1° giorno
All’aeroporto di Bologna approfittiamo dei check automatici dell’Air France per ritirare le carte d’imbarco sia dei voli per Parigi e Johannesburg che di quello South Africa per Windhoek, ma occorre comunque fare una lunga fila per depositare i bagagli da imbarcare. Il volo per Parigi è puntuale (1:45) e viene servito uno snack, all’arrivo cambiamo gate rimanendo comunque sempre all’interno del terminal 2. Nell’aeroporto Charles De Gaulle c’è la possibilità di usufruire del servizio wi-fi gratuito per 20’ oppure utilizzare sempre per 20’ gratuitamente i pc a disposizione, oltre a giornali e riviste. Il volo per Johannesburg servito coi nuovi A380 a due piani (posto assegnato al piano superiore ma non si ha idea di essere su di un aereo a più piani) parte con circa un’ora di ritardo (8.919km, 10:40’), appena decollati è fornito il kit cortesia, lontano parente di quello delle compagnie arabe o del sudest asiatico e subito dopo la cena, di buona qualità. Terminata questa le luci si spengono, chi vuole può consultare il video scegliendo tra mille opzioni oppure provare a dormire.
Duna 45, Deserto del Namib
2° giorno
Svegliati per colazione, buona ed abbondante, atterriamo con l’ora di ritardo accumulata in partenza, passiamo nella zona transfert per raggiungere l’imbarco del volo South Africa destinazione Windhoek. Occorre esibire nuovamente il passaporto e sprecare spazio per un timbro di transito, ma le procedure sono veloci. Il volo per la capitale della Namibia è puntuale (1:45), l’aeroporto è piccolissimo, le procedure veloci, niente visto, veloce registrazione e timbro sul passaporto, terminate queste formalità il bagaglio è già in consegna e siamo subito presi in carico da un addetto della Camping Car Hire che come accordi ci sono venuti a prendere per portarci all’hotel prenotato in anticipo su loro indicazione, Hotel Uhland (723$ camera doppia, colazione a buffet, acqua, te e caffè a disposizione e wi-fi, piscina), a ridosso del centro storico. Espletate le minime formalità su indicazione del personale dell’hotel, gestito guarda caso da una famiglia tedesca, andiamo alla scoperta della città, la cosa è più semplice è trovare un ATM visto che Windhoek è un concentrato di banche e negozi di souvenir, questi però di domenica pomeriggio tutti chiusi. Quello che emerge è proprio che in un giorno di festa la città è fantasma, tutto chiuso compresi la maggior parte dei ristoranti, con strade deserte ed i semafori funzionanti per nessuno. Facile da girare, la parte pedonale del centro storico è spettrale, non che cambi lungo la principale Independence Avenue, c’è qualche anima viva giusto nel parco di Zoo Park, ma tutto termina qui, all’angolo con Fidel Castro street. Così trovare un ristorante aperto è un’impresa, visto che abbiamo già definito che la maggior parte delle cene in viaggio le faremo nei camping in autonomia, in città vorremmo testare la cucina locale, fortunatamente ci viene in soccorso il ristorante internazionale La Marmite (115$) dove poter gustare l’orice con esito positivo. Nel deserto capitolino rientriamo in hotel dove pure qui la vita latita, e per tirare serata mi preparo con tempistica sudamericana un lungo caffè.
Tramonto sull'Okavango, Bwabwata N.P., Caprivi Strip
3° giorno
Abbondante colazione in hotel, alle 9 in punto, anzi con 10’ di anticipo l’incaricato della Camping Car Hire è già pronto per portarci in sede a ritirare il pick-up. Le pratiche per il noleggio sono veloci, meno il prendere contatto col mezzo e con tutto quanto al seguito, oltre alla prova pratica di estrazione e rimessaggio della tenda sul tetto. Un accurato controllo di eventuali segni su carrozzeria e vetri, mentre la parte in vetroresina del furgone non è presa in considerazione, poi immessi nel traffico con guida all’inglese prima obbligatoria tappa ad un grande ipermarket per sistemare le provviste e tutte quelle cose utili durante il viaggio ma inutili da portarsi da casa, vedi carta scottex, zampironi, biscotti, sale, olio, zucchero, frutta, pane ecc…Volendo nei market c’è anche una completissima zona gastronomia, evitiamo cibi già preparati avendo tempo per provvedere, dai ricordi del Kalahari faccio però scorta di distinte tipologie di biltong, snack deliziosi e sostanziosi di carne essiccata in piccoli tranci. Acqua in taniche da 5 litri, nei market è possibile far scorta di birra e vino ma non di superalcolici, per quelli ci sono i Bottle Shop, solitamente nei paraggi dei market. Ed ora via, destinazione sud lungo la B1, l’arteria principale della nazione con destinazione Sud Africa, percorsa da molti camion che rientrano dove tutto quanto viene commercializzato da queste parti è prodotto, ovvero lo stato che fa capo a Johannesburg. Lungo la strada ci sono più aree di sosta in prossimità di grandi alberi, la strada è sempre separata dai campi delle immense fattorie da imponenti staccionate quindi nessun problema con animali, utilizziamo una di queste per pausa snack&bevuta mentre all’uscita di Mariental facciamo rifornimento potendo pagare con carta di credito. La nostra prima tappa è nei paraggi di Keetmanshoop, appena arrivati in città deviamo a sinistra sulla D26 e successivamente ancora a sinistra sulla D19 (strade sterrate come la denominazione indica, solitamente le B sono asfaltate anche se non sempre, le lettere a seguire indicano strade senza catrame) per arrivare al campeggio del Quiver Tree Forest, situato all’interno della foresta dei Kokerboom, alberi molto particolari che connotano la zona desertica. Il costo del campeggio è di 150$ a testa +10$ per l’auto (compreso accesso alla Kokerboom Forest ed al Giants Playground), le piazzole distano circa un km dalla reception dotata di wi-fi con password gentilmente fornita, sono ben tenute con ottime docce calde e situate a ridosso dei kokerboom, così girarsi la foresta poco prima del tramonto è un’esperienza interessante. Tra questi splendidi alberi si aggirano le procavie del capo, una specie di grossa nutria senza la minima paura della presenza umana, tranquilla e rilassata nel godersi il sole al tramonto. Unica nota negativa il vento che di sera si alza, complicazione per il fornello da campeggio che impiega un lungo tempo per andare in temperatura. Nonostante il vento la temperatura notturna non porta nessun problema, si può dormire tenendo chiusa giusto la zanzariera e non occorre sigillare la tenda. Iniziamo a prendere confidenza con tutto l’armamentario di dotazione, ci sono talmente tante cose che ci pare di vivere nel lusso più sfrenato nonostante all’orizzonte si prospetti solo deserto. Percorsi 495km, media al primo rifornimento 5,5km con un litro, ma percorsi tutti su asfalto a buona andatura.
Fenicotteri a Walwis Bay
4° giorno
L’alba sale magica poco dopo le 6, quindi non tiriamo molto tardi e ci prepariamo una lauta colazione, facciamo tappa alla reception per sapere se fosse possibile vedere il ghepardo che staziona in una grande parte del giardino, ma purtroppo ora che è cresciuto passa da qui verso le 17 per rifocillarsi poi se ne sta in disparte. Facciamo un salto ai Giants Playground, un campo infinito di migliaia e migliaia di grosse rocce disposte le une sulle altre in equilibrio precario ma stabile, ci sono alcuni percorsi da 30’ in cui inerpicarsi per godere al meglio la visione, lasciato questo luogo ripartiamo verso il Fish River Canyon, la meraviglia del sud della Namibia. Strada asfaltata fino a Seehiem, nei dintorni c’è un hotel con distributore, sono così impegnati che ci consigliano di procedere per 80km e rifornirci al prossimo. Da qui l’asfalto rimane un lontano ricordo anche se la strada è buona, senza curve ma soprattutto senza avvallamenti, la cosa che mette più in pericolo il muoversi in queste vie. Percorriamo la D38 in direzione sud fino al bivio a destra per la D39, avanti 15km si trova il Cañon Roadhouse dove possiamo rifornirci ma pagando solo in contanti, tutto il resto si può pagare con carte, anche se all’interno si trova un ATM. Da qui ripartiamo subito per arrivare all’ingresso del Fish River Canyon Park dove paghiamo l’ingresso valido 24 ore (80$ + 10$ per l’auto) ed il campeggio Hobas per la notte (155$ con acqua calda e piscina). Per prendere posto basta scegliere una piazzola ed impegnarla, solitamente è sufficiente lasciare tavolo e sedie, impareremo ben presto che qui non scompare mai nulla. Partiamo immediatamente per il canyon facendo subito tappa al primo punto panoramico ribattezzato Main View Point, poi avendo tutto il pomeriggio a disposizione iniziamo a lanciarci alla ricerca di ogni possibile visione dato anche il fatto che in questo periodo dell’anno non c’è possibilità di scendere per percorrerlo a piedi. Le escursioni in giornata sono state bandite perché ritenute troppo faticose, nella stagione meno calda, da aprile a settembre, è possibile intraprendere un trekking guidato di 5 giorni in autosufficienza, che vuol dire portarsi in spalla tutto il necessario, compreso litri e litri di acqua. Esiste una via di fuga dopo 3 giorni di cammino, al di là della fatica non abbiamo nemmeno il pensiero sul che fare visto che ora non si può. Raggiungiamo comunque il punto più a nord da dove parte il cammino e da dove si gode della vista più suggestiva, poi facciamo tappa in ogni punto raggiungibile con un mezzo 4x4, sovente per fare poche centinaia di metri occorre percorre chilometri con salite e discese complesse ma quasi sempre ripagate da viste mozzafiato dell’imponente canyon. Percorriamo oltre 20km a velocità ridottissima, impieghiamo oltre 2 ore tra soste fotografiche e passaggi lenti, ma ne vale ampiamente la pena, anche perché lasciato il main view point non s’incontra nessuno e la parte più selvaggia del canyon fa bella mostra di se. La geologia spiega che questa spaccatura della terra, unica in tutta l’Africa è in realtà composta da due canyon nati in differenti maniere, per il tutto occorre risalire ad oltre 2 miliardi di anni fa. Rientriamo in campeggio col sole già tramontato, è il vantaggio di far tappa nel camping all’interno del parco, il costo è maggiore ma permette di godersi in maniera completa il posto. E’ tardi per usufruire della piscina, poco male, usufruiamo delle docce e per far serata cuciniamo una saporita zuppa con zucca, patate dolci e finferli e terminiamo con un caffè caldo verificando se fosse possibile passare da sud lungo il fiume Orange compiendo il periplo del parco spostandoci ad ovest verso Lüderitz seguendo una via meno battuta. Purtroppo la parte di percorso che va da Ai-Ais all’incrocio con la D29 ci viene descritto in pessimo stato e difficile da seguire perché occorre entrare ed uscire dal letto del fiume, non passa quasi mai nessuno e potremmo non trovare tracce, non essendo una via vera e propria non c’è navigatore che tenga, occorrerebbe far tappa ad Ai-Ais ed attendere un abitante del luogo che debba prendere quella strada, troppo tempo da impiegare senza la minima garanzia di centrare l’obiettivo. Percorsi 249km.
Verso Luderitz
5° giorno
Colazione al campo e sistemato il pick-up ripartiamo lungo la strada del giorno precedente verso Seeheim, notando che molti paesi indicati sulla carta altro non sono che piccolissimi villaggi, quando va bene. Attraversiamo l’altipiano (siamo oltre i 1.000m) e raggiunta Aus entriamo in città per far rifornimento, anche qui possibilità di pagare solo in contanti. Da Aus a Lüderitz la C19, asfaltata di recente, altro non è che un nastro di catrame nel mezzo del deserto, se la prima parte piccoli cespugli verdi fanno da contrasto alla terra rossa, in seguito un deserto chiaro ed assolato fa perdere il senso della distanza. Strada e ferrovia corrono parallele nel nulla, solo 15km prima di Lüderitz ci s’immette nel mezzo delle dune che spinte dal vento nascondono la strada. Occorre fare attenzione perché dopo tanti km sempre dritti s’incontrano le prime curve coperte di sabbia. La città di origine tedesca è piccola e posta a ridosso della celebre area dei diamanti, con accessi ristretti, area che ha fatto la fortuna della Namibia. Prendiamo posto allo Shark Island Camp Site (110$ con acqua calda) in posizione favolosa, al termine di una piccola penisola (tempo fa un’isola) che si trova tra la città e la penisola vera e propria al di sotto del faro cittadino, collocazione fantastica non fosse per il vento che rende la permanenza non facile. Muoversi qui non è semplice, gli accessi alle zone limitrofi sono pochi per via delle miniere di diamanti, oggi optiamo per la zona a nord con tappa finale Agate beach, ci si arriva con un giro attorno a Nautilus Hill passando per una laguna piena di fenicotteri, laguna protetta da svariati giri di filo spinato con ben specificato di non oltrepassare. Arrivati ad Agate beach possiamo ammirare l’oceano, percorre la lunga spiaggia ma fare il bagno è pressoché impossibile, la corrente del Benguela lo rende adatto ai pinguini e non agli uomini, una specie di mare d’inverno in estate, un mare con le dune a ridosso e presenza umana ridotta al lumicino, giusto qualche amante del surf. Oltre ai fenicotteri incontriamo i primi springboks e struzzi, animali che in seguito si vedranno a migliaia. Rientrati in città andiamo alla scoperta della città tedesca, partendo dalla Felsenkirche che svetta sulla collina più alta della città per arrivare alla Goerke Haus che non visitiamo perché aperta solo in orari limitati, passando per l’immancabile Berg strasse dove sarà difficile non pensare di essere in Baviera invece che in Africa. Prima di rientrare abbiamo tempo per un giro nella città bassa tra la vecchia stazione ed il vecchio ufficio postale con sosta al Lüderitz Safaris & tour dove si comprano i biglietti per accedere alla città fantasma di Kolmanskop (75$), negozietto gestito da 2 anziane signore tedesche che paiono uscite da una novella di Guglielmo II di Prussia. Tra loro parlano esclusivamente tedesco, nemmeno afrikaner, ma agli avventori si rivolgono in un perfetto e lento inglese che mette tutti dell’umore giusto. Rientriamo al campeggio con sosta al faro, ora adibito a hotel da dove si gode la vista migliore della città con solito tramonto intenso africano, il vento però è padrone assoluto della zona e prepararci una zuppa è impresa improba, finiamo per sprecare una quantità incredibile di gas ottenendo un passato di funghi troppo acquoso, ma coi mezzi a disposizione difficile fare meglio. Qui durante la notte la temperatura scende, complice anche il vento è il luogo più freddo dell’intero viaggio, occorre serrare bene la tenda, ma fatto questo, a parte la condensa mattutina si dorme beatamente. Percorsi 411km
Ippopotamo nel Mamili N.P., Caprivi Strip
6° giorno
Sveglia da porto delle nebbie, par di essere in Bretagna più che in Namibia, il caffè serve a scaldarci perché buttando il naso fuori dalla tenda la temperatura non è certo estiva. Destinazione Kolmanskop, la prima città dei diamanti, ora visitabile perché non più operativa e nascosta dalle dune del deserto che si sono impadronite dell’area. Alle 9:30 ritrovo nello stabile più grande, la sala per le attività ricreative ed inizio della visita guidata, predisposta su 3 gruppi, inglese, tedesco ed afrikaner. La visita, con tanto di prova musicale si aggira solo per le strutture più prossime, poi all’interno dell’area ben delimitata si può vagare a piacere senza limiti di tempo. Le costruzioni fatiscenti coperte dalla sabbia emanano un grande fascino, la vista spazia fino all’area iperprotetta (CDM Boundary) ed è un piacere entrare ed uscire da queste costruzioni un tempo all’avanguardia, dove si trova perfino un campo da bowling. Vista tra le nebbie incute ulteriore incanto, fortunatamente quest’atmosfera regge fino al termine della nostra visita, uscendo da Kolmanskop (che si trova di fronte all’aeroporto cittadino, 8km ad est) il sole ha il sopravvento, situazione ideale per iniziare a scoprire la penisola di Lüderitz prendendo la strada che corre verso sud a fianco delle lagune e della Radford Bay, dove i fenicotteri dedicano la totalità del loro tempo nel procurarsi cibo. Si attraversa il pan posto a sud della Second Lagoon perché non si può entrare nello Sperrgebiet, l’area protetta dei diamanti, e lì risaliamo la penisola per arrivare ad ogni singolo punto degno di nota (per questa escursione meglio affidarsi alle indicazioni delle vecchie LP invece della nuova). L’asfalto termina ma la maggior parte dei sentieri è in buono stato, prima sosta allo Sturmvogelbucht, posto di balenieri norvegesi, si trova ancora una stazione di sosta ed una vertebra di balena rende ben connotato l’ambiente, da lì dista poco il luogo più celebre della penisola, Diaz Point con la Diaz Cross. Nei paraggi del Diaz Point ci sarebbe pure un campeggio, se solo il vento lasciasse vivere, dalla piattaforma dove si trova la croce del navigatore portoghese Diaz si gode la miglior vista di tutta la penisola. Il deserto termina a ridosso del mare, giallo e blu a stretto contatto, da qui si possono rimirare le otarie del capo giocare nelle onde, i pinguini che fanno base all’isola Halifax ed anche alcune balene che girano al largo del capo. Qui c’è l’unico ristorante della penisola con un’enorme roccia che indica che tempo che fa, con ogni versione che porta alla pioggia o al vento, sono loro i primi a scherzarci sopra. Scendiamo verso sud costeggiando l’oceano per entrare in tutti i vari posti indicati, per queste escursioni però meglio utilizzare il 4x4, Knochen point, Essy bay dove facciamo tappa per uno spuntino in autonomia, Wimuur, Rocky bay, Eberlanz Höhle raggiungibile solo a piedi superando le colline che si affacciano sull’oceano, Fjord ed il successivo Kleiner Fjord (dimenticate i fiordi norvegesi…) per arrivare alla grande baia con spiaggia di Grosse Bucht, frequentata solo da qualche pescatore. Da questo punto lungo un percorso accidentato risaliamo al Klein Bogenfels dove il promesso grande arco non mantiene in pieno le promesse. Qui l’esplorazione della penisola ha termine, oltre né a sud né a est è possibile spingersi causa zona di restrizione per diamanti, si passa da sanzioni immediate all’arresto, ma le guardie sono autorizzate nel caso a sparare, fate voi. Rientriamo in città buttano una nuova occhiata agli immancabili fenicotteri, in città sosta al bottle shop Grillerberger gestito da un tedesco simpatico che ci racconta un po’ di storie sulla città ed alla domanda su che liquore consiglierebbe della Namibia, abbraccia le birre e dice con orgoglio che queste sono la vera Namibia! Dobbiamo nuovamente far sosta ad un ATM perché l’abitudine di non poter pagare il carburante con le carte di credito ci mette velocemente a corto di contante, se non si trova la Standard bank un prelievo di 2.000$ ha vita corta considerando che un pieno di benzina si aggira sugli 800$. Arriviamo in campeggio giusto in tempo per l’ennesimo tramonto da cartolina, il vento nuovamente si alza impetuoso ma per preparare la cena usiamo un anfratto in buona parte protetto che hanno predisposto turisti sudafricani, i quali pongono sempre al primo posto la questione cibo. Così fatichiamo molto meno per portare alla temperatura giusta di cottura gli spaghetti, un’alternativa alle numerose zuppe, completando la cena, come sempre sia prima che dopo di oggi con l’immancabile scatola di tonno, servito nelle varianti con olio, oppure con verdure o fagioli. I sughi al pomodoro e verdure varie presi sul posto si riveleranno tutti scarsi, dolci e senza la minima differenza tra un verdura e l’altra, giusto un di più alla pasta. Un buon caffè caldo per prepararci alla notte in tenda, tenda che trovo già come una comoda stanza, il non doverla montare e fissarla con picchetti rende l’utilizzo molto più veloce, accomodante e pratico. Percorsi 88km.
Leopardo nell'Etosha N.P.
7° giorno
La sveglia ci regala una mattina meno uggiosa della precedente, fresca ma soleggiata, terminata la colazione tempo per la spesa allo Spar locale in pieno centro e per rifornire di carburante il pick-up, pagamento solo in contanti, e quindi si parte rifacendo la C19 fino ad Aus, oltrepassata la quale prendiamo in direzione nord lungo la C13 con indicazione Helmeringhausen, strada non asfaltata, alcuni orici ci osservano lungo il percorso. Dopo 58km svoltiamo a sx per una strada minore, la D0707, comunque ben tenuta ma con viste mozzafiato (deviazione che mi è stata segnalata appositamente), il paesaggio passa dalle montagne alle prime dune rosse, sovente la strada è una linea retta nel nulla, qualche animale all’orizzonte ma non costituisce mai un problema perché anche qui nel mezzo del nulla il percorso è sempre protetto dal filo spinato. Si iniziano a vedere gli enormi nidi collettivi che fanno corpo unico attorno agli alberi, se ci si avvicina è una fantasia di volatiti di ogni tipo e colore. Dopo oltre 120km, che stacchiamo con una pausa sotto ad un enorme albero visto che qui sul tropico trovare ombra è un’impresa disperata (oltre alla tante veloci soste per foto), giungiamo al bivio con la C27 che prendiamo in direzione nord, dove questa si congiunge alla C3 si trova un distributore di benzina, come ormai abitudine solo contante, ed il camp Betta’s, e per oggi facciamo tappa qui dove siamo gli unici avventori della giornata. Al solito lasciamo tavolo e sedie a presidiare un’area per proseguire a visitare un’anomalia nei paraggi, il Duwisib Castle (60$), un castello che pare trapiantato dalla Baviera in pieno deserto. Colpisce di più la vista da lontano che la visita all’interno anche perché proprio ora lo stanno trasformando in un lodge con ristorante esclusivo, resort posto nelle immediate vicinanze mentre il ristorante prende la corte interna. Fa comunque strano girare per stanze che più vecchia Prussia non si può, anche se la visita dura solo 7 stanze. Ma pare un luogo in rampa di lancio turistica, c’è un merchandising incredibile per questo posto, anche se mi sorge qualche dubbio sulla vendita di tutto il materiale presente date le poche persone che da qui transitano. Rientriamo al camp e terminato di sistemare tenda, attrezzatura per la cena ed aver approfittato di splendidi bagni che paiono non aver visto gente da settimane è tempo anche qui per uno splendido tramonto. Il vento della sera si alza ma non causa grossi problemi nella gestione del fornello a gas. Percorsi 372km.
Elefante sul Mahango River, Caprivi Strip
8° giorno
Terminata colazione partiamo immediatamente verso nord destinazione Sesriem, la porta di accesso per Sossusvlei all’interno del Namib-Nasikluft park, l’icona namibiana per eccellenza. Ma prima di arrivare occorre segnalare come lungo la C27 si godano scenari incantevoli attraversando riserve come la Namibrand. Arriviamo al Sesriem Camp Site prima di mezzogiorno, il camp lo avevamo prenotato prima di partire (132$), scelta strategica per poterci muovere all’interno del parco con ampi margini rispetto all’alba e tramonto. Alla reception si acquista pure il permesso di visita (80$ +10$ per auto), ci sistemiamo sotto un possente albero, le piazzole dotate di allacci per l’energia elettrica, acqua e lampada per illuminare sono molto distanti le une dalle altre, ma tutte hanno servizi igienici nei paraggi, anche se come in tutte le aree della NWR non c’è wi-fi, o meglio c’è ma è protetto e non vengono fornite password ai clienti. Siccome le viste migliori del parco sono in corrispondenza del tramonto e dell’alba, inganniamo il tempo visitando il vicino Sesriem canyon, una profonda gola lunga oltre un km alla quale si può accedere al fondo da un passaggio non indicato posto circa a metà del canyon. Una volta scesi (percorso agevole su gradini naturali) girando a sx e percorrendo il sabbioso letto del fiume si può arrivare ad una sorgente, occorre oltrepassare alcune grandi rocce ma nulla di pericoloso, i giochi di luce portano una visione di un verde incredibile. Occorre camminare raso alle pareti per sfruttare quel minimo di ombra possibile fornita, la temperatura passato da poco il mezzogiorno è elevata, ed è un vero e proprio toccasana quando rientriamo ritemprarci con acqua fredda nel fido frigo in dotazione. Appena entrati nel parco vero e proprio sulla dx c’è una deviazione per la Elim dune, la prima duna rossa completamente composta da sabbia e niente altro. E’ possibile salire ma la temperatura della sabbia è realmente ustionante, occorre avere scarpe chiuse, con sandali o ciabatte non si riescono a far più di 2 passi. Lo scenario del Namib, anche se siamo appena all’inizio pare già splendido, appena saliti si rimira un grande albero al di sotto del quale placidi springboks si riposano dal caldo. E’ ancora presto per proseguire verso il cuore del deserto così rientriamo al camp con una veloce sosta per collegarci al mondo con un servizio internet ondivago (50$ x 30’) al Sossus Oasis. La meta della giornata è la fantomatica Duna 45, così chiamata perché situata appunto in concomitanza col km 45 della strada del parco. Entriamo nel parco ben prima del tramonto, il limite dei 60km/h non è rispettato quasi da nessuno, veniamo sorpassati più volte procedendo a quella velocità, ma il bello è rimirare le dune rosse che pian piano diventano padrone del territorio da tutte le parti. Ogni duna che si profila all’orizzonte pare ancor più bella, ma non si può lasciare la strada che taglia il deserto, asfaltata ed in ottime condizioni. Solo quando giungiamo alla Duna 45 situata sulla sx c’è una deviazione con parcheggio per uscire dal mezzo e poter salire sulla cresta della duna. Fortunatamente quasi nessuno compie l’escursione tanto che dopo aver rimirato la duna da più punti ci chiediamo se effettivamente sia possibile salirci. Il dubbio viene chiarito da 2 ragazze tedesche che senza indugi partono, così dopo aver testato che la temperatura della sabbia sia addirittura fresca, lasciamo le calzature ed anche noi ci incamminiamo. La duna è alta 150m, la prima parte è facile da scalare, poi pian piano si fa sempre più difficoltosa perché la sabbia più fine fa sprofondare ed il caldo emerge, così anche fermarci per le doverose foto è un sollievo ed uno scotto. Ma la Duna 45, la più celebre del Namib e di conseguenza la più celebre del mondo, merita ogni attenzione, perfetta, sinuosa, alta e dai colori in perenne mutazione, quando il sole è ancora alto è di un ocra spinto, al tramonto pare fuoco, gli alberi che vi si specchiano sono un’immagine fascinosissima. Scendere è un obbligo altrimenti da qui non ci staccheremo se non col buio totale, soggiornando nel camp del parco abbiamo più tempo a disposizione, ma alle prime avvisaglie di sole calante iniziamo il rientro che dura 45’, anche se altre persone trattenutesi più a lungo non si preoccuperanno del limite imposto. Varchiamo il cancello interno alle 20:30, pochi minuti prima della chiusura, chi non soggiorna qui deve lasciare il parco tassativamente al tramonto, indicativamente 19:35’, non proprio il massimo. Dopo esserci goduti uno spettacolo del genere qualsiasi cosa proponga la cena va bene, ci prepariamo a dormire in anticipo rispetto al solito perché la prossima sveglia sarà anticipata. Percorsi 251km.
Sossusvlei, deserto del Namib
9° giorno
Ore 4:30, la sveglia impone di alzarsi, richiudiamo la tenda ed andiamo ad attendere l’apertura dei cancelli per arrivare all’alba a Sossusvlei, il centro del deserto del Namib, luogo iconografico alla massima potenza. Percorriamo al buio buona parte dei 60km che separano il camp col parcheggio dei mezzi 2x4, strada tutta asfaltata, da qui ci sono 4 km fino al parcheggio dei mezzi 4x4 lungo un percorso di sabbia finissima dove sprofondare è cosa comune. Non bastano le ridotte della trazione integrale, occorre obbligatoriamente sgonfiare le gomme, fatta questa operazione non dico che sia un gioco da ragazzi ma si arriva senza eccessivi problemi cercando di evitare i solchi più profondi lasciati da chi ci ha preceduto. Dal parcheggio di Sossusvlei, immerso nel fondo del letto dello Tsauchab tra dune rosse che si stanno accendendo ai primi raggi del sole, si attraversano le dune verso sud per circa 3km con meta Dead Vlei, l’immagine per antonomasia della Namibia. Sull’ultima piccola duna attendiamo che il sole faccia la sua comparsa su questo specchio bianco attorniato da altissime dune e costellato di alberi bruciati da vento e sabbia, scheletri viventi degli agenti atmosferici. C’è chi osserva il tutto dalle dune più alte, altro luogo suggestivo di osservazione, però da lì si entra nel Dead Vlei quanto più avventori già vi si aggirano ed i colori visti dall’interno perdono di intensità. Siamo i primi a mettere piede in questa meraviglia della natura, c’è un poco di soggezione come se entrare in questo tempio magico non sia possibile perché se ne rovina il contesto, ma niente di tutto questo, si può andare ovunque magari con circospezione perché tutti possano cogliere le migliori immagini possibile nel momento di luce perfetta. La bellezza del luogo, col bianco del fango e del sale, il rosso delle dune ed il blu del cielo è indescrivibile, definirlo un centro di energia è banale, chi non si ricaricherebbe in un luogo del genere che per magia può rivaleggiare con il Salar de Uyuni o con l’Assekrem? Quando il sole è già alto decidiamo di rientrare al nostro pick-up per tornare al parcheggio dei 2x4 ed intraprendere un’ulteriore escursione di vaghi 2km verso l’Hidden Vlei. Non ci sono più i decantati e poco amati paletti bianchi che ne indicano la via, si parte verso il mare di dune vagando in direzione sud, saliamo e scendiamo più dune a non troviamo traccia del vlei, facciamo sosta e ci vengono incontro alcuni tedeschi che ci chiedono lumi, un’anima buona dotata di tanto spirito d’avventura parte in solitario alla ricerca del vlei, prima scompare poi dopo circa 20’ riappare facendoci da lontano segnali di obiettivo centrato. Così prendiamo la via del nulla ed effettivamente entriamo in questo Hidden Vlei, di certo non meraviglioso come il precedente ma visitato in totale solitudine, dal centro di questi si vedono dune rosso fuoco a 360°, non sapessimo che da qualche parte c’è il nostro pick-up ci sarebbe da preoccuparci, anche perché ci avevano detto che era cosa facile arrivarci e siamo partiti senza scorte d’acqua. Nel rientrare attraversiamo anche il Cessna Vlei, ormai siamo di casa tra le dune, poi rigonfiate le gomme col compressore in dotazione prendiamo la strada in direzione est per uscire da questo luogo di magia totale. Rifornimento all’uscita del parco dove si può pagare con carte, prendiamo la D826 ed alla prima piazzola facciamo sosta per una colazione ad orario di pranzo. Continuiamo fino al bivio a T dove svoltiamo in direzione nord lungo la C19 verso Solitaire, situato al bivio con la C14 che imbocchiamo sempre verso nord. Si sale sugli altipiani, si incontrano vari animali tra cui le zebre di montagna, più rare delle zebre normali dalle quali si differenziano perché il sottopancia non ha strisce e mancano le striature marroni nella parte posteriore. Valichiamo 2 passi, il Gaob ed il Kuiser, il primo è un passaggio di un fiume che forma un canyon, il secondo un passo vero e proprio, poi continuiamo per un deserto ghiaioso per oltre 160km nel nulla più assoluto di una strada sempre dritta con avallamenti che poco si notano ma che scompongono il Nissan. L’area nord del Namib Desert Park è suddivisa in più settori, quello attraversato corrisponde al Namib-Nunkluft Park, dalle condizioni di vita estreme, fino a pochi km dal bivio lungo la ferrovia per Swakopmund nulla cambia, qui sorgono le prime dune, sulla dx quelle celeberrime per il sandbord tendenti all’ocra, dall’altra parte quelle piccole che vanno verso l’infinito di un giallo paglia. Arriviamo fino al mare a Walvis bay, un’ordinata e ricca cittadina con una serie di ville che si affacciano sull’oceano di grande pregio, non troviamo un campeggio né un ufficio informazioni aperto essendo domenica, così continuiamo il nostro viaggio verso Swakopmund, ad est della città sorge il Sophiadale base camp (90$), lungo la B2 circa 10km fuori città sulla dx, indicato lungo la strada. Il camp è particolarmente battuto, troviamo una piazzola di ripiego, senza allaccio per l’energia elettrica e senza acqua ma essendo vicino alla reception il wi-fi funziona senza doversi spostare, servizi sul fondo non proprio vicinissimi. Dopo un lungo trasferimento e mirabolanti vedute mattutine facciamo tappa immediata senza nemmeno passare per la piscina, cena e poi a dormire. Percorsi 505km.
Leonesse all'abbeverata serale, Etosha N.P.
10° giorno
Sveglia e colazione, poi ripiegata la tenda (l’unico inconveniente di averla assieme al pick-up è dato dal doverla ripiegare ogni volta che ci si muove, vedi oggi che facciamo nuovamente tappa nel medesimo campeggio) prendiamo da Swako la C34 per costeggiare la famigerata Skeleton Coast. Come leggenda vuole questa costa è sempre avvolta dalle brume che l’Oceano porta con se e così dopo qualche decina di km il bel sole viene coperto dalla nuvole e l’aspetto della costa torna quello più volte ascoltato, il Dorob NP da poco istituito fa parte di questo contesto. La nostra meta, passata Henties Bay uno dei pochi villaggi sul mare, è la Cape Cross Seal Reserve, una colonia di otarie del capo che sorge a circa 80km da Swako. L’ingresso costa 80$+10$ per auto, già a distanza il terribile odore emanato dalle otarie è percepibile, viene consigliato di attrezzarsi con bandane o stoffa sul naso, meglio arrivare preparati al giro tra questi animali. A circa 2km dalla reception si trova la gigantesca colonia, oltre 300.000 animali che in questo periodo dell’anno sono alle prese coi piccoli nati da meno di un mese, un’infinità di piccole otarie urlanti in ogni dove, alcuni dei piccoli entrato perfino sulle passerelle elevate e separate che permettono di girare tra gli animali. Le madri fanno avanti ed indietro dall’oceano per procurarsi cibo per loro e per i piccoli che vengono rintracciati grazie all’olfatto ed alle grida, ma va detto che un numero elevatissimo non supera il primo mese di vita, come ben si nota aggirandosi nei paraggi. Il tremendo odore che emettono resterà impresso a lungo ed anche nei giorni seguenti ci parrà di respirarlo di continuo. Da qui riprendiamo la strada in senso opposto con sosta a metà per un relitto vicinissimo alla costa, parliamo appunto della Skeleton coast. Avvicinandoci a Swako il clima cambia ed il sole ha di nuovo la meglio, anche se vicino al mare la temperatura non è nemmeno lontana parente di quella percepita a Sesriem. Facciamo tappa alla Duna 7 vicino a Walvis Bay per la vista di questo parco giochi naturale e per un piccolo break, qui si può fare sandboard (con risalita della duna a piedi però…) oppure noleggiare quad per visitare la parte di deserto che corre parallela alla linea ferroviaria Walvis-Swako. Ma la nostra meta pomeridiana sono le saline e lagune a sud di Walvis, dove i fenicotteri si danno appuntamento a migliaia. Basta imboccare la D1986, lasciare il centro abitato della cittadina e sono già visibili a distanza ravvicinata, voli di gruppo compresi. La parte più affascinante non è qui, bensì dalla parte opposta della baia, col blu intenso del mare solcato da migliaia di fenicotteri bianchi e rosa e dune gialle sullo sfondo. Se i colori non vi bastano allora tanto vale entrare tra le saline, dove le pozze verdi si alternano a quelle azzurre, rosa e bianche, con miraggi continui, uno spettacolo incredibile viaggiando su sentieri tutti attorniati dall’acqua e dal sale. Non si finirebbe di scattare foto tra fenicotteri e colori vari, i più audaci ed intraprendenti possono anche lanciarsi nell’escursione verso Sandwich Harbour, ma farlo in autonomia è un rischio eccessivo che non ci sentiamo di prendere per l’indomani, la strada è in pessime condizioni e varia a seconda del posizionamento delle dune, ma se questo di Walvis bay è l’antipasto del luogo immagino che si tratti di un viaggio altamente emozionante, dai più effettuato però con un’agenzia di zona che può combinare anche un volo sul Namib. Ma per chi passa da queste parti consiglio assolutamente di dedicate del tempo all’escursione delle lagune e delle saline, ne tornerà ben contento, e come per la penisola di Lüderitz il tutto è ben descritto nelle vecchie edizioni delle LP ma non sulla nuova. Rientriamo lungo la strada costiera B2 a Swako dove visitiamo velocemente il centro cittadino con angoli tedeschi e scegliamo un ristorante dove pranzare per l’unica volta col mezzo al seguito serviti e riveriti. Optiamo per il Kucki’s pub, trovando posto a fatica, ci sarebbero anche i tavoli all’aperto ma il vento ne sconsiglia l’utilizzo. Testiamo alcuni piatti locali tra cui lo springbok con ottimi risultati (187$), poi recuperato il pick-up che un personaggio locale si era offerto di badarci (mancia a piacimento, anche pochi $ faranno la felicità dei locali) rientriamo al campeggio per un caffè corroborante in vista della nottata che come altre volte vicino all’oceano porta temperature “tiepide”. Percorsi 394km.
Epupa Falls, confine Namibia-Angola
11° giorno
Solita colazione da campo, poi andiamo a Swako per fare spesa, una ragazza che lavora in un market ci guida velocemente al Shoprite più prossimo, nei paraggi facciamo anche controllare una gomma che agli occhi dei più sembra non in asse, si rivelerà a posto e per il controllo non ci chiedono nulla visto che il problema non sussiste, gentilissimi. Da qui destinazione Welwitschia drive che si raggiunge prendendo la C28 e voltando a sx per la D1991. La prima parte del percorso tra i licheni grigi che si difendono nel mezzo del deserto è caratterizzato dal Moon Landscape, una valle solcata dal fiume Swakop che regala visioni lunari, ci sono più punti dove ammirare il panorama e intraprendere percorsi a piedi per approdare a punti panoramici improvvisati, da qui si continua verso est dove si scorgono le prime piante di welwitschia, anche se quelle più grandi e celebri sono più lontane. Al bivio a T si prende a sx verso nord, poi dopo circa 10km una deviazione a dx porta alla più antica, oltre 1.500 anni, protetta da una recinzione ma visibile da un ponte che sormonta la protezione. Questa stranissima pianta formata da 2 uniche foglie che si allungano sul terreno come rettili vive praticamente senza acqua, un miracolo del deserto, in questa zona sono numerose e praticamente monopolizzano il luogo, altre forme di vita vegetali non vi si scorgono. La temperatura già di mattina è elevatissima, ma non c’è molto da camminare. Ritorniamo sulle nostre tracce e prendiamo il bivio verso nord che ci porta sulla B2, attraversando il canyon formato dalla Swakop, dalla B2 andiamo a est fino al bivio della D1918, ma già prima di giungerci si vede in lontananza lo Spitzkoppe, il Cervino dell’Africa. Ma tra vederlo e raggiungerlo ne passa, almeno 60km, dalla D1918 (da qui asfalto da dimenticare) si prende quasi subito a dx la D1930 per raggirare la montagna, accessibile da nord lungo la D3716. Lo Spitzkoppe, ancora più rosso delle dune del Namib è affiancato dai Pondok, dolci rocce arrotondate dagli agenti atmosferici, l’entrata al parco costa 40$ + 25$ per auto. Dedichiamo un tempo non eccessivo a queste montagne che segnano l’ingresso nel Damaraland, un altipiano contraddistinto dalla montagna più alta della Namibia e da valli con vegetazione bassa e gialla che attraversiamo lungo strade deserte fino a Uis dove si trova un distributore di benzina (da queste parti diventano particolarmente rari, possibile pagare solo in contanti) e poco altro. Facendo qualche rapido calcolo decidiamo di spingerci il più a nord possibile in giornata, così la meta diviene l’Aba Huab Camp (120$ +10$ per auto) che si raggiunge prendendo la C35, deviando a sx sulla spettacolare D2612, vista delle montagne sullo sfondo molto belle e tanti alberi con vari nidi ma non collettivi. Al termine di questa occorre svoltare a sx lungo la D3254 per pochi km e si raggiunge il camp situato nel letto del fiume Huab. Il camp è grandissimo, con una parte in costruzione per il resort, molto dispersivo con costruzioni a protezione del vento e servizi igienici non proprio al massimo, forse gli unici non di livello incontrati, ma comunque ancora vivibili. Per l’acqua calda delle docce occorre richiedere l’intervento del personale, 30’ di attesa, il vento è molto forte ma non crea problema perché le costruzioni adattate per i picnic sono costruite in modo da proteggere dal vento così prepararci la cena non è un problema. Percorsi 476km, in larga parte su strada non asfaltata ma in ottime condizioni.
Donna Herero con vestito tipico, zona di Purros
12° giorno
Il camp di prima mattina è invaso da svariati uccelli che cantano numerose melodie quindi la sveglia arriva poco dopo l’alba, terminata la colazione difendendoci da buceri per nulla intimoriti iniziamo le escursioni nei paraggi. La prima e più celebre della zona è quella a Twyfelfontein (sorgente incerta), nota per le sue incisioni rupestri. Si pagano 60$ per l’ingresso, la guida obbligatoria necessita di mancia libera (offriamo 100$ in totale) ed è ovviamente il valore aggiunto del luogo altrimenti la sola vista delle incisioni poco avrebbe da dire, anche se una volta terminata la visita si può rimanere quanto si vuole e spingersi a piacere per la valle. Le incisioni partono da circa 6.000 anni fa e rappresentano principalmente gli animali che abitavano o ancora abitano la zona. Ora di animali qui se ne scorgono pochi, a parte i numerosissimi suricato. Poco dopo verso sud ci s’imbatte negli Organ Pipes, una piccola gola dove sorgono rocce che paiono le canne di un organo gigantesco, luogo situato a ridosso della strada. Quasi di fronte sorge la Burnt Mountain al centro di un crinale vulcanico, serie di montagne completamente arse da lava e fuoco. Il Wondergat si trova invece lungo la D3254 in direzione della D2612 ma non è segnalato, si prende un passaggio nel nulla a sx, a noi ci viene indicato da alcuni abitanti locali, poi si seguono le impronte di alcuni mezzi, ci dicono di tenere la sx su più passaggi, non giungiamo a nulla e per evitare di perderci tentiamo di tornare sulla via, quando sbuca un mezzo locale che ci indica la dolina non contrassegnata da nessuna indicazione. Questo squarcio della crosta terrestre pare non aver fondo, proviamo a lanciare qualche sasso per udirne un contatto sul fondo ma non avviene mai, escursione che comunque si può tranquillamente evitare. La prossima meta è la foresta pietrificata situata lungo la C39 in direzione di Khorixas, ma prima di arrivare al parco vero e proprio molti abitanti locali mettono le loro indicazioni di foreste pietrificate, diffidiamo di tutte queste che costano come l’originale e facciamo tappa appunto alla Pietrified Forest (40N + 20$ per l’auto che può stare nel parcheggio coperto, + mancia alla guida, per 60$ ci ringrazia a lungo), ben indicata dalla strada. I grandi alberi pietrificati ben visibili lungo l’anello da percorrere a piedi misurano fino a 34m, provengono da molto lontano, Congo, e si trovano in questa forma pietrificata in seguito ad un processo iniziato all’incirca 260 milioni di anni fa, quindi niente fretta nel visitarli, l’aspetto non cambia. Aggirandoci tra queste formazioni spuntano qua e là alcune piante di welwitschia ed in alcuni casi si distinguono bene le piante femmine da quelle maschili. Le escursioni di giornata di fatto terminano qui, ora ci aspetta il trasferimento per Sesfontein, iniziamo percorrendo a ritroso la C39 per immetterci nella C43 verso nord. Al bivio con la D3706 si oltrepassa la red line è c’è il controllo veterinario che per gli stranieri consta in poco più che inserire i propri dati sul foglio di passaggio. Oltrepassato questo cancello si incontra il villaggio di Palmwag dove c’è un distributore di benzina (solo contante) e si iniziano a scorgere le prime donne himba, seguiamo la C43 fino ad Anabeb iniziando a notare il netto cambio di condizioni di vita e di impostazione di villaggi. La case in mattoni lasciano spazio a baracche costruite con quanto si riesce a trovare, la sabbia la fa da padrona ed i vari villaggi si dividono sovente a seconda delle etnie o sotto etnie. Continuiamo lungo la D3707 sempre in buono stato, a Sesfontein (sei sorgenti) giungiamo prima del tramonto, la città avamposto Damaraland a ridosso dell’inesplorato Kaokoland è ben lontano da quanto ormai identificavamo come cittadina namibiana, ora sì che siamo in Africa e tutto diventa più complesso. Qui ci sarebbe da visitare un forte, ma anche se viene indicato come hotel pare lasciato andare, in paese si trova un negozio abbastanza fornito ed un benzinaio aperto solo in alcuni orari, campeggi indicati tanti, ma operativi ben pochi. Uscendo dalla cittadina sulla dx è indicato il Camel Camp Site (80$), ci si arriva dopo oltre un km nel nulla, gestito da un ragazzino sveglio che vedendoci è al settimo cielo. Siamo gli unici avventori, possiamo sistemarci a piacimento, è dotato di servizi a cielo aperto costruiti tra pietre e massi, l’acqua calda arriva dopo che il ragazzino ha attivato il fuoco, doccia all’aperto fantastica, magari se non tira il vento che sposta il getto meglio, toilette dotata di sciacquone, piazzola con acqua ed illuminazione, insomma un gioiellino nel mezzo della natura. Visto il nulla che ci circonda iniziamo i preparativi per predisporre tenda e cucina prima del tramonto, la possibile presenza di animali non inquieta più di tanto, ma rimane il fatto che si campeggia nel mezzo della natura totale e i versi animaleschi non mancano. Percorsi 304km, tutti su sterrato.
Fish River Canyon
13° giorno
Terminata colazione, sistemata la tenda, cerchiamo il ragazzino che gestisce il camp per pagare, ricevere il resto diventa un’impresa, dobbiamo ritornare in paese per cambiare i soldi al market, poi accompagniamo il ragazzino al piccolo villaggio dove risiede già lungo la via per Purros sulla D3707. Preso al bivio la via sulla dx dopo poco entriamo in un percorso in pessime condizioni, la velocità cala di molto, ci sono da oltrepassare montagne e fiumi, nel letto di questi il 4x4 è fondamentale come lo è l’assale alto, lungo questi 100km più che la trazione integrale fondamentale è proprio l’alta luce da terra. Entriamo a tutti gli effetti nel Kaokoland e la sua famigerata fama ce lo conferma immediatamente, per percorre i poco più di 100km impieghiamo poco meno di 4h. Purros è un villaggio himba vero e proprio con presenza di herero (le donne si contraddistinguono dagli abiti stile Prussia anno 1.800 che in pieno deserto sortiscono un certo effetto), lontano da percorsi turistici e con mete a seguire solo su percorsi altamente corrugati, un insieme di baracche senza un centro vero e proprio, con un unico negozio che fa da centro di qualsiasi attività, rivendita di birra, tavolini per giocare e conversare e tavolo da biliardo, per accederci capiremo in seguito che occorre entrarci con una guida del luogo. Poco oltre sorge lo splendido Purros Camp Site (100$), raggiungibile attraversando il letto del fiume (4x4 obbligatorio), sul bordo di questo che funge anche da passaggio per gli elefanti. Oltre a noi incontriamo solo un altro mezzo di esploratori, ci sistemiamo sotto ad un albero gigantesco che fa da casa per upupe dalle creste punk, il favoloso bagno è sito all’interno di un gruppo di alberi, di fatto all’aperto ma dotato di ogni confort, anche qui per le docce calde occorre farne richiesta agli inservienti ed attendere circa 30’. Ma a questo penseremo in seguito, alla reception si può contattare una guida locale (250$) che porta in visita alle particolarità del posto, non è dotato di mezzo quindi occorre caricarlo sul proprio. Proseguiamo lungo la D3707 che non ha la minima segnalazione, la guida sa dove portarci, dopo circa 7km facciamo tappa ad un insediamento himba vero e proprio. Popolazione nomade che vive di pastorizia, risiedono in questo campo estivo che poi lasceranno per ritrovarlo in seguito, il campo è piccolo ed abitato da 12 persone più i bambini, le case sono formate da rami sui quali viene sistemato lo sterco di mucca che coibenta lasciando il caldo fuori dalle piccole costruzioni e viceversa in inverno. Oggi è una giornata particolare, la vigilia di natale, gli uomini non sono presenti perché in paese a fare acquisti per le feste a venire, sono presenti i bambini e le caratteristiche donne, celebri perché ancora oggi girano a seno scoperto e si coprono i capelli con ocra e fango. In testa alle donne sposate un piccolo copricapo di pelle di agnello, pelli usate anche per le succinte gonne. Gli himba non si lavano, una donna ci mostra però come affrontano la questione igiene, battono erbe con cenere ed ocra talmente forte che si sprigiona un vapore tale da far sudare ed espellere la sporcizia, oltre a profumare. Immancabile un po’ di oggettistica a prezzi ridicoli, comprando qualche oggetto ed entrando con la guida non ci sono restrizioni fotografiche, la guida è inoltre fondamentale per poter interloquire con loro perché non parlano inglese, rifiutando ogni tipo di modernità, istruzione statale compresa. Rientriamo verso Purros e lungo il letto del fiume Gomadommi andiamo alla ricerca di elefanti. La guida trova alcune tracce e nel giro di breve ne avvista 2, sono i primi elefanti allo stato brado che vedo in vita mia, le dimensioni non sono tranquillizzanti, nonostante questo ci avviciniamo lentamente ma senza paura fino ad ascoltare il rumore dei rami che si spezzano in bocca, un elefante mangia mediamente 300kg di tronchi ed erba al giorno. Li seguiamo nel loro peregrinare lungo il fiume per cibarsi, felici di questo incontro ravvicinato ed avvisati che potrebbero attraversare il nostro campeggio (nessun problema, ma ci dicono di riporre il cibo all’interno del pick-up) rientriamo al villaggio di Purros dove la guida deve far spesa per il veglione di natale, ovvero comprare birra. Ne approfittiamo per scambiarci foto con un gruppo di donne herero di tutto punto vestite per l’occasione. Noi fotografiamo loro mentre loro fotografano noi, anche se sulle prime erano ostili, poi una parola della guida e tutto si è chiarito, finendo a scattarci foto assieme, mentre gli anziani del posto avrebbero voluto porci svariate domande ma la lingua è un problema se la guida è in altre faccende affaccendata, finiamo per indicare i luoghi da dove veniamo, non hanno proprio una precisa idea di dove sia sita l’Italia, però quando diciamo vicino alla Germania capiscono. La colonizzazione tedesca ha lasciato un attaccamento particolarmente sentito, sarà che a seguire i sudafricani (intesi anche come inglesi) non abbiano destato sensazioni positive. Una nota breve su questo, i tedeschi arrivarono poco prima della metà del XIX secolo, lasciarono queste terre allo scoppiare della prima guerra mondiale, 1914, in seguito al trattato di Versailles del 1919 la gestione fu affidata al Sud Africa fino all’indipendenza del 1992. Quando la guida ha terminato compere, chiacchiere e saluti rientriamo al camp giusto in tempo per una doccia caldissima tra gli alberi, poi lentamente ci prepariamo al cenone di natale, spaghetti al sugo e l’immancabile tonno, con parmiggiano-reggiano ed il salame che al check point veterinario non ci hanno sequestrato. Dopo il forte caldo del giorno la temperatura al calare del sole si abbassa notevolmente anche se in tenda non ci sono problemi di freddo. Da rammentare che da Sesfontein a qui non c’è possibilità di far rifornimento, qualche cartello al villaggio di persone che potrebbero avere carburante spunta ma non le abbiamo verificate di persona. Per i più arditi che intendano andare verso le Epupa Falls da qui (mettere in conto almeno 2 giorni) occorre avere al seguito il carburante necessario non solo fino alle cascate ma anche per proseguire a Opuwo o Ruacana. Percorsi 137km, tutti su sterrato in pessime condizioni.
Le saline di Walvis Bay
14° giorno
Colazione da campo e poi riprendiamo la via del rientro verso Sesfontein, stessa strada del giorno precedente, pessima ma intervallata dalla vista di alcuni animali, oltre a springboks, struzzi e zebre di montagna ci imbattiamo nelle prime giraffe. In poco meno di 4h arriviamo, il benzinaio è aperto, accetta solo contanti che ormai a noi scarseggiano e riforniamo con tutto quello che ci resta in tasca, da qui prendiamo la D3706 fino al bivio per Kamanjab non segnalato. C’è solo l’indicazione per il camp Khowarib, appena svoltato la strada praticamente termina, un sentiero accidentato s’inerpica tra le montagne, al camp chiedo info e la gestrice mi tranquillizza, è la via giusta, necessario un robusto 4x4 perché la via è descritta molto polverosa. In realtà una via vera e proprio non c’è, infatti la mappa della InfoMap riporta un tracciato ma nemmeno ci mette una numerazione, dopo buche dove pare di capovolgerci, dove la sabbia e la polvere ci invadono e realmente non riusciamo a vedere nulla l’unica alternativa è procedere sul letto del fiume e seguire le tracce di chi ci ha preceduto. Percorriamo numerosi km in prima ridotta, decidiamo più volte di fermarci a far rifiatare il motore, non ci sono indicazioni di sorta, il navigatore non sa che dire, la mappa indica una direzione che la bussola conferma e mai come ora la bussola è fondamentale, soprattutto nelle tante confluenze del fiume che percorriamo. Quando incontriamo tracce che risalgono il letto del fiume proviamo a trovare una via vera e propria ma varie volte dobbiamo desistere e riprendere il fiume, iniziamo a preoccuparci seriamente e la prendiamo scherzando per non andare in paranoia nel mezzo del nulla, consci che possiamo tranquillamente sostenere una notte all’addiaccio, abbiamo tenda, generi alimentari e benzina a sufficienza. All’ennesima risalita dal fiume un tenue traccia di gomma la scorgiamo, son passate ore da quando abbiamo imboccato il fiume, la bussola conferma che la direzione potrebbe essere corretta per andare verso il Control Point di Kamdescha, il navigatore è ancora perso nel nulla ma verso est lontano circa 30km una strada la vede, questo ci rende carichi nel continuare l’esplorazione. Il paesaggio sarebbe anche molto bello ma non possiamo dedicargli troppo tempo. Il sentiero preso a sentimento della vaga indicazione della bussola arriva ad un deposito di acqua, non può essere che sia qui casualmente, lo aggiriamo e troviamo tracce più profonde, le seguiamo e dopo circa 8km c’è una rete metallica che taglia i campi, altro non può essere che la red line, seguita per poco ci conduce al Kamdesch Vet Control Point dove troviamo traccia umana negli inservienti che festeggiamo calorosamente. La nostra assurda deviazione ha trovato una via, ora la P2232 ci porterà fuori di qui, è in pessime condizioni ma sappiamo dove andare, anche se presi dall’entusiasmo entriamo nel campo di gente del luogo che gentilmente ci indicano il percorso. Quando svoltiamo sulla C35 addirittura asfaltata facciamo festa, talmente festa che ci fermiamo un attimo per smaltire la tensione incamerata, Kamanjab dista 50km che percorriamo in meno di un’ora. Quando arriviamo proviamo a cercare un ATM ma ci informano che in paese ci sono ma all’interno dei supermarket ora chiusi, pensiamo che dovremo metter mano alle scorte di dollari o euro ma troviamo lo splendido Oppi-Koppo Camp&Lodge, dove si può pagare con carta di credito (80$ con grandi bagni, piscina, piazzole con acqua, illuminazione, allacci per energia elettrica e perfino prese di corrente europee, oltre al wi-fi gratuito alla reception e nella parte del lodge). La fortuna effettivamente aiuta gli audaci, prendiamo posto in una piazzola, gli unici a campeggiare, e ci prepariamo la cena in una serata ventosa, ma visti i disagi del giorno questo è l’ultimo dei problemi. Percorsi 289km, la maggior parte lungo il letto di un fiume, il consumo di benzina quasi a livelli da F1.
15° giorno
Al termine di una notte se non fredda fresca, colazione poi via in paese a cercare un ATM che non troveremo, uno è chiuso e l’altro distribuisce contante solo ai correntisti. Ma al market dove facciamo spesa prima di entrare all’Etosha per evitare extracosti un cliente mi avverte che posso pagare con carta indicando quanto voglio, così pago la spesa e ricevo in contanti la differenza fino ai 2.000$ richiesti senza nessun problema e nemmeno la commissione sul prelievo, soluzione ideale. A fianco del market sorge pure, più che un distributore, una piccola pompa di benzina dove si paga incredibilmente con carta, alla città di Kamajab dobbiamo stare particolarmente simpatici evidentemente, o forse le fatiche e le incertezze del giorno precedente vengono ripagate. Da qui ci sarebbero strade (tutte di categoria D poco indicate e con più bivi nel nulla) che tagliano per arrivare all’ingresso del parco ma è consigliato da tutti seguire la C40 fino a Outjo e da lì risalire per la C38 entrando nell’Etosha dall’Anderson Gate. Alla porta un inserviente ci fa proseguire, in realtà la richiesta del permesso sarebbe da compilare qui, prima di arrivare all’Okaukujo Rest Camp iniziamo già a scorgere animali in quantità, zebre su tutti. Il camp è una specie di piccola cittadella dove si paga il permesso (80$ + 10$ per auto al giorno) e ci si registra per la sistemazione scelta, nel nostro caso ovviamente campeggio (132$ con uso piscina anche se mi pare difficile trovarne il tempo, piazzole con acqua, illuminazione ed attacchi elettrici, niente wi-fi) prenotato precauzionalmente e fortunatamente con largo anticipo visto che oggi è tutto esaurito. Per visitare il grande parco non è obbligatorio pernottare all’interno ma è un enorme vantaggio per muoversi visti gli orari e per non buttare larga parte del tempo in trasferimenti. Al solito lasciati nella piazzola tavolo e sedie (ma qui non è nemmeno necessario perché tutto registrato) partiamo nell’escursione verso ovest, una parte del parco è aperta a tutti, quella più lontana solo a chi pernotta nei lussuosi resort sorti da poco. L’orario non è dei migliori, alba e tramonto garantiscono la maggior parte di visioni degli animali, ma l’Etosha si rivelerà strepitoso in qualsiasi momento, anche se gli animali per qualche momento non sono presenti in forza le viste compensano. Dato che il parco è visitabile in totale autonomia, nonostante sia abitato da felini pericolosi che si avvistano senza problemi, meglio farlo seguendo le indicazioni della guida Guidebook to the Waterholes and Animal che fornisce basilari informazioni, specifica tutte le pozze dove gli animali vanno ad abbeverarsi, quali è più facile vedere nei 3 periodi che contraddistinguono le stagioni del luogo, le vie migliori da seguire, la descrizione degli animali e le loro impronte, i luoghi sicuri dove poter far sosta senza dover condividere l’area con una leonessa, insomma tutto quanto per trasformare un turista della domenica in Indiana Jones. Il parco è stracolmo di ungulati, tra qui ed il Caprivi penso che chiunque divenga un fine ricercatore di specie rare e bravissimo nel distinguere gli uni dagli altri, così alle prime pozze Natco (ora secca), Adamax (idem), Okondeka (nel pan, con l’infinito bianco a far da sfondo), e Wolfsnes (secca) dobbiamo schivare zebre, gnu, springboks ed orici, animali che dopo qualche tempo non prenderemo nemmeno più in considerazione tanti se ne avvistavano e tanto è possibile avvicinare. Le zebre poi sono in un numero esorbitante, le loro migrazioni incredibili, notiamo che molte hanno i piccoli al seguito, evidentemente è una situazione comune a più animali ora qui in Namibia. Terminato questo lato andiamo verso est con prima sosta a Nebrownii (con acqua) dove sguazzano più sciacalli sempre timorosi e guardinghi, da qui andiamo a Gemsbokvlakte, una grande pozza dove si danno appuntamento vari tipi di ungulati. Mentre prendiamo la via per Gaseb ci imbattiamo in 7 leonesse che procedono verso la pozza appena lasciata, una è sempre di guardia anche perché un rinoceronte poco gradisce questo passaggio e prova ripetutamente a scacciarle. Le leonesse seguono pian piano la strada così invertiamo la marcia e le seguiamo rimanendo a pochi metri da loro, mentre tutto intorno le altre specie animali sono in confusione, rinoceronte escluso. Ci avviciniamo talmente tanto a queste leonesse che il teleobiettivo è più un impedimento che una fortuna, avevo letto ed ascoltato mirabilie su questo parco ma mai avrei immaginato di poter interagire così con animali del genere. Le leonesse fanno tappa alla grande pozza per l’abbeverata serale, uno spettacolo assoluto, con altre poche persone, siamo 4 auto in tutto, in rigoroso silenzio ammiriamo e fotografiamo questa scena che pare uscita da un documentario del National Geographic più che a nostra portata di mano. Quando il sole è ormai calante ci corre obbligo rientrare, i cancelli del camp chiudono al termine del tramonto, rientriamo in scia alle altre auto senza infrangere il limite ma dobbiamo fare un’ulteriore sosta perché una iena maculata è lì a bordo sentiero che attende il nostro passaggio. Quando gli ultimi raggi di sole lasciano l’orizzonte prendiamo posto al camp ma prima di predisporci alla cena un salto alla pozza limitrofa al camp va fatto, vi si trovano sempre a distanza ravvicinata ma divisi da una rete di protezione giraffe, elefanti, rinoceronti e kudu. Terminata la cena ritorniamo alla pozza che è illuminata, anche se non con una luce che permetta buone foto, scorgiamo un unico rinoceronte. C’è da dire che reti e protezioni tengono fuori i grandi animali ma di sciacalli se ne incontrano anche nel camp, in seguito anche qualche facocero, animali che però non creano disturbi. Percorsi 378km, fuori dal parco tutti su asfalto, all’interno su strade sterrate in ottime condizioni e con buona segnaletica.
16° giorno
Alba alla pozza ma poco frequentata, qualche kudu, nulla di più. Terminata colazione partiamo verso est con prima tappa a Kapupuhedi in prossimità del pan (acqua ma niente animali), a seguire Ondongab (secca e qualche animale) ed infine Gonob più all’interno del pan dove una enorme pozza funge da “area di servizio” per una migrazione infinita di zebre ed a seguire orici. Notiamo che raramente animali distinti si abbeverano assieme, una legge della savana prevede per ognuno il proprio turno. Lasciata dopo parecchio tempo questa pozza entriamo nell’area di Halali con prima sosta a Sueda (poca acqua e pochi animali), continuiamo per Charitsaub (acqua e struzzi, caratteristico il loro movimento continuato per bere), Salvadora (acqua ed animali a profusione) e Rietfontein (acqua ed animali a centinaia, compresi gli alcefali, della famiglia delle antilopi, i più veloci nonostante la mole, capaci di sfuggire perfino ai ghepardi). Da qui entriamo all’Halali rest Camp (132$ con piscina al solito inutilizzata, acqua, illuminazione, allacci elettrici) prenotato in anticipo ma con qualche piazzola vuota, preso posto continuiamo l’esplorazione visto che da qui ci sono percorsi ad anello che vanno verso la parte della foresta abitati da tipologie differenti di animali. Percorriamo il Rhino Drive dove rinoceronti non ne scorgiamo, in compenso branchi di elefanti lambiscono il pick-up mentre mangiano in continuazione alberi, questo percorso porta all’Eland Drive, per nulla battuto ed in condizioni ben peggiori dei sentieri precedenti, il pericolo maggiore è provocato dagli attraversamenti al buio delle giraffe, che viste da pochi centimetri qualche ansia la provoca. Lungo il cammino oltre a giraffe si incontrano eland, alcefali e più tipologie di antilopi, alcune si possono avvicinare fino a trovarsi il muso a pochi centimetri, altre sono più guardinghe. Terminati questi percorsi tappa alle pozze Goas (acqua e giraffe) e Nuamses (acqua ma niente animali, pozza molto scenografica), quindi rientriamo ben prima del tramonto perché vogliamo dedicare questo momento della giornata alla pozza del camp, Moringa, che si raggiunge a piedi dal campeggio, con una tribuna naturale sulla collina di fronte. Osservando rigorosamente i propri turni arrivano più animali, le giraffe sono le prime, poi kudu, eland e per finire gli attesissimi e rari rinoceronti bianchi che al calare del sole regalano un lungo spettacolo ai tanti spettatori qui giunti. La pozza è illuminata quindi è possibile vedere gli animali anche durante la notte, per ottenere foto di una certa qualità però occorre avere al seguito un armamentario di obiettivi di primissimo livello, poi se ci si accontenta si foto souvenir è altro discorso, ma confrontandosi coi presenti le foto presentabili erano ottenute minimo con un 200-400 Nikkor che costa quanto un grosso scooter…(per precisare, ho incontrato anche una coppia che esibiva assieme varie focali tra cui il famigerato Nikkor 800mm f 5,6 o 1000mm f 7,1 che costa quanto un’utilitaria!!!) E questo per iniziare ad avere qualcosa di buono…Scendiamo quando il tramonto è solo un ricordo, ci prepariamo alla cena, forse gli unici a non esibire il classico braai, ma poco male, ormai ai nostri cibi ci siamo affezionati e un braai prima o poi lo troveremo. Percorsi 185km, tutti nel parco su sterrato in discrete condizioni, ma sulle vie minori la segnaletica non è sempre presente o leggibile.
17° giorno
Colazione al camp e benzina al distributore del campeggio, la più cara incontrata ma possibile pagare con carta, prima meta l’Etosha lookout, un posto dove ammirare l’assoluto nulla bianco iridescente del pan, vista che senza occhiali protettivi causa disturbi agli occhi. Pensare ai primi pionieri che arrivavano qui sui loro carri ed intrapresero l’attraversata di questo mare bianco fa paura, nel pan non si scorgono animali, questo spazio incute timore pure a loro. Lasciamo l’area di Halali per entrare in quella di Namutoni, l’est del parco, prima sosta a Springbokfontein (acqua ed animali, principalmente alcefali), da qui prendiamo per Batia schivando elefanti e giraffe che in assoluta tranquillità frequentano la zona attraversando la strada più volte. Sosta successiva ad Okerfontein (acqua ed uccelli, nemmeno l’ombra degli immancabili ungulati) ed alla celebre Kalkheuwel (2 pozze, luogo di ritrovo di svariate specie, ungulati di qualsiasi tipo ma anche aquile e struzzi, numerosissimi e sempre rispettosi dei propri turni a parte i facoceri che si inseriscono casualmente). La meta successiva è Chudop una specie di città delle giraffe, sono in numero incalcolabile e si osserva con precisione la contorta posizione che assumono quando devono bere, situazione per loro estremamente pericolosa perché l’unico momento in cui possono essere attaccare dai predatori. Non solo giraffe, ma ormai gli ungulati sono un di più come gli sciacalli, il passo per entrare al Namutoni Rest Camp è breve (prenotato in anticipo, 132$ con piazzole provviste di verde, attacchi per elettricità ed acqua, piscina, forte visitabile, pozza di avvistamento non così interessante come quelle dei camp precedenti), prendiamo posto liberamente perché non c’è la ressa dei campeggi precedenti, al solito tavolo e sedie identificano la posizione poi continuiamo l’escursione. Aggiriamo il Ficher’s Pan dove il bianco del fondo in contrasto col blu/nero delle nuvole cha avanzano regala un’immagine molto forte comprensiva dei fenicotteri che in più punti soggiornano, tappa a Twee Palms (acqua, gnu a profusione, impala ecc..), poi Aroe (acqua e mandria di elefanti) e ritorno sulla via principale dove attraversata questa prendiamo il Pan Edge Drive che lambisce il grande Pan e dove elefanti e giraffe non si contano, il problema non è vederli ma schivarli. Terminato questo anello da nord scendiamo e prendiamo la deviazione per Groot Okevi dove all’ultimo secondo non arrotiamo 3 leonesse che ci tagliano la strada per arrivare alla pozza dove abbeverarsi. Ovvia lunga osservazione fino a quando riprendono la via della foresta, rientrando sulla via principale occorriamo nell’emozionate visione di un leopardo comodamente adagiato su di un termitaio. Se ne resta tranquillo a pochi metri dal nostro pick-up, l’eccitazione è forte perché il leopardo è probabilmente l’animale principe dell’Africa, dimensioni perfette, colorazione completa, felino dalle caratteristiche totali, veloce, forte, indipendente da tutto compreso l’acqua, con la sola eccezione che l’avvistamento è quasi solamente notturno date le sue abitudini, vederlo ora in perfette condizioni di luce a meno di 5 metri ci esalta. Noi siamo fermi e lui pure, ci scruta dritto negli occhi, il minimo movimento viene copiato da lui, appena ci muoviamo di un solo metro scende lentamente dal termitaio e prende la via della foresta dove si mimetizza immediatamente. Non lo rivedremo più, ma questo incontro ravvicinato in assoluta libertà ed indipendenza vale da solo un viaggio all’Etosha. Altra deviazione per Klein Okevi (acqua e varie specie di antilopi, tra cui una particolare che si muove a grandi balzi), successivamente andiamo a sud alla grande pozza di Klein Namutoni frequentata come un bar all’ora dell’happy hour. Al tramonto i colori sono intensi all’ennesima potenza, tra giraffe, iene, kudu, sciacalli e animali vari non si vorrebbe lasciare il luogo ma l’orario ci impone di rientrare quanto prima per non trovare i cancelli chiusi. Lasciato il pick-up alla piazzola andiamo a piedi alla pozza del campeggio, un bel tramonto ma pochi animali, qualche iena, tanti versi di uccelli non identificati e poco altro, però per oggi dopo aver condiviso spazi con leonesse, leopardo, elefanti, giraffe ecc… possiamo già ritenerci oltremodo soddisfatti. Cena al campo con un numero crescente di insetti che presidiano ogni fonte luminosa. Percorsi 172km tutti su sterrato in discrete condizioni, ed anche le indicazioni ben tenute.
18° giorno
Terminata la solita colazione da campo prendiamo la via del nord con un nuovo passaggio a Groot Okevi che troviamo disabitato, sosta a Tsumcor con acqua ma senza animali che ritroviamo placidamente a cibarsi lungo la via principale, elefanti coi piccoli che chiudono il passaggio. Nel risalire entriamo nel sentiero che fa tappa a Stinkwater (asciutta, svariati spingboks), ed alla confluenza prima di seguire l’anello di Andoni avvistiamo sotto ad un solitario albero un leone che come tradizione si riposa da fatiche mai fatte. Attendiamo ma non intende spostarsi così continuiamo facendo il periplo dell’Andoni Plain invaso di animali, gnu, zebre, giraffe, antilopi da tutto esaurito. Terminato questo anello, avendo ancora un po’ di tempo (il permesso dei 3 giorni parte dall’orario di emissione) riscendiamo dove stazionava il leone che ora troviamo all’interno dell’albero seduto ma non sdraiato così la folta criniera è ammirabile senza problemi. Attendiamo fiduciosi che si sposti almeno per bere ad una vicinissima pozza ma il leone nemmeno questa fatica compie, così ritorniamo a nord uscendo dall’Etosha dal King Hehale Gate per incrociare la B1 poco a nord, strada asfaltata. Il percorso passa tra paesi e villaggi con continuità, strada in buone condizioni ma velocità limitata da traffico, incroci, scuole e animali vaganti. Facciamo tappa a Ondangwa per benzina (solo contante) e provviste, la strada continua verso nord-ovest prendendo la denominazione C46 dove si incontrano le prime deviazioni per l’Angola, e qui iniziano i controlli di polizia che interessano anche i turisti stranieri, controlli veloci e socievoli, la patente italiana e accettata senza nessun indugio, la polizia già sa che gli stranieri che passano di qui andranno alle cascate del Kunene, Ruacana e Epupa Falls. Facciamo appunto tappa a Ruacana nel paese, da non confondersi con la centrale elettrica e con le cascate, il nome è il medesimo per le 3 località e a volte le indicazioni riportano chilometraggi anomali proprio perché le confondono. Il paese si trova prima delle altre 2 località, dalla C46 si prende a sx lungo la C35 e dopo nemmeno 2km si è arrivati. Facciamo base la Ruacana Eha Lodge (95$ con piazzole a fianco del resort, illuminazione, allacci elettrici ed idraulici, piscina) dove visto l’arrivo in anticipo sul tramonto sfruttiamo la piscina per rilassarci. Qualche nuvola ma nessun accenno di pioggia verso sera, solita preparazione della cena con struttura dove riparare il fornello a gas dal vento, presenza di insetti ed animaletti vari in crescita. Percorsi 355km, la parte nell’Etosha su sterrato in buone condizioni il resto su asfalto.
19° giorno
Colazione da campo, rifornimento (solo in contanti, da qui a ovest nel Kaokoland non se ne troveranno più) e partenza immediata per le Ruacana Falls, ritornati sulla via principale seguiamo la D3700 fino all’indicazione per la centrale idroelettrica sulla dx, la strada porta appunto dritti a questa centrale dove vi è una bella vista sulle cascate. Purtroppo la situazione non proprio pacificata tra Angola e Namibia ha portato alle peggiori conseguenze per le cascate, gli angolani hanno costruito una diga a 20km da qui per produrre energia e lasciare poca acqua alla Namibia, i namibiani hanno poi costruito una centrale idroelettrica che prende acqua 200m a valle delle cascate portandola nelle condotte forzate che sfruttano il salto del fiume Kunene, in questa maniera l’acqua che cade è poca a discapito dello spettacolo che già così è splendido essendo le cascate in un punto molto caratteristico immerse nella foresta. Per accedere al migliore punto di vista (chiamarlo viewpoint come avviene non ha senso, non c’è un punto vero e proprio) occorre prendere una deviazione asfaltata sulla dx prima della centrale (unica strada che si incontra) che porta alla frontiera, si lascia il mezzo prima della frontiera della Namibia dove i doganieri capiscono al volo che si sta andando alle cascate e non occorre registrarsi in uscita, si lambisce la rete che fa da confine con l’Angola dietro al quale sorge un compound militarizzato all’ennesima potenza e si arriva al margine delle cascate. Nulla impedisce di buttarcisi dentro, non esistono protezioni o passerelle, ogni passo a proprio rischio e pericolo, compreso quello che risalendo verso l’invaso si possa oltrepassare il confine e ricevere sorprese sgradite. Scendendo verso valle si aprono più sentieri ma in pessime condizioni, l’ex posto di frontiera rammenta come le diatribe di confine ebbero effetti nefasti, colpi di mitragliatrice sono a imperitura memoria impressi sui pochi muri rimasti, la situazione rimane ancora difficoltosa, ma lo spettacolo delle cascate merita, ce le godiamo in assoluta solitudine, al momento nessuno passa da qui. Al rientro facciamo un po’ di chiacchiere coi doganieri namibiani che ci segnalano come vari ingegneri italiani lavorino nella centrale e che il lavoro qui è minimo perché nessuno passa mai la frontiera. Proseguiamo lungo la D3700 che dopo pochi km risale e regala una vista delle cascate nel verde della foresta ma anche pessimi passaggi, e questa dovrebbe essere la parte semplice del percorso che affianca il fiume Kunene fino a Swartbooisdrif, luogo simbolo dei pionieri e trekker alla conquista della frontiera angolana nel 1.800. Passarono da qui alla ricerca di fortuna e ripassarono da qui quando furono espulsi dall’Angola, un ceppo sulla montagna ne narra le gesta e ne segnala i tanti che non ce la fecero e in questi luoghi perirono. La strada continua ma per i finali 90km servirebbero più giorni, sia le guide sia alcuni abitanti del posto la sconsigliano vivamente così rientriamo verso sud prendendo la D3701 in condizioni decisamente migliori, vista l’esperienza verso Kamajab non cadiamo nuovamente in avventure poco edificanti. A Epembe c’è il bivio a dx che indica Epupa Falls lungo la C43 ma non fate affidamento su recuperare qualcosa in questo villaggio, si oltrepassa Okongwati, altro villaggio rurale senza alcuna indicazione se non quella di qualche nome che potrebbe vendere benzina e sempre lungo la C43 in buone condizioni si sale a nord alle Epupa Falls lungo interminabili percorsi dritti nel vuoto molto evocativi dell’impervio Kaokoland. Il villaggio di Epupa Falls pare una comune nella foresta tutto attorno alle omonime cascate, raggiungibili dopo tanta strada disabitata, optiamo per l’Omaruga Lodge dove troviamo spazio solo in una piazzola di emergenza (110$ con illuminazione ma senza allacci per acqua ed elettricità) che ha spazi anche per campeggio e bagni favolosi, posto come gli altri lungo il fiume col rumore delle cascate che fa da sottofondo costante. Nella speranza che i coccodrilli non intendano soggiornare dal versante dei campeggi ma che preferiscano la parte dell’Angola. Lasciato il mezzo, a piedi raggiungiamo le cascate distanti 200m, dato che abbiamo tempo ci aggiriamo in ogni spazio godendoci il ferro di cavallo naturale più suggestivo ma risalendo il sentiero che permette la vista completa col versante angolano nel mezzo della foresta, poi proseguiamo fino ad una spiaggia naturale a circa 2km dove si potrebbero avvistare coccodrilli, anche se i gestori del lodge (una famiglia tedesca) ci aveva già segnalato come la grande quantità d’acqua presente in questo momento ne spinga la presenza più a valle. Infatti non ne scorgiamo, ma il percorso è molto bello, al rientro guadiamo piccoli rami del fiume per giungere sulla piattaforma naturale da dove la forza delle cascate fa sentire tutta la sua potenza regalando splendidi arcobaleni e lavate incredibili. Nel villaggio noto un cartello dove un tale Owen vende benzina ma non l’ho sperimentato, avevamo fatto scorta a Ruacana riempiendo serbatoio e taniche. Al lodge ci godiamo un veloce passaggio nella splendida piscina prima che il sole tramonti poiché a fatto compiuto si alza il vento e si abbassa la temperatura. C’è la possibilità di utilizzare il wi-fi nella sola area della reception (50$ per ogni singolo device collegato, tempo illimitato), poi ci prepariamo alla cena, anzi al cenone di fine anno che qui non è sentito da nessuno. Sarà anche per la temperatura meno mite che altrove ma già prima delle 22 non c’è traccia degli avventori che in realtà nel campeggio sono numerosi, tutti pronti a ricaricarsi in vista delle escursioni future. Percorsi 229km, a parte i primi 21 su asfalto tutti su sterrato, alcuni in pessime condizioni.
20° giorno
Che sia il primo giorno di un nuovo anno qui non si nota, solita colazione poi in una giornata principalmente di trasferimento ci godiamo con luce mattutina per l’ultima volta le Epupa Falls per poi riprendiamo la via del giorno precedente scendendo a sud lungo la C43, fino a Epembe la strada è la medesima sempre nel mezzo di un nulla dal grande fascino, all’uscita del villaggio si continua lungo la C43 fino a Opuwo, riconosciuta come la capitale del territorio himba. Ed in effetti la presenza di questa comunità è visibile ovunque, anche se sfruttata fino all’eccesso, non ci si può fermare che si viene assaliti da giovani ragazze in abito tipico che chiedono soldi per farsi fotografare o altre che vendono i medesimi manufatti che alla fine sono una sfacciata dichiarazione di prodotto seriale e non manuale. E’ comunque uno spaccato di Namibia da osservare, e con lo stesso spirito loro osservano noi, qui si ritrovano i distributori di benzina e tanti market o supermarket, dopo aver sistemato le provviste continuiamo lungo la C41 asfaltata. All’incrocio con la C35 facciamo un dx e a seguire sx per continuare sempre lungo la C41 (anche se non segnalata) che ritorna in sterrato ma in ottime condizioni. A Okahau col ritorno all’asfalto facciamo rifornimento di benzina potendo pagare al solito solo in contante, continuiamo fino a Oshakati dove svoltiamo a nord lungo la C45 che dopo pochi km scompare perché in ricostruzione. Si entra ed esce dal percorso principale, in alcuni casi allontanandoci parecchio dalla via maestra, il tutto ci costa molto tempo e quando ritroviamo la via in buone condizioni dritta verso est comprendiamo che non riusciremo a raggiungere Okongo dove ci è stato detto trovarsi un camping. Passiamo villaggi e paesi, a Eenhana un loquace abitante locale (Nanda, very beautiful name si apostrofa) ci parla dell’esistenza di un camping lungo la C45, giriamo in lungo e largo ma non lo scorgiamo, ci sono sulla dx alcune baracche abbandonate che effettivamente farebbero parte di un camping di futura apertura, o almeno così vuole farci credere il gestore che ci chiede una cifra astronomica solo per fermarci senza nessun servizio a disposizione. Così per la prima volta decidiamo di trovarci una sistemazione alternativa, in paese ci sono alcune indicazioni di guest house, troviamo ospitalità alla Litu (camera doppia 350$ con ampia colazione, wi-fi e possibilità di cucinarci la cena) dove le gestrici una volta lasciataci la camera abbandonano la GH della quale ne diveniamo noi i proprietari. Scaricate pure qui tavola e sedie ci approntiamo una cena a base di prodotti comprati in Namibia, una zuppa dal gusto assente (sulla carta doveva essere carne) e verdure tirate in padella che non sanno di niente, e questo lo si può considerare un complimento. Ma viste le poche fatiche della giornata va bene anche così. Percorsi 497km, in parte su strada sterrata buona, altra su asfalto con tanti rallentamenti ed una parte a caso tra campi e deviazioni.
21° giorno
Colazione abbondante presso la GH, sotto le prime tenui gocce di pioggia (dopo pochi minuti saranno già un lontano ricordo) partiamo sempre lungo la C45 che in alcuni parti è chiusa per lavori, ma questa volta il percorso alternativo corre in buono stato a fianco della via. La C45 non svolta mai, un nastro d’asfalto che taglia longitudinalmente il nord della Namibia a ridosso del confine con l’Angola, qualche villaggio, vari animali che attraversano la via, mucche, capre e asini (questi i più fuori controllo e quindi da oltrepassare a velocità limitata) quando non elefanti, sovente le indicazioni parlano di residence che sono i piccoli villaggi recintati delle comunità locali, con nei paraggi sempre una scuola ed un pronto soccorso. La C45 prima di Sambuso prende la denominazione di B10 (in alcuni casi), ma è sempre la stessa strada e non occorre cambiare via. La nostra metà di giornata è Rundu che sorge alla confluenza della C45/B10 con la B8 che arriva da Windhoek, la città più prossima al confine e luogo di interscambio, in realtà sono gli angolani a passare per recuperare quanto più possibile nei market della cittadina, e primo punto di osservazione sul fiume Okavango, fonte di vita per le zone attraversate e richiamo turistico data la presenza molteplice di animali delle più svariate specie. Ci fermiamo al Ngandu Hotel & Casino (90$, piazzole con acqua, energia elettrica, illuminazione, piscina e wi-fi), uno dei tanti lodge sulle alture dell’Okavango, non organizza escursioni sul fiume ma ci mette in contatto con una guida per un’escursione prima del tramonto. Visitiamo il grande mercato coperto dove la maggior parte delle bancarelle tratta cibo ed abiti, pochi i manufatti di legno, anche perché qui di turisti c’è poca traccia, molti avventori sono angolani alla ricerca di tutto quanto dall’altra parte del confine non si trova. Scendiamo alle spiagge lungo il fiume, specie di stabilimenti balneari con musica al massimo volume e tanta birra, piene della gioventù locale in festa che è un contrasto fortissimo con gli abitanti dell’altra parte del fiume che vengono qui a prendere acqua, lavarsi e pescare, una sussistenza tirata insomma, con 2 tipologie di Africa a confronto completamente distinte. Tutto il lungofiume è attraversato da sentieri che portano al passaggio di frontiera con numerosi taxi che fanno da staffetta tra qui ed i mercati cittadini. Noi procediamo ancora oltre nel mezzo della boscaglia che corre parallela al fiume fino al Sarasunga River Lodge dove ci incontriamo con la guida che ci scorrazzerà lungo l’Okavango. L’uscita in barca dura 1h x 150$ comprensivi di un buffet che vale una cena completa, purtroppo l’animale principe del posto non viene avvistato, niente tracce dell’ippopotamo, ci dicono perché il fiume è particolarmente mosso e gli hippo non amano questa situazione spostandosi verso altre zone. Così passiamo il tempo ad osservare la vita fluviale degli angolani, le corse verso un posto sul traghetto, l’esercito namibiano che pattuglia a piedi tutto l’argine per evitare infiltrazioni, la conferma di un confine difficile. Anche il nostro approdo all’imbarcadero del lodge è ovviamente controllato ma al seguito della guida nessuno ci chiede nulla. Rientriamo al campeggio e per una sera possiamo evitare di cucinare, giusto il tempo per un caffè e per sfruttare il wi-fi a disposizione nella zona vicina al ristorante ed alla piscina. Il lodge, come sovente accade da queste parti, è gestito da tedeschi. Percorsi 413km quasi tutti su asfalto in buone condizioni ma occorre prestare particolare attenzione agli animali vaganti.
22° giorno
Colazione al campo, sosta in città per un ATM dove incontriamo lunghissime file, supermercato per scorte e carne in vista di un prossimo braai, rifornimento con solito pagamento in contanti poi lasciamo Rundu per andare a est percorrendo la B8 asfaltata ma coi soliti problemi di animali vaganti fino all’ingresso nel Caprivi, indicativamente a Divundu. Il Caprivi è quella stretta e lunga striscia di terra che si incunea ad est fin quasi alle cascate Vittoria, terra a lungo dibattuta, riappacificata solo alla fine del 2004, quindi ancora in sviluppo, con poche strutture, animali che stanno tornado nel loro habitat naturale dopo che molti son stati cacciati dai bracconieri o mangiati in tempi di restrizione durante la guerra, luogo di cui molto si parla ma poco si conosce. Un altro possibile inconveniente che ci è stato segnalato è climatico, pare che qui piova quasi tutti i giorni, non sempre ma con costanza e questo può essere un viatico per possibili malattie (malaria in primis) o infezioni. Sarà, ma noi troviamo solo sole, cieli tersi e splendenti, un grande caldo con tracce più intense di umidità, ma nemmeno una misera goccia di pioggia. Da Divundu deviamo a sud per la C48 che è anche la via d’ingresso al Botswana, facendo tappa nel meraviglioso Nunda Lodge (120$ con posti tenda a bordo fiume per chi non teme coccodrilli ed ippopotami, bagni splendidi, acqua potabile sempre disponibile, wi-fi, palafitte sul fiume con viste tramonto ed animali incantevoli, servizio bar e ristorante di alto livello, piscina, escursioni a piacimento) gestito da un affabile sudafricano che ci accoglie di persona e ci mostra ogni angolo del suo splendido insediamento che si nasconde nella foresta. Nell’attesa di partire per scoprire ippopotami, coccodrilli e rapide, ammazziamo il tempo in piscina poi prendiamo la barca (2h, 200$) e scendiamo l’Okavanago. Scorgiamo un primo ippopotamo, poi da questa parte del fiume sulle sponde qualche coccodrillo di dimensioni contenute, mai più di 2,5m, ce ne sono anche di molto più grandi fino ai 5m, ma nonostante la legge ne proibisca la caccia gli abitanti della zona gli uccidono perché sono pericolosi per gli allevamenti di bestiame e per le persone quando sono al fiume. Il caldo è fortissimo, occorre proteggersi perché la barca ha giusto una piccola tettoia, ci forniscono bevande ghiacciate a profusione ma lo spettacolo sarà sotto i nostri occhi risalendo il fiume proprio di fronte al lodge. Già in lontananza scorgiamo i primi ippopotami spalancare le enormi bocche ed emettere ruggiti furiosi, importante identificarne la posizione perché è l’animale più pericoloso, quello che uccide più persone nel corso dell’anno. Sulla terra ferma anche se la sua mole non lo farebbe sembrare possibile può correre fino a 40km l’allora, attacca l’uomo se lo vede tra la sua posizione e l’acqua (la sua via di fuga), il suo ambiente preferito e dove solitamente si muove camminando sul fondo, per questo preferisce ambienti tranquilli lontano dalle rapide. Nell’acqua può attaccare, soprattutto quando è in compagnia dei piccoli, quindi opportuno avvicinarsi con circospezione e farlo con guide preparate. Incontriamo un primo branco al quale ci accostiamo molto lentamente, da vicino impressionano, facile distinguere i giganteschi maschi oltre che dalla mole dai tanti segni sul corpo dettati dagli scontri per difendere l’area ed il gruppo. Risalendo verso le Popa Falls incontriamo altri branchi, in questa parte di fiume sono veramente numerosi, il fatto che passino la notte sulla terraferma alla ricerca di erba di cui cibarsi non è tranquillizzante vista la nostra posizione al campeggio, ma la guida fa presente che la presenza umana è sentita da questi animali come una minaccia e scelgono sempre la sponda opposta. Sarà, ma sono contento di dormire nella tenda posta sul tetto del pick-up anche perché i versi che emanano di notte mi sembrano estremamente prossimi. Raggiungiamo le Popa Falls che sono più delle rapide che delle cascate, sbarchiamo in un isolotto di sabbia nel mezzo ma riprendiamo il fiume per tornare al lodge quando ci imbattiamo in un ulteriore branco di ippopotami che sta risalendo sulla terraferma e quindi una nuova sosta s’impone con uccelli di ogni tipo che sfrecciano a pelo d’acqua o se ne stanno ad asciugare le ali. Rientrati ci rimiriamo un tramonto che pare finto dalle palafitte sul fiume, ippopotami nei dintorni, colori intensi all’ennesima potenza, l’ingresso al Caprivi non poteva regalare momenti migliori. Per cena ci approntiamo il più classico dei braai, la carne era stata acquistata a Rundu, la legna di acero per le braci la fornisce il lodge e nemmeno ce la farà pagare, certo ci vuole parecchio tempo perché il fuoco prenda avendo a disposizione solo legna e qualche foglio di carta, finiamo per cenare quando tutto il lodge è già a dormire da parecchio, l’unica compagnia è quella degli ippopotami che forse disturbati emettono versi inquietanti anche per la presunta vicinanza. Percorsi 203km su strada asfaltata ed animali vaganti a iosa.
23° giorno
Oggi ce la prendiamo comoda visto che faremo tappa sempre nello stesso campeggio per l’escursione pomeridiana nei paraggi. Quindi colazione e relax sulle palafitte dove scorgere tra un libro e 2 chiacchiere con altri viandanti gli ormai immancabili ippopotami, un passaggio in piscina per non sentire il caldo inteso e nel pomeriggio partiamo per scoprire la parte ovest del Bwabwata National Park, nella zona della Mahango Game Reserve lungo la C48. Solo per chi visita il parco si pagano 40$ + 10$ per auto, chi transita e basta verso il Botswana non deve pagare, vi sono 2 escursioni una ad est ed una ad ovest, optiamo in prima battuta per quella verso il fiume lungo un anello di facile percorrenza. L’escursione nel Caprivi è del tutto diversa da quella dell’Etosha, intanto non s’incontra quasi mai nessuno, poi par di non vedere mai nulla ma all’improvviso branchi di animali di svariate specie (ma non i grandi felini) sono a fianco del sentiero e ci scrutano dubbiosi quasi fossero loro allo zoo e non noi. La caratteristica del luogo sono le tante tipologie di antilopi, i lichi rossi sono i primi a comparire, ma poi kudu, alcefali, impala, springboks, antilopi alcine spuntano ovunque, a seguire aquile e giraffe, ma c’è pure un enorme ippopotamo sulla terra ferma, anzi di passaggio sulla nostra via, ci guarda a lungo ma forse la dimensione del mezzo lo spinge in altra direzione. La presenza degli elefanti qui diventa invece pericolosa, perfino troppo vicini, in alcuni casi all’uscita di curve ce li troviamo di fronte, le dimensioni sono tali che pure il pick-up è robetta per loro. Il punto centrale di questo anello è un gigantesco baobab, poi rientriamo sulla via principale, facciamo una piccola deviazione giusto per scorgere il confine, risaliamo e fortunatamente per l’escursione nella parte di Thingwerengwere vi è ora un passaggio non agevole ma nemmeno terribile come quello di Thinderevu via Rukange. Alla pozza scorgiamo un bufalo africano coperto di uccelli che lo liberano dai parassiti ed un elefante intento a bere. Nel mezzo del nulla con nessuno nei paraggi ed a distanza ravvicinata i “rumori” prodotti dall’elefante sono intensi, l’aspirazione dell’acqua ma soprattutto lo sparo di questa in bocca nella pancia rimbomba talmente forte che pare uno sparo vero e proprio. Quando decide di aver bevuto a sufficienza prende la strada della foresta passandoci così vicino che posso immortalare giusto una punta delle zanne, ma è tranquillo, ci osserva e se ne va. Rientriamo sul sentiero in pessime condizioni ma percorribile tranquillamente con un mezzo a 2 ruote motrici col pianale alto e ci imbattiamo in altri elefanti ma soprattutto in un branco di strane e grandi antilopi dal muso a strisce, anche queste ci osservano a lungo poi scappano. Mostrando le foto al lodge mi indicano il nome inglese di antilope della sabbia, che non ho più ritrovato (potrebbero essere antilopi nere nella dizione in italiano), ma al di là del nome si tratta di un’antilope molto bella con gigantesche corna incurvate. Poco dopo un grande branco di bufali africani attraversa il sentiero, anche questi tranquilli nonostante masse imponenti. Le 2 escursioni sono brevi, ma tra percorsi accidentati e numerosi avvistamenti dobbiamo correre per uscire prima delle 18, altrimenti i cancelli verrebbero chiusi e non potremmo raggiungere il campeggio, arriviamo quando sono già alle prese con le chiusure varie e ci va bene che essendo registrati sapevano del nostro rientro e ci dicono che ci avrebbero aspettato…Tramonto ancora sul fiume dalle palafitte, cielo che prende fuoco ed ippopotami canterini, lasciamo lo spettacolo per prepararci la cena, ritornando al classico. Percorsi 84km, quasi tutti all’interno del parco, ovviamente non si può sperare che siano su dolce asfalto, non si è qui per le comodità.
24° giorno
Colazione al campo poi prendiamo la strada ad est, la solita B8 dopo aver fatto rifornimento a Divundu (solo contante). Il grande ponte che oltrepassa l’Okavango funge da check point veterinario ma i controlli veri e proprio sono per chi va in senso contrario al nostro. La Caprivi Strip è un unico parco nazionale diviso in più settori, la parte a nord denominata Multiple Use Area, quella a sud Buffalo Core Area, nel mezzo tra animali che attraversano con costante continuità alcuni residence, ovvero i soliti villaggi della popolazione indigena, ed a metà la base militare Omega, a lungo posto di sosta delle comitive collettive che attraversavano il Caprivi. Facciamo una deviazione prima del Kwando River verso nord, dove gli avvistamenti dovrebbero essere più semplici, ma occorre il permesso dell’area a sud una volta giunti all’insediamento militare (si va verso il solito confine con l’Angola), così ci ripromettiamo di tentarne l’escursione al ritorno. Attraversiamo la Kwando Core Area, al ponte sul Kwando river nuovo posto di controllo dove iniziano le disinfestazioni per auto e scarpe, controllo alimentare molto limitato. Da qui, oltrepassata la deviazione per Kongola, uno dei pochi paesi segnalati, prendiamo la C49 verso sud ed attraversiamo il Mudumo National Park dove gli animali sono ovunque pure sulla strada, elefanti, zebre, antilopi della sabbia, scimmie, ecc…e si trovano anche varie indicazioni di lodge descritti come molto lussuosi. Ma oggi la nostra destinazione è molto più avventurosa, il Manali National Park, angolo estremo della Namibia sul bordo del Botswana, un parco in larga parte tra paludi e canali visitabile in questo periodo secco da tanto tempo. Indicativamente giunti al villaggio di Sangwali si prende a dx e passato il villaggio di Wuparo la strada diventa un sentiero di difficile interpretazione, ci sono unicamente le indicazioni per il Nkasa Lupala Lodge, chiuso in questo periodo, che sorge su di un’isola nel mezzo delle paludi. Merita comunque una deviazione per una vista di quest’angolo di parco, poi tentiamo di raggiungerne l’ingresso, fondamentale un 4x4 con pianale alto e poca paura di segnare la carrozzeria in lungo e largo, alcuni passaggi su ponti precari sono un segno di fiducia illimitata nella voglia di andare sempre oltre il banale, prima dell’ingresso del parco c’è una deviazione per il Rupara Camp (80$), struttura nel nulla costituita da nulla, una capanna dove vive la famiglia che lo gestisce, 5 piazzole con ottimi servizi igienici ma niente energia elettrica. L’ingresso del parco è vicino ma la strada è pessima, 1km che percorriamo in 15’, all’ingresso ci registriamo e notiamo che a parte 3 olandesi nessuno ha ancora messo piede nel 2015 da queste parti. L’ingresso costa 40$+10$ x auto, ci consegnano una mappa che serve ben a poco se non a capire dove siano i fiumi che delimitano la zona, lo Xono ed il Gasiku, in pratica possiamo girarci in autonomia principalmente l’isola Rupara. Il sentiero nel parco è in condizioni migliori rispetto a quello per arrivarci (peggio non saprei come potrebbe essere…), vaghiamo seguendo minime tracce di chi è già passato di qua, a volte fendiamo una vegetazione più alta dei finestrini, difficile scorgere tanti animali ma la sensazione di selvaggio è al massimo livello. Gli animali più facili da avvistare sono i facoceri, ma qualche mandria di ippopotami si scorge, anche antilopi di vario tipo, uccelli tantissimi, grandi rettili compresi, ma dopo aver vagato in lungo e largo appoggiandoci giusto alla bussola troviamo la via per ritornare all’ingresso quando il parco sta per chiudere, ore 18. Raggiungiamo il camp dove ovviamente siamo soli e prima che il sole tramonti e dopo una fantastica doccia nel cuore della natura ci prepariamo alla cena con la sola illuminazione al seguito poiché nel campeggio non c’è traccia di energia elettrica. Versi di animali a centinaia, col fiume a 5m da noi sapendo che ippopotami e coccodrilli sono presenti saliamo velocemente in tenda che mai come questa sera apprezziamo per il fatto di averla staccata da terra. A parte gli splendidi servizi igienici qui occorre gestirsi in totale autonomia, con un utilizzo intenso di zampironi a scacciare variegate tipologie di insetti. Percorsi 329km, divisi in 2 parti, la prima su asfalto perfetto ma con animali da schivare, la seconda in condizioni pessime.
25° giorno
Caldo già di mattina, colazione e via lungo i disastrati sentieri del Mamili N.P. godendoci i passaggi su precari ponti e tra una vegetazione da fitta foresta, quando arriviamo a Wuparu è come se fossimo usciti da un mondo sconosciuto ed ancora intonso senza guai al pick-up, preoccupazione principe visto che qui non c’è possibilità di comunicare con nessuno. Ci sono varie comunità locali in recinti ben tenuti, in confronto al luogo da dove arriviamo noi una civiltà sviluppata ed organizzata, ritorniamo sulla C49 (denominata anche M125) che percorriamo in direzione est, la strada ha qualche punto ancora da rifinire ma si può percorrerla comunque tutta su asfalto. Incontriamo un altro check point veterinario ed anche qui occorre passare alla disinfestazione di auto e scarpe, sempre con inservienti tranquilli e socievoli, nei dintorni si troverebbe l’area che un tempo costituiva il lago Liambezi ma ora questo specchio d’acqua si è asciugato e non esiste più così decidiamo di non seguire l’escursione che sarebbe da fare una volta tornati sulla D3514 poco prima di immetterci sulla B8. Da qui raggiungere Katima Mulilo è questione di pochi km, arriviamo alla fine della Namibia, oltre 1250km lontani da Windhoek, antico avamposto nella foresta da poco tornato alla normalità. E’ l’incontro dei 3 confini, Namibia, Zimbabwe e Zambia lungo il placido scorrere del fiume Zambesi che a poca distanza da qui da vita alle spettacolari cascate Vittoria. Non avevamo previsto di arrivare fino a qui, non siamo in possesso della documentazione per oltrepassare il confine così non possiamo raggiungere le cascate (anche per un viaggio organizzato non c’è più tempo), decidiamo di far comunque tappa in città fermandoci allo splendido Protea Zambesi Lodge (140$ piazzole nel verde a bordo fiume, vari servizi igienici, forniture di acqua ed energia elettrica, accesso a bar e servizi del lodge tra cui la terrazza sul fiume, wi-fi e computer a disposizione, piscina) dove prendiamo posto alla solita maniera con tavolo e sedie per andare subito a visitare la città avvolta da una temperatura elevatissima. Se un tempo le strade erano terra per elefanti, la situazione in 10 anni è cambiata enormemente, centri commerciali, mercati, distributori e banche, qui arrivano in massa soprattutto dallo Zambia per comprare di tutto, quindi la città è molto viva e vi sono anche vari punti di partenza per piccoli van e grandi pullman che servono molte destinazioni verso sud e ovest. L’attrazione principale è data dal Caprivi Art Center, gestito da un’associazione culturale locale, propone opere prevalentemente in legno di artisti del luogo, ognuna porta una targa identificativa di chi l’ha realizzata, il nome apportato ed un prezzo non trattabile. Prezzi non bassi, in seguito troveremo di meglio, ma queste opere vengono identificate una ad una come prodotti qui da artisti veri e propri mentre la maggior parte della produzione che si trova ovunque è made in Zimbabwe, come in tanti ci tengono a sottolineare. L’Art Center si trova all’interno di un gran mercato cittadino, la parte che espone abbigliamento è poco interessante, la parte del cibo molto più caratteristica, soprattutto quella del pesce in varie metodologie conservative, da piccoli pesci di qualche centimetro ad imponenti pezzi da oltre un metro. Il tutto in condizioni espositive molto buone, saremo lontani dalla capitale e dalle città più ricche ma rimaniamo in un’Africa molto sviluppata. Tanto altro non c’è da vedere considerando pure il caldo elevato (35° passati con facilità), proviamo ad andare a rimirare il grande ponte che unisce la Namibia allo Zambia ma si trova oltre il nuovo complesso di confine e non riusciamo ad avvistare questo importante collegamento perché il fiume scorre in mezzo ad una fitta foresta così rientriamo in campeggio e ci prendiamo una pausa sfruttando per una volta come si deve la piscina, bella ma poco frequentata. Cena come sempre da campo e poi utilizziamo bar e terrazza del lodge sullo Zambesi (anche perché a bordo fiume c’è un bel cartello che dice pericolo coccodrilli ed ippopotami), maestoso fiume che scorre dolcemente, mentre i ruggiti degli ippopotami si odono in lontananza coperti in parte dalla musica che arriva dall’altra parte del confine, suoni di festa che imperversano a lungo, evidentemente in Zambia si fa festeggia alla grande. Dopo aver sfruttato a dovere il funzionamento del wi-fi del lodge (peccato funzioni nella zona reception poi pian piano si attenui fino a scomparire proprio in terrazza) è ora di dormire in previsione di una dura giornata a seguire con km ed escursioni importanti. Percorsi 147, prima parte in pessime condizioni a seguire ottimo asfalto e pochi animali a disturbare il viaggio.
26° giorno
Colazione da campo, usciti dal campeggio approfittiamo della città per far spesa e rifornimento (sempre e solo contanti) e lasciamo Katima Mulilo imboccando la B8 fino al passaggio sul fiume Kwando oltrepassato il quale vi è un nuovo controllo veterinario, questo il più dettagliato di tutti, ci hanno perfino fatto aprire il frigo ma poi notando la carica di birra ed acqua non hanno investigato su cosa contenesse la parte inferiore, ovvia disinfestazione poi qualche centinaio di metri dopo prendiamo la deviazione a sx per il Kwando Core Area, alla reception ci si registra (rari avventori, 40$+10$ x auto), ci viene lasciata una mappa ben poco descrittiva dove l’addetta segna alcuni dei luoghi di maggior interesse, Horse Shoe ed un view point non molto lontano dall’entrata, le indicazioni riguardo ai percorsi da tenere sono vaghi, 4x4 con pianale alto e il consiglio “andate dove vedete”, molto vago ma azzeccato. La prima parte del sentiero mette subito a dura prova il mezzo, sabbia e radici, ma almeno una via c’è, continuando i sentieri diventano molteplici, dettati più dall’intraprendenza dei precedenti avventori che da indicazioni vere e proprie. Più che un safari tra animali il giro diviene un’escursione nella foresta legata al caso, prendiamo per buono che si vada a sud sperando a seguire che andando a nord si esca dal parco. Ad un certo punto un piccolo cartello indica il Nambwa Camp Site, decidiamo di fare una sosta anche solo per capire come muoverci, l’inserviente è felice come non mai di trovare gente da queste parti, ci mostra tutte le piazzole del camp, specificando come le migliori siano quelle a bordo fiume dove gli ippopotami salgono e scendono, ben visibili le impronte, il camp è effettivamente molto bello e tutto ecologico, del resto impossibile portare qui energia elettrica, acqua ecc…tutto si ricava e ricicla sul luogo. Nessun avventore, nemmeno noi ci fermeremo, anche se potendolo prevedere in anticipo sarebbe stata un’ulteriore esperienza nella natura assoluta. A braccio ci fornisce altre indicazioni su come muoverci ma lasciano il tempo che trovano perché già dopo nemmeno un km (che qui richiede lunghi tempi di percorrenza) le diramazioni del sentiero sono molteplici sia per aggirare grandi pozzanghere sia per andare chissà verso quali destinazioni non note. Arriviamo ad Horse Shoe, un grande ferro di cavallo ripieno di acqua che serve agli animali per abbeverarsi, anche se in questo momento non particolarmente frequentato, continuiamo alla meno peggio imbattendoci in un branco di avvoltoi per continuare verso sud perdendoci nella vegetazione che in alcuni momenti sovrasta i finestrini ed impedisce di trovare tracce di passaggi precedenti. Continuiamo così a lungo, persi verso l’ignoto, unico riferimento la memoria fotografica per comprendere se fossimo già passati in alcuni di quei luoghi, dopo un lungo peregrinare ci imbattiamo in una grande pozzanghera dove se ne sta a mollo un gigantesco ippopotamo. Lo osserviamo, e mentre noi osserviamo lui, lui osserva noi, però rimane immobile e così la nostra voglia (o stupidità, vabbè…) di vedere questo enorme animale in movimento prende il sopravvento, così a motore acceso e marcia inserita iniziamo a produrre rumori per disturbarlo ed effettivamente inizia a muoversi e inquadrarci così da poterlo fotografare al suo meglio per poi riprendere il cammino quanto prima rientrando ma del tutto casualmente verso Horse Shoe dove un altro ippopotamo sta giocando con un grande uccello sulla schiena, quelle immagini che fanno tanto documentario ma che solitamente non si propongono mai dal vivo. Ed invece qui è prassi normale, ci fermiamo a lungo fino a quando l’ippo si stanca e scarica brutalmente l’uccello, nel dubbio che voglia uscire per venirci ad importunare continuiamo nell’esplorazione tra giraffe ed elefanti che diventano padroni del parco, con incursioni di facoceri ed antilopi tra cui la grande roana. La presenza degli elefanti va però infittendosi, un passaggio nei pressi del fiume Kwando diventa complesso, giù al fiume sono un numero incredibile giocano o si scontrano ma notiamo che altrettanti stanno arrivando dalla foresta per entrare nel fiume col solo inconveniente che la nostra via, unico modo per uscire da qui corre nel mezzo. Pian piano avanziamo, non sembrano pericolosi ma sono centinaia e centinaia ed hanno i piccoli, date le dimensioni anche il forte pick-up è uno scherzo per loro ma a lungo non costituiscono un problema. Quando sembra che abbiamo preso confidenza con queste gigantesche mandrie, perché sono più gruppi gli uni slegati dagli altri, ad un certo punto uno di questi s’imbizzarrisce, si volta, alza le imponenti orecchie, inizia a barrire e muove le zampe. Non avendo vie di fuga perché abbiamo elefanti in ogni dove a pochi metri, la sensazione di pericolo imminente è adrenalina pura, siamo in totale balia del suo volere, ci butta bene perché non parte alla carica forse perché un suo piccolo parte di corsa in altra direzione, belli sudati e senza aver avuto il sangue freddo di fotografare il momento della tentata carica (potrei dire che era perfettamente di fronte e col vetro nel mezzo la messa a fuoco non era ottimale…) ripartiamo per trovare l’uscita passando di nuovo in mezzo ad elefanti, giraffe ed antilopi, evidentemente nel loro momento di abbeverata nonostante siamo ancora lontani dal tramonto. Facciamo sosta al view point, da una collina prossima al fiume, ed anche qui scorgiamo centinaia di elefanti approcciarsi al fiume ma in distanza, proprio qui incontriamo gli unici avventori di giornata, guadagniamo l’uscita ma dato l’orario non riusciamo a passare nella zona nord, dove avevamo fatto una veloce incursione all’andata e immaginato di passarci al ritorno, purtroppo sbagliando i tempi. Imbocchiamo la B8 verso ovest attraversando nuovamente la Caprivi Strip e facciamo base per una volta ancora al Nunda Lodge giusto in tempo per l’ormai classico tramonto da cielo infuocato sull’Okavango e ippopotami urlanti. Cena al campo dopo giornata particolarmente intensa, percorsi 385km, la parte nel parco in condizioni pessime, senza vie da seguire, quella su asfalto come in precedenza ottima ma con animali vaganti, verso l’ora del tramonto ancora più del solito.
27° giorno
Colazione al campo e poi via per una giornata prettamente di trasferimento, rifornimento a Divundu e tanto asfalto verso Grootfontein con paesaggio che pian piano varia completamente. Lungo la strada nessun paese ma tanti villaggi tutti con scuole e pronto soccorso, la presenza delle scuole limita la velocità ai 60kmh, ci era stato detto che in questo tratto di strada la presenza della polizia coi tele laser è assidua, non ne incontriamo probabilmente perché in questo periodo è tempo di vacanza e le scuole non sono aperte. Prima di giungere in città attraversiamo nuovamente la red-line, di fatto entriamo in un’altra Namibia, quella gestita dai bianchi, come potremo ben comprendere nel campeggio dove facciamo tappa. Ci giriamo la cittadina ma l’unica attrattiva, il forte&museo, ha orario ridotto e non riusciamo ad accedervi. Ci cerchiamo un camp nei paraggi e ci imbattiamo pochi km fuori nel mezzo del bush lungo la D2848 nel Maori Camp (50$), gestito da un tedesco che più tedesco non si può. In Namibia chiunque persona s’incontri butta sempre lì un “how are you”, quindi dopo svariati giorni anch’io ho preso quest’uso sempre ricambiato da saluti, strette di mano, sorrisi, qui invece vengo rimpallato con un “it’s for black people” , e già questo dovrebbe essere un’avvisaglia del soggetto. Provo a chiedere se ci sia posto nel camp (presenti ZERO avventori a vista…), il tipo inizia a parlare a lungo in tedesco e basta, ci mette giusto 3 parole 3 in inglese per indicare il costo ma niente di più, dice di buttare qualsiasi cosa dove vogliamo tanto ci sono le donne a fare i lavori, poi inizia una prosopopea sulle sue origini tedesche assimilando il luogo ad una città che io non conosco ma che assolutamente dovrei, alla fine di questa tirata spiega sempre in 3 parole 3 di inglese che è la città di Vettel (sorry, ma non seguo tanto la F1) e che hanno discendenze comuni, almeno di par di comprendere e mi compiaccio per stringere i tempi, prendiamo posto alla solita maniera nonostante non ce ne sia necessità, poi lasciamo questa fattoria per andare alla ricerca del più grande meteorite mai caduto sulla terra. Raggiungere l’Hoba Meteorit è semplice, uscendo da Grootfontein verso Tsumeb lungo la C42 dopo nemmeno un km si svolta a sx per la D2859 che su sterrato in ottime condizioni corre in direzione ovest-sud/ovest per circa 25km. Il meteorite è indicato, alla reception si paga l’ingresso (25$) e dista pochi passi. Questo masso di provenienza celeste fu rinvenuto da un cacciatore nel 1920 ma l’indicazione precisa di quando arrivò è ancora dibattuta. Non è una roccia gigantesca, parliamo di 5x4x2, ma pensare al botto che avrà fatto mette inquietudine. Principalmente ferro con nickel, peso indicativo sulle 54 tonnellate, ci si può salire ma magari evitare le incisioni ed i tagli che molti hanno fatto, del resto il meteorite non è presidiato. Da qui rientriamo al campeggio, non è prevista illuminazione se non alcuni resti di candele, il proprietario insiste nel venderci carne di animali locali oltre alla legna per il braai ma occorrerebbe troppo tempo e decliniamo, mi accende pure il wi-fi dicendomi solo l’indomani che costa 30$. Cenato e lavato le stoviglie alla luce sole delle nostre torce prendiamo posto in tenda, in una serata particolarmente ventosa ma calda. Percorsi 512km, quasi tutti su asfalto, i circa 70 su sterrato in ottime condizioni.
28° giorno
Terminata colazione l’astioso tedesco vuole mostrarci all’interno di una torre che svetta nella fattoria tutto il suo artigianato proveniente in massima parte dallo Zimbabwe, oltre a riprovare a piazzarci i tranci di carne surgelata, ma è talmente sgodevole che anche di fronte a qualcosa d’interessante desistiamo e partiamo quanto prima per la meta di giornata, lo Waterberg Plateau, grandioso altipiano di arenaria situato in prossimità del Kalahari. Prendiamo la B8 in direzione Windhoek e dopo 45km si svolta a sx per la D2512 che nel primo tratto riporta anche la dicitura D2804, ad un bivio questa prende a dx mentre continuando non ci sono più problemi di numerazione. Si attraversa il terreno di molteplici fattorie, ogni volta occorre aprire il cancello che le separa e ovviamente richiuderlo, in lontananza il Waterberg si scorge con facilità, un mattone rosso nel cuore del verde che lo circonda. Per accedervi si può andare presso alcuni lodge privati o più semplicemente entrare dall’ingresso principale Bernabe de la Bat dove si giunge al visitor center (80$+10$ x auto) che funge pure da reception per il campeggio (176$ con piazzole da condividere con facoceri per nulla intimoriti, allacci per acqua ed energia elettrica, bagni con grande lavanderia e piscina ma molto lontano da qui). Alla reception si può prenotare l’escursione sul plateau in quanto non è possibile accedervi in autonomia (450$ x 4h circa e bevande comprese, tutto pagabile anche con carta) se non a piedi con giri di più giorni. Prendiamo posto in una piazzola anche qui col solito metodo tavolo&sedie ma in pratica il campeggio è vuoto, poi avendo tempo iniziamo a percorrere i sentieri nei paraggi che però non permettono di avvistare nessun animale e nemmeno sono particolarmente interessanti dal punto di vista della flora. Rientrati partiamo con un mezzo dedicato ed una guida/autista all’escursione dell’altipiano, siamo in pochi quindi la visuale è libera in qualsiasi lato, si esce dal parco perché l’ingresso si trova molto più a nord-ovest, sul cammino principalmente babbuini, tanto temuti dalla popolazione locale fin dal primo accesso ai campeggi perché abili borseggiatori di qualsiasi cosa, cibo in primis. L’irta salita è lungo un passaggio su blocchi di cemento, in corrispondenza dell’accesso vero e proprio ci si ferma ad un punto panoramico dominante l’infinito verde della pianura, poi ci si immette su sentieri sabbiosi oltremodo, e comprendiamo il perché di un mezzo dedicato. Qui le guide sanno dove andare poiché esistono più punti di avvistamento mimetizzati, mentre procediamo giraffe, kudu, alcefali, ci tagliano la strada, ma si procede lentamente quindi nessun problema, dopo aver vagato su questi sentieri ci fermiamo ad un primo posto di avvistamento, un lungo toboga che porta ad un capanno mimetizzato con sottile finestra da cui vedere gli animali che si abbeverano e mangiano sale, qui principalmente giraffe, bufali africani ed antilopi, tra cui l’alcina e la roana. In seguito giungiamo ad un secondo punto per avvistamento dove gli animali sono numerosissimi e pure qui esiste una priorità per abbeverarsi e nutrirsi col sale con le grandi giraffe al termine del ciclo tanto da allontanarsi per recuperare erbe dagli alberi più lontani. I bufali lottano per leccare una piccola roccia ed attorno a questa giostra la loro giornata, hanno corna di dimensioni imponenti anche se non si vedono usarle per farsi largo, quando lasciamo questo capanno ci giriamo un’altra parte del plateau tutto avvolto da fitta foresta per rientrare al camp dopo quasi 4h di escursione. Serata ventosa ma non abbiamo problemi nel preparare il fuoco perché ogni piazzola è dotata di barbecue e quindi riusciamo a disporre il nostro fornello in luogo idoneo. Nonostante il vento temperatura buona. Percorsi 162km, in larga parte su sterrato in ottime condizioni.
29° giorno
Terminata la solita colazione da campo rabbocchiamo il serbatoio con le scorte al seguito visto che ora non ci saranno più problemi di reperibilità combustibile, usciamo dal Waterberg Plateau Park e continuiamo lungo la D2512 fino all’incrocio con la C22 (sempre su sterrato) che imbocchiamo in direzione B1 dove svoltiamo verso sud lungo la principale arteria del paese ovviamente asfaltata. Sosta a Okahandja nota per il suo mercato artigianale sicuramente ampio ma talmente ripetitivo da far saltare l’impressione di artigianalità a favore di fatture meccaniche, al solito by Zimbabwe. Qui però il contrattare prezzi è istigato dai venditori stessi, quindi si possono spuntare acquisti interessanti, mentre nei dintorni vari venditori abusivi tempestano i pochi avventori con proposte di pietre preziose. Lasciata Okahandja continuiamo per l’ultima meta da visitare del nostro viaggio in Namibia, il Daan Viljoen Game Park, un parco nei dintorni della capitale. Raggiunta Windhoek, ma senza dover entrare in città, si prende la C28 e dopo 20km si trova l’accesso al parco. All’ingresso registrano i dati dell’auto perché alcune escursioni sono poste prima della reception, nel nostro caso fermandoci per la notte andiamo diretti dove registriamo ingresso (40$+10$ x auto) e campeggio (120$, camp splendido con bagni favolosi, piazzole con tutto quanto ci possa immaginare, piscina gigante, wi-fi in qualsiasi punto ed animali a portata di mano…). Le piazzole sono poche quindi numerate, non servirebbe nemmeno lasciar segno della propria presenza ma ormai è uso comune, partiamo per le escursioni in auto lungo il game drive della parte ovest senza avvistare nelle vicinanze nessun animale, unica consolazione le viste in lontananza della città, un contrasto forte con quanto occorso nel mese fin qui trascorso dove l’urbanizzazione a contatto della natura non era mai comparsa. Lasciamo il pick-up nel parcheggio della reception e a piedi raggiungiamo la Stengel Dam lungo il Wag’n Bietje Trail e qui animali ne incontriamo, soprattutto le guardinghe antilopi alcine, l’emblema del parco. Indicazioni vere e proprie non se ne incontrano ma è sufficiente seguire il percorso del fiume ed oltrepassato un cimitero in pessimo stato (e di conseguenza dal fascino da antichi pionieri) si giunge dopo circa 3km alla diga, ora un manufatto in cemento armato a fermare il nulla visto che di acqua non c’è traccia. Si muovono nel fondo del lago artificiale facoceri, gnu blu una solitaria giraffa ed anche un enorme uccello con un becco gigantesco che dopo averci osservato a lungo prende la via dell’aria e sfruttando le forti correnti ascensionali in poco tempo diventa un minuscolo punto nel nulla per scendere come un forsennato 10’ dopo. Rientriamo al camp per rilassarci un attimo nella grande piscina che fa da cornice pure al bar ed al ristorante, piena di villeggianti in larga parte in uscita giornaliera da Windhoek, ma proprio in questo momento la pioggia si abbatte su di noi e dobbiamo rimanere nel pick-up per proteggerci anche perché i custodi espellono tutti dall’acqua e dal bordo vasca. Ritorniamo così alla nostra piazzola al momento presidiata da una coppia di struzzi che non temono minimamente la presenza umana e rimangono a mangiare a loro piacimento. Approntiamo la cena con un po’ di vento che si alza, il camp è zona di festa per i giovani che arrivano dalla città così qualche schiamazzo accende la notte mentre di animali che vagano al buio se ne scorgono a decine, nessuno dei quali disturba, però la presenza dei custodi è costante e continua. Percorsi 305km, in larga parte su asfalto oppure su sterrato in ottime condizioni.
30° giorno
Ultima colazione da campo, poi sistemato adeguatamente tutto l’armamentario in dotazione rientriamo a Windhoek per consegnare il pick-up facendo rifornimento a poca distanza dalla sede della Camping Car Hire. Essendo domenica ci era stato chiesto di presentarci ad un orario ben definito (9:30) perché non sempre operativi, il traffico ci aiuta perché la città è ancora addormentata. Ci aspettiamo una verifica meticolosa sia del mezzo sia delle dotazioni, in realtà segnalate alcune problematiche tipo l’aggancio della ruota di scorta interna che ha ceduto, un segno sul vetro anteriore, gli ugelli dei tergicristalli bloccati ed una lampada da esterno che ha smesso di funzionare, lavano il mezzo e molto sbrigativamente ci dicono che è tutto a posto, non c’è nulla da integrare e prontamente ci riportano in hotel, il medesimo di quando sbarcammo in Namibia, Uhland, prenotato al momento della partenza ma ora con meno frequentazione poiché il periodo di ferie interno (sia per Namibia sia per Sudafrica) è al termine. Lasciamo immediatamente l’hotel per girarci il centro della capitale, visitando a lungo il Namibia Crafts Centre dove si trovano souvenir e manufatti artigianali di pregevoli lavorazioni a prezzi umani, molto più che nei tanti negozi attigui. Ovunque è possibile pagare con carta di credito, anche nelle piccole botteghe che nemmeno hanno il pos, ne esiste uno collettivo dove i venditori registrano l’operazione effettuata così da soddisfare le esigenze dei viaggiatori che solitamente passano da qui al termine del percorso con contante prossimo allo zero, un ottimo servizio che immancabilmente porta a qualche acquisto in più. La città non rappresenta uno spaccato storico, c’è poco da osservare sotto quel punto di vista, considerato che di domenica tutto è chiuso e di conseguenza i musei non sono visitabili, rimangono altri mercati spartani tipo quello lungo Indipendence Av, tra Fidel Castro street e Sam Nujoma dr, tipicamente made in Zimbabwe. Nota da tenere in considerazione per muoversi in città, mentre le vecchie guide LP sono molto più approfondite, meglio utilizzare la più recente a Windhoek perché nel corso degli ultimi 10 anni è cambiata la toponomastica cittadina. Termino gli ultimi spiccioli in un Dorango’s dove le inservienti gentilmente mi predispongono un menù adatto a quanto rimastomi (35$, che nemmeno avevo ma che mi hanno servito ugualmente). Rientrati in hotel l’idea sarebbe di sfruttare la piccola piscina a disposizione ma anche questo tardo pomeriggio è contraddistinto da cumuli nuvolosi importanti che scaricano una fitta pioggia anche se per poco tempo con un vento che però non ne vuole sapere di lasciare l’area, siamo pur sempre in estate ma a quota 1.700m e quando il sole saluta la compagnia ed il vento fischia non è così ideale rimanere in piscina. Non è poi nemmeno una brutta idea accelerare i tempi per la cena viste le abitudini di qui (per uno spagnolo cenare sarebbe impossibile, quando va di merenda qui si cena…), testiamo la cucina dell’hotel (90$) che propone diverse qualità di game, giraffa, kudu, eland e zebra, testiamo un mix dove a mio giudizio l’eland prevale su tutto. Percorsi 24km, un totale di viaggio di 8.341km, con una spesa indicativa di circa 1.000€ in benzina.
31° giorno
Corposa colazione in hotel, puntualissimi quelli della Camping Car Hire ci prelevano e ci accompagnano all’aeroporto internazionale, fila al check-in breve, bagaglio spedito a destinazione ma carte d’imbarco solo per il primo volo con South Africa, dovremo ritirare quelle a seguire nella zona transfert di Johannesburg. Volo in ritardo di 30’, ritardo mantenuto fino a destinazione dove la coda per entrare è molto più lunga che all’andata ed occorre sprecare ulteriore spazio sul passaporto per l’ennesimo timbro di transito. Abbiamo un’attesa di quasi 5h e non è possibile ritirare ora le carte d’imbarco successive, così entriamo nelle parti comuni dell’aeroporto per far passare il tempo curiosando tra negozi e bar, notando come i diamanti si vendano con una facilità esemplare, dobbiamo passare al contrario l’ingresso per tornare alla zona transfert senza nessun controllo, il check-in apre 3h prima del decollo, qui non c’è nessuno quindi in un attimo abbiamo le nostre carte d’imbarco per Parigi e Bologna. Partiamo puntuali di nuovo con un A380, procedure d’imbarco lente dettata anche dal fatto che caricare oltre 500 persone non sia proprio uno scherzo, ma nulla in confronto a quanto vanno incontro i passeggeri del gate al nostro fianco per un volo Dakar-Washington, le restrizioni per gli USA costringono pure i viaggiatori con destinazione Dakar a tempi infiniti. Il volo decolla in perfetto orario, appena staccati da terra è momento di snack, poi passa un po’ di tempo per la cena (dove uno Stewart vuole proporre a tutti il piatto del pesce in maniera spassosissima perché ha terminato la carne) ed immediatamente a seguire le luci si spengono per accompagnare chi vuole nel tentativo di dormire. Gli spazi di AirFrance in economy non sono certo comodi per le persone di statura medio-grande, ma questo è quanto.
32° giorno
Dopo di un volo regolare di 9:35 atterriamo con 15’ di anticipo in una Parigi in subbuglio causa i molteplici attentati avvenuti, tra la sede del giornale Charlie Hebdo ed il supermercato kosher, ci aspettiamo controlli lunghi e meticolosi, perdita di tempo a iosa ed invece nulla di tutto questo, così abbiamo pure tempo di muoverci dal terminal 2C al 2F (10/15’) senza correre e potendo sfruttare per 20’ i pc a disposizione dei viaggiatori con una veloce registrazione, che va fatta pure per connettersi al wi-fi dell’aeroporto. Il volo per Bologna parte con 10’ di ritardo e pare di salire su di un moscerino a confronto del gigantesco aereo utilizzato in precedenza, i 10’ vengono recuperati ed atterriamo in perfetto orario, operazioni di sbarco e recupero bagagli veloci e così dopo un mese rientro nel freddo gennaio bolognese cercando di scartare auto ed autobus invece di giraffe ed elefanti, un fascino un attimo differente…
2 note di commento
Il viaggio si è svolto tra dicembre e gennaio, estate australe, caldo ma stagione delle piogge lontana, anche dal Caprivi. Tutti i costi riportati sono da intendersi a persona quando non specificato. In Namibia servivano indicativamente 13 $ per un €, possono essere usati anche Rand Sudafricani parificati al $ namibiano. I Bancomat (ATM) sono praticamente ovunque, ma meglio servirsi a quelli della Standard Bank che permette prelievi fino a 4.000$ a differenza delle altre che limitano il prelievo a 2.000$. Il contante si può utilizzare di rado ma sovente è l’unica maniera per pagare il carburante, fonte primaria di spesa.
I cellulari hanno copertura ma occorre tener conto che spesso si è in luoghi isolati, per le escursioni più ardite coi mezzi possono essere affittati anche i telefoni satellitari. Il wi-fi si trova quasi ovunque, tranne presso i campeggi della NWR, posti genericamente nei luoghi più strategici all’interno dei parchi, soste quindi non rinunciabili. La lingua ufficiale è l’inglese ma anche il tedesco è particolarmente diffuso. Con questi 2 idiomi si è autosufficienti tranne quando si va a contatto con alcune minoranze etniche tipo quelle degli himba, dove una guida locale è in pratica un obbligo. Il cibo non è un problema, per chi ama la carne c’è da sbizzarrirsi nel testare i vari tipi di game, qualsiasi strano animale si veda è servito nei ristoranti, per fare campeggio e prepararsi i pasti in autonomia meglio prenderseli pronti da casa, la qualità del cibo in scatola non è alta, stessa cosa per zuppe, verdure, formaggi, mentre il pane non è mai un problema come la pasta e carne&legna per il braai, il loro barbecue. Per entrare basta il passaporto ed uno spazio per un timbro, niente visto. Per viaggiare in lungo e largo abbiamo affittato un pick-up dalla compagnia Camping Car Hire, il tutto comodamente via mail da casa. Il pick-up è fornito completo di tutto quanto necessiti per campeggiare, tenda richiudibile sul tetto, cassone furgonato con frigo, tavola, sedie, taniche per benzina ed acqua, tovaglia, stoviglie, posate, tagliere, bombole del gas, fornello, griglia, filo per stendere e mollette, materiale per detergere e lavare, termos, lampada, vanga, accetta, compressore con manometro, 2 gomme di scorta, asciugamani, sacchi a pelo, materasso e cuscini (che possono essere comodamente richiusi con la tenda), ricambi per motore, crick ed asse di appoggio per sabbia, cinghia di traino, prese di alimentazioni sempre funzionanti nel cassone, insomma tutto quanto uno possa solo immaginare per starsene in autonomia tra deserto e savana. A questo abbiamo aggiunto le mappe dell’InfoMap, la bussola (fidatevi, lasciate perdere le diavolerie da smartphone, in molti casi non vi sognereste mai di estrarlo dalle protezioni per usarlo nel mezzo di tempeste di sabbia che tutto invadono anche all’interno del mezzo…) e la mappa delle pozze dell’Etosha, decisiva per comprendere e distinguere cosa e quando vedere. I campeggi sono ovunque, solitamente ben indicati e sempre splendidi, dato il periodo di vacanze interne abbiamo prenotato in anticipo a Sesriem e all’Etosha, per il resto mai nessun problema anche arrivando di sera. Sulle strade i limiti sono, 120 su asfalto (vie indicate con la lettera B), 80 su sterrato (indicate con lettere C e D, anche P in alcuni casi ma quelle non sono strade..) e 60 in città. L’asfalto è solo tra le città principali, si passano giorni sempre e solo su sterrato, polvere a iosa. I controlli della polizia sono all’entrata ed all’uscita delle città e dei villaggi, ma a parte nelle zone limitrofe al problematico confine con l’Angola i turisti non vengono mai fermati. Nel Caprivi i controlli avvengono più per disinfestazione che altro. Il passaggio nella red line, a nord della capitale, prevede il controllo sanitario per quanto si porta al seguito, non sarebbero ammessi i cibi, carne e formaggio, ma anche qui i controlli ai turisti non esistono. A nord della red line l’allevamento è di sussistenza, non esistono steccati e gli animali possono vagare ovunque, compresi elefanti…, quindi serve prestare una certa attenzione sulle strade pure dove il traffico è limitato, gli animali non possono essere macellati a scopo di vendita, questa la grande differenza tra sud e nord. A sud della red line, che corrisponde alla grande area gestita dai bianchi presso enormi fattorie, le strade sono delimitate dalle staccionate (fence), se mancano viene specificato. Qui ovviamente gli allevamenti sono intensivi, e presso le fattorie si trova alloggio in campeggi con poche persone ma sempre ben tenuti.
Visto che i pick-up noleggiati hanno sì grandi serbatoi (il nostro Nissan portava 80 litri) ma consumano parecchio (media di 6km con un litro di benzina), lasciate le arterie principali è sempre meglio avere le taniche di scorta piene, accertandosi che l’idoneo imbuto per il rabbocco sia in dotazione. La benzina, più economica del gasolio, costa da 10,8 a 12,2$ al litro, secondo dove ci si trovi. La copertura assicurativa permette di andare ovunque, compreso SudAfrica e Botwsana, con lettera di accompagnamento anche Zambia e Zimbabwe, ovviamente non in Angola e nemmeno Mozambico. Ma la parte del Kaokoland ad ovest delle Epupa Falls e l’attraversamento del sabbiosissimo Khaudum sono a proprio rischio e pericolo (nessuna copertura assicurativa e di soccorso), Khaudum che è transitabile autonomamente solo se si entra con almeno 2 mezzi. Nell’estate australe la differenza di fuso tra Italia e Namibia è di una sola ora in avanti.
E per finire ringraziamenti a :
Bosforo – non solo per le info, le mappe, le indicazioni, i contatti sul posto, ma soprattutto per l’idea e lo sviluppo da dare al viaggio
Zio Cinti – per le preziose info ed il supporto tecnologico messo a disposizione
Silvia – per avermi trasmetto la “namibiade”, non solo per immagini e luoghi comuni, ma con emozioni e slanci rivelatesi reali ed esaltati. Namibiade, malattia difficile da curare purtroppo…
E infine a colui che puntualmente ogni volta che parto e ritorno da qualsiasi luogo, neve, sole, vento o tempesta si fa sempre trovare puntuale all’appuntamento, mio padre.