1° giorno
Dopo non aver risolto un problema con l’autonoleggio (ok ad andare all’estero con l’auto, ma l’assicurazione copre solo per alcune nazioni, più o meno quelle della comunità europea) partiamo con una nostra auto stile Kosovo con prima tappa Opicina (20,4€ autostrada) per l’appuntamento con una leggenda vivente del basket europeo, Sergio Tavčar, commentatore dagli anni ’70 del basket slavo per TeleCapodistria, conoscitore di ogni aneddoto che ha accompagnato la storia cestistica dei più grandi campioni plavi, ribattezzato l’Ulisse di questo viaggio vista l’ispirazione nata dal suo libro La Jugoslavia, il basket ed un telecronista. Caffè (Bar Vatta, e che altro?) e pranzo con lui da Bocca Desidera (12€), giro di Opicina e scambio di aneddoti di ogni tipo, info sui prossimi campionati europei di basket di Slovenia e spiegazione del nostro strano giro che lui non vede di buon occhio (senza peli sulla lingua, come coi campioni si comporta anche con le persone comuni) soprattutto per la tappa in Kosovo, luogo che da detto sloveno “non ci si va nemmeno in spalla a dio”. Ma spiegato come e perché apprezza la nostra idea e la volontà di intraprendere un percorso personalissimo. Acquistata la vignette valida una settimana per le autostrade slovene (15€, validità minima) arriviamo in breve a Ljubljana dopo aver attraversato uno scenario da immaginario austriaco, non a caso Sergio, sloveno d’Italia, si considera mitteleuropeo. La città è piena di turisti, non troviamo subito da dormire, soprattutto gli ostelli son pieni (la voglia di divertirsi della città richiama giovani da molti luoghi) così finiamo al City Hotel (35€ con colazione, wi-fi gratuito ma anche 2 pc a disposizione dei clienti, parcheggio lungo la strada, gratuito dalle 18 alle 8) a 2 passi dalla zona pedonale che visitiamo immediatamente. Giro lungo i canali stracolmi di bar all’aperto, monumento dei 3 ponti invaso di gente, castello in alto svettante con nubi in avvicinamento, roba anomala in un agosto torrido. Città viva più che mai, sarà l’importante presenza di studenti del progetto Erasmus che tappezzano tutti i fili elettrici con agganciate le proprie vecchie scarpe, trovar da cenare è quasi un’impresa ma un posto al Druga Violina c’è ed incredibilmente dobbiamo rimediare all’interno perché s’innalza una piccola bufera. Sotto le prime gocce di pioggia ripariamo in hotel al termine di una prima giornata già densa di avvenimenti, comparando le info di Tavčar con quanto abbiamo in programma di vedere. Percorsi 417km
Uvac Canyon, Serbia sud-ovest
2° giorno
Al momento della sveglia troviamo una Ljubljana sotto il diluvio, quindi niente colazione in terrazza con vista castello, poco male perché al chiuso non distratti dalla visione della città ci rifacciamo sulla colazione a buffet (come tradizione col buffet bisogna guadagnarci…) per poi andare alla sede della Union Olimpia, la squadra di basket più prestigiosa della città, in pratica una piccola nazionale slovena. La sede da poco si trova preso la nuova e splendida Stožice Arena nella zona nord della città. Trovare l’ingresso non è semplice, occorre scendere le scale che paiono portare alla centrale termica, invece come nelle più moderne arene si apre un altro mondo e scoviamo l’accesso dove abbiamo appuntamento con Matej (addetto stampa della società) che ci accompagna nella visita della nuova arena in preparazione per gli Europei, passando dagli spogliatoi, dal campo principale, palestre per allenamenti, salette VIP ecc..andando anche a trovare il nuovo GM della società e Daria, la responsabile relazioni esterne con la quale c’eravamo interfacciati per questo contatto. La società non versa ora nelle migliori condizioni finanziarie, un grosso aiuto arriva dal governo come Matej ammette, visto il tutto (manca una zona col merchandising) ci chiede se abbiamo tempo (ovvio, siam lì proprio per quello!) e ci accompagna in giro per Ljubljana fino alla storica Hala Tivoli il caldissimo campo di gara dell’Olimpija, anche quello in preparazione degli Europei. Luogo ben diverso dal nuovo impianti, situato nell’omonimo parco cittadino, struttura costruita per i campionati degli anni ’60, certamente adatto per una partita di medio livello con pubblico in campo ma non più per quelle di cartello di Eurolega, anche se per la prossima stagione l’Olimpija non parteciperà affrontando la meno prestigiosa Eurocup. Finiti i giri foto di rito con Matej che ci terrebbe alla nostra presenza alle partite della squadra anche per la Lega Adriatica (che sarebbe il vecchio campionato Jugoslavo, divisi per rigiocare assieme), da qui autostrada sotto la pioggia in direzione Zagreb (90’, controllo al confine velocissimo, la Croazia è entrata nella comunità europea ma le frontiere sono ancora operative), quando arriviamo nella capitale croata ha smesso di piovere ma la temperatura non è risalita. Troviamo accoglienza all’ostello Omladinski (18,5€, con wi-fi gratis e 2 pc a disposizione, con parcheggio interno gratuito ma senza colazione), lasciati gli zaini iniziamo ad esplorare la città partendo dalla piazza mercato che però ha molta più vita in prima mattinata (con spuntino presso una delle tante Pekarnika, 2,5€), per scoprire la città alta da Kaptol a Gradec dove ammirare un discreto panorama della città, le nubi non scaricano pioggia ma coprono la visuale. Svetta imperioso il tetto a mosaico della chiesa di San Marco, con l’immancabile stemma della scacchiera che rappresenta i colori nazionali, impossibili da dimenticare perché presenti in ogni dove, quasi che la popolazione non riesca a sentirsi indipendente senza la continua rappresentazione della propria bandiera. Mai visto in tutto il mondo un tale bisogno d’identificazione, vien quasi da immaginare una bassissima considerazione di se stessi tale da parcheggiare la Croazia in un cortile abbandonato del mondo, che poi visto quanto grande sia il mondo e quanto piccolo questo staterello ci può anche stare, ma allora perché ridursi così in piccolo? Facciamo un passaggio al monumento a Drazen Petrovic, ma per la visita del museo dovremo ripassare, ora è chiuso per ferie e riaprirà (quasi per farci un favore) al nostro passaggio per il rientro a casa. Così giriamo la parte bassa della città passando per i suoi grandi spazi tra il giardino Botanico, il padiglione espositivo e il monumento al duca Tomislav che al termine del primo millennio riunì le varie popolazioni in un unico regno, al quale ora si rifanno gli attuali abitanti della Croazia. Cena in città bassa, meno spettacolare ma più viva di quella alta escludendo le vie che tagliano Kaptol da Gradec altamente di tendenza, al Lira Caffe (8,5€, titolare gentilissimo e prodigo di info sui propri piatti), giriamo la città che a prima vista non presenta quella vita notturna che invece emergeva a Ljubljana. Percorsi 153km.
Ljubljana, Slovenia, rito d'addio dell'Erasmus
3° giorno
Di primissima mattina trovare un bar nei dintorni dell’ostello non è facile, finiamo all’ Hotel Central (53k), colazione degna di un banchetto di nozze ma non certo economica, poi via lungo l’autostrada E70 con sosta lungo il percorso in autogrill per rifornimento benzina (mediamente sui 10,10k x lt) e rabbocco olio (40k x lt). Lasciamo la E70 (da Zagreb 51k il pedaggio) per prendere direzione del posto di confine di Bosanska Gradiška, confine delimitato dal fiume Sava. La fila è lunga, i controlli non meticolosi ma è l’unico punto in cui ci richiedono la carta verde che scopriamo vecchia, nessun problema poiché ci sono svariate agenzie che rilasciano la copertura aggiuntiva valida 15gg a presentazione di una polizza valida per 45€. Seguiamo la E661 in direzione di Jaice con sosta al primo paese per recuperare qualcosa come spuntino in un market e marchi bosniaci da un bancomat a Nova Topola. La strada per Jaice corre lungo uno scenario naturale splendido dettato dal corso del fiume Vrbas, con gole ed anse che ci costringono a più soste, poi l’arrivo a Jaice regala un colpo d’occhio incantevole, in un’immagine la fortezza, le case dai tetti di lamiera e la cascata nella parte bassa della cittadina, più un quadro che una realtà. Troviamo da dormire in un nuovo ostello nella zona ovest lungo la strada che porta ai laghi, di fatto si tratta di un hotel più che un ostello (8€, con wi-fi gratis ma anche un pc a disposizione, biliardo, cucina ma non colazione). Però l’obiettivo è la visita di Jaice, delimitata dalle antiche mura e sormontata dalla fortezza, con la possibilità di visitare le catacombe (2M) che furono usate più volte come rifugio, la fortezza (2M) e da qui godere di un’ottima vista sulla valle, da dove emergono numerosi i cimiteri legati alla guerra degli anni ’90. La caratteristica principale di Jaice è però la sua cascata praticamente in centro storico, ci si accede dalla strada per Pliva prima del tunnel che porta in centro, anche se il punto panoramico migliore è più lontano, sulla strada che arriva da Banja Luka e va a Sarajevo. Un piccolo spiazzo fa da belvedere, da qui si prende un viottolo che scende sulla sx e si arriva ad un piccolo capanno, da lì Jaice è una meraviglia unica. Il centro storico si gira velocemente su strette vie con forti pendenze dove è bello notare le diverse rappresentazioni etniche con dominanza musulmana, la sera però la vita notturna si sposta leggermente fuori (la sera le auto non possono entrare in centro) così ceniamo al rest Una (14M) assaggiando piatti tipici mentre per gli amanti della movida consigliato il rest/disco Milano proprio a fianco dove la gioventù locale si ritrova e qui i costumi musulmani sono decisamente dimenticati con le ragazze dinariche a far splendida mostra di se. Percorsi 276km.
Scacchiere nel cielo di Zagabria, Croazia
4° giorno
Colazione nel bar a fianco dell’ostello con prezzo concordato (7M per colazione abbondante) poi prendiamo per i laghi di Pliva trovando scorci interessanti circumnavigandoli dal versante meridionale dove corre uno stretto sentiero percorribile in auto (meglio che sia vecchia e già segnata…), alcune viste son molto belle, simpatici i tanti e piccolissimi mulini che ora fan solo da scenario caratteristico e nulla più, da qui ritorniamo a Jaice e prendiamo la E661 per Mostar con bivio dopo 35km per la E73 che corre a fianco del fiume Neretva regalando anche in questo caso scenari splendidi, dove vaghiamo su itinerari fuori mappa lungo laghi artificiali e non. Arriviamo a Mostar e troviamo immediatamente da dormire al Motel Mozart (20€ con colazione, wi-fi gratis e parcheggio) e dopo è subito visita della martoriata città, legata inscindibilmente al suo ponte. Vorremmo visitarla pian piano ma il richiamo del ponte ricostruito è troppo forte e così veniamo risucchiati verso questo luogo che è meta di sciami di turisti, provenienti in larga parte con gite in giornata da Dubrovnik. Entrambi i lati limitrofi al ponte sono ora turistici all’ennesima potenza, quello occidentale a dominanza croata, quello orientale a dominanza musulmana riscontrabile appena ci si allontana dalle costruzioni, dalle moschee in una parte e dalle chiese dall’altra. Il ponte ovviamente è l’attrazione principale, ma Mostar regala viste interessanti anche in altre zone, dato che non si tratta di distanze eccessive è bello perdersi su entrambi i lati della città a scoprile in autonomia, fa caldo ma è facile trovare fontane di acqua fresca, del resto gli arabi avevano un profondo legame con l’acqua e qui vi è la testimonianza. Buttare un occhio ai cimiteri è un qualcosa di molto illuminante nel capire cosa sia avvenuto, se ne trovano ovunque, le tante tombe con date similari suonano ancora a monito di quanto accaduto, fuori dal contesto prettamente commerciale della città la situazione è ancora di divisione, con le due etnie principali che vivono praticamente separate l’una dall’altra. Indubbiamente le giovani generazioni sentono meno questa divisione come emerge girando la sera per le vie dello struscio, tra bar che mettono i tavolini in mezzo alla strada per dare la possibilità di fraternizzare in santa pace, sarà importante che questo spirito giovane nato a guerra finita non sia risucchiato dentro a vecchie spirali che riportano sempre ad un fronteggiarsi senza futuro. Ceniamo al rest. Behar2 (11€) sul versante croato, per poi far sosta ad un dei tanti bar del versante orientale senza dimenticare di rimirare il celebre Stari Most (il ponte vecchio) illuminato, di sera la città si libera dei torpedoni vocianti di turisti da crociera e lascia spazio per ammirarsi al massimo splendore, godendosi la bevanda nazionale, il bosanska kava, ovvero il caffè alla turca, che deve essere gustato a piccoli sorsi meditativi, con tempo per socializzare coi vicini, un atto di collettivizzazione di spazio e tempo. In questi momenti Mostar rivela il suo massimo modo di vivere, un ponte tra civiltà che potrebbero convivere piacevolmente se non fomentate da interessi troppo grandi. Mostar non è città di basket, ma si ricorda per aver dato i natali al grandissimo Drazen Dalipagic, che però troverà fortuna lontano da qui. Percorsi 204km.
Lago di Pliva, Bosnia i Herzogovina
5° giorno
Abbondante colazione in Motel poi saliamo in auto al Monte Velež, l’aspra ed arida montagna che domina il versante est di Mostar. Decidiamo di fare un anello che parta dalla città e scenda da Blagaj, ma mentre quest’ultima via è indicata, la strada che sale diretta dalla città non ha indicazioni e solo dopo varie info ricevute riusciamo a trovare il percorso giusto, indicativamente a nord della città tra anonime case. Tra curve e tornanti si sale in un battibaleno, la vista sulla città è fantastica e pian piano ci addentriamo tra i piccoli villaggi. Più di un punto panoramico sorge in corrispondenza di bunker militari, vien da pensare che da qui bombardare la città fosse un gioco da ragazzi, occorreva giusto prestare attenzione alle analoghe postazioni che sorgevano nella montagna di fronte, dominata dai croati, come testimonia l’enorme croce cattolica. Facciamo tappa in uno dei tanti minuscoli villaggi dove proviamo a conversare con la popolazione locale, non tutti comunque ci accettano di buon grado. Molto più aperti quelli che hanno parenti all’estero, così presso una di queste famiglie veniamo invitati ad assistere ad uno spettacolo tradizionale, lo sgozzamento di una capra che sarà il pranzo delle vacanze per i ricchi figli emigrati in Germania e rientrati con le loro scintillanti auto che passano a fatica tra le viuzze dei villaggi, sempre contraddistinti da vari turbe (cimiteri) ad ogni ingresso. Scendiamo dal versante di Blagaj dove l’omonimo castello svetta imperioso e prima di arrivare in valle una nuova moschea fa da sfondo a innumerevoli campi da basket, la storia non si cancella. Riprendiamo la E73 in direzione Sarajevo, che fino a Jablanica corre lunga la valle della Neretva, fermandoci per un frugale spuntino e per rifornimento (circa 1,2€ al lt) a Kinjic (2,5M) per arrivare finalmente nella capitale bosniaca, città dai mille incroci storici e culturali. Arrivando da ovest si vedono in lontananza i 2 grattacieli gemelli che a lungo rappresentarono la guerra dei Balcani, ora con vetri a specchio che fanno bella mostra di se. La città è stracolma di gente, tra turisti ed appassionati di cinema presenti per il Sarajevo Film Festival trovare da dormire è un’impresa, dopo vari tentativi troviamo nel centrale G.H. Focin Han (16,5€, con parcheggio interno, wi-fi gratis), da dove iniziamo subito l’escursione della città, un vero crogiuolo di razze, religioni, culture, odori e visioni. Tutto è aperto ed accessibile, ad eccezione della Sinagoga Ashkenazita, in rappresentanza di una delle 4 religioni presenti in città. Nonostante la presenza musulmana sia quella a più largo raggio, a parte alcuni locali che non vendono alcolici, l’integrazione nel cuore della città procede senza problemi, fa specie pensare a come solo pochi anni fa passare da una via all’altra fosse un pericolo di morte, mentre ora è tutta una festa. Qui fra palazzi storici, musei, chiese luoghi che han segnato un’epoca (vedi l’attentato di Gavilo Princip all’arciduca Francesco Ferdinando vicino al ponte latino) c’è da sbizzarrirsi, come non fermarsi sovente presso locali alla moda, di tendenza oppure in piazze all’aperto debordanti di giovani provenienti da ogni parte del mondo? Dopo aver percorso in lungo e largo il centro, passando dalla Baščaršija (dove sorge la più imponente moschea della città) alla Ferhadija ed oltrepassando la Maljacka ci ritroviamo a cena nel cuore pedonale della capitale a pochi passi da piazza Pigoen e facciamo sosta ad un locale di tradizione turca, il Rest. Galatasaray (16,5M), un richiamo al basket lo dobbiamo trovare. La movida serale tende a spostarsi verso l’ovest di Baščaršija, lasciando un attimo di respiro tra le viuzze e le botteghe della Ferhadija, bene pensarci se si decide di soggiornare in un ostello/hotel del centro. Percorsi 187km.
Selciato del Ponte di Mostar, Bosnia i Herzegovina
6° giorno
Colazione presso Pekara Adin (3,5M) all’angolo di piazza Pigoen per favolose ed enormi paste appena uscite dal forno, peccato che non abbiano il bosanska caffè, ma lo si può trovare dietro all’angolo da Jasmina (1,5M). Da qui a piedi saliamo alla cittadella di Vratnik passando per l’enorme cimitero dei martiri di Kovači, dove si trova anche la tomba mausoleo di Alija Izetbegovic, l’ex presidente al tempo della guerra. Dal punto più ad est, oltre le rovine della vecchia caserma asburgica, si gode un panorama totale di Sarajevo che spazia fino al “celebre” Monte Igman, ma un altrettanto bel panorama si scorge molto prima anche dal bastione giallo, solo che fermandovi qui non esplorerete le viuzze antiche di Vratnik piene di minuscole moschee con minareto di legno. Ma la nostra visita di Sarajevo deve ora spostarsi sul lato cestistico, così prendiamo il tram (1,6M) fino alla fermata della moschea Alipašina da dove raggiungiamo il monumento del più grande cestista bosniaco di sempre, Mirza Delibašić, autore d’imprese assolute in campo e fuori, morto nel 2001 per ictus e giustamente omaggiato nella sua città come un eroe. Da qui basta attraversare la Maljacka per arrivare alla Skenderija, il palasport storico di Saravjevo, dove giocava il Bosna di Boscia Tanjevic che dominò l’Europa. Ora il Bosna non gioca più qui ma nel nuovo e moderno palasport a nordest, ma la storia non si cancella, anche se la struttura principale è dedicata al Sarajevo FF, mentre la vecchia, piccola ed imboscata palestra profuma ancora di basket. Si stanno disputando i campionati europei U16 division B, e qui dove per un anno intero un imberbe Sasha Danilovic si allenò da solo perché non ne voleva sapere di giocare per i colori locali invece del suo amato Partizan, giocano però le formazioni minori, i tecnici della quali ci consigliano caldamente di evitare le loro partite per andare a seguire le finali nella vicina Ilidža, cosa che faremo in seguito. Visitati altri angoli del centro cittadino è già tempo di prendere il tram n° 3 (sempre 1,6M anche se questa volta percorriamo un itinerario fuori città) per raggiungere il piccolo palazzetto dello sport, farci accreditare come giornalisti (e ne son ben felici visto che par non esserci traccia di addetti ai lavori, tutti presi dalle finali A in Ucraina) e farci accomodare il più vicino possibile al campo (dotato di wi-fi gratis, anche se la congestione di pubblico lo manda spesso in tilt) da dove gli addetti ci forniranno le statistiche ad ogni nostra richiesta. Le 2 partite di finale che vediamo sono Finlandia-Slovenia per il 3/4° posto con vittoria dei finnici (e con un giocatore davvero impressionante il cui nome gireremo ad operativi del campo) e la finale Bosnia-Erzegovina/Danimarca. Ovviamente il piccolo palazzetto è imballato oltre ogni limite coi padroni di casa impegnati, ma la favola non ha il lieto fine ed i danesi rientreranno a casa con la vittoria. Poiché “noi possiamo” alla fine siamo in campo a festeggiare anche noi, al termine di una giornata decisamente interessante dove siam stati trattati come grandi inviati. Nel mezzo delle 2 partite una veloce fuga ad una buregdzinka, Zvrk (6M) dove veniamo seppelliti di burek, il tipico panino balcanico. Lasciato fluire il pubblico mesto e dopo aver recuperato info su alcuni giocatori dal futuro roseo, riprendiamo il tram n° 3 per piazza Pigoen (circa 45’), tempo per un bosanska kava e poi a dormire.
Un'ansa del fiume Vrbac, Bosnia i Herzogovina
7° giorno
Medesima colazione del giorno precedente poi i ragazzi del tour operator Green Vision (40€, contattati in anticipo, escursioni programmate solo di lunedì e venerdì) partiamo per il remoto villaggio di Lukomir, dimenticano nelle montagne della Bjelašnika, conosciute perché durante le Olimpiadi invernali del 1984 si disputarono le gare sciistiche femminili. Ma la fama di Lukomir è legata ad altro, qui la modernità deve ancora arrivare, il luogo è talmente remoto che non vide nemmeno la guerra, le case ancora di sasso con tetti di lamiera (enormi bidoni stirati), genti ancora legate all’agricoltura, anche se non ci abitano più di 60 persone. Facile camminare lungo la strada e condividerla con greggi di pecore che vanno in piazza a bere alla fontana principale, il tutto a pochi km dalla moderna Sarajevo. La strada per arrivarci lascia l’asfalto negli ultimi 10km, ci era stata descritta come impraticabile, in realtà dovrebbe esserlo nel periodo invernale causa neve e gelo, volendo si può benissimo venire in autonomia poiché la Green Vision organizza un piccolo trekking lungo l’adiacente canyon ma non si interfaccia più di tanto con la popolazione locale, quello proviamo a farlo noi in autonomia e non è cosa difficile, anzi in più casi sono gli abitanti ad essere curiosi nei nostri confronti, poi il nostro limitatissimo linguaggio serbocroato stoppa il tutto. Per le 18 siamo depositati in centro città, escursione interessante ma sicuramente meglio programmarsela in autonomia. Per cena cerchiamo una Aščinica del popolo, ovvero l’equivalente di una nostra trattoria con menù del giorno. Fra i ricchi locali di piazza Pigeon sorge la Sofra, piccolo posto con 4 tavolini all’interno e 4 all’esterno, dove prendiamo posto. Ci presenta un lungo menù che quasi ci spiazza, poi ad ogni richiesta ci sentiamo dire che non c’è, fino a quando ci illustra i pochi piatti disponibili scusandosi e dicendo, questa è un’aščinica…Ed ovviamente ripariamo in alcuni di quei patti, saporiti, abbondanti ed economici (13M), facciamo perfino fatica a finire quello ordinato, un ultimo piatto lo giriamo a 2 ragazzini di strada che si son messi a tavola nel ristorante a fianco, ordinando svariate cose ma senza un soldo, sperando nella comprensione degli astanti agli altri tavoli. Un modo geniale di riempirsi la pancia. Il resto della serata lo dedichiamo a studiare il percorso per l’indomani, tra passaggi di confine Bosnia/Serbia e vie minori da verificare se aperte o meno.
Fontana nel centro del villaggio di Lukomir, Bosnia i Herzogovina
8° giorno
Ovvia solita colazione e poi, ricevuta via mail la copia della carta verde la stampiamo in una copisteria di fronte all’hotel, riprendiamo dal parcheggio la nostra mirabolante 106 e prendiamo la E19 direzione Srebrenica, un nome che evoca ovviamente dolori. Ma tutti i luoghi attorno a Sarajevo, capitale compresa lo evocano, la strada prende in direzione di Pale (dove staziavano Karadžić ed i suoi), al bivio di Podromanija le opzioni sono Srebrenica o Goražde, insomma dalla padella alla brace. Il memoriale del genocidio in realtà si trova fuori città almeno 8km, più vicino a Bratunac e visitarlo non è affatto semplice. 8.372 lapidi, 8.372 nomi, 8.372 persone trucidate a pochi km da casa nostra, in un luogo sotto l’egida dell’ ONU, in un posto fino a pochi anni prima frequentatissimo dal turismo, dallo sport, insomma un posto che fa male visitare, ma che deve rimanere ad imperitura memoria e che soprattutto rappresenta agli occhi di tantissimi il male assoluto, perché qui non si parla di storie lette nei libri di scuola ma di accadimenti avvenuti nel nostro periodo di vita, è questo quello che colpisce maggiormente, un contesto non troppo diverso da casa nostra, con rimandi quasi quotidiani. Certo, non saranno i Killing Fields cambogiani ed il suo museo degli orrori S21, ma per noi europei quelle son situazioni lontanissime e di vita completamente diversa da questi. La città di Srebrenica in se non offre nulla, ci fermiamo giusto per un velocissimo spuntino e per chiedere conferma ad un passaggio poco chiaro su qualsiasi cartina, un gruppo di locali (serbi sui 40/50 mi verrebbe da pensare) appena sentono che siamo italiani iniziano a tessere le lodi di Sasha Djordjevic, prima di iniziare a litigare tra di loro nel darci le info giuste su percorso e chilometraggio. La litigata era dettata dal fatto che per uno al confine mancavano 40km e per l’altro 30km…piccoli aspetti per comprendere come il fuoco si possa accendere con poco da queste parti. Prima del confine ci fermiamo a Skelani dove gli alunni di una scuola stanno provando una rappresentazione teatrale danzante, mentre altri giocano a basket, ed anche in ciabatte mostrano un feeling ottimo con la retina. Il posto di confine Skelani/Banjia Bašta si trova lungo la Drina, passiamo su di un vecchio ponte di ferro, certo non “quel” ponte sulla Drina cantato dal nobel Ivo Andrić che si trova a Višegrad e che raggiungere ci porterebbe via quasi un giorno). Controlli velocissimi (ovviamente non quello della carta verde che ora abbiamo), non c’è nessuno, i doganieri serbi son gentilissimi, ci indicano strade, percorsi, un posto sotto al fiume per spuntini o volendo bagno nel fiume, tanto temuti quanto cordiali, passiamo lasciando i dati in entrata della carta di identità, nota a margine ma che ci creerà qualche confusione rientrando dal Kosovo. Lungo strade non presenti sulle mappe scaricabili da navigatore (recuperabili solo su googlemaps) andiamo a Sirogojno, città museo della Serbia. Qui è stato ricostruito un museo all’aperto (1.500D) della cultura del ‘800 e ‘900, riprendendo le abitazioni tipiche e disponendole in uno spazio protetto. Diviso in vari settori copre un buon spaccato della cultura balcanica, all’uscita qualche bancarella vende souvenir che dovrebbero arrivare da artigianato locale, vista anche la scarsissima presenza turistica. Proprio fuori Sirogojno sorge un’imponente struttura sportiva che fa da supporto per il camp estivo del Beovuk 72 Beograd, una formazione della seconda lega serba, infarcita di giovani e promettenti elementi. Osserviamo un po’ di partitelle, scambiamo 2 chiacchiere col vice allenatore che parla inglese prima di cercare un percorso che ci porti alla regina delle montagne serbe, Zlatibor. Periodo morto per la città delle nevi, quindi lungo le strade principali è pieno di persone che cercano di affittare le proprie abitazioni ai pochi viandanti di passaggio. Ne approfittiamo trovando una splendida casa che ospiterebbe comodamente 5 persone per 20€ totali, uso cucina compreso. Prima, giusto come richiamo al basket, avevamo fatto sosta all’hotel Olimp che appartiene a Dragan Kićanović, altro mostro sacro del basket slavo e tra i grandi nemici virtussini per i suoi trascorsi pesaresi. Che siamo in montagna si sente anche in agosto, piove e fa freddo, una volta tornati in città troviamo velocemente un bancomat (nella via pedonale centrale se ne trovano vari) e ceniamo la Rest Bolero (900D) specializzato in carne alla brace, che come ogni locale da queste parti offre il wifi gratis. Viste le temperature viene comoda la cucina per farci un buon caffè caldo in baita. Percorsi 337km
Tradizionale Bosanska cava, nel centro di Sarajevo, Bosnia i Herzogovina
9° giorno
Colazione in pekara nel centro di Zlatibor (200D), poi prendiamo a sud lungo la 21 ed a Nova Varoš la 8 verso Sjenica da dove iniziamo la ricerca dell’Uvac Canyon, visto su googlemaps come un serpente assurdo formato dal fiume Uvac tra Vidikovac Molitva e Meandri Uvca. Il problema grosso però sta nell’arrivarci, perché non ci sono indicazioni, infiniti tratturi di campagna che spesso portano a nulla e nessuno cui chiedere che parli altro rispetto al serbocroato. Presso un villaggio di vecchie roulotte però un pensionato ci lascia un opuscolo informativo con una foto (poi da qui per risalire dobbiamo alleggerire l’auto che altrimenti non arriverebbe in cima), così mostrando quello e dopo aver cambiato almeno 25 itinerari riusciamo ad arrivare in un posto che presumibilmente è l’ultima montagna prima del canyon. Lasciata la macchina ed affrontata l’ascesa quello che ci viene offerto è uno spettacolo che toglie il respiro, un’enorme biscia che taglia le montagne, sono almeno una decina le curve complete e perfette che il fiume ha creato nei monti, sembra uno spettacolo finto creato solo per i tanti grifoni che si lanciano sull’aria che sovrasta questo canyon. Lo percorriamo a lungo per goderci più viste, da qualsiasi parte è comunque uno spettacolo assoluto, son talmente tante le curve che anche con un enorme grandangolo dall’alto della montagna non è possibile fotografarlo tutto, capiamo così che il depliant può essere stato realizzato solo in volo, anche se qui non si trova nulla per poter pensare ad un’escursione del genere, fattibile solo un giro in barca, ma in mezza giornata ne abbiamo vista solo una, comunque dal basso non si godrebbe dell’emozione che regala dell’alto. Non incontriamo nessun’altra persona a parte 2 ragazzini del posto, poco prima avevamo chiesto info ai loro genitori, tutti quelli cui abbiamo chiesto son stati gentilissimi, ma fra che la lingua è un problema fra che infiniti sono i sentieri di campagna ci si perde che è un piacere, non è facile recuperare info esatte, la soluzione migliore adottata è stata quella di far disegnare a chi incontravamo su carta il percorso, per gradi siamo arrivati alla meta, rompendo la marmitta causa vie impervie, ma per lo spettacolo ottenuto il gioco è valso ampliamente la candela. Staccarci da qui è dura, segnalo subito come questo sia stato lo spettacolo più esaltante del viaggio, prendiamo la direzione del monastero di Sopoćani (questo bene indicato) che però dopo la vista precedente perde parecchio del suo fascino. Proseguiamo per Novi Pazar, città turca in terra serba, una contraddizione feroce che ci era stata presentata da Sergio Tavčar raccontando come ai campionati europei di basket gli abitanti di qui avessero inneggiato ad un giocatore di origini serbe ma in forza alla Turchia perché loro concittadino (per la cronaca Mirsad Türkcan). Sosta per riparare la marmitta (5€, 15’) e ricerca di un posto per dormire in questo angolo di Turchia, troviamo posto all’Hotel Palma, grande albergo decadente (15€ con colazione, parcheggio e wi-fi gratis) dove è in corso il festeggiamento per un matrimonio e ci chiedono di non parteciparvi. Al tramonto visitiamo la città che a parte qualche moschea offre ben poco se non la sua aria turca di gente slava (sì, una contraddizione in termini ma reale) e ceniamo al Profesional (350D), luogo anonimo tra tanti luoghi più belli ma che serve birra a differenza di tanti altri ristoranti. La via centrale è lo struscio serale, pare esserci il mondo, gente di ogni età tra caffè, gelateria, sale giochi, e scorgo addirittura una sala scommesse che esibisce la foto di Lebron James in maglia Knicks… Percorsi 224km.
Monastero Visoki Dečani, Kosovo
10° giorno
Colazione in hotel, dove siamo gli unici presenti, poi lasciamo Novi Pazar andando a sud verso il Kosovo cercando il varco di confine passato Ribarice lungo il lago Gazivode, non molto battuto ma ci permette di risparmiare strada entrando comunque dalla Serbia, cosa che ci permetterà di uscire di nuovo in Serbia ed evitare problemi, il Kosovo è uno stato non riconosciuto da tutti, presenta varie problematiche ed ovviamente tra chi non lo riconosce c’è la Serbia per cui se si entra da un altro stato non si può proseguire verso Belgrado, cosa che noi avremmo intenzione di fare in futuro. La bella strada da che Ribarice prende ad ovest sulla E80/E65 costeggia il lago artificiale Gazivode, la strada si stringe ed una lunga fila di camion ci fa intendere che siamo giunti al confine. Gli autisti ci dicono di passare occupando la carreggiata opposta da dove non arriva nessuno, percorriamo così oltre un km di coda e giungiamo ad un bunker protetto da cavalli di frisia, costruzioni di cemento, reticolati ecc… ma gente armata poca, i controlli riguardano solo i documenti (dalla Serbia si può uscire con c.i. in Kosovo si entra solo con passaporto) ed il passaporto viene timbrato in entrata in Kosovo, da poco i serbi non creano più problemi se avvistano questo timbro. Ci inoltriamo in Kosovo lungo la E80 in una valle a predominanza serba, testimoniato da enormi cartelloni con bandiera e scritta in 2 lingue, una in serbo (quindi cirillico) ed una che evidenzia un chiaro This Is Serbia. Si susseguono i posti di blocco di quelli visti dalle telecronache della guerra in Afghanistan o Iraq, in alcuni si passa senza fermarsi, in altri occorre mostrare il passaporto (il dubbio causa inquietudine, ammetto, spareranno e se ne infischieranno?), le auto che circolano non hanno la targa e tutto quello in vendita è mostrato in dinari serbi, invece che in €, la moneta adottata dal Kosovo. Morfologia montagnosa che si abbassa verso Mitrovica o Kosovska Mitrovica secondo chi la appelli. E’ il luogo maggiormente sconsigliato del posto, lo evitiamo prendendo la 101 in direzione Peć o Pejë lungo una strada in buone condizioni ma senza viste di un certo interesse. Ci sarebbe anche una strada che taglia da Zubin Potok (R211) ma è una di quelle strade sconsigliatissime, battute da contrabbandieri e armate militari di difficile collocazione. Già, perché il Kosovo è pacificato giusto grazie ad una presenza ancora molto consistente dei soldati ONU (il contingente è denominato Kfor), alcune zone stanno passando di mano da loro alla polizia kosovara ed ovviamente la paura della minoranza serba è altissima come costateremo al patriarcato di Peć, dove si entra lasciando il passaporto in cambio del tesserino da visitatore delle Kfor e dopo aver scaricato le armi, compreso il colpo in canna, giusto per chiarire il luogo. L’accoglienza da parte della signora Dobrilla è dura, ci verrà spiegato in seguito le condizioni geopolitiche la fanno stare molto in ansia, il luogo invece è molto bello, l’interno della chiesa (ovviamente ortodossa serba) la meglio affrescata tra tutte quelle che vedremo, e qui in Kosovo ce ne sono molte perché come comprenderemo meglio in seguito, la culla del panslavismo è questo fazzoletto di terra, da qui le insistenze serbe per il riconoscimento di questo angolo di mondo come loro al posto degli albanesi arrivati in un secondo tempo e causa fortissima natalità ora predominanti. Peć è anonima oltremisura, svettano solo gigantesche statue inneggianti a guerriglieri UCK morti ma ci fermiamo per un velocissimo spuntino al Fast Food Picolino (2€) prima di dirigerci al vicino monastero di Visoki Dećani dove abbiamo appuntamento con padre Francesco, un italiano che vive da 23 anni presso il monastero. Entriamo nella zona dopo ripetuti controlli (e scambio passaporto/badge Kfor) da parte dei militari italiani di stanza qui, felici di scambiare qualche parola nella loro lingua, ci semitranquillizzano dicendo che da marzo non ci sono più stati attacchi al monastero e che se avvenissero seriamente la loro presenza non potrebbe contenere sfuriate come quella di qualche anno fa a Prizren, ma il matto che si vuole immolare può essere respinto, poi oggi arriveranno le forze militari in rappresentanza di ogni stato per la liturgia in programma. All’arrivo di padre Francesco entriamo nel monastero per una visita guidata molto dettagliata, l’ecclesiaste è più uno storico che un confessore, veniamo a conoscenza di fatti e misfatti del luogo, dal celebre 1389 data della sconfitta serba contro i turchi proprio in questi luoghi (ed alcuni pezzi qui presenti derivano da quelle giornate), al perché tante auto girino senza targa (è rischioso girare in territorio a dominanza serba con una targa RKS e viceversa), della vita dura delle enclavi serbe nel mezzo del territorio albanese, ed anzi se vogliamo assieme ad altri visitatori potremmo passare la notte presso una famiglia in una di queste enclavi a circa un’ora da qui, cosa che ovviamente accettiamo senza nemmeno pensarci. Assieme a noi sono presenti alcuni accompagnatori di una Onlus di Treviso ed una giornalista/fotografa celebre, Monika Bulaj, che funge anche da interprete con chi parla solo serbocroato (la suddetta, vincitrice di svariati premi internazionali di giornalismo tra cui il Chatwin, ha appena pubblicato un reportage dall’Afghanistan sulle donne kamikaze letto da parte mia poco prima di partire con grande interesse, frutto di 3 mesi da sola nelle montagne di quel tremendo posto, capirete l’eccitazione nello scambiarsi pareri sui luoghi del mondo con una persona del genere da pari a pari). Infarciti di sapere del luogo rimaniamo ad assistere alla liturgia serale in un ambiente inquietante, la presenza di forze militari di ogni tipo non è roba da tutti i giorni, poi ceniamo nel monastero e visto che sono in penitenza ci si arrangia senza prodotti provenienti dagli animali ma anche dal loro lavoro, insomma si fa di necessità virtù. Da qui, infarciti di un conoscere inaspettato e trattati da ospiti internazionali, prendiamo vie notturne verso Velika Hoca, un’enclave serba nel mezzo delle montagne a nord di Prizren (il pulmino locale deve fare il cambio targa ad un certo punto, e sfuggiamo vie regolari) presso la famiglia Petrovic che produce vino e che di fatto è l’unica che possa lavorare di tutta questa enclave perché proprietaria del terreno che coltiva. Per 10€ abbiamo una camera, la colazione, il dopocena di benvenuto ed ovviamente il wi-fi gratis, saremo anche in un posto in guerra ma quello non manca mai, non siam mica in Italia!!! Ovviamente tiriamo tardissimo per conoscere altri aspetti del luogo con Monika che traduce poiché il capofamiglia parla solo qualche parola di inglese e gli altri nulla. Veniamo ad imparare che i pochi negozi dell’enclave devono approvvigionarsi a Mitrovica perché i negozi kosovari non li riforniscono, e per tutto il tragitto sono scortati dai mezzi della Kfor, altrimenti verrebbero assaltati, che se anche in buoni rapporti coi vicini nessuno li può prendere a lavorare perché avrebbero ritorsioni i kosovari da parte del mai realmente smantellano UCK, (carabinieri italiani ci dicono di osservare se passiamo dal ponte centrale di Mitrovica gente armata senza divisa che non si capisce cosa facciano ma che nessuno può andare a far sloggiare, ex guerriglieri UCK che controllano la situazione), insomma il metodo Kosovo che in questi giorni sento nominare come soluzione per la Siria mi si presenta dal vero come un focolaio non sopito pronto ad ardere se il benessere non arriverà in tempi brevi, perché alla fin fine è quello che ha reso sereni altri luoghi, come toccheremo con mano una volta arrivati a Belgrado. E’ tardissimo quando andiamo a dormire, ma non si poteva perdere un attimo di una giornata che rappresenta un’esperienza di vita indimenticabile, venutasi a creare grazie a qualche contatto prima della partenza ma come al solito lasciandoci guidare dall’istinto e dalla voglia di conoscere il mondo. Percorsi 226km.
Jaice, Bosnia i Herzegovina
11° giorno
Colazione da uomini duri in famiglia (salame piccante come prodotto più potabile), poi mentre i più organizzano la giornata in aiuto dei bambini del luogo (corso di fotografia, giochi sui trampoli ecc…) noi salutiamo e ringraziamo e senza dar troppo nell’occhio lasciamo l’enclave senza dover cambiar targa…, prendiamo direzione di Prizren per visitare una tipica cittadina kosovara, dove ogni presenza serba è stata spazzata via, azione ben deducibile dalla presenza in pieno centro proprio dietro la splendida moschea Sinan Pasha lungo il fiume Lombardhi Bistrica in corrispondenza del ponte ottomano, di un cospicuo numero di abitazioni bruciate mi pare nel 2004. Proprio qui in mezzo ci sarebbe la strada che porta alla fortezza Kalaja che domina la città, ma tra lavori e case pericolanti l’accesso è improbabile e viste le problematiche del luogo desistiamo notando sulla dx all’uscita dalla città una gigantesca caserma operativa dove stazionano le truppe Kfor, per continuare sulla statale 25 direzione Graćanica, sede di un altro importante monastero, in fase di ristrutturazione ma sarà anche per la collocazione urbana non così interessante come quelli di Peć e Visoki Dećani. All’uscita, nell’omonimo paesino prossimo alla capitale Priština o Prishtinë (qui la denominazione serba non sembra costituire problema) sosta per rifocillarsi presso il caffè Matrix (350D) dove si può pagare senza problemi in entrambe le valute, l’urbanizzazione agevola l’integrazione. La capitale è un mix di casermoni stile titoista e nuovi svincoli figli dei crescenti centri commerciali, un rapido giro in auto per renderci conto che al massimo la potrei assimilare a Podgorica (ex Titograd, una delle città più brutte che abbia mai visto) per decidere di soprassedere al fermarci e continuiamo in direzione Mitrovica sulla 2. Qui per una volta seguo la ragione invece dell’istinto e decidiamo di non andare a vedere il ponte Austerlitz, quello che divide in 2 la città, ricostruito dopo la guerra ma sovente preso d’assalto perché divide gli albanesi a sud dai serbi a nord, descritto dai carabinieri italiani come uno dei luoghi più video sorvegliati al mondo, con cospicua presenza di ex UCK armati a dirigere il traffico anche senza un comando effettivo ma di fatto reale. Sulla statale 22/3 si passano vari posti di blocco dismessi che qualche inquietudine la mettono comunque e si sale lungo le montagne che portano al confine di Jarinia/Rudnica. Ovviamente arrivando pare di entrare in un compound iracheno anche se poi tutto è tranquillo e veloce dalla parte kosovora, lo sarebbe anche da quella serba ma alla presentazione dei passaporti qualcosa si blocca, il doganiere continua a fare domande ma parlando solo serbo vien difficile intendersi. Presentiamo, patenti, bollo, assicurazione, libretto auto, carta verde ma nulla, ci fanno accostare e intendere di aspettare, quando arriva un doganiere intento a pranzare ma che parla un ottimo inglese e tutto si chiarisce, ci chiede di fornire le c.i. ed in un attimo tutto è sistemato. Eravamo entrati una prima volta in Serbia con quelle e probabilmente non gli tornavano i riferimenti distinti dei passaporti. Prima tappa in terra serba è il monastero di Studenica, il più sacro dello stato. Pare un luogo di pace eccessivo senza il contesto kosovaro attorno, ne perde in parte valenza di fortezza contro le conquiste territoriali e culturali, ma merita la visita sia per la chiesa principale sia per quella piccola e decoratissima che si trova nel lato sud-ovest. Da qui trasferimento verso nord più veloce possibile, decidiamo di far tappa in una città e scegliamo Kraljevo, non propriamente centro turistico e con pochissimi hotel. Il nostro spirito cestistico viene premiato perché appena fuori città ci fermiamo all’hotel Tehnograd (appartamento dotato dell’inverosimile con bagno gigantesco, cucina, poltrona massaggio, banco bar ecc., 4 posti comodissimi, comprensivo di parcheggio, colazione a buffet e wi-fi gratis, costo totale di 73€ da dividere quindi fino a 4 persone…) di proprietà dello zio di Nenad Krstic, pivot del CSKA Mosca e della nazionale serba, la cui maglia originale ed autentificata fa bella mostra di se all’ingresso, assieme a svariati gagliardetti del Panathinaikos Atene, compreso quello della coppa vinta a Bologna nel 2002 ahimè, perché luogo preferito da coach Obradovic nelle trasferte belgradesi dei suoi. Rientriamo in città visto che nei dintorni dell’hotel c’è una fosca brughiera, al solito le vie centrali confluiscono tutte in una piazza rotonda meta di struscio continuo che ed è un gran bel vedere, evidentemente il tratto dinarico ha contagiato anche le ragazze di qui. Ceniamo, bene ma molto lentamente all’Oazas (330D), poi girovagando incontriamo una coppia vicentino/belgradese con cui avevamo diviso la serata kosovara per terminare la serata sul lungofiume Ibar dove sorge una grande festa all’aperto, giovanissimi i partecipanti che impazziscono per il rap locale, il turbofock di cecana memoria (intesa come Svetlana Ražnatović la moglie della fu tigre Arkan) è roba da mesozoico per le giovani generazioni che parlano tutte un ottimo inglese e che non hanno nessun problema d’integrazione con gli stranieri, statunitensi inclusi (li hanno bombardati non tanti anni fa). Percorsi 376km.
Lavoro nei campi, Serbia meridionale
12° giorno
Dopo aver sfruttato le doti della poltrona massaggiante ed aver saccheggiato il buffet della colazione puntiamo su Beograd che raggiungiamo lungo la statale E761, volendo ci sarebbe anche l’autostrada ma occorre allargare di molto il percorso per arrivare nei dintorni di Kragujevac. La città bianca (Beo=bianca, Grad=città) ci accoglie in una assolata giornata di agosto con traffico tranquillo, percorriamo il lungo Sava (il vero fiume cittadino perché il Danubio in realtà lambisce una zona limitrofa al centro) fino all’hotel Royal (19€ con colazione e wi-fi gratis) nei dintorni della cittadella di Kelemegdan, simbolo della capitale serba. Si può parcheggiare nelle vie limitrofe, sabato e domenica non si paga, negli altri giorni occorre sempre esibire il pagamento, lasciamo l’hotel per raggiungere subito la cittadella tutta attorniata dai playground delle 2 squadre simbolo della città, il Partizan (proprio a fianco dell’entrata principale) e la Crvena Zvezda, meglio conosciuta come Stella Rossa. Da qui la miglior vista sulla confluenza Sava e Danubio, altrimenti il grande fiume mai si accosta alla città. Dalla cittadella si può rientrare nel centro città percorrendo la via centrale pedonale piena di tutto, bancarelle, negozi alla moda, gente, gente e gente, pare che il mondo si concentri tutto qui a Belgrado, lo si sentiva raccontare i tutti i luoghi dell’ex Jugoslavia ma l’impressione colpisce, varie lingue a contraddistinguere una presenza straniera a 360°, compreso un numero elevatissimo di statunitensi, cosa che fa strano considerando che sono ancora in bella evidenza i ministeri bombardati poco più di 10 anni fa. Chiese, moschee, musei, palazzi stile impero (tipo quelle della Principessa Ljubica ma anche altri senza indicazioni storiche allegate), la credevo una città grigia ed invece mi devo ricredere, c’è persino un piccolo quartiere latino (Skadarska) lungo 2 vie che scendono dal centro verso est, e poiché un acquazzone ci coglie impreparati rimediamo all’interno di un caffè che scopriamo terribilmente di tendenza, Guli (ovviamente dotato di wi-fi gratuito come tutti in questa zona). Rientrati in buona parte lavati dal piccolo tornado abbattutosi sulla città dove le vie in pendenza formano fiumi di acqua impetuosi ci prepariamo a far serata dopo aver recuperato le info sui luoghi di basket da visitare in città nei giorni seguenti. C’è gente ovunque, i tifosi del KK Partizan son la maggioranza del popolo giovane distinguibili dai colori e dall’abbigliamento che mostra con orgoglio i trofei vinti recentemente, optiamo per ritornare nel quartiere latino notando che trovare un posto non sia semplice e che i prezzi sono da Europa Occidentale, ma se la richiesta supera la domanda han ben ragione ad adeguarsi. Troviamo posto in un tavolino appoggiato ai ciottoli antichi della via presso lo Skardarlijski Boem (800D), gestito da un impettito anziano personaggio che a noi “virtussini” riporta alla memoria l’avvocato Porelli. Duro, distino e dignitoso, servizio veloce ed efficiente, prezzi contenutissimi visto quanto offrivano gli altri posti, e piatti dai sapori autoctoni, scelta vincente, Porelli non poteva tradire. La città pullula di vita in ogni dove, difficile dire dove andare, anche solo girarsi le vie centrali è uno spettacolo, dove incontrare Duško “Dule” Vujošević (coach del Partizan) vestito alla sua solita trasandata maniera è normale. Voltando lo sguardo è un attimo solo per vedere altre visioni ben più aggradanti, qui quasi una banalità. Percorsi 190km.
Installazione artistica nel centro di Belgrado, Serbia
13° giorno
Colazione in hotel, abbondante ma non di estrema qualità, poi in auto prendiamo l’autostrada E75 in direzione Vojvodina (240D) per 2 mete, la prima delle quali è Sremski Karlovci, perfetto mix tra la cultura austroungarica e quella tradizionale serba. Molte le cose da vedere nella piccola città, tutte raggiungibili nel giro di pochi minuti a piedi, c’è anche un mercatino di artisti locali dove mi imbatto in un’anziana pittrice originaria di Tuzla conoscente di miei amici italiani che durante la guerra in Bosnia fecero da inviati umanitari portando cibo, medicine e tanta disponibilità ad ascoltare, aiutare, sopportare. Veloce spuntino tra alcuni locali all’aperto della piazza principale (pedonale), Fast Food (pizza fatta al momento, accettabile) e Caffè Billete (280D di tutto), poi raggiungiamo la vicina Novi Sad, capitale della regione autonoma di Vojvodina. Della città si sa poco se non per amanti di basket che nel 1987 nel suo nuovo palasport la Scavolini Pesaro ci perse la finale di Coppa Coppe contro l’allora grandissimo Cibona Zagabria col fratello del diavolo di Šibenik per una volta a far la voce grossa al posto del fratellino. La città è invero bella, splendide vie centrali che fanno tanto Austria, non fosse per le chiese ovviamente ortodosse, ma l’unico riferimento celebre è però la cittadella di Petrovaradin, che sorge sul Danubio a protezione della città stessa, trasformata però in un luogo commerciale. Niente a che vedere con Gibilterra, come a volte viene descritta insomma, splendido invece un attraversamento del Danubio sullo stretto ponte ferroviario (Most Boška Peroševića), a turno si alternano treni ed auto, spettacolare. Rientriamo verso Beograd ancora in autostrada tagliando una terra che sa molto di granaio slavo, entriamo nella capitale nella zona della Novi Beograd tra enormi centri commerciali, ampie case signorili accostate a casermoni di titina memoria ma sempre meglio di alcune costruzioni analoghe visibili da noi, con sosta alla gigantesca Beograd Arena (il più grande palasport in Europa, oltre 22.000 persone per le partite di basket) non visitabile perché non espressamente per il basket e quindi senza agganci per noi anche solo per una piccola toccata e fuga. Qui ci giocano in qualche occasione le 2 squadre solo alcune partite di Eurolega, o la gara inaugurale o quelle di Top16, per il resto il campo rimane lo storico Pionir, in pieno centro dove ci dirigiamo. Ci ritroviamo coi ragazzi del Beovuk 72 Beograd di rientro dal camp di Sirogojno, poi entriamo in quello che da tutti è considerato come il campo più caldo d’Europa, soprattutto quanto gioca il Partizan. Gli addetti ci lasciano entrare e calcare il parquet, ci giocano 2 ragazzini che appena ci vedono ci porgono il pallone e quando imparano che siamo di Bologna entusiasti citano il nome di Danilo Andusic, un giocatore minore della storia slava, attualmente in rosa Virtus (che cerca però di prestare) ed anche in nazionale viste le tante assenza. Per noi, legati a nomi che han fatto la storia sia del basket bolognese sia di quello slavo, questo accostamento rappresenta la decadenza del basket serbo, come ultimamente le manifestazioni internazionali attestano. Tirare su questo campo fa un certo effetto, solitamente lo si è visto con facce truci sugli spalti che urlano di tutto, ora è un’oasi nella confusione della città, ma a breve tornerà un vulcano, ne siamo certi, al di là dei risultati delle squadre che ci giocheranno. Per cena optiamo per un ristorante consigliato come tradizionale e storico, ambiente effettivamente molto caldo ma ormai troppo turistico, chiamato “?” Il perché di tale non nome? Facile, era stato denominato nel 1800 Caffè della Cattedrale (che sorge di fronte) ma i porporati locali non gradirono ed il proprietario per non subire ritorsioni ma anche per non dar ragione al clero locale ci mise un non nome che è rimasto ed ha fatto storia. Cibo nella norma, senza infamia e senza lodi (1.500D), prezzi da Belgrado bene. Percorsi 182km
Il Ponte di Mostar, Bosnia i Herzegovina, ricostruito dopo la guerra
14° giorno
Colazione di buon mattino poi ripresa l’auto ed avendo pagato il parcheggio del primo mattino decidiamo di far un ulteriore salto nei luoghi “caldi” della Jugoslavia, passando per il parlamento dove nell’attigua piazza gli oppositori di Milošević si diedero appuntamento per contestare le elezioni truccate del 2000 per arrivare ai ministeri bombardati nel 1999. Ci facciamo prendere la mano, come non fare un salto a visionarli da vicino? Lasciamo l’auto in un parcheggio riservato ai nuovi ministeri, tempo 5’ ed un carro attrezzi è già operativo per la nostra auto, fortuna che il poliziotto parla inglese, gli spiego che andiamo via subito perché abbiamo appuntamento al Partizan di Sasha Danilovic, appreso il nome dell’icona cestistica ed ambasciatore per meriti sportivi tutto diviene semplice, nessuna multa e mi raccomando, mi saluti il presidente e gli faccia i migliori auguri. La sede del Partizan si trova nei paraggi della stazione centrale, dove ci sono lo stadio calcistico ed il circolo tennis, probabilmente il circolo vip per eccellenza della città. Abbiamo appuntamento con la splendida addetta stampa Sonja Savić che ci illustra la situazione di Sasha Danilovic, non presente ma in via di guarigione a seguito del diverbio col suo amico Fido (regolamento di conti tra amici serbi, l’ha definito il primo ministro…), ci lascia vagare per la sede, prendendo e riponendo qualsiasi trofeo, memorabila o similari, col fatto che siamo di Bologna sa perfettamente quanto rappresenti Sasha per noi. Fanno bella mostra di sé le foto dei 6 giocatori più rappresentativi e dei 6 allenatori, ma se tra gli allenatori c’è anche l’attuale (minore rispetto ai mostri sacri raffigurati) non altrettanto avviene per i giocatori, solo eroi sulle foto (Kićanović, Paspalj, Dalipagić, Đorđević, Divac ed ovviamente Danilović, l’uomo del tiro da 4). Nella galleria dello stadio c’è anche un punto vendita fornito di merchandising di ogni genere, gli appassionati possono sbizzarrirsi, a differenza di quanto avviene visitando le altre squadre. Nei paraggi c’è anche un altro mausoleo ben più significativo, quello dedicato a Josip Broz, meglio conosciuto come il Maresciallo Tito, il padre della Jugoslavia, di cui Croazia a parte si nota un imperante ritorno di moda. Purtroppo non abbiam verificato come il lunedì il museo sia chiuso, ci veniva talmente comodo sulla via del rientro che abbiamo dato ascolto alla convenienza invece che all’efficienza, peccato. Il luogo in se è grigio ed insignificante, al contrario rappresenta uno spaccato fondamentale della storia del ‘900. E’ tempo di partire, imbocchiamo l’autostrada 1-E70, in 45’ siamo al confine di Bajakovo (pedaggio 340D, pagabili anche in €, moneta di uso corrente in Serbia), controlli velocissimi e sosta al primo autogrill per uno spuntino sostanzioso (57K). L’autostrada 1 serba diventa la A3 croata, ma poco cambia, arriviamo in breve a Zagabria (pedaggio 121K) e ci sistemiamo nell’ostello dell’andata, pratiche veloci per avere la medesima camera che abbandoniamo all’istante e torniamo a visitare altri luoghi della città, sempre sotto le fosche nubi che non ci han mai permesso di vedere la capitale col sole. Ceniamo alla trattoria Leonardo (12€) rientrando presto perché l’indomani vogliamo alzarci di primissima mattina ed incastrare più cose sempre a Zagabria prima di prendere la via di casa. Percorsi 433km
Zagabria, Croazia, monumento a Drazen Petrovic
15° giorno
Sveglia di primo mattino, colazione in un bar Pekarnika (19K, ed i croati son gli unici che s’impuntano nel volere pagamenti solo in kune, ma del resto il loro nazionalismo esasperato è evidente in ogni angolo della città) lungo Petrinjska ul. per visitare il mercato di Dolac al momento del suo massimo splendore, ma visti tanti mercati in giro per il mondo questo proprio non ha nulla da dire, così andiamo all’appuntamento fissato 2 settimane prima al Dražen Petrovič Memorial Center nella piazza a lui dedicata, dove si trova anche il palasport che ospita le partite del “suo” Cibona. Il museo ha riaperto dalle ferie oggi per il nostro passaggio, raccoglie tante cose soprattutto dei suoi primi anni al Košarkaški klub Šibenik da noi poco conosciuti e per appassionati è una manna, come poter acquistare le sue maglie storiche europee a prezzi contenutissimi (130K, ovviamente solo cash e kune…) mentre quelle NBA costano come in qualsiasi negozio ufficiale. L’addetta al museo si era già attivata per farci visitare anche il palasport Dražen Petrovič e la sede del Cibona, non fosse che il figlio è l’addetto stampa e ci accoglie soddisfattissimo assieme al GM. Di una gentilezza e disponibilità uniche, non ci farebbero più andar via, impieghiamo molto più tempo del previsto tale da farci prendere la multa per divieto di sosta (siam rimasti ben oltre l’ora programmata, quasi 3) ed ora ci tocca correre per un’ultima sosta turistica. Prendiamo la A1 fino a Bosiljevo che diventa A6 verso Rjeka, intervalliamo il viaggio con uno spuntino in autogrill (57K) e visitiamo la fortezza dell’ex Fiume, il Castello di Trsat (biglietteria chiusa, quindi per noi gratuito) da dove si gode un’ottima vista sulla città e sulle isole dell’Adriatico con l’Istria a far da sfondo. Non abbiamo più tempo per girarci anche la città bassa, da qui un piccolo tratto di autostrada (da Zagabria 69K) e passato il confine a Rupa (che a breve dovrebbe essere smantellato ma che fa perdere tempo anche in presenza di poche auto) ci s’immerge in una strada di collina come unico collegamento attraverso la Slovenia verso Trieste che si raggiunge dopo circa 30km già però entrati in autostrada e da lì è un’unica tirata verso Bologna con un tornado nei pressi di Padova che ci costringe ad un rallentamento e ci fa tornare alla memoria il primo giorno di visita cestistica del viaggio a Ljubljana, così da collegare partenza ed arrivo in un unico anello cestistico. Anello non a caso, perché per quanto tu possa difendere alla morte la palla a spicchi per vincere deve entrare nell’anello che regge la retina, anche se in certi campi visti in questo viaggio è già bello accontentarsi di un cesto, che abbia retina, tabellone, pavimento son quisquilie, poiché qualcosa si può sempre inventare e riderci sopra. Percorsi 574km, in totale 3.817, lungo i quali la fidata Peugeot 106 3 porte verde sbiadito (con macchie sul tetto), gomme con belle crepe confortanti, senza aria condizionata e carta verde recuperata via mail (Kosovo style per rendere l’idea) ha dato il meglio di se, alla faccia della tecnologia moderna. Come Sergio Tavčar insegna, servono i fondamentali, il resto lo improvvisiamo viaggiando, altrimenti sai che noia!!!
Canestro e minaretto, Mt. Velez, Bosnia i Herzegovina
2 note di commento
Il viaggio si è svolto in agosto seguendo rotte a metà tra esplorazione luoghi e siti storici del basket slavo, a volte programmati a volte improvvisati. E’ sufficiente la carta d’identità ad eccezione del Kosovo, difficile da classificare perchè come stato è riconosciuto in sede ONU da una novantina di stati ma non da altrettanti (in Europa quasi tutti quelli occidentali ad eccezione della Spagna, quasi nessuno degli orientali), quindi rimane in un limbo indefinito, oltre ovviamente a tutti i problemi che si porta dietro un luogo non ancora pacificato. In Slovenia la moneta è l’€, in Croazia la Kuna (7,5 per un €), in Bosnia il Marco (circa 2 per un €), in Serbia il Dinaro (114 per un €) ma con l’euro si può andare tranquilli ovunque, tranne alcuni casi in Croazia. Poi ci sarebbe il Kosovo, dove la moneta ufficiale è l’€ ma nella parte a dominanza serba si può utilizzare il dinaro, anzi in questo modo sarete meglio accettati, magari non così nella parte albanese, nettamente più grande. Le autostrade slovene sono a pagamento con metodo vignette, di vari importi a seconda della durata, quelle croate e serbe si pagano come in Italia a pedaggio, non esistono autostrade in Bosnia e Kosovo, ma tutte le principali arterie sono in buono stato. Tutti i prezzi riportati sono a testa quando non specificato, in € o moneta locale perché più di una volta ci è stato presentato il conto direttamente in € senza bisogno di trattare la conversione. I bancomat sono ovunque quindi non occorre partire con cifre sostanziose in tasca, il wi-fi free si trova in qualsiasi luogo dove ci sia presenza umana, siamo su standard assolutamente più elevati di quelli italiani, l’inglese è lingua corrente nei posti turistici, nelle campagne o montagne dove magari servono indicazioni basta portarsi foglio e biro per trovare la soluzione ai propri problemi, un disegno di strade od incroci è molto più esplicativo di una mappa del navigatore (fare molta attenzione a quanto riportato sui passaggi Serbia-Kosovo dai navigatori…). In agosto le temperature sono simili a quelle italiane, quindi caldo con possibilità di freddo e scrosci nelle montagne, vedi zona centrale della Serbia.
Laghi di Pliva, Bosnia-Herzegovina