità principale è vietnamita e ne facciamo conoscenza presso un ristorante non ancora operativo ma dove qualcuno che sparlicchia inglese si trova. Ci dicono che proseguendo verso est incontreremo un ponte per attraversare il fiume, così prendiamo quella via ed andiamo nella zona nord del fiume, ma i percorsi non sono indicati, il fondo disastrato ed i pochi che si incontrano nulla sanno dei cimiteri jarai. Alla fine capiamo che il ponte, la gente che vi circola nei dintorni, i percorsi accidentati son sorti in funzione del disboscamento della foresta, quindi di antiche tradizioni non interessa nulla a nessuno, lasciano aggirarsi nei paraggi solo perché rischi sul discorso legname non ne corrono a differenza delle miniere per estrazione di pietre preziose che si incontrano più a sud. Ritorniamo sulla statale coperti di polvere e terra, prendiamo verso est fino alla deviazioni verso sud per il lago Lumkut (non ci sono segnalazioni, circa 4km fuori Bokheo sulla dx, al primo gruppo di case che si incontrano) e qui facciamo una sosta bevendo qualcosa e rifocillandoci con un sandwich cambogiano acquistato da un paninaro motorizzato (5.000r, qualità buona). La strada per il lago è sterrata ma in buone condizioni, lungo il percorso si notano le piantagioni per l’estrazione del lattice e dolci colline che nei prossimi giorni dovremo attraversare di cui si dice di un percorso ancora duro. Passato un villaggio di cui non abbiamo trovato nome dopo circa 25km, uno stretto ponte scavalca un misero fiume (almeno ora nella stagione secca), all’uscita di questo a 200m vi è un bivio, per il lago occorre prendere a destra dove al momento alcuni locali stanno attrezzando un piccolo BBQ naturalistico (animale imprecisato squartato posto su esigui supporti di legno sopra al fuoco, minimale ma funzionale) ed avanti altri 500m sulla sx si sale per il lago. Ora è tutto abbandonato, un tempo era previsto perfino un biglietto, non c’è nessuno, il pontile per accedere all’acqua un tempo a mezzo giro di questo lago vulcanico perfettamente tondo è crollato da tempo, vista la situazione evitiamo di scendere in acqua, che sarebbe facilissimo, molto più complesso pensare a come risalire. Bella la vista d’insieme, anche se non c’è nessun promontorio dove scorgere la perfetta forma del lago, peccato. Rientriamo a Ban Lung dove visitiamo l’animatissimo mercato centrale, alimentari ed abiti, ma pare più un mercato africano che uno asiatico, le condizioni igieniche son veramente difficili, strano per questi posti dove anche l’esposizione è sempre curata. Cerchiamo di organizzarci lo spostamento verso la provincia di Mondulkiri con traversata diretta via foresta, percorse descritto ancora più come un’avventura solo da stagione secca che come viaggio, confrontiamo le proposte delle agenzie che lo propongono e ci riserviamo di prenotare l’indomani tenendoci ancora un giorno a disposizione nel Ratanakiri, splendido angolo di Cambogia. Consegniamo gli scooter praticamente spinti a mano per la pochissima benzina nei serbatoi, che si divertano con poco nella notte, poi dopo una lunghissima doccia tonificante e solo in parte ripulente è tempo di cena, altra soluzione differente, il Rest Chantrea (10.000r) che con facilità è meglio dei precedenti ma lascia sempre insoddisfatti. Percorsi oltre 200km con 22.000r in benzina. Sui km riporto sempre un circa perché trovare un contachilometri funzionante è più difficile che trovare parcheggio nel centro storico di una medioevale città europea…
Bokor Hill Station, hotel dell'era coloniale francese
16° giorno
Energica colazione in un anonimo ristorante a fianco della G.H. (10.000r) e coi soliti scooter andiamo al lago Boeng Yeak Lom, la perla di Ratanakiri. Si tratta di un lago vulcanico perfettamente circolare nel bel mezzo della foresta facilissimo da raggiungere. Fuori Ban Lung 4km in concomitanza di una aiuola con statua di famiglia munita di zaino prendiamo a sx per circa un km, lì si trova l’ingresso (6.000r+2.000r per il parcheggio degli scooter) leggermente rialzato rispetto al lago per un visione tra gli alberi decisamente bella. Anche qui non vi è un punto panoramico per poter rimirare il tutto dall’alto ma in compenso si trovano vari pontili dove far tappa per stendere il telo all’ombra e per accedere con facilità all’acqua, temperatura ottima. Le acque variano i colori dall’azzurro intenso ad un verde fortissimo dove la foresta si specchia, luogo incantato soprattutto di mattina, quindi conviene approfittarne perché nel pomeriggio arrivano i locali ed il tutto ovviamente si anima. Tra grandi pranzi con abbondanti bevute e giochi di carte la perfetta armonia naturale viene soppiantata ma poco male, il posto rimane idilliaco, per quanto riguarda cibo e bevande occorre far tappa alle bancarelle del parcheggio, lungo l’anello perfetto e percorribile che lo delimita si trova solamente una piccola rivendita che offre pochissime cose in corrispondenza del centro culturale che espone aspetti rurali del luogo e permette anche ai viandanti di vestirsi come gli abitanti di un tempo nei dì di festa. Dopo svariate ore di relax, quando i pontili si riempiono di vocianti personaggi vari prendiamo la via del ritorno con tappa alla cascata di Kateng (2.000r) prima di rientrare a Ban Lung e definire il passaggio del giorno seguente per Mondulkiri. Trattiamo il passaggio con sosta a Koh Nhek per 40$, caricati su di un motorino, zainetto in spalla, zaino sul tunnel coi piedi del guidatore che dovranno fare i miracoli per cambiare, lo zaino del conduttore posto sul cestino anteriore, non si prevede una giornata semplice. Le agenzie della zona offrono tutte lo spostamento fino a Mondulkiri o con stop a Koh Nhek dove si può prendere un minivan, ma fino a lì non c’è nulla in alternativa, i prezzi che abbiamo trovato variano dai 40-55$ per Koh Nhek fino ai 70-80$ per Sen Monorom, capoluogo di Mondulkiri. In ogni caso il servizio offerto è sempre il medesimo, le agenzie si affidano a conducenti locali, il mattino si partirà tutti assieme, qualsiasi sia l’agenzia con cui si è trattato il passaggio, agenzie che si trovano quasi tutte sulla parallela a sud della via principale. Concordato il passaggio del giorno successivo ci godiamo uno splendido tramonto sul lago cittadino e come ultima cena sul posto optiamo per un ristorante un attimo più lontano dalla nostra G.H. ma considerato il migliore, A’dam (19.000r) e devo ammettere che nonostante la lunga attesa dove consumare un numero esagerato di arachidi fritte offerte la qualità questa volta è di tutto altro livello, oltre al fatto che si possa consultare un menù in inglese con foto ed il personale (tutto familiare) parli inglese e si possa così interloquire. Percorsi circa 50km con 4.500r di benzina, un litro comprato dal solito benzinaio volante di quelli con pompe manuali non a bottiglie lungo la strada.
17° giorno
Partenza ora 7 dalla G.H. per tutti quelli che han deciso di intraprendere questa avventurosa attraversata (7h), tutti siamo caricati sui soliti scooter a marce tranne un ragazzo francese che in attesa del visto per il Vietnam farà andata e ritorno con mezzo a nolo, cosa fattibile solo se si viaggia con una guida che conosca il percorso. A dire il vero di tutti i conduttori uno solo ha già fatto l’attraversata in questa annata e la cosa ha un significato ben preciso, perché ogni anno nella stagione delle piogge la foresta del Lumphat Wildlife Sanctuary finisce sotto le acque ed i sentieri vengono cancellati, così da dover ritrovare passaggi nuovi. La prima parte è su asfalto e su strada sterrata in buone condizioni fino a Lumphat dove facciamo tappa a casa di uno dei conduttori (dove al solito piovono banane sempre gratuitamente) e sosta per colazione in un bar/ristorante in paese (7.500r) con zuppe e classico caffè vietnamita. Da qui all’attraversamento del Tonlè Srepok il tratto è breve, per passare il fiume dobbiamo attendere che i sacchi di riso sulla chiatta vengano spostati a mano uno ad uno su di un camion che prende per intero l’accesso al fiume. Appunto il fiume, questo è quello che ispirò a Francis Ford Coppola la lunga ricerca del colonnello Kurtz di Apocalypse Now, anche se poi le riprese furono effettuate nelle Filippine perché la Cambogia nel frattempo era in mano ai Khmer Rossi e quindi chiusa a chiunque. Ma se ricordate il film, provate a pensare a cosa significhi attraversate questi luoghi, anche oggi è più impresa che un viaggio, il solo salire su strettissime canoe che fanno da traghetto per gli scooter è già qualcosa di anomalo, ma una volta sbarcati sul lato sud del fiume la civiltà termina, si risale una sponda sabbiosa e quella sabbia non ci abbandonerà più per almeno 4 ore, 4 ore durissime in cui spesso ci si maledice per aver scelto questo percorso. Ci si pianta, occorre spingere i mezzi stracarichi, si salta, si cade ed in alcuni momenti occorre sollevare scooter stracolmi di ogni suppellettile per estrarre da sotto il conducente, di solito commercianti vietnamiti che battono queste vie per raggiungere i rari villaggi dove vendere i loro prodotti, quelli che vanno di più sono grandissimi coltellacci, ma manufatti in ferro la fanno quasi sempre da padrona. La via di fatto non esiste, si prova a passare dove gli alberi cedono il terreno, si va, si ritorna e penso spesso si speri di averci preso. Qui passano solo 2 ruote, non c’è spazio per jeep o altro, ogni tanti si incontrano della palafitte con una/due famiglie, in una ci fermiamo a bere qualcosa, volendo con tempo potremmo approfittare del BBQ che stanno realizzando con enormi pezzi di mucca squartata buttati lì sul fuoco, tra maiali scorrazzanti che giocano coi bambini, o viceversa. E’ dura, durissima, anche perché non guidando è difficile copiare le buche del terreno, prendo tante botte più a tenermi rigidamente alle maniglie posteriori che forse rispetto a chi cade con familiare continuità, ma tutto sommato il contesto primitivo regala un piacere che compensa le fatiche. Finalmente raggiunto un villaggio di circa 10 case si prende a dx e da lì il percorso migliora, sempre sterrato ma senza sabbia e radici di alberi, quelle che nascoste dalla arena creano grandi danni al nostro passaggio. L’ultima ora è quasi rilassante, arriviamo così a Koh Nhek, un incrocio tra quattro strade rosse nel mezzo del nulla, il far west più assoluto. Ce l’abbiamo fatta, festeggiamo salutando la compagnia che continua per Sen Monorom ad un ristorante sulla dx arrivando da nord con quel poco che hanno in freddo (luogo al quale dovremo ricorrere in seguito per ogni cosa) e troviamo alloggio in una delle 2 G .H. presenti, Ly Naren (10$ camera con giganteschi letti ma doccia solo fredda/tiepida, alternative non ce ne sono al villaggio con acqua calda), sempre arrivando prima dell’incrocio sul lato sx. Ci sarebbero anche splendidi bungalow, ma sono tutti in affitto ai lavoratori cinesi che stanno sistemando le strade da qui a sud. Qui non c’è nulla, sulle strade ci si può giocare senza paura, al massimo transitano lenti camion, o meglio parti di camion, qualche moto o bicicletta, ma se ne conteranno 10 in un’ora. Avamposto per la foresta od ultimo luogo della civiltà, la sera tira una brezza mai percepita in precedenza, finiamo per cenare al solito posto di prima per mancanza di alternative, i gestori non parlano una parola che non sia cambogiano, così girando per la “cucina” gli chiedo di prepararci delle zuppe abbondanti con quel che vedo nei paraggi (6.000r), finendo con un caffè vietnamita che mi vien servito dentro ad una tazza con acqua bollente per mantenere la temperatura perfetta. Grazie agli avventori cinesi che cenano tutti qui e parlano inglese, impariamo che alle 7 di mattina i minivan partono dall’incrocio per Sen Monorom, basta farsi trovare con un po’ di anticipo ed il gioco è fatto. Qui siamo al centro dell’attenzione, tutti sono curiosi ed anche se interloquire è difficile diventiamo un po’ i beniamini del villaggio, ma quando il ristorante spegne le luci è buio totale, per rientrare serve la luce delle torce altrimenti si brancola nella notte. Sotto all’unica lampada stradale, in corrispondenza della banca nazionale (ma priva di bancomat) i ragazzi del luogo giocano a pallone per la via, non avranno di certo problemi con le auto che non passano…
18° giorno
Sveglia ore 6, l’energia elettrica è ancora assente anche se la filodiffusione è irradiata per il villaggio, prevalentemente musica e quasi rimpiango la propaganda laotiana che “rallegrava” mattine e sere con le imprese del Pathet Lao, tentativo di colazione al solito ristorante all’angolo con caffè vietnamita (1.000r) e banane a non finire (300r), volendo potremmo anche portarci al seguito un mazzo intero. Come promesso un minivan staziona nei dintorni dell’incrocio, un ragazzino fa da autista e buttadentro, ma alle 7 in punto a parte noi non c’è anima viva. Così dopo circa 45’ partiamo andando in pratica casa per casa a recuperare gente, poi il giovane raggiunge casa sua dove viene redarguito e sostituito dal padre, il quale continua a cercar gente con metodi più bruschi, quando siamo stipati soprattutto di bagagli basculanti sul retro partiamo, sono le 8:30, conosciamo a menadito tutti i sentieri di Koh Nhek. La strada fino al capoluogo dovrebbe essere in buone condizioni, invece a causa dei lavori di ammodernamento (per esser buoni) è in una situazione pietosa, per percorrere i circa 90km impieghiamo poco meno di 3h (15.000r), ma se paragonato al trasferimento sul sellino posteriore di uno scooter il tutto si rivela più comodo e più economico. A Sen Monorom (a volte riportato anche come Sen Monorem o anche in altri strambi modi) si scende a fianco del mercato centrale (psar in cambogiano), da lì risaliamo sulla via che dalla rotonda porta al fiume e troviamo più G.H., alcune sprovviste di acqua calda e qui la cosa è grave. Causa festività di fine anno ci sono più stranieri che mai, la ricettività è limitata e molte G.H. sono esaurite così doppiamo girarne varie prima di trovare ospitalità alla Sovankiri (12$ x camera con acqua calda, acqua minerale, ventilatore e aria condizionata ma soprattutto panni per i letti che qui di notte sono utilissimi) gestita da una famiglia locale assieme ad un ragazzo australiano che ha sposato una delle figlie dei titolari. Partiamo subito in escursione affittando i soliti scooter con cambio manuale da Greenhouse (il più bel ristorante/G.H. della cittadina, 5$ perché già mezzogiorno) e partiamo verso est direzione cascata Bou Sraa, la più celebre della zona. La strada è per metà asfaltata e per metà in sterrato, ma in ogni caso l’incredibile polvere rossa di Ratanakiri solo un lontano ricordo. Alcuni saliscendi anche da queste parti sono spettacolari, quando arriviamo alla cascata (5.000r) c’è il parcheggio gratuito per moto e qualche bancarella per spuntini ed oggetti pacchiani china style. Per accedere alla cascata si scende un percorso asfaltato dove l’attrazione maggiore sono le contadine che vendono alcuni prodotti alimentari tutte prese a fumarsi in santa pace le loro sigarette condite dall’oppio. In questa stagione la cascata è alla sua minima portata, tra la tante gente e la caduta limitata dal basso non impressiona più di tanto. Risalendo si può far tappa al mercato alimentare dove tanti piccoli ristorantini (complimento gratuito…) vengono dedicati alla preparazione di piatti tipici per stomaci “rinforzati”. Ovviamente non c’è menu da consultare, nessuno vi sa denominare quello che propone, io opto per la solita ananas (2.000r) più semplice e tranquilla. Volendo per godersi uno scenario più interessante della cascata si può proseguire sulla strada da dove si arriva, passare uno stretto ponte in legno e trovarsi sul lato dx del getto principale, proprio al di sopra della foresta. C’è un piccolo sentiero che scende la prima cascata, non siam stati in grado di trovare quello per arrivare alla base dei salti dove si potrebbe fare un più tranquillo bagno. Scegliendo questo lato non occorre pagare il biglietto di ingresso. Da qui ritorniamo prendendo una deviazione per Krang Te (non ci sono indicazioni, al primo villaggio vero e proprio sulla via principale si prende a dx sotto ad un arco), uno dei vari villaggi bunong. A parte i classici giri a dorso di elefante offerti ai pochi turisti, da visitare le abitazioni del tutto differenti dalla classiche di qui, specie di capanne con tetto spiovente quasi fino a terra fatto da rami. La deviazione è breve, su sterrato duro e pieno di buche ma senza eccessiva polvere. Quando giungiamo a Sen Monorom saliamo al Phnom Bai Chuw, conosciuto anche come oceano di alberi. Da quassù si domina la foresta, il vento muove gli alberi e pare proprio di osservare un verdissimo mare con le onde, poi per guardare il tramonto optiamo per un’altra collina nei paraggi, quella che raccoglie il Wat Phnom Doh Kromon, piccolissimo tempio oggetto però di estese adorazioni da parte delle popolazioni locali. Sorge sopra al vecchio e dismesso aeroporto, ora utilizzato per gare di motorini dai ragazzi del luogo, ma verso sera le prime nuvole coprono anzitempo il sole ed il tramonto non è così esaltante, appena il sole si nasconde la temperatura precipita (per gli standard cambogiani), il vento si alza e scendere dalla collina in scooter occorre farlo coperti di felpa e giacca antivento. Riconsegniamo gli scooter e qui sarà l’unica volta che controllano la quantità di benzina, finiamo per discutere perché non essendoci stati consegnati né completamente pieni né completamente vuoti non è semplice accordarci, ma qualcuno che vende una bottiglietta di benzina si trova proprio di fronte al noleggio e così sistemiamo velocemente la questione. Percorsi circa 100km con 9.000r. Per cena scegliamo il consigliatissimo Khmer Kitchen (15.000r) che non si trova più dove indicato sulla LP ma a fianco della nostra G.H. Niente da dire sulla qualità, al solito servizio lentissimo ammazzato dalle arachidi fritte, unico inconveniente quello che degli infiniti piatti sul menu non ci sia quasi nulla. Ma ripeto, per gli standard di qui, ottima scelta. E’ l’ultima sera dell’anno, almeno per noi occidentali e non per i cambogiani, ma a parte una festa privata al Greenhouse la città alle 21:30 è già tutta chiusa e spenta e fa decisamente freddo, felpa e giacca antivento anche per camminare a piedi. Così ripieghiamo in G.H. e come molti qui lasciam perdere i festeggiamenti e ci mettiamo avanti col sonno per ripartire la mattina seguente il prima possibile per escursioni più lontane.
19° giorno Abbondante colazione in G.H. (11.000r) e con scooter a nolo sempre dalla G.H. (7$, nessun controllo di benzina) partiamo alla ricerca delle cascate di Dak Dam, direzione Phnom Penh e dopo pochi km a sx sulla via per il Vietnam. La strada è tutta asfaltata, la giornata bella ma tira un forte vento e le nuvole vanno e vengono. Percorsi circa 20km ad un incrocio a 4 strade, dopo svariati saliscendi, si gira a sx su strada sterrata ma in buone condizioni. Qui trovare la cascata non è proprio facile, non esistono indicazioni, la cascata rimane circa 2km dopo il villaggio, ma in che direzione? Nessuno parla altro che cambogiano, al villaggio più che di strade occorre parlare di sentieri e così dopo un lungo girovagare dove scorgiamo belle viste delle vallate ed incontri con persone caratteristiche e gentili riusciamo ad imbucare il sentiero giusto, dalla parte più bassa del paese prendere l’unico percorso in salita sulla parte opposta del versante (al momento la via era sottoposta a lavori, di difficile percorrenza ma immagino che a breve tutto cambierà in meglio), da lì effettivamente si arriva in 3’ . La cascata non è nulla di che, l’ambientazione molto bella, come i dintorni del villaggio dove è possibile quasi ovunque rabboccare la benzina dalle bottiglie che quasi tutte le abitazioni hanno in bella mostra lungo i sentieri. Ritornati sulla via per Phnom Penh andiamo alla ricerca della cascata Romanaer, che dovrebbe distare poco dalla via principale. Vi è un cartello che la indica, sembra facile giungerci invece il sentiero pan piano diviene sempre più stretto e giunge a casa di un contadino. Costui a gesti ci dice che occorre proseguire seguendo il versante della montagna a sx dalla sua baracca e poi ad un altro bivio (in realtà si tratta di erba più battuta che altro) si prende a sx e si scende in mezzo alla boscaglia, si passa su di alcuni tronchi e lì si scende ancora a sx. Non c’è nulla che segnali nulla, occorre andare a “sentimento” in mezzo all’erba, unico riferimento il fatto che nel mezzo della stretta valle appena passata e coperta da alberi sia logico trovarci un fiume con relativa cascata. Dove i motorini non possono più andare si prende a dx e dopo poco si scorge la parte alta della cascata, si può scendere da una scala di legno in pessime condizioni, che per noi ha retto, ma non mi fiderei troppo se i passaggi saranno numerosi, dal basso la cascata è più suggestiva anche se la bellezza sta soprattutto nel fatto di trovarsi in una fitta boscaglia. Ritornati sulla via principale continuando per il sentiero precedente andando sempre avanti anche quando avanti parrebbe non esserci strada, cerchiamo la cascata Romanaer II, questa più semplice da localizzare, a fianco della via principale, di facile accesso e dove incontriamo anche qualche altro viandante. Nonostante non abbiam percorso molti km e non ci siamo fermati a lungo alle cascate abbiamo impiegato molto tempo in questa escursione perché la localizzazione dei luoghi è difficile, tanto che i noleggiatori di scooter dicono che senza una guida siano irraggiungibili, cosa non vera ma comunque complessa. Rientriamo in paese e facciamo sosta per un rinfrescante (anche se qui non è particolarmente caldo nemmeno di giorno) teuk kalohk (2.500r), frullato di frutta fresca con ghiaccio, in alternativa lo si può avere col loro delizioso caffè presso il Bonnu Bar sulla via a fianco dell’aeroporto. Causa vento e polvere non è consigliato starsene all’aperto a riprendersi, poi per recuperare alcune info tappa all’unico internet point funzionante in paese nella zona bassa verso il fiume (6.000r x h, uno dei più cari della Cambogia ma senza concorrenza). Dopo una doccia calda che si apprezza come non mai per cena erroneamente cerchiamo di variare e finiamo al Chamna (14.000r), pochi piatti e pessima qualità, tento di cambiar sapore con i classici spiedini che micro bancarelle vendono lungo la strada (1.000r cadauno) ma anche questi sono al limite del commestibile, mi salva il caffè della G.H. (2.000r), caldo, abbondante e dall’aroma ammaliante. Percorsi circa 110km, 10.000r in benzina.
20° giorno
Ennesima abbondante colazione in G.H. (11.000r) di primissima mattina perché alle 7:15 parte il bus RMN (a volte indicata anche come Rith Mony) per Phnom Penh (7$, 8h, biglietto preso la sera precedente sul banchetto di fianco al deposito dell’autobus). Dopo 30’ il nostro bus (c’è anche un’altra compagnia che fa il tragitto, parte a fianco ma alle 8) fa sosta ad una piccola minicappella dove alcuni passeggeri lasciano donazioni di incenso, banane, acqua e altre cibarie non identificate. Il tutto dovrebbe avere uno scopo beneaugurante per il viaggio, di fatto perdiamo tempo ed il bus partito più tardi ci sorpassa. Il percorso è tutto su strada asfaltata, posti numerati e quindi molto comodo, i bus di linea quando ci sono son sempre da preferire ai minivan, ultraffollati e sempre pronti a fermarsi per caricare più gente possibile. La sosta pranzo avviene al terminal da dove partono le corse destinate a Siem Reap, tra Kompong Cham e Phnom Penh, il posto è incredibile per le tipologie di cibi riscontrabili. Pare una guerra tra chi esibisce ragni ed insetti fritti delle specie più disparate ed enormi, dal punto di vista visivo uno splendore, ma io finisco sempre su ananas e banana fritta a tocchetti che se mescolata con buone dosi di sale diventa gustosa (5.000r per cibo e bibita). Poi si continua verso la capitale ma la strada negli ultimi 20km è sterrata, il bus è invaso dalla polvere ed impieghiamo ore per questa ultima tratta con arrivo in pieno centro, tra Kampuchea Krom Blvd e St137. La capitale è divisa a scacchiera con le vie che sono denominate coi numeri, sia le verticali (numeri dispari) che le orizzontali (numeri pari), quelle più grandi denominate boulevard prendono i nomi da personaggi storici o luoghi di importanza strategica. Il termine Kampuchea è il nome che i Khmer Rossi diedero alla Cambogia, mentre la Kampuchea Krom è quel pezzo di terra che ora appartiene al Vietnam e che il popolo Khmer ha sempre rivendicato (non a caso furono i vietnamiti ad invadere la Cambogia e spazzar via Pol Pot e soci, non certo le potenze occidentali che a parole erano a ferro e fuoco con i nemici comunisti ma li riconobbero in sede ONU come riferimento attendibile addirittura fino al 1988, quasi 10 anni dalla caduta). Ci fermiamo al Capital G.H. che è un grande albergo e non una vera e propria G.H. (10$ grande camera con acqua calda, ventilatori, aria condiziona ed acqua minerale a disposizione), dove è meglio chiedere una camera sul retro altrimenti i rumori che salgono dalla via renderanno la nottata difficile. Iniziamo a visitare la città dalla zona limitrofa al palazzo reale tirato a ghingheri perché a breve ci sarà la gigantesca pira del re-stato, Sihanouk, morto da circa un mese. Il lungofiume della capitale è sul Tonlè Sap che nella zona sud si unisce al Mekong, in quel punto pare più un mare che un fiume, la città è però tutta sviluppata sul lato occidentale, ora sull’orientale hanno iniziato a costruire qualche gigantesco hotel ma altro non c’è, non proprio una vista esaltante. La città è un formicaio di attività commerciali ed artigianali, non pare una gran cosa, la perla d’oriente, la Bangkok in divenire deve ancora riprendersi e rifarsi per poter sfoggiare questi nomi. In un Clinic Massage by blind a lato del lungofiume(6$) provo a riassestarmi le membra, ma l’operazione pare condotta da un torturatore del famigerato S21, vero però che in seguito i benefici si sentono, ma che impressione. Cena nei paraggi al Dara Reong (5$), poi vista del palazzo reale illuminato, suggestiva più che quella del giorno successivo alla luce solare, e sempre a piedi torniamo verso la G.H. notando come le bancarelle che di giorno fungevano da negozietti ora sono micro dormitori. Di fatto in quei 3/4 metri quadri ci sono famiglie che ci vivono tutto il giorno, dove vadano per i servizi igienici non mi è dato saperlo, ma lungo le strade c’è ben di peggio, tanti appendono le amache da un palo all’altro, molti tra lo scooter e un cavo, le vie sono immensi dormitori. Poco male ora che la stagione è secca, ma quando piove come si comporterà questa enorme massa di senzatetto? C’è da dire che in questa maniera la via non è mai abbandonata e si può girare in tranquillità anche se a piedi qui non si muove nessuno, un numero incredibile di motorini e motoremorque riempie le vie per cercare in continuazione di caricare passeggeri (non ci sono mezzi pubblici in funzione in città). Resta comunque un impatto fortissimo vedere come ovunque ci sia gente che dorme per strada, padrona a volte solo di un motorino o di un’amaca ed un sacchetto con quasi nulla a riempirlo.
21° giorno
Colazione in un Mean Chey Foods (7.500r) sulla strada verso il palazzo reale, zona di scuole ed infatti siamo attorniati da studenti di ogni tipo che intasano le vie coi loro scooter, arriviamo quindi alla visita ai monumenti simbolo della capitale, Palazzo Reale e Pagoda d’Argento (25.000r, da pagare o tutti in riel o tutti in $). Purtroppo il palazzo reale non è visitabile causa impegni ufficiali del re che impongono come sicurezza di chiuderlo sicuramente oggi ed anche domani, così decidiamo di visitare ugualmente oggi la pagoda, ovviamente il prezzo rimane intero. Per chi ha visitato il palazzo reale di Bangkok e relative pagode dico subito che questa si rivela una delusione, la pagoda pare più un magazzino che altro ed il pavimento di piastrelle argentate, da cui il nome, è limitato ad uno spicchio all’entrata. L’insieme del complesso con qualche padiglione più interessante di altri tuttavia non si rivela quindi nulla di eccezionale, magari il palazzo reale avrebbe cambiato di molto il parere ma non esisteva possibilità e quindi andiamo oltre, rimirando appena fuori il monumento all’amicizia Cambogia/Vietnam che pare una forzatura per nulla amata dalla popolazione ed andando a piedi al grande Psar Thmei, mercato generale senza nulla di caratteristico. Sosta sulla st130 per un ice coffee (4.000r) che qui ha molto più senso che a Sen Monorom per arrivare a visitare il Wat Phnom (1$) sull’omonima collina. Leggenda narra che qui nacque la città, il wat è decisamente più bello della pagoda d’argento, anche uscendo ci sono varie cose da osservare quindi da non perdere, poi in motoremorque (3$) andiamo al Psar Tuol Tom Pong, meglio conosciuto come Mercato Russo, perché i ricchi russi venivano qui a fare acquisti, da non confondere col mercato russei in altra zona della città. Prima di comprare qualcosa in Cambogia meglio far tappa qui dove si trovano scarpe, abbigliamento, borse, zaini, collane ecc.. di qualsiasi marchio che spopola da noi, con prezzi irrisori (esempio, un paio di All Star Converse a 11$, e avevo poco tempo per contrattare…), questo in una parte del mercato, poi in un’altra ci sono i prodotti imitazione dei marchi noti, simili ma non uguali (vedi Leo Star o My Star, con circa 3/4$ si comprano). Spettacolare la parte dedicata al cibo, soprattutto quella del pesce, direi l’attrattiva più suggestiva della capitale, da qui sempre in motoremorque rientriamo in centro per goderci il tramonto sul palazzo reale e sul lungofiume bazzicando il centro più commerciale posto a ridosso delle poche costruzione di stile coloniale ancora esistenti. Per cena optiamo per un rist. consigliato dalla LP, piccolo e caratteristico, il Mama (14.500r) vicino alla G.H. dove mangio un buon amoc, pesce condito da una salsa con latte di cocco, citronella e peperoncino, non male sia la salsa sia il pesce, di fiume ma già pulito dalle numerose lische. Al solito i piccoli ristoranti tendono a chiudere molto presto quindi se si sceglie di cenare in posti del genere invece che in grandi ed anonimi ristoranti meglio non avere in testa orari spagnoli, anche nella capitale valgono le regole dei villaggi, unico luogo a parte rimane Siem Reap. La città diviene il solito dormitorio a cielo aperto, cambiamo zona ma non cambia questa abitudine, che esiste anche a ridosso del palazzo reale.
22° giorno
Iniziamo la giornata emotivamente più probante del viaggio con un caffè al bar della G.H., Capitol (2.000r), e con le paste del negozio a fianco (4.000r x 2 paste, buone), poi a piedi raggiungiamo il Tuol Sleng, il museo del genocidio, conosciuto da tutti come il famigerato S.21 (2$), dei quasi 20.000 prigionieri entrati in questo ex liceo durante il “celebre” regime dei Khmer rossi solo 7 sono usciti vivi, 2 dei quali ancora in vita e presenti per illustrare i loro libri sul dramma perpetuato sulla pelle di una intera popolazione. L’ex liceo, anonimo in luogo anonimo, fu il passaggio obbligato di tutti gli oppositori o presunti tali che dal 17/4/1975 al 7/1/1979 incrociarono le piste dei rivoluzionari di nero vestiti. Il genocidio di un terzo della popolazione cambogiana da parte di loro concittadini è probabilmente il più grande genocidio mai accaduto al mondo tra la stessa popolazione e percentualmente tra essa. Cifre reali son difficili da recuperare, indicativamente si può pensare a 2 milioni di morti su 6 milioni di cambogiani dell’epoca, se considerate che molti son caduti dopo tremende torture e quasi mai finiti con un proiettile ma a bastonate, sbattuti contro alberi o per malnutrizione e malattie varie (risparmiavano costosi proiettili o altro Pol Pot ed i suoi) potete immaginare che unico campo della morte era diventata la Cambogia in quel periodo, totalmente chiusa agli stranieri, primi tra tutti i vietnamiti, un tempo amici e poi i primi nemici. Qui al Tuol Sleng è possibile farsi un’idea di quanto veniva inflitto ai prigionieri, chi fossero i carnefici, come si svolgeva la vita nel periodo nelle città (il traffico era composta più da mucche che da auto) e quello impossibile nelle campagne che furono trasformate in un’unica grande produzione di riso. Furono aboliti il denaro e la posta, il potere che tenevano in mano i pochissimi accoliti di Pol Pot era esercitato nei confronti della popolazione dai bambini, gli unici a non essersi macchiati di errori col sistema precedente ma anche i primi ad essere manipolati per infliggere drammatiche punizioni agli stessi genitori. Tra tutto emerge un aspetto particolarissimo del compagno n°1, Salor Sat, o meglio Pol Pot. Il capo assoluto fino al termine del 1976 non ebbe incarichi ufficiali, di lui ci sono rarissime immagini, il contrario del comune dittatore, probabilmente un aspetto ancora più inquietante della sua personalità. La visita prevede anche un filmato di circa un’ora sulla storia di Bophana, ragazza prigioniera di un campo della morte (i celebri Killing Fields immortalati dal film di Roland Juffè nel 1984) che si innamora di un carceriere. Come vada a finire è prevedibile, il film è proiettato solo alle 10 ed alle 15, dura 60’ , visto che è su DVD non si capisce perché non giri ad ogni ora. Se questa concentrazione di male ed incomprensione dell’accaduto (meglio sarebbe una profonda conoscenza di quanto accadde in tutto il sudest asiatico dalla seconda guerra mondiale in avanti) non fosse abbastanza si può scendere ad abissi ancora maggiori con una gita appena fuori città che affrontiamo trattandola con un conducente di motoremorque (10$). I killing fields di Choeung Ek (5$ entrata ed audio guida in numerose lingue, italiano compreso) si trovano a 15km a sud di Phnom Penh, non vi è quasi più nulla di quanto si trovava al tempo, a parte le buche riaperte di fosse comuni dove i prigionieri venivano gettati, non sempre morti, dipendeva dalla forza delle bastonate inflitte, per i bambini vi si trova invece un albero ancora insanguinato contro cui venivano battuti. Da questo campo della morte nessuno uscì vivo, è uno dei più grandi degli innumerevoli disseminati su tutto il territorio nazionale, il racconto che accompagna la visita è raccapricciante, lo stupa di nuova costruzione che sorge al centro contiene circa 8.000 teschi ritrovati in zona, luogo che sorge al centro di placide risaie da sempre coltivate. Le 2 visite associate sono emotivamente molto forti per quanto si vede ed apprende, nel disinteresse totale, forzato o non, del mondo occidentale, per imparare poi come le potenze occidentali finirono per sostenere i khmer rossi, lo spauracchio comunista del sudest asiatico. Già, non furono queste potenze con una guerra di “civiltà” a spazzar via i rivoluzionari campagnoli ma i loro vicini vietnamiti che ne ebbero a sufficienza di ingerenze nella Kampuchea Krom, di uccisioni di connazionali senza giustificazioni ed altre situazioni al limite dell’inimmaginabile, reggendone le sorti per i seguenti 10 anni, mentre al palazzo dell’ONU lo scranno cambogiano veniva ancora occupato da un rappresentate dei khmer rossi, visto l’idiosincrasia degli statunitensi nei confronti dei vietnamiti. Strana la storia, vero? Da questo posto rientriamo verso la città e facciamo tappa per un ristoro al Toul Sleng 7 Mokara (6.5000r, con della gran calma) vicino al S.21. Da qui a piedi risaliamo verso il centro passando a fianco al monumento all’indipendenza (avvenuta nel 1953) e a quella dell’amicizia vietnamita/cambogiana per rilassarci soprattutto mentalmente sul lungofiume. Sempre alla clinica dei ciechi un massaggio articolare che mi riporta alle torture del S.21 (6$) e per cena optiamo per una bancarella di fronte ad una parrucchiera dove un cuoco mostra di saperci fare con qualsiasi tipo di noodles (14.000r). Ne testiamo più tipologie, bianchi, gialli, larghi alla thailandese, e tutti risultano deliziosi, difficile indicare il posto, tra il Psar centrale ed il lungofiume.
23° giorno
Caffè (2.000r) al solito bar della G.H. che funge anche da agenzia viaggi, dove avevamo già acquistato il biglietto del bus per Kampot (4,25$, 4h), e come cibo ottime paste che una anziana signora vende passando di tavolino in tavolino direttamente dentro al bar…(2.000r x 2 paste). Il bus parte all’angolo della G.H., quindi questa soluzione del Capitol si rileva veramente azzeccata, volendo hanno escursioni organizzate per S.21 e Choeung Ek a prezzi bassissimi, viaggio comodo fino alla città che da subito mostra i segni di esser stata un bastione importante per i francesi. Il bus ferma alla rotonda della Total, la via a sud è piena di ottime G.H. fornite di tutto, scegliamo la Kampot G.H. II (10$ per una camera splendida ed enorme dotata di tutto, wi-fi free compreso) che oltre alla solita bella camera mette a disposizione anche un campetto da basket, una piccola palestra, pc per internet, noleggio scooter, biglietteria bus e tour ed un giardino per relax, colazioni e cene. Iniziamo a perlustrare la città per organizzare le visite dei giorni seguenti, il clima qui è ben differente che altrove, tutto si svolge a ritmo rallentato, la poca popolazione che si muove nel centro è complementare ad un numero di viandanti che percentualmente è maggiore che altrove ma tutta gente da lungo cammino, io col mio mese sono quello più di corsa. Stop per spuntino da Heng Leap (6.000r), poi è tempo per vero relax con letture varie sulla terrazza della G.H. su ampie poltrone che sanno del tempo andato, forse anche perché da queste parti la maggior parte dei presenti è francese e quella quindi la lingua che si ascolta più a lungo. Dopo una seduta gratuita di internet raggiungiamo il centro città per cenare, la zona attorno al Psar Leu (in ristrutturazione, il vecchio mercato sta cedendo spazio a moderni negozi) è piena di localini, alcuni anche movimentati, scegliamo il Captain Chim’s (15.500r) dove mangiamo meglio del solito. I proprietari fanno di tutto, da guide, a noleggio moto, corsi di cucina o di creazione ceste, sarà per questo che son lenti nel servizio ma si sa che per la qualità serve tempo. Poi come al solito alle 21:30, massimo 22 tutto chiude, rientriamo in G.H. usando le torce per evitare di finire nelle enormi buche che si trovano sui marciapiedi. Al nostro arrivo il cielo si è annuvolato, un fenomeno raramente accaduto qui in Cambogia da quando siamo entrati, ma che ci accompagnerà per qualche giorno nella zona di mare.
24° giorno
Noleggiati gli scooter in G. H. (5$ al giorno, per la benzina nessun controllo, solo che per errore ci forniscono quelli automatici) prima tappa al Kampot Pie &Ice Cream Palace (11.000r) per colazione con ottime paste e caffè buono ma non più come quello alla vietnamita del nord, poi prendiamo la destinazione per la grotta di Phnom Chhnork dove si arriva uscendo da Kampot 4km e deviando a sx su strada non asfaltata. Non ci sono indicazioni, arriviamo ad un wat e lì assieme ad altri viaggiatori paghiamo l’ingresso ed il parcheggio degli scooter (1$), iniziamo ad esplorare la grotta ma ci accorgiamo subito che non si tratta di quella riportata nelle varie guide ed indicazioni turistiche. Ovviamente i ragazzini del posto tacciano sulla cosa, loro vogliono solo scroccare qualche mancia spergiurando come questa sia la grotta giusta, ma abbandoniamo velocemente l’escursione di questa grotta che non presenta aspetti interessanti e che dovrebbe chiamarsi Phnom Chisor, poi dopo tantissime richieste alla gente del posto e dopo aver fatto tentativi di ogni genere assieme ad altri stranieri qui spersi come noi giungiamo al posto di partenza per la grotta giusta. Ragazzini poco simpatici chiedono mance per sorvegliare gli scooter altrimenti promettono guai, così meglio lascarli al Kaka Cafè Shop che non vuole nulla ma la sa lunga perché poi al rientro chi non si ferma a bere qualcosa (il te freddo viene offerto, i prezzi di altre bibite o cibo nello norma)? Da qui si attraversano le risaie, si paga un nuovo biglietto da 1$ e si salgono circa 175 gradini per scenderne 35 e trovarsi dentro alla grotta che presenta un tempio datato VII secolo, quindi preangkoriano, dedicato a Shiva come si può osservare sulle pareti ancora in buono stato grazie al fatto di trovarsi all’interno della grotta e protetto dalle terribili piogge monsoniche. Si dipanano molteplici tunnel, per affrontarli dotatevi di guida e torcia, si riesce ad uscire dal basso nei paraggi della biglietteria passando su rami che fungono da passerelle. Il tutto in linea teorica, perché di noi nessuno ha tentato l’escursione. La vista sulle risaie è ottima, peccato solo che il cielo sia coperto. Da qui seguendo più l’istinto che la ragione prendiamo sentieri in direzione di Kep, riallacciandoci alla strada statale poco prima della deviazione per l’antica perla marina dell’impero francese. La città è famosa per i suoi incredibili granchi blu, il mercato del pesce (decisamente caratteristico) è ovviamente il luogo ideale per trovare le tante donne che pescano questo prelibato crostaceo, che qui viene sempre proposto associato al pepe di Kampot, considerato il migliore al mondo, a seconda della stagione si può trovare quello nero (un solo mese all’anno), il più prelibato, quello verde, quello rosso e quello bianco, banale e sempre reperibile. La cosa più particolare al di là della cattura e del fatto che per mantenerli vivi le donne facciano sempre fuori e dentro dal mare, è l’asta per comperarli tra ristoratori e turisti. E’ possibile comprasi i granchi dalle pescatrici e farseli cuocere al mercato in enormi pentoloni, certo poi che mangiarsi un granchio come un panino non è proprio comodo. Ma al mercato si trovano anche molte altre specie ittiche, a cominciare dai calamari, alcuni enormi, spiedini con ogni prelibatezza, anche se la cottura lascia a desiderare, meglio optare per uno dei numerosi ristoranti attigui. Circumnavigando la penisola cerchiamo un luogo dove rilassarci sul mare dopo aver passato l’enorme statua di un granchio e quella di Sela Cham P’dey, ma il tempo è brutto e la piccola spiaggia non il posto ideale, così facciamo tappa ad un dei tanti bungalow adattati con amache, se si prende da bere o mangiare è gratis altrimenti cosa 1$. La vista sulle isole, la più celebre è Koh Tonsay, conosciuta anche come l’isola del coniglio e la grande Phu Quoc, vietnamita, sarebbe uno spettacolo, peccato che il cielo coperto ed al limite della pioggia ci privi di questo spettacolo che però ripreso in b/n presenta un gran fascino. Dopo uno spuntino al mercato del pesce (circa 3.000r per calamaro, 8.000r per un granchio) ci aggiriamo nel parco di Kep tra fascinose e decadenti ville coloniali per prendere la via del ritorno rabboccando più volte la benzina dato che gli scooter automatici consumano circa il doppio dei manuali. Fortuna che come al solito lungo la via è pieno di persone che vendono bottiglie e bottigliette di carburante, percorsi circa 75km con 12.500r. Lasciati gli scooter alla G.H. e chiesto per l’indomani il cambio con quelli manuali, ceniamo da Heng Leap (3$) sulla via della nostra G.H.
25° giorno
Colazione in G.H. (10.000r) poi con scooter manuali (5$ al giorno) iniziamo a muoverci per Kampot notando un grande assembramento di gente nella piazza dell’obelisco con musica tradizionale in sottofondo, è la giornata della vittoria ovvero la liberazione dai khmer rossi da parte dei vietnamiti, celebrata come festività in tutto il paese, ovvio come oggi ci saranno molte più persone ovunque. La destinazione è il parco di Bokor (a differenza di quanto riportato non abbiamo trovato una biglietteria dove pagare l’accesso al parco), in vetta al quale sorgeva la stazione climatica francese. Per arrivarci passiamo il vecchio ponte francese composto da 3 blocchi distinti e costeggiamo il mare per circa 8km, da qui a dx si dipana la nuova strada (2.000r, conservare il biglietto perché una parte viene convalidata alla sommità) per la stazione climatica posta a 1.000m, a strapiombo sul mare. La giornata è coperta, ventosa e minaccia pioggia, la salita è decisamente irta, l’escursione termica in moto forte, occorrono pile e giacca antivento. Son oltre 20km di salita, non c’è possibilità di rifornirsi di benzina, prima del bivio per la vetta sorge un enorme Buddha dove stazionano svariati turisti locali e dove si può godere una bella vista, poco oltre la strada rientra per il bivio finale, prendendo a sx si raggiunge la vetta, prima della quale sono in costruzioni enormi resort e casino a deturpare la vista, fortunatamente son sul versante interno. Appena dopo di questi sorge la vecchia chiesa cattolica fatta costruire dai francesi, ancora in rovina in seguito alla guerra di liberazione di fine 1978-inizio 1979, la chiesa era avamposto khmer, i muri interni presentano ancora i colpi dell’epoca mentre sull’esterno il muschio si è appropriato dei mattoni. Da qui si scorge l’hotel che fungeva da stazione climatica per la classe bene dei coloniali (durante la guerra posizione vietnamita), un meteorite sulla montagna con vista mozzafiato, è in parziale ristrutturazione, l’esterno è stato tutto intonacato e quindi il suo aspetto sinistro che incuteva timore è andato perso, la giornata nuvolosa gli rende però giustizia e la visione (splendida in b/n) è ancora spettacolare. Il vento è fortissimo, se si sale sulle rocce adiacenti in direzione del wat Sampeau Bram Roi è possibile incrociare monaci con arancioni tonache svolazzanti, con la foresta sottostante verde ed il mare in lontananza cupo lo scintillante cromatismo della visione pare un artifizio costruito all’uopo. Visitiamo le rovine del Bokor Palace che lascia una sensazione di caldo lusso per privilegiati del tempo passato, ci godiamo la vista che spazia ben oltre l’isola di Phu Quoc e poi ben vestiti affrontiamo la lunga discesa cercando di consumare il meno possibile per evitare di finire la benzina. Passato il grande Buddha è possibile procedere in folle quasi fino alla statale, circa 20km (traffico quasi inesistente nonostante la giornata di festa, i cambogiani ne approfittano per il classico picnic anche in condizioni climatiche avverse) senza consumare carburante, prendiamo in direzione ovest dove troviamo subito i soliti venditori di bottiglie di benzina (5.000r x lt) e andiamo alla ricerca di una strada sterrata in via di costruzione verso l’isola vietnamita. Stanno realizzando questo passaggio verso l’isola che dista qualche km dalla costa, ne hanno già fortificato 2,5km, certo che se la collegheranno un braccio di mare verrà interrotto, curioso capire cosa costituisca il progetto, i camionisti che trasportano la terra per la realizzazione non sanno una parola di inglese/francese e quindi oltre a saluti e gesti vari non si va. Rientriamo in città per andare a visitare i villaggi di pescatori che sorgono da Kampot verso il mare, lambendo il corso sx del fiume Kampot. Ma inizia a piovere così ritorniamo veloci sui nostri passi facendo sosta da Happy Special Pizza (mezza pizza media e bibita 4$), primo luogo coperto incontrato, quando la pioggia termina riprendiamo l’escursione alle saline dell’ovest, ma la parte più interessante di queste si trova sull’isola di fronte a Kampot, Phnom Doung, ci si arriva passando il vecchio ponte francese, prendendo subito a sx e passando un ulteriore ponte che immette nell’isola. Solo strade sterrate, forte presenza musulmana (quasi ovunque nelle periferie delle città dove si incontra la parte più povera e meno istruita della popolazione), quando anche i sentieri terminano si percorrono i divisori delle saline (ce lo hanno fatto intendere i raccoglitori di sale, ammetto che in certi casi ci siam chiesti se fosse possibile e se ne avesse un senso…) quando non si deve entrare a tutti gli effetti con le ruote dentro, ma lo spettacolo è favoloso. La gente raccoglie ancora il sale a mano nel mezzo di campi a perdita d’occhio, pian piano lo porta nei casoni che abbracciano le saline, in certi casi attrezzati alla meglio per viverci (non che molte abitazioni siano poi meglio), qui lontani dai facili guadagni del turismo son tutti gentilissimi, se mostrati in foto saranno contentissimi, foto che sono uno spettacolo unico, tra l’azione ormai dimenticata delle genti e gli splendidi riflessi che il luogo regala al tramonto nonostante le nuvole. Ci perdiamo lungo strettissimi passaggi, ci si orizzonta con riferimento il promontorio di Bokor, peccato solo che alcuni canali non siamo attraversabili ed allora il problema di come ritornare all’uscita dell’isola si fa più “corposo”.Qui navigatori satellitari servono a poco, dopo più informazioni al massimo disegnate sul terreno da gente del posto ma di fatto inservibili (tutti i divisori delle saline sono identici…) trovo una ragazza su di un fiammante scooter nuovo che parla inglese, la quale riesce a farci avere qualche info aggiuntiva su come trovare il sentiero principale che taglia orizzontalmente l’isola, da lì basta seguirlo fino al termine ad est, la svolta a nord è obbligata e quel sentiero porta al ponte, a parte questi 2 sentieri che immagino perennizzati, il resto varia a seconda della stagione (secca/piovosa) e della preparazione delle saline. Ma vale assolutamente la pena di “perdersi” su questa isola fantastica. Rientriamo in G.H. dopo aver comprato in una agenzia del centro il passaggio in bus per il giorno seguente, un attimo di relax tra sala internet e giardino dove impegnare il tempo in lettura (ed invidio sempre maggiormente i francesi che spesero i loro inverni in questi luoghi bandendo la fretta e godendosi il tutto) per far tappa a cena ancora da Captain Chim’s (18.000r), i tavoli all’aperto in caso di pioggia possono essere protetti da ombrelloni. Alla rotonda dell’obelisco continuano le feste con concerti di musica attuale, giovani punk crescono! Percorsi indicativamente 130km, 12.000r in benzina.
26° giorno
Colazione in G.H. (2,75$), alle 8:15 gli addetti della KKT travel ci vengono a recuperare per portarci all’agenzia dove partiamo per Krong Koh Kong (10$, 6h) in minivan anche se il giorno precedente ci era stato assicurato il passaggio in bus, più comodo, preciso ed affidabile. Dopo aver girato per Kampot a recuperare altri passeggeri, tutti locali, partiamo e tra le infinite soste c’è anche quella al posto di controllo di polizia dove una mazzetta di soldi passa da un addetto del minivan ad un poliziotto, mossa nemmeno nascosta, quasi esibita per conferma da parte dei passeggeri a bordo che il dovuto ha cambiato di mano. Poco dopo, ad una ennesima sosta, ci sono da caricare 3 enormi reti da pescatore, occorre togliere tutto il carico posteriore (che sporge di oltre 2 metri dal minivan, più lungo di alcuni scooter caricati, per intenderci) e riposizionarlo, operazione da oltre 30’ . La strada, esistente da non tanti anni, taglia il Koh Kong Conservation Corridor, la foresta di mangrovie più ampia del sudest asiatico, ancora in parte inesplorata e minata, come i monti Cardamomi appena a nord. Arriviamo con 2h di ritardo sul previsto, complice anche la pioggia che ha rallentato la corsa del minivan, ed al terminal è un assalto di conducenti per andare al confine thailandese, l’apertura della strada nel corridoio ha ridestato la cittadina che tutti chiamano solo Koh Kong, finendo per fare grande confusione visto che questo è anche il nome dell’isola nelle vicinanze e della provincia. Caricati su di uno scooter (1$) andiamo alla ricerca di una G.H. optiamo per una zona interna dove se ne trovano varie, quella che dalla rotonda principale va verso nordovest, finendo al Ramsey K.K.G.H. (7$ per camera con acqua calda, televisione, wi-fi free, acqua minerale e ventilatore, l’aria condizionata qui al momento non serve), enorme struttura gestita da una famiglia di origine cinese dopo che le consigliate erano tutte esaurite. Si trovano anche hotel sul lungofiume di ottimi standard a prezzi irrisori (15$ a camera), più centrali per le varie attività di qui. Iniziamo a girare la città (nulla da vedere, pochi servizi, ancora un posto di frontiera, si vede che il collegamento al resto della Cambogia è avvenuto da poco e tutto è in divenire) per organizzare le escursioni dei giorni seguenti si fa quasi tutto sul lungofiume nella zona del Mr.42 e della Koh Kong Eco-Tours, ma alle 15:30 inizia a piovere, un temporale che non vuole cessare così intenso anche se fuori stagione da trasformare le vie in fiumi. Ci ripariamo a lungo sotto le tettoie del mercato sul fiume (vi è anche quello tradizione nel centro, che chiude prima delle 17, ma poco interessante), con viste apprezzabili nel mezzo della tormenta, visto che la pioggia è talmente intensa e le nuvole basse da far apparire e scomparire il lungo ponte che porta al confine, poi ad un certo punto non potendo attendere all’infinito prendiamo mestamente la via della G.H. arrivando belli lavati, alle 21 piove ancora così cerchiamo il ristorante più prossimo ma non si trova nulla, i servizi in città sono ancora minimi, ritorniamo alla rotonda sulla via principale e lì di fronte ad un market si trova un ristorantino (senza insegna) di proprietà di un francese ma di fatto gestito in tutto e per tutto dalla moglie e dalla famiglia di lei, lui beve birra, gioca a carte con amici stranieri di passaggio e fa poco altro, pare rimasto ai tempi coloniali. La qualità non è male, le alternative poche, i viaggiatori che vi fanno tappa tanti, da tener presente per i giorni a venire, spesa di 16.000r per abbondante cena con un buon caffè finale, compresa una bottiglia da 1,5lt di acqua che il ristorante non aveva e che mi han consigliato di prendere al market così da risparmiare rispetto alle loro da 0,5lt.
27° giorno
Per colazione viste le poche alternative nella nostra zona optiamo per un caffè in un piccolo locale lungo la via prima del bivio (sulla strada che porta alla rotonda), solo caffè ma delizioso (1.500r) servito alla vietnamita dentro ad una tazza con acqua calda per mantenere la giusta temperatura, come cibo aggiungo i cookies danish comprati al market (1,3$), confezione abbondante per 3 colazioni. Con Koh Kong Eco-Travel avevamo trattato il giorno precedente 2 giorni di escursione (42$), ci vengono a prendere alla G.H. poi sul lungofiume saliamo a bordo di una longtail boat per dirigerci verso l’isola di Koh Kong. Il tempo è ancora pessimo, siamo avvolti dalle nuvole, mare e cielo entrambi grigi si confondono dando l’idea che le navi a fianco fluttuino nello spazio. L’isola è la più grande della Cambogia, ma non è abitata a parte un piccolo insediamento di pescatori sul lato a sud verso la terraferma, possibilità di passare la nottata solo su amache da portarsi, ma obbligatoria la presenza di guide, e qui pare che nessuna sia intenzionata ad una permanenza alla Robinson Crusoe. Ci vogliono quasi 3 ore per arrivare ad una delle ultime insenature, intanto il cielo inizia a sgombrarsi e pian piano la vista tende al paradisiaco. Effettivamente il panorama dell’isola è quello di una fittissima foresta impenetrabile, noi facciamo tappa con questo intenso mondo verde alle spalle su di una fettuccia sabbiosa ed un mare perfetto di fronte, niente onde, oltre 100 metri da percorrere in un’acqua azzurrissima per arrivare ad una altezza tale da poter nuotare, consigliatissimo scendere in acqua indossando una magliettina, il sole nonostante le creme protettive potrebbe giocare brutti scherzi. Rimaniamo qui per circa 3 ore, durante le quali i 2 barcaioli al seguito del gruppo preparano un delizioso pranzo a base di barracuda, gamberi, insalate varie e per finire ogni tipo immaginabile di frutta, il tutto condito da bibite, acqua o birra (unica aggiunta da fare al prezzo dell’escursione, 1$ a lattina). Difficile staccarsi da questo angolo di paradiso, come difficile immaginare come questa isola vergine possa rimanere in tale stato di grazia ancora a lungo, ma dobbiamo circumnavigarla per entrare al Peam Krasaop, la foresta di mangrovie più grande del sudest asiatico. Con le lunghe ma strette longtail boat è possibile fare un’escursione nei dintorni prima di effettuare quella a piedi, viste splendide tra le numerose e spesso micro isole, condite da genti locali che si muovono su canoe minimissime, la loro confidenza coi luoghi è però di tutto altro livello. Dal villaggio di attracco di Koh Kapi parte una passerella nel mezzo della foresta (5.000r, compresa nel costo dell’escursione che prevede anche una guida), senza protezioni laterali, nessun rischio ma lo segnalo per chi avesse qualche timore, che si sviluppa all’interno di questo mondo a parte, incredibile osservare le molteplici radici di ogni singolo albero, radici che hanno una funzionalità decisiva nel caso di inondazioni o tsunami. Qui in mezzo il sole non si vede mai, il cielo è coperto dalla vegetazione, si convive con percezioni di movimenti dati dalle tante specie animali che fondano la loro esistenza in questo microcosmo, al termine della passerella si arriva ad un punto commerciale con bar, ristorante e negozi di souvenir, da qui si prende a sx per andare ad un ponte sospeso sul ramo del fiume più largo della foresta per poi salire su di una torre di osservazione con vista che spazia sull’intera foresta, al tramonto lo spettacolo è emozionante. Scesi controvoglia da questa torre di vedetta riprendiamo l’imbarcazione per rientrare in città passando per i canali interni prima di prendere l’imbocco del fiume che conduce a Krong Koh Kong, il tramonto anche qui è incredibile, par finto. A volte vengono avvistati i rari delfini del Irrawaddy, a noi questa fortuna non capita, per quella visione in Cambogia meglio dirigersi nella zona di Kratie sul Mekong, ma meglio sarebbe ancora al largo di Si Phan Don , le 4.000 isole sul Mekong nel sud del Laos, per prezzi e tranquillità posto imbattibile per la ricerca di questi delfini di acqua dolce, posto sperimentato lo scorso anno in un viaggio in Laos. Sbarcati di fronte all’agenzia di viaggi che ha organizzato questa escursione (devo dire in modo impeccabile, poco invasivo e con tutto che combaci alla perfezione) ci godiamo anche da terra il tramonto, mentre il proprietario ci illustra il modo migliore e più economico per raggiungere in futuro Bangkok. Dopo un attimo di relax in G.H. giusto per toglierci il sale del mare dalla pelle, ritorniamo sul lungofiume dove ceniamo da Mr.42 (15.000r, segnato anche come Koh Kong Rest&Bar), punto di ritrovo della limitatissima movida locale e snodo di molteplici viaggiatori, anche se la qualità del cibo non è nulla di eccezionale come invece promesso dal titolare, smanioso di accaparrarsi viaggiatori grazie alle sue molteplici attività.
28° giorno
Colazione alla maniera del giorno precedente, poi sempre come il giorno precedente veniamo prelevati da un conducente di motoremorque che lavora per il titolare della Koh Kong Eco-Tours per andare all’imbarco a ovest della città, lungo un piccolo canale da dove risalire il Koh Por river che scorre placido in mezzo alla foresta verso il confine con la Thailandia. La prima parte scorre via veloce, il fiume è largo e placido, poi stringendosi sempre più pare di avventurarsi alla ricerca del colonnello Kurtz, una missione segreta tra le mangrovie. All’ennesima diramazione dopo circa 90’ di viaggio arriviamo ad un piccolo approdo (notato dai barcaioli per loro abitudine, non certo da chi vien trasportato sulla barca..) dove iniziamo a risalire la vallata a piedi, dopo 15’ si giunge ad uno splendido belvedere immerso nel verde, il fiume scorre sotto di noi e par affettare la foresta, il mare si vede ma è lontano. Continuiamo nella foresta per altri 50’ per giungere alla cascata di Koh Por dove facciamo tappa. La cascata si trova nel mezzo della fitta foresta, la caduta non è alta (saranno 5 metri ) ci si può gettare con tranquillità sotto per godersi un idromassaggio naturale e terminare l’opera con un bagno nella piscina naturale che sorge al di sotto. Qualche corda e scaletta aiuta nei passaggi, ma la profondità è elevata, chi non ha particolare sintonia con l’acqua profonda può avere problemi. Da qui si può risalire sul versante opposto la valle fino ad un altro salto del fiume, rientrati mangiamo il pasto che le guide han portato per noi (riso con maiale e frutta, non certo al livello del pesce nella giornata precedente) e scendiamo la valle dalla parte opposta del giro mattutino. Si fanno incontri con ragni giganti che tessono ragnatele di svariati metri, uova di serpenti e così via, ma le guide son serene e così tutto passa con tranquillità, arriviamo ad una altra cascata dove poter di nuovo fare il bagno oppure starsene comodamente sdraiati al sole sulle rocce, cosa che nella cascata principale è difficile visto che si trova nel mezzo della foresta. L’odore di cardamomo degli omonimi monti che costituiscono questo esteso parco non ancora tutto esplorato è intensissimo, basta recuperare un pezzo di corteccia per comprenderne a pieno il motivo, anche dopo alcuni giorni l’odore di cardamomo del legno rimane intenso. Da qui scendere all’imbarcazione è cosa veloce, riprendiamo la barca ma il rientro è più complesso, causa bassa marea. La sottile e leggera longtail boat non riesce a percorrere i canali con poca acqua, dopo innumerevoli tentativi dei barcaioli occorre scendere e muoversi a piedi nel fango tra le mangrovie, fortuna che ci saranno da percorrere meno di 300m prima di arrivare ad un sentiero sull’erba, ma la divagazione ha rafforzato l’aspetto selvaggio dell’escursione, per chi avesse tempo qui si potrebbero fare trekking da uno a sette giorni, tutti in questa parte dei monti cardamomi con amache messe a disposizione dall’organizzazione per le notti (prezzi da circa 25$ al giorno, ma se i giorni aumentano diventano trattabili). Una volta rientrati in città tentiamo di procurarci scooter per il giorno seguente in modo da esplorare una parte dei cardamomi in autonomia, impresa non semplice, i servizi turistici in città sono ancora ai minimi termini, l’unico che ce li garantisce per l’indomani è al solito il proprietario di Mr.42, così più per forza che per piacere finiamo a cenare ancora qui (5$), non che il cibo sia cattivo, ma anonimo e certamente più costoso che altrove.
29° giorno Colazione standard poi ritirati gli scooter manuali da Mr. 42 (6$ al giorno) partiamo destinazione fiume Tatai bridge, il grande ponte sullo splendido fiume Tatai, nel mezzo del Conservation Corridor, circa 18km fuori città su strada asfaltata. Percorso in salita, ma occorre diffidare nell’allontanarsi dalla statale, i dintorni non sono ancora stati bonificati dalle mine, le viste sulla foresta di mangrovie e su Krong Koh Kong spettacolari. Da qui risaliamo ancora la statale per prendere una via sterrata in direzione Thma Bang, nel bel mezzo dei Cardamomi, dalla svolta sulla statale identificabile dalle tante bancarelle alimentari dopo poco meno di 2km vi è l’unico bivio del percorso, evitate la strada a sx e continuate diritto, non vi è più possibilità di perdersi. Il sentiero è al solito su terra rossa, ma con molta meno polvere che a Ratanakiri e soprattutto non incontrando quasi mai nessuno non la si respira in continuazione, anche se la mascherina è comunque indicata. Pochissime abitazioni, la valle si apre e si chiude più volte e prima di arrivare a Thma Bang si attraversa un altro villaggio, giunti vi è possibilità di prendersi una pausa presso una abitazione sulla dx, una famiglia dedita all’agricoltura mette a disposizione alcune bevande e della benzina. Uno dei figli parla un po’ di inglese e ci racconta la loro storia, ora ripiegano qui dopo anni di vita in città, perché il padre che faceva l’autista ha avuto un incidente perdendoci un occhio, due persone trasportate e di conseguenza la licenza di guida. Così son saliti a fare gli agricoltori e lui parla un po’ di inglese per via dei primi anni di scuola, poi incredibilmente veniamo a sapere che la sorella è la moglie di Mr. 42, piccolo il mondo anche da queste parti. Ci segnala delle cascate nei paraggi, ovviamente nessuno cartello ad indicarle, andando a caso e prendendo un sentiero sul lato dx della via tornando verso la statale (unico sentiero degno di questo nome uscendo da Thma Bang) lo percorriamo più volte seguendolo con deviazione a dx ma lì termina presso alcune capanne disabitate. A quel bivio, escludendo il buon senso, occorre invece prendere a sx, ci si butta nella boscaglia per alcuni minuti, passaggi tra tronchi stretti, ovviamente se lo scooter fosse il mio e fossi a casa mai andrei in passaggi del genere, ma qui pare la normalità. Ad un certo punto troviamo altri scooter parcheggiati, vi è un piccolo sentiero che scende verso il fiume e si arriva effettivamente a delle cascate nel mezzo della foresta, alcuni ragazzini del luogo son stupiti dell’arrivo di stranieri in questo angolo remoto dei cardamomi, ma questa volta glissiamo sul buttarci in acqua, riprendendo il lungo cammino verso la statale. Nei dintorni del ponte sul Tatai, circa 1km a dx c’è la possibilità di vedere le omonime cascate, ma durante la stagione secca le cascate non sono nemmeno una banale rapida. Arrivati in città andiamo a visitare la parte su terraferma della foresta di mangrovie del Peam Krasaop, ed uscendo da Krong Koh Kong al solito attraversiamo la suburbia della città dominata dalla popolazione di credo musulmano, e fa un certa impressione vederli così numerosi in questi luoghi da sempre assimilati al buddhismo e dove i monaci un qualche seguito lo esercitano ancora, anche se ben differente da quanto avvenga in Laos. L’escursione tra i villaggi galleggianti al tramonto è un’esperienza altamente gratificante, cromaticamente il luogo offre un risalto fantastico, il sole che si specchia su laghi e bacini esalta al massimo il luogo, certo che pensarlo quando le piogge saranno continue, il fango la farà da padrone è altro aspetto, molto inquietante. Il tramonto ce lo godiamo qui nel mezzo dei bacini tra le mangrovie e vicino al mare, più o meno dove il Kaoh Pao si getta nel Golfo di Thailandia. Ennesimo tramonto da cartolina, son già vari giorni che accade durante questo viaggio ma non ci si stanca né abitua mai. Consegniamo gli scooter, percorsi indicativamente 135km con 10.000r di benzina. Per cena facciamo tappa al ristorante alla rotonda del francese, come ormai lo identifichiamo (16.000r). Notiamo come sia sempre molto frequentato e come i viandanti di lungo corso lo utilizzino come base delle loro serate. Ma del resto la città offre poco, alcuni ristoranti di nuova apparizione nei paraggi del Asia hotel vengono sconsigliati da più persone, ed allora le scelte rimangono limitate.
30° giorno
Ultima colazione qui al caffè dove ormai siamo di casa sia col titolare che con gli avventori quotidiani, alle 8 il conducente del motoremorque della Koh Kong Eco-Tours ci preleva puntuale (7$ il trasporto, circa 25’ ), per arrivare al posto di confine si attraversa il lungo ponte che taglia la baia (1.400r che paga il conducente) e ci scarica proprio a ridosso del confine cambogiano di Cham Yeak, le procedure sono simili a quelle dell’entrata ma invece di 200 persone ce ne saranno 5 davanti a noi così in pochissimi minuti ci viene rilasciato il passaporto col timbro di uscita, 100m a piedi e siamo a Hat Lek, lato Thailandese, anche qui procedure velocissime, usciti dal posto di confine un minivan ci carica immediatamente con destinazione Trat (120b, 70’ ) anche se dopo 20’ ad un’area si servizio cambiamo mezzo. A Trat arriviamo alla stazione dei bus (i servizi igienici sono a pagamento ma mostrando solo riel capiscono la situazione e li lasciano usare gratuitamente), il primo mezzo in partenza per Bangkok è un minivan (250b, 5:10) così prendiamo quello, la calca dei minivan cambogiani è fortunatamente esclusa, facciamo una prima tappa per rifornimento di gas in un’area di servizio dotata di ogni confort e tante opzioni alimentari, cosa a cui non eravamo più abituati. Prima di entrare in Bangkok lunga sosta ad una stazione di rifornimento di gas, il conducente ha un accordo con questa catena e non può rifornirsi dove preferisce, così perdiamo quasi 30’ , il minivan sfreccia a velocità impressionante sulle ampie autostrade thailandesi, passiamo anche a fianco allo stabilimento locale della Triumph e non posso non farlo notare con orgoglio, il viaggio termina nei dintorni del Victory Monument, il pacchetto in vendita dalle compagnie di viaggio a Krong Koh Kong offriva una soluzione analoga ma più costosa di almeno 5$, viene venduta come un Koh Kong-Bangkok diretta ma in realtà occorre fare gli stessi cambi che si fanno andando da soli. Qui col bus 59 (13b) raggiungiamo la zona di Khaosan Road cercando il solito posto per dormire che però è tutto esaurito, rimediando presso il Star Dome Inn (620b x camera con ventilatore, aria condizionata, televisione ed acqua minerale) in Rambutri. Giro serale lungo le vie che si trasformano in mercati con cena al Number One (115b) non troppo affollato e dalla qualità migliore che tanti altri incontranti lungo il cammino. Qui ovviamente la vita non si ferma mai, al confronto delle cittadine cambogiane par di essere dall’altra parte del globo quando invece disteremo non più di 500km. La zona è piena all’inverosimile di uffici cambi, le banconote in $ hanno valori differenti, quelle da 50-100 vengono cambiate ad un tasso migliore rispetto a quelle da 10-20, che a loro volta godono di un servizio preferenziale nei confronti di quelle da 1-5.
31° giorno
Abbondante colazione al tranquillo Number One (80b) poi in bus, n° 47 (6,5b) e n° 49 (11b) giungiamo alla stazione di partenza della metropolitana di Hualamphong, di fronte alla omonima stazione ferroviaria. Da lì in metro (40b) raggiungiamo dopo 15 fermate Chatuchak Park per visitare l’enorme mercato del fine settimana. Da Khaosan road si impiegano circa 90’ con la soluzione bus+metro. Alle numerose entrate vien distribuita la guida del mercato, utile per comprendere come muoversi e che settori prediligere, per girarlo tutto, comprese le bancarelle attigue sulle vie limitrofi, serve una giornata intera, il mercato è dotato di svariati servizi, bancomat e cambiavalute, servizi igienici, ristoranti e bar di ogni tipo, volendo si può far giornata alla grande, anche se alla lunga le merci esposte si assomiglino enormemente col made in China a farla da padrone. Vi è anche una parte più culturale con artisti ad esporre le loro opere, un diversivo interessante nel mezzo dell’ultimo modello Nike (partono al massimo da circa 30€ ma tutto è trattabile) o di collanine del mercato equosolidale in presa diretta. Rimane comunque il luogo giusto per far man bassa di souvenir dell’ultimo momento in modo da non appesantire anzitempo lo zaino, certamente il mercato russo di Phnom Penh è più competitivo economicamente ma offre meno scelta. Da qui rientriamo via metro ma invece di prendere i bus camminiamo per circa un km dalla stazione finale della metro al lungofiume dove saliamo sul battello che funge da servizio pubblico, da Tha Krom Chao (sempre difficoltosa da trovare negli stretti passaggi tra i mega alberghi della zona e le catapecchie semiabbandonate) a Tha Phra Athit. Sul battello la confusione è tale che nessuno ci chiede di acquistare il biglietto, ma il risparmio è contenuto a 15b. In una delle numerose bancarelle in preparazione del mercato notturno su Th Phra Athit ci rifocilliamo (45b) prima di un consulto su internet (quasi tutti i posti offrono un’ora a 30b, dove qualche dubbio sui servizi dei teni italiani mi sovviene) nell’attesa che il mercato prenda forma per visionarlo al meglio. La confusione è totale, in vendita di tutto, soprattutto oggetti usati, le visioni più incredibili riguardano il cibo, ragni giganteschi e scorpioni fanno bella mostra di se fritti in padella, alcune bancarelle per evitare di venir assediate solo per rimirare queste leccornie son sormontate dal cartello di No Picture, evidentemente questi piatti non son poi così comuni per la maggior parte della gente che in questo mercato notturno è per la maggior parte locale a differenza dell’attiguo mercato notturno di Khaosan road, vero fulcro del turismo dei backpakers. Per cena si va di bancarella in bancarella tentando di evitare ragni fritti ma lasciandosi tentare dalle varie specialità, terminando con una crepe alla francese. Comprensivo di alcuni prodotti per la colazione del giorno seguente, spesi per questa cena lungo la strada 145b. Il culmine della festa è attorno al Phra Sumen Fort, illuminato e attorniato da varie band locali, anche se una presenza stile andina mi sembra non mancare nemmeno qui…Nella calca locale non mancano i monaci del vicino Wat Chana Songkhram, alla ricerca di questue serali, così da mettersi avanti sui colleghi che si muovono di mattina.
32° giorno
Sveglia ore 5:30, destinazione aeroporto per il rientro in Italia. Per guadagnare tempo faccio colazione con alcune cose comprate la sera precedente, ma volendo qui non c’è problema nel trovare locali aperti a qualsiasi ora. Il passaggio per il Suvarnabhumi Airport era stato comprato il giorno precedente da BKK travel&tour in Khaosan road a 100b, il più basso trovato visto che il prezzo fluttua tra 120 e 150b. Il servizio non è con minivan come tutti gli altri ma in auto assieme a due operatrici di terra dell’aeroporto che si recano al lavoro, evidentemente in accordo col gestore dell’agenzia, meglio ancora perché così il servizio è più comodo. C’è traffico anche alle 6 di mattina a Bangkok anche se non congestionato come durante la giornata, servono comunque 45’ per arrivare, il check-in della Oman Air è veloce come i controlli del passaporto in uscita e quello alle porte dei raggi X. Volo per Muscat puntuale (6:20), solito servizio di bordo di ottimo livello, attesa di circa 3:30 e volo puntuale per Milano (7:30) e di nuovo si mangia e beve a piacimento, all’aeroporto di Malpensa le procedure son veloci come anche il ritiro dello zaino (sorpresa positiva), lo shuttle per la stazione centrale (10€, 55’ ) deserto, il problema è che dopo le 20:45 da Milano non ci sono più treni in direzione Roma, giusto la linea più frequentata d’Italia. Così devo attendere circa 90’ al freddo (non c’è una sala di attesa in stazione), gli addetti alla sicurezza consigliano di rimanere nel piano di mezzo dove il freddo è meno intenso, buon uso fa la coperta della Oman Air per evitare di aprire lo zaino ed estrarre il sacco a pelo. Sembra più un ostello che una stazione, ma del resto nell’attesa dei pochi treni in partenza dove riparare? Per fortuna un treno notturno Milano-Salerno è in partenza, strano che non fermi a Bologna e Firenze, così scendo a Parma (16€, 100’ , viaggia lento come il treno di bambù a Battambang senza però lo scenario del luogo e la magia di quel piccolo oggetto strambo) nella neve all’una di notte apprezzando la magnanimità di chi nel mezzo di una nevicata mi viene a recuperare a circa 90km da casa. Intanto mi rimane impresso come nel mezzo della foresta cambogiana un motoremorque per spostarsi si possa sempre trovarlo mentre in Italia un collegamento Milano-Bologna in alcuni momenti possa essere impossibile, ma questi son tutti altri pensieri già con vista su viaggi futuri.
2 note di commento
Il viaggio si è svolto tra dicembre e gennaio, stagione secca, caldo ma non umido (almeno per quei luoghi) e qualsiasi via/sentiero percorribile. Tutti i costi riportati sono da intendersi a persona quando non specificato. In Cambogia servivano indicativamente 5.000 riel un un € e 4.000r per un $. Di fatto il riel serve solo per i piccoli importi, la moneta vera e propria è il $, emesso anche dai bancomat (sì, i bancomat non emettono la moneta nazionale!) e quelli della Canadia Bank non necessitano di commissioni. In qualsiasi città o paese uno sportello bancomat lo si trova, iniziano a trovarsi anche nei villaggi, quindi si può girare sempre con poco contante, però tenete conto che le carte di credito son difficilmente utilizzabili. Si può evitare di cambiare in valuta locale, serve poco e la si recupera coi vari resti dai dollari, che sarebbe meglio avere in tagli piccoli perché i cambogiani, a prescindere, non vogliono mai dare resti vari. Abituatevi a pagare nel sistema misto così come ricevere resto in quel doppio modo. I cellulari hanno copertura quasi ovunque, a meno di luoghi ancora remoti (vedi l’attraversamento tra le provincie di Ratanakiri e Mondulkiri), basta osservare come ne siano dipendenti i cambogiani, quasi tutti provvisti di 2 modelli a testa. Facilissimo trovare wi-fi free in qualsiasi esercizio commerciale, ma internet point sono ovunque a prezzi bassi. Per muoversi con motorini a nolo fondamentale procurarsi una mascherina per la polvere, presente in quantità incredibili nei luoghi più remoti, sovente i più affascinanti. La temperatura è ovunque elevata a parte nella provincia di Mondulkiri dove la sera occorre coprirsi, i letti sono dotati di panni e coperte quindi non serve portarsi un sacco a pelo adeguato. Con la lingua inglese normalmente si riesce ad interloquire ma nei villaggi diventa più problematico, però anche il semplice frasario presente sulle guide può esser sufficiente e comunque qualche parola in lingua locale farà piacere ed avvicinerà. Il cibo, almeno per chi abituato alla buona tavola, è poca cosa e ripetitivo, ma si sopravvive bene ugualmente. Acqua da bere solo e rigorosamente in bottiglia, nessun problema per il ghiaccio, viene tutto prodotto in apposite fabbriche e distribuito ovunque, quindi gustatevi senza timore caffè ghiacciato, anche perché il caffè quasi sempre è delizioso. Non occorre esser muniti di visto, lo si riceve all’ingresso (30 giorni, rinnovabile ma con procedura lunga), in qualsiasi punto ufficiale si passi, però il punto di frontiera presso il Prasat Preah Vihear è ancora chiuso, e visto il dispiegamento di militari immagino lo sia ancora a lungo. Se intendete continuare verso il Vietnam quasi tutte le agenzie di viaggio provvederanno a fornivi il visto in 2/3 giorni, visto che non è possibile espletarne le formalità all’ingresso. Infine, tutto è molto commerciale, se siete alla ricerca del misticismo orientale qui non c’è proprio, scegliete altre mete in area, a cominciare dal confinante Laos. E pazienza, tanta pazienza ad Angkor, pare che il mondo intero sia in quel posto a visitare le favole vestigie Khmer, a cominciare da frotte di ricchi cinesi che si comportano come i padroni di tutto. Ma anche un’invasione di cavallette è trascurabile a fronte dello spettacolo del luogo. In Thailandia un € corrisponde indicativamente a 40bath, un $ a quasi 30b.