top of page

Papua Nuova Guinea


1° giorno

A Bologna il check-in è possibile per i bagagli fino a Port Moresby, capitale della Papua Nuova Guinea (da qui PNG, i locali la chiamano Papua Nuigini), non per la nostra meta finale, Tari. Per i passeggeri invece carta d’imbarco fino a Singapore, da lì faremo quella per Port Moresby, a seguire quella finale per Tari. Il volo Emirates (conviene comprare da loro il pacchetto comprensivo di quello Air Niugini, compagnia di bandiere tra le pochissime internazionali per poter entrare, nel caso di problemi eviterà tanti guai, poco male i circa 100€ in più) per Dubai di 4.487km dura 5:30 ed è puntuale. Servizio di bordo buono ma niente kit confort, una volta atterrati entriamo direttamente in aeroporto risparmiandoci i “soliti” 20’ di bus. I controlli sono veloci e nell’attesa approfittiamo del wi-fi gratuito con la sola richiesta della registrazione. Nemmeno 3 ore di attesa, tempo per un veloce giro in aeroporto ed è già tempo d’imbarco ancora su di un Boeing 777 destinazione Brisbane con stop a Singapore.


Tramonto dal Wewak Point


2° giorno

Il volo di 5.265km dura 7h, puntuale e con buon servizio di bordo anche se pure questa volta, nonostante sia notte non siamo dotati del kit confort, coperta quella sì, che si rivela sempre utile in seguito. Una volta passati i controlli veloci come la verifica del passaporto, usciamo per una veloce visita al piccolo stato asiatico, dove proviamo ad assorbire la prima parte del fuso orario, 6 ore. In taxi (25$ di Singapore, circa 17€) in 20’ siamo ai Gardens by the Bay per una veloce visita senza entrare nei singoli padiglioni. Fa un caldo afoso che in confronto la fin lì terribile estate bolognese pare una brezza, ma il posto è bello e merita la visita. Per chi rammenta l’albero della vita dell’Expo di Milano qui c’è da perdersi coi tanti che se ne incontrano, visto che qui son stati “impiantati” prima che da noi facile capire da dove venisse l’idea. Il celebre grattacielo triplo di Marina Bay sovrastato da una struttura a forma di barca è proprio alle nostre spalle, dopo aver visitato i Gardens (c’è un percorso in quota che sembra interessante, ma c’è fila e desistiamo per questioni di tempo) prendiamo la sopraelevata per entrare nel centro commerciale decisamente kitsch con tanto di finto canale e gondole in stile Venezia. Uscendo (per chi ha manie compulsive di shopping sarà ardua impresa) si arriva alla celebre vista di Singapore sulla Marina Bay e lo skyline della città coi celebri grattacieli, tutto artificiale ma dal grande impatto. La sosta di 8h, i tempi corti nei trasferimenti e nei controlli ci permettono di girarci tutta la baia dove fa bella mostra di se il Museo delle Arti e delle Scienze a forma di fiore, non lontano da una gigantesca tribuna permanente utilizzata per il Gran Premio cittadino di F1. Da Clifton Square in taxi rientriamo in aeroporto spendendo perfino meno (20$ x 20’) dove al check-in di Air Niugini recuperiamo la carta d’imbarco nel deserto totale. Per entrare in PNG non ci sono molte opzioni, oltre ad Air Nuigini è fattibile con Quantas passando dall’Australia (allungando così un volo già molto lungo) o con Philippine Airlines (ma anche in questo caso le scelte non sono comode), in ogni caso l’ultimo volo intercontinentale praticamente senza concorrenza ha prezzi esorbitanti, ma come vedremo poche richieste come il deserto al check-in aveva ben evidenziato. Controlli di nuovo velocissimi e poi con un Boeing 767-300 partiamo per l’Oceania in un aereo per metà vuoto. La cena ci viene servita quasi subito ed è di buona qualità, poi le luci si abbassano e si tenta di dormire, qui a disposizione ci sono molti meno ammennicoli rispetto ai voli precedenti, fondamentale la coperta perché la temperatura precipita.


Singapore, Marina Bay


3° giorno

La sveglia coincide con una semplice colazione, dopo 6:30 di volo atterriamo puntuali all’aeroporto Jackson di Port Moresby, capitale della PNG, le pratiche al controllo passaporto sono lente non tanto perché devono verificare chissà cosa ma poiché per i non residenti si accede solo a 2 sportelli e a volte un addetto deve pure andare via per pratiche diverse. Viene apposto il visto senza più dover pagare come indicato fino a pochi mesi prima, il ritiro bagagli è immediato perché già scaricati dal nastro, quindi usciamo senza più nessun controllo. Prima di uscire meglio passare dall’ufficio cambio valuta dove ci accorgiamo immediatamente che le indicazioni ufficiali abbiano ben poca valenza. Ma se si prosegue verso le Highlands le opportunità di cambiare sono limitate. Dobbiamo recarci nella parte dei voli nazionali, circa 200 metri di distanza da percorrere all’esterno, non ci sono collegamenti tra le due ali dell’aeroporto. Il caldo e l’umidità si fanno già sentire di mattina, varcato il controllo bagagli ai raggi X entriamo nell’area dei check-in proprio quando quello del nostro volo sta aprendo. Confusione varia, i bagagli da imbarcare sono attentamente pesati, nel caso oltrepassino i 5kg occorre pagare un bonus per ogni kg che non vi so dire, quelli a mano non vengono né pesati né controllati, quindi nel caso si può andare di travaso (16kg sono tanti, noi avevamo però parecchie cose al seguito richieste dalle guide). Passato il controllo si entra nella piccola area dei gate, con giusto un piccolo bar che vanta un wi-fi protetto, la password mi è stata gentilmente fornita da un addetto al controllo bagagli. Attendiamo ora il volo Air Niugini destinazione Tari, viene annunciato a voce e a piedi sotto ad una passerella ci inoltriamo tra gli aerei parcheggiati fino al nostro fiammante piccolo aereo, decorato da molteplici riparazioni con nastro americano e nell’aria odori tremendi di gente che alla voce doccia sentenzia “ripasso” da anni. La durata del volo è di 1:30, ovviamente non è servito nulla, acqua che piove dalle cappelliere, ma non proprio potabile e di difficile reperibilità per abbeverarsi. L’aeroporto di Tari ha pista asfaltata ma in pratica nessuna costruzione dove far tappa, si recuperano i bagagli da dietro una rete per poi entrare in una sorta di parcheggio non accessibile ai più in cui dovremmo incontrare la nostra guida, Raphael “Siwi” Kogun, col quale avevamo in precedenza definito il percorso nelle Highlands. Non c’è traccia di Siwi, si palesa però tale Tonny dicendo che è qui in sue veci poiché la strada da Mt. Hagen è bloccata e non ha potuto trovare la possibilità di arrivare. Saliamo con lui in una jeep coi vetri interamente protetti da grosse grate di ferro e vetri oscurati o in plastica, e già la cosa non mette tranquillità, per sapere che non soggiorneremo a Tari ma nelle vicinanze, presso il Lakwanda GH & Cultural Show nei dintorni di Hedemari (trattiamo 40k al giorno compresi pasti), circa 25 km da qui. La strada inizia con asfalto ma ben presto diventa sterrata, passiamo lungo un percorso sempre pieno di gente con simpatici machete e capanne, ma veri e propri villaggi mai. Oltrepassato il Tagari River sull’unico ponte dell’area le presenze calano e passate la Primary School la Catholic Church incontriamo un sentiero per la GH. In pessime condizioni arriviamo fino al portone d’ingresso, da lì si sale a piedi nel fango a quello che rappresenta il fulcro di Hedemari, baracche di legno che fanno da unico luogo di soggiorno della zona, dislocate tra sentieri di fango, il tutto dotato di un’unica toilette con acqua corrente (quando viene aperto il rubinetto centrale, a fianco della grande botte verde, da rammentare) ed una rudimentale doccia solo fredda, e qui di sera/notte fa freddo. Non c’è un lavandino che sia uno, ma una cucina comune ed una sala comune sì, dove la guida ci esporrà i primi problemi del viaggio. Raphael non c’è, forse arriva, ma anche no, vediamo, mah…? Comunque Tonny è il suo referente in area, e non solo di Raphael, a parte Thomas che è il proprietario del Lakwanda, chiunque voglia avventurarsi tra gli Huli comprenderemo in seguito, passa da Tonny. Il problema è che avevamo trattato un prezzo per tutte le Highlands con Raphael, ora occorre anticipare una parte di soldi a Tonny che ne è completamente sprovvisto, ma capire quale sia la cifra corretta è impossibile. Qualche volta il telefono di Tonny funziona e riusciamo a parlare con Raphael, il quale dice di anticipare una cifra risibile, nei conteggi che dobbiamo rivedere con Tonny non basterebbe a visitare nulla, e così dopo un summit decidiamo di affidarci a Tonny per questi giorni ridiscutendo l’intero programma, contrattando ogni singola visita. Tonny parla un buon inglese ed in effetti conosce tutto dell’area, questo lo fa divenire il riferimento di tutto quanto passi da qui, ma la fatica nell’organizzarci è notevole, iniziando dal dover capire cosa mangiare perché al momento non abbiamo nulla. Così dopo 2 giorni e mezzo di viaggio l’idea di riposarsi (ma viste stanze e bagni passerebbe in ogni caso) andiamo lungo la strada per provvedere ai primi basici acquisti. Hedemari è un insieme di capanne all’interno della strada sulla quale misere baracche di ondulato funzionano da negozi dove recuperare riso, acqua, gallette, cibo in scatola, qualche verdura e frutta, ma non pensiate a mille frutti che i luoghi esotici offrono solitamente. Primi misurati anticipi di denaro per acquisti che Tonny svolge in più posti, per dare qualcosa a tutti ed avere buoni rapporti in una zona dove i rapporti sono fondamentali e sovente non finiscono da un giudice di pace…Per info, una bottiglia d’acqua da 0,6l costa 4k, di birra qui non troverete traccia come di qualsiasi alcolico, nel caso provvedete col largo anticipo. Come previsto, di pomeriggio piove intensamente, il sentiero per rientrare diventa un ruscello, scarpe impermeabili e con suola dalla presa solida sono basilari, anche se spesso non sufficienti. Rientriamo per fare un punto vero e proprio della situazione immediata e futura, ma qualcosa di definitivo qui è e sarà impossibile, occorre navigare a vista ed essere pronti a cambiare piani alla velocità della luce contrattando ogni singola cosa. Una doccia fredda al buio (il generatore parte quando il sole è già calato, ma dobbiamo già essere a cena, rimane operativo fino alle 21:30-22 ma a quel punto fa molto freddo) per una cena con riso colloso, verdura insapore e carne in scatola che invidia il Chappy da cani non è poi così male, un po’ di ananas ridà vigore al tutto, mentre dobbiamo definire il programma dell’indomani, visita per visita costo per costo. Un polacco-canadese in viaggio da giorni in PNG ci segnala le difficoltà del momento date dal post elezioni, sconsigliandoci fortemente di andare a Mt Hagen via terra, c’è l’opzione di farlo via aereo con MAF, compagnia missionaria operante nel luogo. Ma il tutto si fa solo di persona a Tari e nulla sarà sicuro fin quando non toccheremo terra all’arrivo. Se il buongiorno si vede dal mattino, non sarà un viaggio semplice. Come anticipato alle 21:30 il generato si arresta, siamo nel buio più totale dove occorre avere sempre a portata di mano una potente lampada facciale, di positivo c’è che spento quello il silenzio è totale. I letti sono dotati di materasso, non spesso ma sufficiente, lenzuola ed una singola coperta, potrebbe non essere abbastanza.


Hedemari, Huli Wigmen pronti per il singsing


4° giorno

Colazione ore 7:30 preparata da Tonny con uova poi con un mezzo privato, la solita jeep del giorno precedente con alla guida sempre lo stesso personaggio (ci chiede per il viaggio 100k), torniamo a Tari per cambiare altra valuta. Raphael ci aveva detto che accettava € o $, in realtà non lo farà, ma qui si può pagare solo in kina, per questo dobbiamo procurarcene un certo importo, fattibile solo a Tari. Ci sono vari ATM, ma è prelevabile una cifra risibile, l’addetto al cambio lavora dentro ad una specie di sarcofago separato da tutto, per la procedura impieghiamo oltre un’ora con la polizia che ci scorta passo passo nel cortile chiuso e presidiato, in strada passa di tutto, comprese più persone che se ne vanno con un maiale al guinzaglio. Data per persa la mattinata andiamo anche alla MAF dove ci prenotiamo (ovvero scriviamo su di un pezzo di carta i nostri nomi) per un giorno a seguire, via telefono (quello di Tonny) ci sapranno dire giorno esatto ed orario. Il costo del volo è di 500k, molto più alto di un viaggio con auto privata, ma dovendo aggiungere la scorta e l’incertezza della fattività, quasi un affare. Un salto al mercato dove c’è imposto di non scendere per motivi di sicurezza, nel frattempo assistiamo ad un arresto della polizia nei confronti di un presunto ladro con folla inferocita che lo segue fino al posto di sicurezza, poi con ulteriori generi alimentari rientriamo a Hedemari dopo più soste lungo il percorso senza però che ci vendano quanto richiesto. Tonny ne approfitta per prepararci un veloce e pessimo pranzo e definire di nuovo il programma essendoci già dei problemi in atto, tipo il costo della GH paventato era al giorno e non per tutti i giorni…un nostro fermo no fa tornare tutto nella norma, ma segnala come ogni singola cosa sarà sempre messa in discussione. Rientriamo sempre col mezzo a disposizione, l’autista ci chiede altre 100k, qui ci impuntiamo, ne nasce una disquisizione non da poco, alla fine del litigio durato tutto il viaggio l’autista ci manda a quel paese e stizzito non vuole nemmeno i 100k pattuiti ad inizio trattativa. Oggi dovremmo andare ad un vicino villaggio per il singsing degli Huli, ma piove e quindi vengono loro da noi. In realtà sono gli addetti alla GH che si preparano alla recita (350k), interessante vederli mentre si colorano viso e corpo, anche se s’insinua il sospetto di essere ad un carnevale in luogo quasi inaccessibile e non di fronte ad una comunità che vive in quel modo. Gli Huli sono una delle oltre 800 tribù della PNG, divisi in 3 gruppi diversi, sono una delle tribù più “difficili”, forse anche per il luogo ancora remoto e difficilmente accessibile, a Tari si giunge solo via aereo o al termine della Highland Highway, in pessime condizioni, quando percorribile. Come colorazioni sono effettivamente di forte impatto, magari se si ricordassero di togliere ammennicoli moderni mentre svolgono il singsing (la danza tribale che li rappresenta con urlo compreso) anche meglio. Gli Huli sono celebri per i loro copricapi fatti coi capelli cresciuti in gioventù, tagliati per formare preziosissimi copricapi nei quali vengono messe le piume del Bird Of Paradise, l’uccello simbolo della nazione. Ma queste parrucche naturali sono decorate pure con terra, arbusti e rami, grandi ed impegnative da portare, un vero simbolo per ogni guerriero Huli. Lo spettacolo si volge sotto la tettoia della GH poiché la pioggia non ci lascia utilizzare la radura nel bosco, piovendo forte i colori sarebbero spazzati via. Finito il veloce spettacolo c’è possibilità di interloquire con loro passando però tramite Tonny visto che nessuno parla inglese, lingua nazionale ma studiata solo da chi va a scuola, e qui un po’ per un discorso di età, di lavoro e di problematiche logistiche (la primary school è sorta da nemmeno 10 anni) in tanti non lo parlano. C’è chi riesce a strapparne una compresa di piume per 800k, la cifra è impegnativa, ma per un oggetto che se non si può definire unico, raro certo che sì. Sarà per la lingua non comune, per la non consuetudine ad avere ospiti o per il fatto che devono tornare alle normali occupazioni nella GH o nei loro campi, nel giro di breve lo spettacolo Huli termina, così ne approfittò per una doccia fredda ma non al freddo della sera, poi anticipiamo la cena alle 18:30 per comodità di Tonny. In quel frangente giunge in GH un gruppo d’italiani proveniente da Mt Hagen, i quali ci confermano le difficoltà dello spostamento, 13h con interminabili soste, litigi tra polizie provinciali con armi in pugno e brandite, il costo di 700k per il mezzo ed ulteriori 2000k per la scorta, cifra che dovrebbe essere ripartita tra le varie polizie, da non consegnare in toto alla prima altrimenti le seguenti non ne vedranno che minuzie, ma poi occorre che la prima accetti questo metodo. Lo spostamento in PMV è fattibile, ma a quel punto non è certo l’arrivo in giornata e capire dove passare l’eventuale notte diventa un grosso problema. Ci convinciamo sempre di più allo spostamento in aereo, in attesa che dalla MAF ci facciano sapere qualcosa, mentre il polacco-canadese ha avuto conferma del volo. E’ in viaggio da solo e si nota, appena trova qualcuno inizia a parlare a non finire raccontando di tutto e di più, alla fine devo però ammettere che molto di quello narrato corrisponde al vero, dandoci anche ulteriori utili consigli per mete a seguire. Riprende a piovere anche di sera, in un pantano totale raggiungo la stamberga dove dormo, silenzio di tomba.


Hedemari, presso il villaggio delle vedove


5° giorno

Colazione con pancake che potrebbero uccidere un elefante, poi riprendiamo il pessimo sentiero interno e questa mattina ci muoviamo a piedi lungo la Highway. Incontriamo al solito molte persone curiose di incontrarci e tutte presissime nel farsi fotografare con noi, la prima meta è il villaggio delle vedove, luogo dove volontariamente si chiudono appunto le vedove (widow village, 200k x la visita). Si cospargono corpo e capelli di bianco, la visione una volta fatti accedere allo spiazzo d’accoglienza è forte, paiono fantasmi nella giungla. Ovviamente non parlano inglese e per dialogare Tonny è fondamentale, veniamo edotti dalle vecchie usanze come quella dell’urna funeraria che era lasciata almeno 6 mesi col corpo del defunto sopra ad un trespolo, cosa non più permessa al giorno d’oggi anche per ragioni d’inquinamento delle falde acquifere. Non c’è costrizione nel dover andare in questo villaggio al momento della vedovanza, ma è una sorta di rifugio dal quale si può uscire, anche se nei casi in cui avviene passano svariati anni. Salutiamo le vedove tagliano per i campi rialzati coltivai a patate dolci, rialzati per creare fossi di scolo altrimenti le copiose piogge spazzerebbero via le coltivazioni. Ritorniamo sulla via maestra e scendiamo verso il ponte sul Tagari River, incrociamo alcune abitazioni cinte da alte sponde di terra, alcune completamente estirpate. Significa che c’è appena stato un morto in famiglia, tutte la vegetazione viene estirpata per alimentare il fuoco attorno al quale si ritrovano i parenti, in alcuni casi si può parlare con le genti in altri meglio di no. Da notare come le tombe siano le uniche costruzioni in mattoni a differenza delle case, sempre di legno o lamiera. Dopo 1:30 arriviamo al ponte, attraversato prendiamo un sentiero solo pedonale per inoltrarci nella giungla, che denominarlo il paradiso del fango non rende ancora l’idea. Di non facile accesso nella prima parte, costeggiato da assi divisori di legno che servono pure per appoggiarsi, lasciata la prima parte ci inerpichiamo salendo nella montagna alla ricerca degli uomini che devono diventare appunto uomini, per il periodo formativo che porta al bachelor (300k). Non possiamo visitare il luogo esatto dove soggiornano o a loro dire studiano per apprendere i fondamenti della vita, ma ne incontriamo alcuni assieme al maestro di cerimonia presso una pozza che serve per alcuni rituali. Vi sono siano giovani al primo passaggio ma anche anziani che prendono moglie per una volta in più, la particolarità che salta agli occhi è data dai giovani che vanno formando la parrucca con propri capelli che in futuro sarà utilizzata, arricchendola di svariati addobbi, per ogni evento importante della vita di questa remota provincia. Rientriamo al ponte, chi non scivola nel fango può esultare, mentre attendiamo un PMV per rientrare iniziamo a familiarizzare coi locali notando la principale usanza di qui, masticare noce di betel, assieme ad una polvere bianca che è recuperata dai sacchettini in cui è venduta da un rametto. Il risultato porta ad avere i lati delle strade cosparsi dagli involucri delle noci e dal rosso che la noce così trattata produce, perché una volta ingerita il succo viene sputato per terra da tutti, da qui i percorsi rossi che si trovano, ahimè, ovunque. Saliamo su di un comodo PMV (2k) nell’ilarità dei più per far tappa a nord del lodge presso il luogo in cui anziani esperti procedono alla manutenzione delle parrucche, wig maintenance (150k). Ci si arriva aggirando una chiesa adibita pure a magazzino tagliano per i campi, visita veloce poiché da vedere non c’è molto. Rientriamo lungo la highway per accedere ad un villaggio dove si sta svolgendo un singsing huli molto frequentato, poiché i visitatori in larga parte italiani sono tanti, e di conseguenza lo sono anche i locali che vi si esibiscono. Proprio qui al termine di questa manifestazione abbiamo appuntamento col Fortun Teller locale (200k), una specie d’indovino, sollevando uno strumento di legno comprendente pure alcuni teschi dipinti, potrà dire se una cosa andrà per il sì o per il no. Se sollevando l’aggeggio sente dolore è sì, se non lo sente è no. La profezia costa 30k, per cose complesse si esprime ma per costi più elevati, nessuno di noi prova l’effetto parendo il tutto una baracconata. C’è da dire che questi credi ed usanze sono in forte diminuzione pure in quest’area che rimane una delle più remote della PNG, il sopraggiungere della scuola ha portato i giovani a non rifugiarsi in queste credenze e molte di queste “istituzioni” come pure le case degli spiriti stanno lasciando spazio al nuovo. In 30’ a piedi, sotto un sole che al solo apparire cuoce la pelle, rientriamo al lodge, Tonny vuole predisporci il pranzo in ogni caso, visto l’orario delle 15 quasi pranzo e cena si accavallano. A seguire tempo per una ritemprante doccia fredda, oggi ci sta, dopo tempo per definire il programma dei giorni seguenti che va adattato momento per momento durante il solito acquazzone pomeridiano e verso le 18:30 occorre già essere a cena, oggi inaugurata da una zuppa di fagioli che pare squisita, poi arriverà il solito kit semicommestibile. Nel lodge iniziamo ad essere in tanti, si è aggiunto un secondo gruppo d’italiani, uno di francesi ed una ragazza giapponese che gira solitaria, che per l’occasione si è tinta i capelli come fosse pure lei una huli. Ci scambiamo un po’ d’info apprendendo nuovamente i problemi nei trasferimenti e momenti di tensione che generano in battaglie vere e proprie tra la popolazione. Alle 21:30 l’energia elettrica viene tagliata ed è meglio essere sotto le coperte per una nuova notte fresca.


Hedemari, gli Huli wigmen si preparano per lo spettacolo


6° giorno

La colazione ci accoglie dopo una notte intera di pioggia, espletata la quale con un PMV (5k, 1h) ci rechiamo a Tari per pagare il volo MAF che il giorno prima ci è stato confermato, Tari-Mt Hagen. Andare all’hangar e pagare è l’unico modo per avere il passaggio, versiamo i 500k e riceviamo un biglietto vero e proprio, stupendocene, ci congediamo con un orario vago per l’indomani. In città c’è chi deve predisporre un nuovo passaggio all’ATM, un giro al mercato lo facciamo sorvegliati a vista da Tonny mentre assistiamo ancora ad arresti di ceffi locali, poi finalmente arriva un PMV che sale verso Hedemari rifinendo nella confusione del viaggio di andata. Parlando con un locale chiedendo perché quello schieramento dell’esercito, popolazione infuriata, machete che vorticavano a più non posso, ero stato edotto dei disturbi accaduti nella notte, case bruciate, persona sgozzata e così via, al rientro non cambia di molto la situazione, per passare senza problemi il metodo è semplice, tirar dritto a velocità sostenuta, se qualcuno male intenzionato intende prendersela coi passeggeri e col mezzo sarà steso dal mezzo, mi pare una situazione alla fin dei conti di semplice lettura. Tutti felicissimi di averci con sé ci tranquillizzano, se ci fossero scontri sarebbero fra tribù locali, non verso gli stranieri. Scendiamo oltre il lodge per la visita alle Skulls Cave (200k), essendo grotte ovviamente nascoste tra le montagne raggiungibili attraversando campi coltivati e piccola parte boschiva che causa pioggia della notte ci riporta all’ormai familiare fango. Queste grotte furono uno dei primi luoghi abitati dalle genti del posto, poi un po’ alla volta abbandonate lasciarono spazio a manifestazioni tradizionali, come appunto quella della conservazione dei teschi dei sacerdoti del culto. Ogni teschio è dipinto e rappresenta il passaggio da un sacerdote all’altro, le grotte sono visitabili solo in minima parte, di locali ormai pare ne passino pochi, ci si dedica ad altro. Rientriamo al lodge sempre a piedi per un veloce pranzo, a seguire sperando che la pioggia ci risparmi il primo pomeriggio nello spiazzo attiguo ci attendono i singsing del sole e della notte che vorrebbero farci pagare separatamente 150k cadauno mentre si svolgono in contemporanea. A parte i colori ed i costumi la danza non dice nulla, su richiesta di uno di noi avviene anche la danza d’iniziazione delle ragazze del villaggio. Pratica totalmente desueta, una volta che hanno terminato il lavoro presso la scuola vengono ingaggiate 2 ragazze che nulla sanno della pratica, si propongono in una pseudo danza ridicola senza musica, ovviamente per questa baggianata non paghiamo i 150k richiesti vista la sola già proposta in precedenza. Nel frattempo, visto il tutto esaurito che propone il lodge, un gruppo nutrito di huli si sta preparando per un singsing numeroso, già che siam lì assistiamo pure noi. Detto in tutta franchezza, mi pare di essere al carnevale, se gli portate un costume da Arlecchino per 300k si vestono pure da quello e da Pulcinella e vi fanno uno spettacolo identico. Non finiamo di assistere a queste danze che ovviamente giunge puntuale ed immancabile la pioggia, scroscia potente ed interminabile, ci accompagnerà anche durante la serata, limitando gli spostamenti interni e relegando il numeroso gruppo di ospiti a condividere la sala comune della cena in spazi limitatissimi, permettendo però di chiacchierare più diffusamente. Quello che emerge è per tutti la grande difficoltà nell’organizzarsi, tutto è volatile, indefinito e riprogrammarsi non certo semplice, anche per questioni di tempi. Cena con novità pollo, oggi trattati da signori, quasi…


In volo sopra il Lagaip River


7° giorno

Sveglia comoda, impegni per escursioni non ne abbiamo, colazione al limite del commestibile poi lentamente ci portiamo sulla highway, la solita strada non asfaltata in pessime condizioni, dove indicativamente alle 10 dovrebbe passare un PMV x portarci all’aeroporto di Tari. Attendiamo fiduciosi divenendo l’attrazione dei passanti, compreso un nutrito gruppo di bambini che già a quell’ora esce da scuola. E’ trascorsa quasi un’ora quando non avendo visto passare nulla e non avendo ritorni da genti del luogo per un’eventuale auto privata riusciamo a trattare un passaggio da un autista che ha portato un gruppo di russi al lodge per un singsing, ritiene di farcela a portarci e rientrare in tempo, ovviamente per le solite 100k. Guida da mondiale rally, nessuno ha il coraggio di mettersi nel mezzo del cammino a reclamare alcun ché, arriviamo in leggero ritardo per l’appuntamento in MAF, ma niente problema, l’aereo non c’è. Qui con la lentezza di chi sa tutto viene pesato, compreso noi, ogni kg in più dei bagagli (si pesano assieme sia quelli presunti da cappelliera sia quelli da stiva, qui tutto va nello stesso posto, ovvero nel mezzo dell’aereo) costa 5k, non derogabile. Riusciamo a partire solo alle 14 invece delle 12 previste, prima l’aereo ha dovuto portare cibo e materiali in altra destinazione, al rientro è adattato alle nostre esigenze, ovvero montano 4 sedili limitando lo spazio di carico. Il pilota è un canadese che da anni lavora per MAF assieme alla moglie, tranquillo e sereno, disposto alla chiacchiera, ci racconterà aneddoti del luogo e di quelli visti in precedenza compreso il tremendo Sud Sudan, dalle condizione di vita peggiori che abbia mai visto, ma accenna subito che un posto più difficile dove viaggiare della PNG non lo rammenta. Condizioni climatiche che variano in fretta, montagne, villaggi nel mezzo di queste senza alternative per arrivare e piste di conseguenza cortissime ove sfruttare le pendenze delle piste. Impariamo da lui che una di queste tocca anche a noi proprio oggi, andremo sì a Mt Hagen ma passando da nord, tappa a Wanekipa. Partiamo proprio quando inizia a piovere e l’intensità si fa corposa, il Cessna 208 però non teme queste condizioni. Il volo lo rammento come l’escursione più bella del viaggio, saliamo appena sopra le montagne sfruttando le vallate migliori, il verde della giungla in larga parte inesplorata è vicino a noi, i fiumi paiono pennellate di pittori astratti, ogni tanto incontriamo piccoli villaggi, poco dopo una confluenza del Lagaip river c’è il villaggio dove dobbiamo atterrare. Una virata ed una picchiata non sono ritenute sufficienti al pilota per atterrare al primo tentativo, rifacciamo l’operazione molto più rasenti le montagne e questa volta l’atterraggio su di una pista di erba in pendenza del 7% è vincente. Al termine dell’airstrip ci accoglie una popolazione che impazzisce nel vederci, son lì per recuperare materiale edile e cibari, ma ovviamente le attenzioni son tutte per noi. Prima sono timorosi poi pian piano familiarizziamo ma l’interazione è limitata, nessuno parla inglese, non abbiamo una guida che faccia da traduttore, l’unico che parla inglese deve regolare il tutto col pilota, qui alcune persone, soprattutto bambini, sono ancora vestiti con abiti tradizionali, sarebbe bello poter fermarsi per condividere anche se per pochi giorni la vita del luogo, non raggiungibile via strade, fattibile solo in aereo o a piedi, circa 2 giorni di cammino montano per il primo villaggio, presso il quale non ho idea di cosa si possa trovare. Lasciamo quest’angolo di mondo dimenticato sfruttando tutta la pista, ora in discesa, voliamo per un po’ sopra al fiume poi prendendo quota invertiamo la rotta ed andiamo verso ovest, seguendo il Lagaip river di colore rosa, dovuto a scarichi di un’antica miniera di oro, ora chiusa. Il fiume pare un serpente bizzoso, la vista spettacolare, in seguito sorvoliamo altre montagne che pian piano si riempiono prima di capanne ed in seguito di villaggi per arrivare alla civiltà di Mt Hagen, grande aeroporto con pista asfaltata e 2 terminal, noi facciamo base a quello di MAF che è solo per cargo, come notiamo i passeggeri sono un di più, un vero favore che ci è stato fatto. Prima di uscire un addetto australiano ci mostra l’operatività della compagnia, come raggiungere i posti più disparati, dove far base e così via, gli addetti stranieri son tutti volontari, ovvero gente che è stipendiata ma con standard molto più bassi della media delle compagnie di volo in giro per il mondo. Il nostro pilota canadese lo fa per vocazione e perché gli piace volare in luoghi non battuti, qui sperimenta altre condizioni estreme rispetto a quanto avvenuto fino ad ora, unica cosa che chiede il posto di lavoro doppio, per lui e per la moglie, pure lei pilota. Usciti dall’aeroporto, che non ha accesso libero nemmeno nel parcheggio, va sempre esibito o un biglietto o per gli accompagnatori un permesso, attendiamo che il responsabile della Paiya Tour ci venga a recuperare, accordo preso molto vagamente da Tonny con questo Pym. Incredibilmente si paventa, ci caricano per portarci nel suo hotel in città, che dista nemmeno 15km ma da percorrere lungo una strada distrutta e con un traffico non indifferente. Impieghiamo oltre 45’ per raggiungere il Travellers Hut (150k x camera doppia con acqua calda che raramente si palesa a differenza di quanto promesso) che accettiamo solo dopo un’escursione nei paraggi. La tanto consigliata GH Mt Hagen Missionary Home è al completo, un albergo per locali avrebbe posto (80k camera doppia, 120k al piano superiore) ma gli standard sono inaffrontabili senza nemmeno provare a visionare i servizi. Ci fermiamo quindi da Pym, niente di organizzato in città poiché Raphael non si paleserà nemmeno qui quindi l’indomani vedremo di gestircela in autonomia, prendendo qualche info da un francese che cena in hotel con noi che viaggi in autonomia. La cena nel ristorante dell’hotel è quasi un obbligo, fuori c’è ben poco e la situazione è particolarmente tesa, ci consigliano di non girare di sera, il buio è totale ed il colore della pelle che normalmente viene in aiuto non è riscontrabile. La cena è a buffet (40k), varie e di buona qualità, servono acqua (4k) e birra (7k) che però devono andare ad acquistare in città, i tempi sono giusti per un digestivo in tarda sera. Qui incontriamo di nuovo un gruppo d’italiani che hanno avuto pure loro problemi con le prenotazioni alberghiere, sfrattati da una struttura prenotata e pagata in anticipo e messi qui, anzi una parte qui un’altra lasciata nell’altra struttura, cose normali qui. A fine cena tè e caffè offerti, unica cosa fattibile prima di salire in camere anzitempo è giocare a carte per variare le serate, almeno l’energia elettrica non ci abbandona, come non ci abbandona la pioggia, caduta fortunatamente in serata.


Al Mt. Hagen Cultural Show


8° giorno

Colazione in hotel (25k, buona ed abbondante) poi ci rechiamo nella via principale alla ricerca di una banca dove cambiare soldi. Siamo in fila con altri 2 gruppi composti da 3/4 persone variamente assortite, maltesi con canadesi, statunitensi con francesi, il tutto per cercare di guadagnare tempo e risparmiare, 25k a pratica purché si cambino soldi della medesima valuta. Perdiamo comunque 90’, a quel punto decidiamo di comprare anticipatamente il biglietto per il Mt Hagen Cultural Show che sulle prime ovunque dovrebbe essere venduto ma in realtà si trova solo all’Highlander Hotel, ovviamente dalla parte opposta della città, abbiamo così la possibilità di rimare al meglio la cittadina, che definire orribile è poco. Il biglietto, per terribili paure di falsificazioni, è emesso solo a ridosso del celebre festival ed è in forma di spilla, dall’esorbitante costo di 300k per entrambi i giorni. Per una volta non esistono biglietti ridotti per i locali, e come vedremo l’indomani nessun indigeno assiste alla manifestazione. Il programma previsto per la mattina è già archiviato, decidiamo quindi di salire al Kumul Lodge, un albergo in montagna dove poter assistere al passaggio di variopinta avifauna, compreso il simbolo dello stato, ovvero il Bird of Paradise. Troviamo immediatamente un PMV dal campo che funge da stazione per quelli diretti a ovest ridosso il presunto parco Pope Paul, un campo con nulla a parte mille persone vocianti attorno a bus semidistrutti, giriamo per oltre un’ora alla ricerca di persone fin quando non sia stipato. Partiamo ma è una falsa partenza, andiamo solo ad un magazzino di cemento a caricare alcuni sacchi che però occupano il posto di 2 persone e questo facilita il riempimento, la partenza vera avviene quando ormai abbiamo perso le speranze. Arriviamo in 1h nonostante molteplici soste (10k), si sale fino a 2.900m, ma essendoci il sole il freddo è scongiurato. Per entrare al lodge anche solo per cercare di avvistare il bird of paradise occorre pagare 40k, si può stare all’aperto o su di un terrazzo prospicente la sala pranzo degli ospiti della struttura. Su di un argine nei paraggi del bosco gli inservienti gettano i resti della frutta, gli uccelli accorrono numerosi, colorati e particolari, ma ovviamente l’attesa è tutta per il simbolo che sta sulla bandiera nazionale. Non si palesa, anche se poi vediamo edotti che tra le 18 specie ve ne sono anche di quelle “minori” quindi con penne meno lunghe ed elaborate e così tra alcuni di quelli passati forse ne abbiamo pure intravisto qualcuno. Quando il sole si nasconde e la pioggia la fa da padrona il freddo è pungente, lasciamo lo spiazzo e ripariamo in terrazza, e proprio da lì vediamo il primo e vero bird of paradise con la sua coda bicolore lunghissima, vola veloce alla ricerca di un riparo nel bosco. Date le condizioni atmosferiche impossibili scattare foto non dico degne di nota (quelle non le fanno nemmeno i cinesi che si palesano con attrezzature da oltre 10.000€) ma nemmeno dignitose, così anche per sconfiggere il freddo decidiamo di mangiare, pasto fisso a 52€ comprensivo di acqua ed aranciata, birra da pagare a parte, mentre tè e caffè si prendono dal piano superiore sempre gratuitamente, o almeno, noi così abbiamo fatto. Da segnalare che come frutta, assieme a banane e ananas c’è servito cetriolo, cosa né unica né rara qui in PNG. Ritorniamo sulla via maestra ad attendere il PMV che ci aveva garantito alle 17 di riprenderci. Non c’è traccia di questo PMV, il freddo sale, la luce cala in questa terra di nessuno fuori dai confini della regione (c’è un posto di blocco per arrivare, i PMV non sono fermati ma il tutto dipende dagli umori e dalle lune delle forze del (dis)ordine), mentre la nebbia si fa padrona del poco che si vede. Udiamo un mezzo giungere dall’alto, ci sbracciamo e oltrepassati di 100m si ferma, l’ultima speranza è stata esaudita, ad una folle velocità (30’, 10k) precipita più che correre a Mt Hagen. Anche qui lunga discussione col ceffo che fa da bigliettaio, subito ci segnala il costo di 10k, con tutti gli altri viandanti locali che si raccomandano della tariffa, non più di 10k, poi una volta recuperati i soldi vuole che gli diamo altri 30k a testa senza ben specificare il perché. Non cediamo con tutta la gente che fa il tifo per noi, e ci imponiamo pure nella scelta di dove farci scaricare, non al campo che fa da stazione ma all’angolo del nostro hotel. E’ già buio, abbiamo già mangiato, ci allunghiamo fino alla Missionary Home per cercare un contatto internet. Il gestore dopo svariati tentativi non ha altro modo di soddisfare la nostra richiesta se non quello di fare da hotspot col sul smartphone, il servizio regolare non funziona. Veloce navigazione di 3 di noi anche per ritentare il contatto con Raphael x Goroka, cosa che avviene, ci chiede 10k in tutto, ma ha già trovato clienti per quando ripasseremo da qui. Il nostro hotel è proprio alle spalle ma per arrivarci nel buio assoluto del cielo e col fango, la pioggia, le auto che vagano e gente che si chiede chi siano questi avventurieri bianchi ed infagottati, anche poche centinaia di metri non sono il massimo della vita. In hotel acqua calda assente, sommato al freddo che si è fatto padrone della serata, poteva andare meglio, restiamo nella sala comune che funge anche da ristorante per una bevanda calda e per scambiarci impressioni e consigli con gli altri viaggiatori, in pratica tutti gli stranieri presenti nella parte continentale della PNG sono ora a Mt Hagen per via del Cultural Show.


Al Mt. Hagen Cultural Show


9° giorno

Alle 7 siamo già pronti per colazione, peccato che non lo siano al ristorante, oggi è IL GIORNO e non vogliamo mancare un minuto del Cultural Show. Prendiamo pezzo per pezzo di quanto viene approntato al desco del cibo, terminato percorriamo tutta la cittadina per andare a piedi al campo sportivo dove la manifestazione prenderà forma (circa un km scarso fuori dall’Higlander Hotel verso sud-ovest). Il Mt Hagen Cultural Show è il secondo festival per importanza della PNG, la favorevole data di metà agosto favorisce l’afflusso di turisti stranieri (a star larghi saremo 500, e chi è sull’isola principale oggi è qui), mentre il più celebre si svolge a Goroka a settembre inoltrato. La via che porta all’impianto è trafficata da pulmini malmessi che portano accatastati un’infinità di gente ed i loro tradizionali abiti, mentre a piedi procedono i più scalcagnati e quanti provano a vendere qualsiasi cosa ai turisti che in larghissima parte arrivano a bordo di pulmini a costi spropositati dagli hotel (50k a/r, il costo è rimasto il medesimo quando lo show si svolgeva oltre 10km fuori città…). Il primo campo sportivo che si scorge è quello da basket che però è ancora fuori dall’impianto, tutto cinto da una barriera di ondulato sottocoppo sponsorizzato da compagnie telefoniche di qui, presenza costante in ogni dove. E’ importante arrivare prima dell’inizio dello show vero e proprio perché si assiste così ai preparativi delle varie tribù partecipanti, tra le 80 e le 100, a quello che per loro è una vera e propria gara a chi si presenta nel modo più autentico e tradizionale. Abbiamo circa 2 ore di tempo nel muoverci in una melma esagerata alla ricerca dei personaggi più inquietanti e colorati, anche se l’idea di essere al carnevale è ascendente. Si entra e si esce dall’impianto adibito a campo da rugby a piacimento, la spilla che fa da biglietto non è mai controllata, vien dato per scontato che gli stranieri, unici presenti come spettatori, abbiano tutti il biglietto anche perché al 90% giungono con bus di tour operator od hotel. All’interno del campo ci sono alcune postazioni predisposte per questi avventori sotto teloni parasole dotati di sgabelli, appena il sole buca le nuvole ne comprendo il perché, il caldo è elevato e l’umidità ancora peggio. Pian piano i vari gruppi iniziano ad entrare nel campo poco dopo le 10, sui primi si riversano fotografi all’impazzata che diventano più numerosi dei gruppi stessi, tanto che la direzione richiama all’ordine. Assistiamo così alla lenta entrata di ogni singolo gruppo, presentato ovviamente in lingua locale non si sa per chi poiché d’indigeni non vi é traccia, ma poco male, quello che interessa è assistere allo spettacolo folkloristico proposto. Onestamente è come andare al carnevale, belli e caratteristici, nulla da dire, ma alla lunga paiono più una baracconata all’eccesso che altro, soprattutto per il fatto che ora nessuno si veste e vive più in questa maniera e che ai locali nulla interessa di tutto questo, se non per provare a vendere suppellettili e bibite appena fuori dallo stadio. Mentre sfilano le tantissime tribù, si può approfittare dei servizi che i gruppi di turisti vip hanno al seguito, mentre mi riposo all’ombra su di una sedia mi viene offerta acqua minerale e cibo, così i panini di scorta sottratti a colazione non sono nemmeno necessari. Devo dire che il servizio catering di alcuni di questi gruppi è di altissimo livello, tra tutti un dolce al cioccolato con cuore di cioccolato fuso ricoperto di cocco da applausi a scena aperta. Acqua a volontà, e col caldo che imperversa meglio così, pensare ai Fire Man che sfilano con in testa un coccio ed il fuoco all’interno mi viene male. I tanto attesi Mud Men forse sono quelli che colpiscono meno, girano più per vendere la loro paccottiglia che per esibire i loro caratteristici copricapo, sarà che li conoscono tutti e non necessitano di ulteriore fama, meglio gettarsi su altri gruppi, una volta che tutti sono nello stadio si può girare allegramente e tutti sono estremamente contenti di farsi fotografare, anzi, sono lì per quello. Il concorso prevede una premiazione finale, di questo ai vari turisti poco interessa a differenza dei gruppi presenti perché possono rientrare con un buon gruzzolo. Usciamo dallo stadio verso le 15 con tante foto e tanto sole incamerato, in tempo per arrivare in hotel sulle prime gocce di pioggia, acqua che accompagna l’arrivo ma non bagna le docce del Travellers Hut se non a spizzichi e bocconi e rigorosamente fredda. Tempo per un po’ di relax con lettura e musica e a seguire cena dove ovviamente si parla della giornata trascorsa, del numero di foto (non faccio testo per la quantità risibile di scatti, come detto i carnevali non sono il mio forte) per finire coi programmi futuri visto che il festival replica l’indomani ma i problemi legati agli spostamenti fanno sì che in tanti diserteremo la seconda giornata. Per finire si gioca a carte, passatempo serale in un luogo dove uscire non è consigliato, altra domanda sarebbe per andare dove…

Al Mt. Hagen Cultural Show


10° giorno

Terminata colazione e terminati i pagamenti all’hotel (fatti e rifatti più volte perché inseriscono più voci ripetute e servizi mai utilizzati e che comunque faticano a fare i conti anche con la calcolatrice) iniziamo la ricerca di un PMV destinazione Goroka. In hotel non vogliono che andiamo soli alla ricerca, anche lasciando qui i bagagli, con un addetto 2 di noi vanno nello spiazzo fangoso alla ricerca di un mezzo, ovviamente la presenza di stranieri genera un richiamo esagerato, l’indigeno al nostro seguito fa più confusione che altro, così con quello che trattiamo arriva anche un altro a cui il ceffo non ha fatto capire la nostra situazione già soluzionata. Questo ci causa una lunga attesa all’interno dell’hotel, poi in pratica il PMV esce e fugge con noi all’interno, solo che non è ancora stipato all’inverosimile e così all’attesa di 30’ se ne somma un’ulteriore di 45’ prima di lasciare Mt. Hagen. La strada inizialmente è asfaltata ma in cattivo stato, facciamo sosta per rifornimento benzina e cibo, le soste si susseguono lungo il percorso, una volta arrivati a Chuave si sale al Daulo Pass a circa 2.500m per una strada sterrata in pessime condizioni. Una volta svalicato sosta presso piccoli negozietti all’aperto dove trovare un po’ di cibo e potersi sgranchire le gambe che godono di poco spazio nel PMV mentre devo dire che la schiena poggia su sedili accettabili, se la strada rimane pessima per la discesa ora ci si mettono alcuni blocchi stradali che non sempre sono di militari. Il destino è tutto nelle mani dell’autista che oltre a non cadere in uno dei numerosi burroni che ci fanno compagnia deve sapere quando fermarsi ad un posto di blocco governativo e quando non a quelli presidiati da locali pronti a sventolare ed usare machete, se uno viene arrotato poco male, fidatevi. Ci fanno notare come alcune aree bruciate che ancora fumano erano case date al fuoco nella notte di guerriglia tra tribù del posto, fortuna che Goroka ci è stata presentata come tranquilla, ma precisano che non siamo a Goroka, fuori dalla cittadina la legge tribale è quello che vale e così ci si regola. Arriviamo dopo 5:20 (30k, occorre pagare anche per i sedili utilizzati dagli zaini, che però son posti già occupati e risparmiano tempo in partenza) e ci scaricano all’ingresso del Bird of Paradise, l’hotel più prestigioso della città. Qui abbiamo appuntamento con Raphael “Siwi” Kogun, il tour operator che ci ha dato buca già 2 volte, ma prima che arrivi gli addetti all’hotel ci proteggono affettuosamente perché richiamiamo indigeni a più non posso. Siwi se la prende comoda, arriva dopo oltre 45’, non ha organizzato nulla se non il posto dove dormiremo, la Lutheran GH (bella camera fino a 5 persone 380k) che dopo lunghissima contrattazione dovrebbe pagare lui. Per definire il nuovo programma, i relativi costi, come muoverci impieghiamo almeno 2 ore, ci fidiamo poco della cifra che ci chiede (800k a testa) anche perché ci mette in mezzo un ultimo giorno con visite lungo la via del ritorno con un mezzo privato dal prezzo elevato, vorrà rifarsi dei soldi non guadagnati nei 2 luoghi in cui non si è fatto trovare. Qui grandi alternative non abbiamo per andare a visitare le varie comunità dell’area, ci fidiamo ma solo in parte, ovvero paghiamo una quota indicativamente dei primi 2 giorni (550k) e non la terza e per oggi la sua presenza è finita qui. Prima vera ottima doccia calda e lunghissima del viaggio, a seguire poiché la domenica i luterani nulla fanno usciamo a cena, abitudine che avevamo riposto. Le scelte non sono numerose, o la pizza al Bird Of Paradise o il Mandarin Restaurant, optiamo per quest’ultimo dove entrano anche altri stranieri (che poi ci accorgiamo sono russi che lavorano alla costruzione di dighe nella zona e dormono al BoP). Menù non economico ma opzione scelta piatti S-M-L-XL, già la S ha quantità pantagrueliche, ecco il perché dei prezzi non così popolari, tanto che parte del cibo in eccesso ci è predisposta in confezione da asporto per la gioia di alcuni senzatetto in zona a cui lo doniamo. Rientriamo al buio alla GH percorrendo una città molto meno pericolosa delle precedenti e con un clima decisamente meno polare nella notte. Come previsto fondamentale partire presto nella mattinata da Mt Hagen sacrificando la seconda giornata del Cultural Show per raggiungere Goroka se si utilizzano mezzi pubblici, non si sa mai quando si parte, passato mezzodì iniziano a scarseggiare. La differenza tra un PMV ed un mezzo privato con autista va da un costo di 30k a testa ad almeno 650k per il mezzo. In termini di tempo il risparmio non va oltre l’ora di viaggio, a questo però va aggiunto il tempo perso alla ricerca di avventori. Nel nostro caso, in 4 coi bagagli abbiamo pagato 180k invece di 650k.


Goroka, mercato della frutta


11° giorno

Abbondante colazione self-service in GH, attendiamo Raphael che si palesa alle 9 PNG time (ovvero quando uno arriva) con la sorpresa che al posto del mezzo privato c’è un PMV con congrega di gente al seguito. Prima tappa la Goroka Main Market, molto interessante, questo sì tradizionale e utilizzato solo da avventori del posto, per quello del betel ci viene detto che oggi non è consigliabile andarci, lo faremo domani. Diviso per aree tematiche, coloratissimo e con gente ben disposta che non ha nessun problema a raccontare cosa vende, come coltiva, ovvio sempre con tramite la guida perché l’inglese va poco oltre ai prezzi. Risaliamo verso il Daulo Pass passando nella zona degli Asaro, in un loro centro scolastico fa bella mostra di se un campo da basket, che come sempre non ha mai giocatori perché mancano cronicamente i palloni. Arriviamo lungo la Highland Highway fino al villaggio di Geremiaka dove entriamo e tra spelacchiate baracche attraversiamo una confusa piazza centrale con ennesimo campo da basket, fondo in terra e canestri storti. Da qui prendiamo un sentiero in discesa che ci porta nel villaggio di Nokondi, anche qui la piccola piazza è contraddistinta da un campo da basket che la riempie per intero. In una delle baracche che si affacciano sulla piazza c’è una sorta di cinema locale, uno schermo tv ed un lettore dvd, il proprietario ogni sera proietta un film diverso a pagamento (5k per adulti, 2k per bambini, non so i piccoli maialini che scorrazzano indisturbati). Usciamo dal villaggio attraverso piccoli sentieri che lambiscono campi coltivati a patate dolci e mariujana fino a 2 capanne con uno spiazzo nel mezzo, sarà dove assisteremo al singsing dei Nokondi Half Men, mezzi uomini e mezzi spiriti, mezzi dipinti e mezzi no. Spettacolo simpatico, loro sono cordiali, alcuni sparlicchiano inglese e quindi qui un po’ d’interazione con loro riusciamo a farla, poi un gruppo di bambini di rientro dai giochi nei campi esibisce quanto raccolto, topi uccisi utilizzando piccoli sassi lanciati con la fionda. Ne vanno fierissimi e vogliono essere fotografati con le bestiole morte, cibo per le famiglie di qui. Da questo villaggio proseguiamo a piedi lungo i campi incontrando bambini che tengono in braccio piccoli maiali, gente che lavora nei campi e regola l’afflusso dell’acqua con primitivi sistemi di dighe, prossima meta i celebri Mud Men in un loro villaggio. Ci accolgono in uno spiazzo assolato con solo una baracca spelacchiata sotto un sole assassino, pian piano si palesano prima con la prova del fuoco acceso senza bisogno di accendini o fiammiferi, poi entrano in scena tutti i protagonisti celebri per il corpo coperto di fango e per le grandi teste di fango secco. Ognuno deve crearsi la propria e custodirla nella maniera migliore, leggenda narra che furono scacciati da una tribù nemica, si rifugiarono tra fossi e paludi coprendosi di fango fino a sfigurarsi, quando tornarono verso il loro villaggio i nuovi padroni dell’area rimasero impietriti da queste apparizioni a metà tra uomini e spiriti ed abbandonarono i possedimenti dei Mud Men, la cui leggenda travalica i confini della PNG. Dotati pure di lunghissime propaggini alle dita che sbattute producono inquietanti rumori, scendono a più miti compromessi quando è tempo di mumu, il pranzo tipico preparato sottoterra, con foglie di banano dentro cui ci stanno carne e verdure ed il fuoco sopra. Questa presunta chicca c’è servita una volta aperta ed illustrata nei minimi dettagli, ovviamente il cibo è stato pagato da noi nella quota a Raphael, anche se è impossibile sapere quando andrà a loro, quando alla guida e quanto ai suoi scagnozzi al seguito, che una volta che Raphael ci ha abbandonato non hanno smesso di chiederci soldi svilendo e di molto la giornata tradizionale. Il pollo non è cotto, le patate poco e dolcissime, le banane sono mangiabili perché lo sarebbero anche senza esser cotte, la solita verdura verde a foglia lunga è insapore, se ci mettiamo che il tutto è cotto senza un briciolo di condimento ci troviamo con un pranzo disgustoso, forse volutamente perché non mangiandolo noi rimane tutto a loro che si trovano con cibo per giorni pure offerto. Ricompare Raphael giusto in tempo per prelevarci sulla statale dove ci attende il PMV che nel rientro non fa nemmeno la finta di essere un mezzo privato a nostra disposizione caricando avventori lungo la via e facendosi pagare. C’è una casa degli spiriti prima di giungere a Goroka, chiedo di fermarci a vederla, mi è risposto di fare una foto senza scendere perché vietato, capisco che ci vogliono prendere in giro, almeno faccio perdere del tempo scattando più foto di cui so non farmene nulla. In città ci accordiamo per l’indomani facendo presente che ci sentiamo truffati, vediamo come andrà domani prima di pagare l’ultima quota che già ci chiede. Un giro al supermercato del centro per un gelato locale che va a ruba, 1 gusto 1,5k, 2 gusti 3k, se la vaniglia può passare, quello blu non mi azzardo a provarlo. Qui è possibile comprare anche birra (solita SP, ma la export mi dicono i miei amici è potabile la standard poco), non nel market ma in una parte separata dove vendono anche sigarette, birra anche a lattine singole, cosa non da poco perché nei bottle shop la vendono solo a cartoni. In GH trattiamo la cena per le 18:30 ma niente da fare, alle 18:15 è già tutto pronto (30k), così mangiamo anzitempo ma affamati poiché il mumo non ci ha di certo nutriti. Rimane tempo per una salutare e prolungata doccia e per giocare a carte, leggere, ascoltare musica, altro non c’è da fare in città che col calare del sole si spopola.


Al Mt. Hagen Cultural Show


12° giorno

Nuova abbondante e soddisfacente colazione in GH, poi alle 9 PNG time, molto PNG time oggi… si presenta Raphael col solito PMV ed una congrega di amici per la spedizione quotidiana. Oggi possiamo visitare il mercato del betel dove la popolazione locale accorre per la droga locale, la noce di betel che si mangia aprendo il guscio, masticando la noce mischiandola alla polvere di kambang che si recupera con la daga, una specie di bastone a forma di senape che si coglie dagli alberi del luogo. Al mercato siamo scortati e la nostra presenza è evidenziata dagli accompagnatori ai referenti del luogo, c’è una calca terribile e capiamo bene il perché questa zona sia sconsigliata ai più, ma problemi nessuno. Fa specie vedere questi sacchetti di polvere bianca in vendita su tutti i tavoli, il materiale si recupera dai coralli, quindi tutto il kambang proviene dalle zone costiere e genera un mercato fiorentissimo. Ma non pensate male, il kambang non è una droga, anche se il suo utilizzo provoca guai seri, dalla caduta dei denti al tumore orale. E’ la noce di betel la vera droga che crea dipendenza, come si può tranquillamente verificare in ogni persona che s’incontra in PNG ad eccezione di alcuni adepti ad alcune delle infinite chiese religiose del luogo, e dai rifiuti ai bordi di ogni strada sotto forma di gusci e sputi rossi. Finita questa escursione e chiacchierato con un venditore di casse mortuarie, numerosissime ed impreziosite di una gamma di colori che sfida l’arcobaleno (ce ne sono tantissimi sia in città sia lungo la strada, i machete non girano a vuoto), partiamo per le visite ad alcune comunità tradizionali nei paraggi, sempre risalendo la via verso il Daulo Pass. Tappa a Korekoreto, entriamo in un villaggio maltenuto così come i canestri che contrappuntano la piazza per proseguire tagliando in discesa tra i campi all’ancora più piccolo villaggio di Cecero per il Korokua dancing in uno spiazzo apposito che ha la fortuna di avere baracche riparate dal sole. Spettacolo pessimo, allestito in tutta fretta come se non fossero nemmeno stati avvisati del nostro passaggio, qui dovrebbero esserci anche i Fire Men, in realtà dopo lunga attesa senza che nessuno sappia dirci se aspettare o meno gli stessi figuri si ripropongono in versione Fire Men. Situazione che ha del ridicolo, non essendo di quella tribù si mettono in testa invece dell’autentico fornello in terra cotta una specie di fuoco in piccola struttura di legno che più di una volta deve essere spostato per evitare tragiche conseguenze. Lasciamo il villaggio evitando la paccottiglia in vendita, ritorniamo sulla Highway per attraversarla ed incamminarci in direzione opposta ad un villaggio Moko Moko. Anche qui lunga attesa, però uno dei ragazzi che funge da guida locale parla inglese e quindi riusciamo ad avere più info sulle tradizioni. Ovviamente anche lui si aspetterebbe soldi da noi perché da Raphael pare non aver ricevuto nulla, chiunque chiede soldi e capiamo di essere entrati in un loop dove il primo inizia a fregare al secondo e così via di seguito. Per non fare scontenti nessuno decidiamo di non offrire più nulla a nessuno e venga quel che venga, lo spettacolo di questo singsing è però più interessante e curato, la guida lo fa svolgere anche al figlio più piccolo per non perdere le tradizioni o meglio le credenze antiche che passando i ragazzi dalla scuola abbandonano. Finito questo spettacolo di primo pomeriggio e senza nemmeno il pasto tipico promesso, Raphael viene a recuperarci col solito PMV che funziona appunto da PMV e non da privat car come pagato. Ci accompagnano direttamente in GH, qui vorrebbe la seconda parte del pagamento per predisporre la giornata a seguire, cosa che non faremo essendo chiaramente stati truffati. Parliamo inoltre con i responsabili della GH che a loro volta non hanno ricevuto il pagamento della seconda notte da Raphael e temono già per la terza. Litighiamo a lungo per uscire dalla situazione, quelli della GH non pretendono nulla da noi, anzi, ci supportano nel non mollare nulla a Siwi, ci penseranno loro con la polizia. Proviamo a fare il punto della situazione per ritornare a Mt. Hagen da dove avremo l’aereo per Wewak pensando già di arrangiarci con un PMV rinunciando alle ultime visite tra cui gli Skeleton Men. Nel frattempo facciamo conoscenza con una coppia inglese, lui missionario lei in visita (bella visita per il missionario, niente da dire) che ci danno altre info di sconforto sul luogo e sul Sepik che sarebbe meta futura, oltre a George, guida qui di passaggio originario dell’isola di Muschu, al largo di Wewak, col quale prendo contatto per escursioni future avendo poca fiducia in quelle lunghe e definite con ceffi locali. Con questi incontri facciamo tardi, ovvero andiamo oltre le 18:30 e quindi la cena in GH salta, tempo quindi per una nuova energica doccia e cena al fidato Mandarin, che quando ci vedono nuovamente ci trattano come clienti abituali. Cena abbondante (35k) col solito plus da take-away per gli indigeni che ancora stazionano per strada, anche questa sera città serena, rispetto a Mt Hagen par di stare in Svizzera. Chiudiamo qui i contatti con Raphael e la sua organizzazione inesistente, quanti incontrati più o meno ci hanno detto lo stesso, meglio gestire il tutto giorno per giorno, tanto le tribù locali una carnevalata son sempre in grado di organizzarla senza dover impegnare somme di denaro che andrà buttato da parte di chi lo elargisce e del quale quasi nulla finisce in mano a questi che si esibiscono. La forza contrattuale è tutta in mano ai pochi che parlano inglese tagliando i contatti con le genti dei villaggi.


Goroka, mercato della verdura

13° giorno

Ore 7, colazione preparata dai gestori in GH, sempre loro ci chiamano un PMV per Mt. Hagen che ci recupera qui ma prima che parta ce ne passa. Sosta da The Keys per controllo gomme, direi pressione visto che il battistrada è già abbondantemente slick da mettere in difficoltà pure Marc Marquez…Giriamo lungamente nel centro di Goroka a cercare avventori, da quando siamo saliti sul PMV alla partenza vera e propria passa un’ora esatta. Riprendiamo la solita Highlands Highway e con passo sostenuto oltrepassiamo il Daulo Pass per la prima sosta in concomitanza di alcuni banchetti e baracche che fungono da locale autogrill. Strada polverosissima, ma il pilota è in cerca di tempi da pole position e vola alla velocità della luce, così con soste da pit-stop box Ferrari tra scendere e salire arriviamo a Mt. Hagen in 4:30 (30k, vanno pagati anche qui gli spazi occupati dai bagagli, i PMV non hanno un bagagliaio o un portapacchi) perdendo oltre 45’ solo per la tratta aeroporto-centro città, in condizioni ignobili. Giornata splendida, possibilità di vedersi i panorami, soprattutto quelli salendo e scendendo il Daulo Pass più volte a strapiombo nel nulla. Facciamo tappa alla Missionary Home (le camere costato tutte 350k, siano da 2 o da 4) dove c’è l’uso cucina e così ne approfitto per un giro all’Hagen Market, conosciuto anche come mercato del “fresco”, bello e molto caratteristico, fornitissimo di prodotti della terra di ogni tipo a prezzi ottimi dove faccio spesa per i prodotti che accompagneranno spaghetti e tonno. Per le bevande occorre però andare ad un Super Market vero e proprio (solo la terribile acqua Natural Own) ma niente birre, pare che in tutta la città si trovino solo negli hotel o al Pub Hagen Club, ma forse sono gli addetti della missione a scoraggiarci. Rientrati in GH approfittiamo del tavolo da ping pong per una seduta altamente adrenalinica con a fianco missionari-vacanzieri che continuano indefessi a leggere mentre la pallina più volte li disturba, finendo poi a prepararci una corposa e gustosa cena. Siamo gli unici ad usufruire nella serata della cucina quindi spazio e tempo tutto nostro, cenato e sistemate le stoviglie tempo per conversazione con Eric (il gestore della GH) e seduta di connessione col mondo questa volta gentilmente offerta. Eric è l’unico gestore di questa missione che abbia riconfermato il mandato dopo il primo ottenuto di 4 anni, non sa se sia più pazzo o che altro, la vita qui è dura e soprattutto i figli (a quota 4 con un nuovo arrivo nell’annata) hanno pochissime possibilità d’integrazione vivendo in pratica rinchiusi tra le alte barriere di protezione della GH. C’è ospite anche la sorella della moglie, che senza lavoro negli U.S.A. aiuta nella quotidianità da oltre un anno. Caffè e tè son sempre a disposizione gratuitamente, altre bevande si possono acquistare dal frigo così come generi di prima necessità e souvenir, in vendita alla reception che funge anche da piccola bottega di fortuna per evitare i contrattempi della città.


Al Mt. Hagen Cultural Show


14° giorno

Notte particolarmente fredda, i pesanti panni che parevano un’assurdità una volta entrati in camera trovano il loro impiego, colazione che ci prepariamo da noi in cucina, poi sistemati zaini e bagagli col pulmino di Eric andiamo in aeroporto (30k a viaggio, a prescindere dal numero) per una via molto più lunga ma senza buche e disastri vari. Si entra in aeroporto chiuso ai non viaggiatori da pesanti cancellate, al check-in di PNG Air non c’è nessuno, operazione velocissima, così come i controlli. Dispongono di raggi X ma nessun problema nell’imbarcare liquidi (comprese bottiglie aperte e mezze vuote) tagliaunghie, coltellini e così via. Ci sarebbe un wi-fi ma è quello interno per gli addetti all’aeroporto, le persone con cui ho parlato non hanno idea di una password, diciamo che hanno altro da fare o nulla da fare e si godono il tempo. I black-out elettrici sono vari, ma nessuna paura, tanto info sui voli non ce ne sono, basta attendere, a voce vengono chiamati voli e destinazioni, con un ritardo di 45’ ci indicano a gesti di alzarci e andare all’aereo attraversando il parcheggio dell’aeroporto dopo che il numero di posto ci è variato. Saliamo dalla porta posteriore e notiamo come la numerazione parta appunto dal fondo e non dall’inizio. Aereo in condizioni decisamente migliori di quello di Air Niugini ma anche qui nessun servizio ristoro in volo, anzi nessun servizio e basta. Atterriamo a Wewak dopo che l’ATR72 ha completato una bella inversione sul mare regalandoci una grande vista della costa e dei promontori, l’aeroporto è minimale e il clima che ci accoglie è caldo e sudaticcio già al primo passo. La riconsegna bagagli è fatta alla “mongola” (rammento qualcosa del genere a Altai-Gobi) appoggiando tutto su di un tavolaccio ed ognuno si servi, fortuna che gli zaini arrivano prima di valige, pacchi di cartone e sporte varie, così ci togliamo dalla calca immediatamente. Cyril, che sarebbe la guida per l’escursione nel Sepik ci identifica (ovvio, gli unici non locali) e ci fa segno di seguirci al suo pulmino da dove arriveremo in città presso la CBC GH (110k a testa a prescindere dalla tipologia di camere con uso cucina), una grande struttura su più unità abitative dotate di ventilatori che mitigano il caldo asfissiante. Sorge sul promontorio di Wewak Town, il quartiere della borghesia ricca e dei turisti, i pochi turisti che passano da qui. Con Cyrill i miei amici definiscono gli aspetti degli 8 giorni nel Sepik, ovviamente la cifra programmata varia, ma definita partiamo per il centro città dove far spesa e cambiare la valuta, perché come al solito accetta sì dollari ed € ma solo se cambiati in kina…Wewak è piena di gente e negozi, funge da hub per tutti i villaggi dell’area, non c’è problema nel reperire quanto si necessiti per giorni fuori dalla civiltà, anche il cambio valuta in banca avviene con velocità ormai inattesa. Il luogo pare molto più vivibile e tranquillo di Mt. Hagen anche se pieno ovunque di gente, risaliamo alla GH e lì Cyril cambia il costo dell’escursione alzandolo generando già confusione ed insicurezza, sarà che le scarpe da trekking che aveva chiesto per lui e per la moglie ad uno di noi gli sono addebitate così come specificato fin da subito, mentre un vecchio note book rimane un gentile omaggio (col senno di poi un errore da non fare). Chiusa questa lunga parentesi con gli accordi per l’indomani, tutto molto vago ma in teoria c’è una carta scritta via mail da Cyril avallata, su consiglio della guardia del CBC andiamo a cena al Village-in, arriviamo alle 20 che pare già notte e fuori orario. Si tratta del ristorante di uno dei grandi hotel presenti sul promontorio, qui esistono solo ristoranti di questo genere, mangiamo bene (40k) approfittando del buffet gratuito che comprende assaggi stile antipasti e tanta frutta. Qui si può trovare birra e vino, cosa non sempre fattibile in altri ristoranti o negozi. Rientriamo in un Wewak Point completamente deserto riprendendo in GH l’abitudine delle partite a carte, visto che fuori da qui non accade niente, nemmeno presso i grandi alberghi tipo quello dove abbiamo cenato, e le attività sono regolate dalla luce del sole, quindi sveglia molto presto e cena anticipatissima.


Wewak, caldo tropicale


15° giorno

Colazione tutti assieme in GH fai da te, attesa congiunta per l’arrivo di Cyril, ma alle 8:30 PNG time non c’è traccia. Verso le 9 dopo svariate telefonate senza risposta comunica che è in arrivo, e con giusto un’ora di ritardo si palesa adducendo un problema ad una gomma. Saluto gli amici in partenza per il Sepik mentre il caldo già di prima mattina è forte e l’umidità complica il tutto. Provo a visitare il promontorio ma dalla GH non vogliono assolutamente che mi rechi in giro da solo, così costituiamo un piccolo gruppo perché mi seguono la guardia della GH e l’addetto vi staziona poichè tra le tante costruzioni nell’area della GH alcune sono abitate da gente che non ha un vero impiego e sopravvive lì sostenuta dalle organizzazioni umanitarie che mandano avanti il tutto. La CBC in realtà si tratta di una minuscola chiesa evangelica della Nuova Zelanda (Community Bible Church) come ben evidenziano le bandiere all’interno e il simbolo del kiwi, l’uccello che non vola, non confondiamolo col frutto!!! E’ una delle tante strutture finanziate dall’estero che permette, seppur malamente, alla PNG di procedere. Non v’è traccia però di addetti provenienti dalla terra madre, tutti locali a gestirla ed occuparla. La zona del promontorio è tranquillissima, larghe strade percorse da rari suv dei facoltosi abitanti della zona, scendo al punto più a nord sempre scortato ma non mi lasciano fare il periplo lungo il sentiero esterno a bordo del mare, unica tappa al cimitero posto in fronte all’oceano. Il view point per il tramonto con vista sulle prospicienti isole lo segno per il pomeriggio. Rientriamo verso la GH, e da qui scendiamo in città con la guardia che ci saluta, nella zona dove partono le lance per le isole s’intravvedono i resti di una nave giapponese arenata, MV Busama, ma di nuovo non mi lasciano arrivare fino alla costa nei pressi, così ci inoltriamo in città ancora presa d’assalto dalla gente che arriva da ogni dove a far provviste. Un susseguirsi di market, in larga parte gestiti da cinesi o indonesiani, in uno di questi, il grande Vanilla Room, faccio un po’ di provviste per i giorni a seguire e per il pranzo, trovando finalmente acqua minerale indonesiana, che rispetto a quella commercializzata da Coca Cola è oro puro. Provo a trovare un qualsiasi posto dove connettermi a internet, da una libreria all’ufficio postale ad un’ONG di missionari statunitensi, ma non c’è modo, in quest’ultima un addetto mi lascia il suo tablet ma niente, connessioni inesistenti. Butto un occhio anche al mercato, ben tenuto e coloratissimo, mentre il caldo mi assale rientro in GH dove sfrutto la cucina per un pasto veloce e per riprendere fiato coi ventilatori al massimo. A questo punto, con gli addetti che mi hanno abbandonato, dopo un veloce relax con lettura, ritorno a visitare più approfonditamente il Wewak Point attendendo il tramonto al view point al termine della via dietro al Paradise New Wewak Hotel, in compagnia degli sparuti turisti locali. Da lì, incrociando pure una chiesa cattolica che pare poco frequentata arrivo fino al Wewak Boutique Hotel, mi è stato detto che sia l’unico in città dove connettersi ad internet, così da provare a riconfermare a George il mio tour dell’indomani. Lui sarà di rientro via barca da Goroka, ovviamente non da lì con la lancia, ma l’aveva lasciata al porto di Madang e sarebbe risalito bordeggiando la terra ferma. Il servizio internet sarebbe a disposizione solo per gli ospiti, mi danno comunque la password per il wi-fi che funziona pure a bordo piscina, anche se la velocità è lentissima ed i black-out ripetuti. In pratica in un’ora faccio ben poco, spero che George riceva la mia mail e quando esco non vogliono i 7k che inizialmente mi avevano richiesto (mettiamoci pure le lamentele avanzare per la lentezza), ci sarebbero anche 3 pc in stanza dedicata ma probabilmente quelli sono usati solo dagli ospiti. Quando esco, alle 18:30 pare notte fonda, non c’è quasi più nessuno in giro, alcuni che vi vedono arrivare con la lampada facciale accesa cambiano velocemente lato, mi avranno preso per uno spirito maligno. In GH chiedo all’addetta di telefonare per conferma a George la mia presenza, giusto per essere certo che l’indomani potrò partire, fa tutto con un’inattitudine al servizio al cliente da primato, ma più tardi tornerà a confermarmi l’appuntamento per le 9 dell’indomani. Doccia splendida anche se uscito dall’acqua il caldo e l’umidità continuano ad imperversare ed in bagno non ci sono ventilatori, poi con calma mi preparo la cena facendo conversazione con un tecnico informatico della capitale qui per lavoro, deve installare il sistema in una nuova filiale di una delle varie banche che stanno sorgendo in città. A lui Wewak pare un luogo lontano nel tempo, pioneristico e insicuro all’ennesima potenza, chissà se e quando lo invieranno a Tari cosa penserà. Coi ventilatori che lavorano vorticosamente passo il resto della serata a leggere col vantaggio che all’interno non c’è presenza di zanzare mentre all’esterno imperversano.


Goroka, al mercato per betel, kambang e daga

16° giorno

Colazione a ritmo lento in GH ma ella 8:30 addirittura in anticipo si palesa George e quindi velocemente devo preparare lo zaino e seguirlo all’imbarco, proprio ai piedi del promontorio. La navigazione sarà assieme ad un gruppo di australiane ed una coppia malese che approfittano del fine settimana per un’escursione sull’isola di Muschu. L’attraversata a velocità sostenuta e lavate comprese dura 30’ (50k x andata/ritorno), poi entriamo in baia con vista da ultimo paradiso. Si sbarca velocemente e siamo allocati nei bungalow di George che gestisce assieme alla moglie ai figli e ad una varia comunità. Il villaggio si chiama Sup del quale George è una specie di autoproclamato sindaco giacché la maggior parte degli introiti nasce dai suoi contatti con i visitatori. La struttura è più che basica, un materasso di 5 cm è posto per terra avvolto da una zanzariera, e la parte alloggio è terminata, per i servizi igienici se non si vuole utilizzare ogni volta l’oceano, a circa 100m si trova una cabina mezza diroccata con tenda che staziona sopra una fossa. Un trono di legno sarebbe la tazza, uso sconsigliatissimo, ma chiusa la tenda l’infinità d’insetti rimane fuori. Non v’è traccia di doccia, lavandino o altro, solo 2 bacinelle ai limiti della foresta dove un tubo porta gocce d’acqua. Salto il pasto e dopo aver preso visione con quello che per alcuni giorni a venire sarà la mia base, faccio un’escursione della baia di Sup fino al point che fa da volta tra baia ed oceano aperto, nei paraggi s’intravvede anche una piccola barriera corallina. Le australiane si definiscono volontarie qui in missione, in realtà lavorano per enti governativi o ONG, tutte regolarmente pagate, diciamo che di volontario c’è l’aver accettato questa meta piuttosto che un’altra. Contratti che vanno dai 6 mesi ai 2 anni, quantità di birra, patatine e stuzzichi in gigantesca abbondanza, che ingurgitano tra un bagno e l’altro. Rimangono stupite dalla mia provenienza e dall’essere qui da solo, dopo alcuni bagni (George può fornire anche l’attrezzatura da snorkeling ma da quanto mi raccontano non ci sono pesci magniloquenti) è tempo di cena che come ogni appuntamento futuro con la tavola è preparato da Josephine, la moglie di George con aiuto sporadico da parte di alcuni dei 4 figli/e. La cena inizia al tramonto per sfruttare la luce, ma qui il tramonto è uno di quei pochi momenti imperdibili, quindi anche col fatto che siamo in tanti ci prendiamo tempo per recarci a cena addirittura dopo le 19, incredibile. Parlano tutti alla velocità della luce e in tono gergale, col mio inglese maccheronico riesco a far conversazione e nemmeno troppo bene giusto con le 2 persone che ho a fianco, la cena si svolge sotto ad un pergolato con una lampada servita da un generatore che inizia a lavorare proprio per la cena e che senza capirne bene l’utilizzo rimarrà accesso fino a notte fonda. Non so da dove recuperino l’acqua che ci viene servita, sulle prime siamo tutti premurosi, chi ne ha scorta personale non usa quella fornita dentro a grandi e scomodi canestri per irrorare una cena disgustosa, non solo io fatico a mangiare quello che mi è servito, anche le australiane cedono il più ai cani che ci attorniano, simpatici, tranquilli e per nulla intraprendenti nei confronti del nostro cibo. Ognuno cerca un suo angolo da abluzioni nel buio, cercando di evitare zanzare ed insetti, meglio utilizzare repellenti su di ogni centimetro di pelle scoperta, ma soprattutto utilizzare abiti con maniche lunghe e pantaloni anche quelli lunghi, per quanto scomodi pure le calze servono. La notte è calda, se di giorno lo si combatte tra amaca, ombra e bagni, di notte dentro i bungalow praticamente sul fondo dove non scorre un minimo d’aria la temperatura è elevata nonostante un acquazzone si fosse abbattuto sull’isola nel pomeriggio. Utilizzo lo zampirone in camera per far sì che quando entro a dormire sotto la zanzariera le zanzare non mi seguano, anche se il materasso non è molto grande e muovendosi di notte si arrivi a contatto con la rete della zanzariera dove possono esserci questi famelici insetti. Fortunatamente le 2 australiane che dormono sotto le zanzariere nel mio stesso spazio non sono disturbate dai fumi dello zampirone e cerchiamo così di scongiurare eventuali punture. Non che le punture di zanzare siano un fastidio così forte, ma il pericolo di contrarre la malaria, se non elevato come in altre aree della PNG, non è totalmente scongiurato.


Tra Geremiaka e Nokondi, Mudmen durante il singsing


17° giorno

Reduce da una notte con temperature elevate pure in riva al mare, veloce passaggio in bagno (ovvero utilizzo dell’acqua nei secchi) e poi colazione congiunta, con uova, frutta e caffè (qualche busta di tè si scorge ma non contateci) poi con Denis, cugino di George o così si dice, come guida parto per un’escursione ad una delle attrattive dell’isola, i resti della contraerei giapponese. Già, Muschu è stato un centro nevralgico durante la seconda guerra mondiale, qui per tutti WWII, ed attraversare la foresta alla ricerca di questi reperti è una delle attività preferite dai più. La WWII è stata feroce anche da questa parte dell’emisfero, noi studiamo quanto accaduto in Europa e piccoli accenni fuori dai nostri confini tipo Pearl Harbour, Hiroshima e Nagasaki, ma qui hanno picchiato duro. Ed allora lascio la tranquillità della spiaggia paradisiaca per immergermi nella foresta. Ovviamente qui nel mezzo dove sovente la luce del sole fatica a farsi strada l’umidità la fa da padrona, i sentieri che tagliano l’isola sono identificabili solo da un indigeno del posto, attraversiamo alcuni villaggi dove Denis è sempre ospite gradito, soprattutto se in compagnia di stranieri. Il machete che fa da suo compagno di giochi è quanto mai utile per tagliare radici, arbusti, rami e così via lungo un groviglio di sentieri via via sempre più impenetrabile. In circa 1h, con soste presso villaggi o capanne nel nulla arriviamo a destinazione, presso 2 postazioni di contraerea giapponese ancora visibili nel mezzo della fitta foresta. Qui i giapponesi fecero base dal 1941 al ’43, luogo da dove controllare il pacifico per non fare arrivare gli alleati e poter dare l’assalto a Port Moresby senza eccessivi problemi lungo il Kokoda trail. Leggenda narra, la racconto per come mi è stata venduta, che negli anni ’80 un giapponese ancora nascosto nella giungla dell’isola è ricomparso tra la costernazione generale. Foto di rito coi reperti per poi tagliare l’isola verso un altro ritrovamento legato al conflitto. Riprendiamo uno dei sentieri percorsi in precedenza per lasciarlo ben presto, ancora foresta fitta fino ad un villaggio dove posso osservare la lavorazione del bambù utile per costruire le case tradizionali, che va incrociato con un altro tipo di legno, sempre reperibile da alberi di dimensioni ridotte. Anche la daga, il rametto che serve per recuperare la polvere di kambang si trova numeroso, ed infatti più volte Denis chiede se ho tempo per attendere che lui salga sugli alberi a recuperarne. Nessun problema perché fa altrettanto con le noci di cocco da cui ricavare acqua fresca di cui se ne necessita in quantità, questo permette di evitare di portarsi più borracce la seguito, le noci di cocco non mancano di certo. Ovvio che serva una certa abilità per aprirle adeguatamente, ma chiunque viva qui con 4 veloci e precisi colpi di machete è in grado di farlo. Arriviamo nei pressi di un aereo americano abbattuto dalla contraerea giapponese, pezzi sparsi su ampia superficie con la natura che ha già fatto il suo corso e si è impadronita di più parti, come essere ad Angkor Wat ma al posto dei templi trovarci resti di aerei. Rientriamo alla base, il giro dura poco più di 2 ore con soste sia per vedere i resti della WWII, sia per fermarsi presso alcuni villaggi del posto, Denis chiede 25k per ogni escursione, non varia a secondo della lunghezza e del tempo impiegato. E’ informato sui fatti dell’isola, parla un sufficiente inglese, non è assolutamente logorroico come altre guide del posto, lo assoldo anche per l’escursione ben più lunga dell’indomani. Per oggi basta, sfrutto l’amaca nell’attesa del gruppo australero oggi in escursione sulla vicina isola di Kairiro (250k per un giorno intero a testa), passo tra bagni in un’acqua molto calda vicino a riva, meno quando ci si allontana, a lettura sull’amaca. In acqua pochi pesci ma nessun disturbo di meduse o altro, a parte il sole che brucia, e a causa del quale ci consigliano di andare in acqua protetti da una maglietta. Nel frattempo tratto con George un eventuale spostamento su altra isola, definisco tra 3 giorni di andare a Yuo Island dove conosce un amico che gestisce una GH, per il trasporto in solitario mi chiede 100k, questi anticipati perché deve predisporre la lancia e la benzina. Tramonto fantastico, con tutto il gruppo rimaniamo a rimirarlo fin quando il mare si colora di rosso dopo che la foresta pare aver preso fuoco, è già buio quando andiamo a cena, terribile, ne godranno a lungo i cani. Solite misure precauzionali verso le zanzare, se sulla spiaggia la temperatura e fantastica, all’interno della capanna il solito caldo, fortuna che ad un certo orario un acquazzone si abbatte sull’isola portando oltre al presumibile fango sui sentieri anche un po’ di refrigerio.


Wewak, porto per le isole e ruderi sullo sfondo


18° giorno

Colazione pessima, al posto delle uova c’è una sorta di pancake spesso, crudo e insapore, cani ancora felicissimi. Saluto le australiane che rientrano al lavoro nel pomeriggio (non mi paiono sottomesse a ritmi lavorativi dittatoriali, anzi…) per partire sempre con Denis all’escursione della Swimming Pool, una sorta di piscina naturale nel mezzo dell’isola, o meglio dall’altro versante. Ci si può andare in lancia in poco tempo e veloce camminata, il bello però è attraversare tutta l’isola, vedere foresta, baie, villaggi, passare su tronchi che fungono da ponti, salire su colline dove godersi il panorama ed imbattersi in ulteriori resti della WWII. Parto quindi di nuovo con Denis e con un suo amico che proviene da un villaggio di una tribù diversa. Già, anche su questa piccola isola ci sono tribù distinte con tradizioni proprie e linguaggi non comuni. La moglie di Denis, che viene dal piccolo villaggio di Bam parla una lingua diversa, integrazione perfetta. Il percorso parte costeggiando la spiaggia, raramente ci immergiamo nella fitta giungla per i primi 45’, nei dintorni del villaggio di Marai iniziamo a tagliare Muschu. La foresta si fa fitta, i passaggi non sempre semplici causa anche la pioggia della notte che ha reso i sentieri veri e propri acquitrini, alcuni passaggi avvengono su tronchi che attraversano profondi canyon, non così banale. Giungiamo in prossimità di un airstrip attorniato da alcune costruzioni, tra le quali la prima scuola dell’isola, ora ve ne sono altre ed i bambini accedono alla più vicina così vanno regolarmente a scuola a differenza di un tempo. Nei paraggi vi è l’unica possibilità di avere un minimo di segnale telefonico, non che m’interessi, ma mi accorgo della cosa perché sento suonare il telefono dopo giorni di morte apparente. La swimming pool è nei paraggi, una pozza verdissima, fresca e a sbalzo sulla baia, un invito a tuffarsi impossibile da rifiutare. Ritemprante come nulla d’immaginabile dopo la lunga scarpinata, si può anche evitare di asciugarsi tanto riprendendo il cammino si suda al solo pensare. Scendiamo alla Muschu bay, dove la foresta di mangrovie entra in acqua passando dalla laguna verde all’oceano blu, luogo incantevole. Poiché agli occhi delle guide son parso un buon camminatore mi propongono un rientro più lungo ma con la possibilità di passare per qualche villaggio e la vista di altri reperti di guerra giapponesi. Accetto la proposta e partiamo per Bam, il villaggio dove risiede la suocera di Denis che troviamo sulla soglia della capanna in abbigliamento tipico. Rimane interdetta per l’arrivo imprevisto di uno straniero, si ripresenta vestita “moderna” mentre nel frattempo una selva di bambini è arrivata a rimirare il viso pallido, giocano con maialini come da noi si gioca con un cagnetto, nel frattempo noci di cocco per riprenderci e dopo qualche domanda su da dove vengo (Italia non pervenuta da queste parti, vicino alla Germania e fin lì ci arrivano) riprendiamo il cammino del ritorno. La via maestra che taglia l’isola senza portare in realtà da nessun parte è nel mezzo della foresta sovrastata da rami cadenti, qui scorgo 2 jeep giapponesi rimaste intrappolate nella giungla. Di una mi sono spiegati i minimi dettagli, non si trovano più i pistoni perché li hanno utilizzati per usi domestici, ma è ancora ben visibile il motore. Nei paraggi sorge la collina più alta dell’isola, vi si accede per una scalinata decrepita, viene utilizzata per le preghiere alla madonna con tanto di altarino e ora la chiamano appunto la collina della madonna dove vanno gli sposi nel giorno del grande evento. Da qui si riesce a scorgere in più punti in lontananza l’oceano, cosa mai fattibile nel resto della giungla. Il lungo rientro passa per qualche piccola cascata dove facciamo una specie di doccia, fondamentale poiché non si trova presso la GH, ed arriviamo a Sup dalla parte inferiore. Noto che il villaggio non è formato solo dalle poche capanne sulla spiaggia, c’è pure un centro sportivo, una chiesa, passo dalla scuola che però ora è già chiusa e ci fermiamo presso alcuni locali dove Denis recupera qualche foglia di tabacco essiccata che inserisce in un pezzo di giornale per una sigaretta artigianale. In effetti tutti fumano ma di pacchetti di sigarette non v’è traccia, chiunque essicca il tabacco e recupera un po’ di carta per fumarlo, a parte il tabacco non c’è nulla di più nelle loro sigarette. L’escursione è durata, comprese soste per bagno, chiacchiere con locali e digressioni lungo il percorso, 6h, Denis parla di una distanza tra i 15 e i 20km, percorso non semplice per via del fango, delle radici e dell’umidità, quasi tutto in piano però. Tempo di relax, l’amaca oggi è tutta per me, mi trasferiscono in un bungalow solo per ospiti dove sono completamente solo, mi godo il tramonto ma Josephine ha fretta di chiamarmi a cena, non essendoci ospiti stranieri ma solo alcuni locali che fanno tappa qui di passaggio da un’isola all’altra, le loro abitudini prevedono cena alle 18, già arrivare prossimi alle 19 è un regalo che mi fanno. Siamo in 5, ma solo uno di loro parla inglese, proviene da Aitape e mi racconta vari fatti che accadono sulla costa e sui vari mercati prossimi e poco oltre il confine con l’Indonesia, nazione con la quale la PNG si divide l’isola originariamente chiamata Irian Jaya. Con qualche info in più sui luoghi provo a dormire quando il generatore continua a ronzare ed il caldo non abbandona il bungalow. Ritorno all’amaca per godermi un minimo di brezza, ma leggere non è semplice perché le zanzare sono attratte dalla presenza di un obiettivo da attaccare, e rimanere vestiti come in montagna su di un’amaca in spiaggia non è il massimo.


Nokondi, Halfmen durante il singsing


19° giorno

Colazione abbondante bagnata dal caffè, poi ha inizio la giornata destinata all’ozio visto che domani dovrò partire per una nuova isola da visitare. Quindi tappa all’amaca per lettura intervallata dall’osservazione della vita quotidiana di un’isola nel nulla. Passa un sacco di gente senza fare mai nulla, George in teoria sta ampliando i suoi possedimenti con la costruzione di un nuovo e grande bungalow, ma gli addetti che vi lavorano pare lo utilizzino più per andare a dormire che per farlo crescere. L’unica che non stacca mai è Josephine, che oltre a mantenere immacolata la sua cucina all’aperto completa di un’infinità di stoviglie (ci pensano grandi foglie di banano a far da tetto per le immancabili piogge) spazza e pulisce il litorale, sistema i bungalow e rammenda i pochi vestiti a disposizione. A metà mattina George mi segnala che andrà a prendere i miei amici per portarli sull’isola, chiedo meglio e mi conferma quanto detto, stento a crederci, dovrebbero essere ancora nel Sepik per un itinerario completamento diverso, mah, saranno sì italiani che immagina come miei amici ma non proprio loro. Invece verso le 13:30, giusto dopo aver gustato un’altra barretta energetica che fa da pranzo li vedo arrivare sulla lancia di George. Li accolgo stupito, mi racconteranno che Cyril, come immaginabile non ha mantenuto le promesse, già dal secondo giorno soldi e guida erano spariti e dopo aver subito l’assalto dei topi in una stamberga pagata di tasca loro hanno deciso di abbondare la spedizione nell’alto Sepik e trovare rimedio qui. Info ai più, l’alto Sepik non è al momento il posto più interessante dell’area, tutti si stanno dando alla riproduzione dei coccodrilli che ha cambiato in toto l’economia del luogo, tradizioni spazzate vie in poco tempo e zero tempo per raccontare fatti e misteri ai rari avventori. Molto meglio far tappa nel Middle Sepik attorno al Chambri Lake, fango a parte, ma lo si affronta. Ma torniamo a noi, sbarcati li accolgo come se fossi qui da sempre, cosa fare, dove andare, come sopravvivere, il bungalow si ripopola e nel pomeriggio la priorità diventano i bagni nella favolosa baia antistante Sup. Abbiamo così occasione di sperimentare la doccia da viaggio by Decathlon, che riempiamo da una delle bacinelle e fissiamo ad un albero, grazie al caldo e al sole ci troviamo così con una vera e propria doccia calda a disposizione, una chicca fuori dall’ordinario per il luogo. George, che ha fatto un passaggio in ospedale a Wewak per medicinali antimalarici, continua a star male ma per l’indomani ci promette il funzionamento dell’impianto idrico. Non faccio tempo a raccontare meraviglie del tramonto che quello già si prende la scena, siamo chiamati a cena sempre in anticipo ed oggi siamo in buon numero, ancora il marinaio di Aitape che racconta storie di navigazione tra isole e collegamenti sulla terra ferma, luoghi che però ben difficilmente potremo visitare. Cena decente, ci servono una specie di tonnetti con una leggerissima impanatura che deriva da un frutto locale, quale proprio non saprei, non ne troviamo una traduzione. Luce sul tavolo grazie al generatore, rumore che accompagna in lungo la notte, il caldo la fa sempre da padrone così anche se intabarrato quasi da inverno passo tempo sull’amaca a leggere.


Wanekipa, in aeroporto tra curiosi


20° giorno

Colazione in relax con opzione tè che accompagna il caffè (gli amici hanno buona parte delle scorte del Sepik con loro), do un po’ di dritte per eventuali escursioni, così alcuni vanno a vedere i resti della presenza giapponese mentre c’è chi si prepara per la swimming pool dell’indomani. Con loro arrivo cambio il programma e rimango in loro compagnia, così non farò il passaggio a You Island e ridefinisco la presenza a Muschu, dopo il solito relax su amaca e fide letture (quanto mai utile il kindle, altrimenti per i 10 libri letti in viaggio mi ci sarebbe voluto mezzo zaino) faccio un giro di Sup per capire come viva la popolazione del luogo. Negozi non ne trovo, c’è giusto un bungalow che vende noodles, gallette, patatine & salatini e qualche bibita, un altro lodge come lo chiamano loro che altro non è che qualche bungalow basico gestito dal fratello (o presunto tale di George) in condizioni più umane di quello dove risiedo, dietro alla parte sulla baia ci sono la scuola, la chiesa cattolica alcune capanne che fungono da uffici governativi, capanne comuni dove alcune sere sono proiettati film in dvd e poco altro, la popolazione se ne sta per lo più nella giungla a coltivare tabacco, bambù utile in mille modi, ma il tutto con ritmi da rimanere staccati da un bradipo. Del resto perché correre, fa caldo, si suda e quel poco che serve sono le noci di betel, il kambang e un poco di carta per fare sigarette col tabacco che cresce qui. Al rientro noto che nella veranda del bungalow ci hanno portato un ingente numero di noci di cocco, provo ad intagliarle ma l’operazione non è semplice con un coltellino svizzero. Uno dei nullafacenti carpentieri in zona ci mostra come fare provando pure lui ad evitare il machete, non semplice anche per uno così pratico, forse perchè mai fatto in quel modo, ma ci riesce, alla lunga impiegando circa 30’ ce la facciamo anche noi, importante non avere una sete assassina…Solita barretta energetica per tirare sera ed evitare un possibile pessimo pranzo e nel pomeriggio tempo per il tragitto amaca-oceano, non male. Giornata più ventosa delle precedenti, col vantaggio che il caldo non da fastidio, ma occorre fare particolare attenzione al sole poiché il percepito del calore è minore ma i danni del sole non calano, anzi. Tramonto da cartolina, ma ormai è scontato, lo si rimira comunque tanto il tempo gioca per noi, poi cena a cui arriviamo dopo una nuova doccia by Decathlon. George ha sistemato anche il discorso arrivo dell’acqua, ma ha posizionato ampi barili proprio in area cucina così da renderne difficile l’utilizzo se non si vuole mostrarsi a tutti mentre mangiano o chiacchierano. Il pesce che ci è proposto questa sera è scadente, alternative non ne abbiamo e occorre farselo piacere, poi rimaniamo a bordo oceano con una mezza luna che pare un lampione a led, in una serata in cui la leggera brezza spinge via le malefiche zanzare. Il vento però si alza e si vedono arrivare grandi nubi che non rimarranno inermi.


Muschu Island, tramonto visto dal villaggio di Sup


21° giorno

Niente caldo questa notte, la pioggia battente ci accompagna a lungo e quando è tempo di colazione tutto è umido e bagnato. Questo clima uggioso ma non freddo si protrae a lungo nella mattinata mentre sul mare si odono tuoni, dall’interno arrivano invece suoni di musiche tradizionali fatti coi tamburi, gli antichi drum come un George non ancora risistemato ci racconta. Le storie dell’isola sono comunque legate alla WWII, i più narrano di vicende raccontate poiché gente che visse quei tempi non se ne trovano più. Tempi durissimi, esecuzioni sommarie, si cercava di togliere le abitudini e soprattutto le usanze degli Haus Tambarain (le case degli spiriti), viene da pensare che dove non riuscirono con la forza gli invasori ci stiano ora riuscendo loro stessi con lo studio e la scuola. I resti dei giapponesi sono però una manna dal cielo per l’isola che richiama turisti anche per questo motivo, a differenza di altre piccole isole nei dintorni. Una vera e propria guerra di liberazione sull’isola non ci fu, i giapponesi se ne andarono una volta scacciati dalla terraferma in seguito ad accordi, mentre nemmeno gli australiani che presero il controllo della PNG fino al 1975 arrivarono qui. Nel pomeriggio il tempo tende a migliorare così da poter procedere agli ultimi bagni nell’oceano del viaggio, alternati alle ormai abitudinarie letture per un relax assoluto. Il tramonto non tradisce nemmeno questa sera, salendo su di un robusto albero che emerge direttamente in spiaggia c’è la possibilità di goderselo praticamente nel mezzo del mare. Cena al solito antelucano orario, passabile ma non proprio il massimo, ancora tonnetti ma stopposi come non mai, prendiamo congedo dalla solita verdura che ormai ha stancato anche i vegetariani incalliti per passare un’ultima serata ad ascoltare storie di qui tanto provare a dormire col solito generatore che produce rumore non è possibile.


Muschu Island, incontro nei sentieri


22° giorno

Ci prepariamo per colazione con un tasso di umidità record, come da record negativo è l’ultima colazione, per la gioia dei soliti docili ed ormai amici cani. George predispone il conto della permanenza sul luogo, attesa prolungata, poi occorre risistemare il tutto in base a quanto detto in prima battuta, non sempre rispettato. Alla fine i conteggi sono i seguenti : colazione 15k, pranzo 20k, cena 25k, pernotto 50k (questo scontato partendo da 80k), barca a/r 50k. Si rammenta pure dei 100k che avevo anticipato per l’eventuale passaggio a Yuo e quindi tutto si sistema. Ci imbarchiamo con un mare piatto, passiamo lentamente nella zona della barriera corallina dove alcuni pescatori sono all’opera e poi in 30’ tocchiamo terra a Wewak, solito molo e solito caldo. Risaliamo il capo per prendere possesso di un posto alla CBC GH (stesso prezzo dell’andata di 110k che vanno rigorosamente versati in anticipo e possibilmente scambi) dove trattiamo anche un transfert per l’alba dell’indomani verso l’aeroporto (30k cumulativi). Avendo tempo visito più accuratamente il mercato cittadino, la parte dei manufatti artigianali (o presunti tali…) è di pessima qualità, così come t-shirt e quel minimo di abbigliamento presente, la parte del cibo molto più caratteristica, tutto ben disposto e al solito coloratissimo. La città continua ad essere quel punto di riassortimento generale dove incontrare gente di ogni posto delle vicinanze e non solo, tutti caricano su camioncini sgarrupati e jeep in pessimo stato infinità di prodotti, quasi tutto cibo. Sfruttiamo la cucina della GH quando è già pomeriggio per un pranzo-cena preparato con le nostre provviste, ne abbiamo ancora un numero considerevole e ne offriamo anche agli inservienti della GH i quali apprezzano e non poco. Del resto un risotto alla pescatora completato con tonno As do Mar è prelibato pure qui…Tramonto da rimirarsi sulle isole poco distanti dal solito angolo sul Wewak Point sempre in compagnia di varia gente e da lì un salto al Wewak Boutique Hotel, ma oggi il servizio wi-fi è talmente lento da risultare inutilizzabile e ovviamente non ci fanno pagare. Rientriamo in GH dove iniziamo a stivare tutti i bagagli (che in parte avevamo lasciato qui al primo passaggio) mangiando qualcosa di veloce per andare a dormire nemmeno presto viste le abitudini del luogo, ma cercando di sfruttare un po’ di tempo vista la sveglia che ci attende.


Muschu Island, in compagni di un ragnetto


23° giorno

Ore 4 siamo già in piedi, un caffè veloce (qui si trova solo quello solubile in confezione da minimo 10 tazze, mai monodose) e i rimasugli di marmellata e biscotti, attendiamo per le 4:30 il bus per l’aeroporto ma non c’è traccia. Provo a svegliare l’addetta alla reception (simpatia e disponibilità pari a zero) e dopo svariati tentativi telefonici riesce a svegliare chi doveva passare a prenderci, sono già oltre le 5 quando partiamo per il minuscolo aeroporto di Wewak con partenza ore 6. Controlli inesistenti, appongono un adesivo sui bagagli, segnala la scansione ai raggi X che non esistono, il check-in è manuale, non c’è traccia di terminale, gate, una specie di capannone con alcune sedie e niente di più, anche arrivando solo 40’ prima nessun problema, tanto par di stare alla fermata dell’autobus. Il volo Air Niugini è puntuale, si va all’aereo a piedi senza nessuna indicazione, facciamo tappa a Madang dove si atterra a filo acqua, in pratica in mare. Da qui ripartiamo e quasi in orario giungiamo a Port Moresby lato domestic flight dove il bagaglio arriva addirittura da un nastro trasportatore, si esce per andare a quello internazionale e lì iniziamo le attese. A quest’ora non sono previsti voli, quindi check-in chiusi, in aeroporto non ci sono sale d’attesa, giusto un piccolo bar con qualche sedia ma se tutti attendono lì il loro volo non v’è spazio per i clienti. Aspettiamo alla meglio fuori, una zona tra i 2 aeroporti è destinata a cerchia del cibo, qualche tavolino ma anche un caldo non simpatico. Quando i check-in aprono, le pratiche sono veloci (bagaglio fino a destinazione, carte d’imbarco solo fino a Singapore) ma i controlli per entrare nella zona dei duty-free ancora chiusi, quindi nuova attesa in posti casuali. Quando anche i controlli aprono, entrare è un attimo così come il controllo passaporto, dentro un freddo polare e qualche struttura aperta, sedie quante se ne vuole dato anche il numero esiguo di viaggiatori. Il promesso wi-fi non c’è, parrebbe doverci essere un’inserviente con password ma non ne troviamo traccia, un addetto mi abilita sulla rete interna mentre inizia la lunga attesa del volo che prima viene posticipato di un’ora, dalle 14 alle 15, poi alle 15 sui terminali scatta la segnalazione in rosso della cancellazione. Sulle prime nessuno ha info da darci, poi si rifà il passaggio ai passaporti per riallungare la validità del visto e andiamo all’ufficio degli oggetti smarriti dove saremo ricollocati. Operazione non facile, chi ha solo il volo per Singapore deve attenersi ad una pratica, chi ha coincidenze come noi ad un’altra ben più lunga, divisa in 2 parti. Sono quasi le 19 quando otteniamo un hotel per passare la notte perché di voli non c’è più traccia durante la giornata, ed una promessa di avere tutti e 3 i voli per l’indomani, al momento di confermato c’è solo la prima tratta Port Moresby-Singapore dell’Air Niugini, siamo in lista d’attesa con l’Emirates per le seguenti. Nel frattempo c’è tempo per riconvertire le residue kina in €, operazione non fattibile perché non ne hanno o dicono di non averne. Si può fare in $, meglio di niente, anche se al solito il tasso di cambio è da usurai. L’addetta, che comunque ci tranquillizza, ci consegna il voucher per hotel e transfert, partiamo subito per il centro città, destinazione Crowne Hotel Plaza, occorre praticamente percorrere tutta la città che ben presto si svela più come un insieme di vari nuclei che una città unica ed armonica. In hotel ci fanno storie per il wi-fi, ma la nostra insistenza li fa desistere e ci forniscono le chiavi di accesso almeno per comunicare a casa che non arriveremo il giorno prefissato ma non ancora quando arriveremo, poi lasciata subito la stanza è tempo di cena in un ambiente gelido, occorre mangiare in felpa. La bella novità è che a differenza di quanto riportato sul voucher è tutto compreso, e poiché la cucina non scherza ne approfittiamo, perché come ripeteva già tanti anni fa Sam, al buffet (o servito con giri illimitati come qui) occorre guadagnarci. Nota sugli ascensori, funzionano con la carta magnetica fornita, e danno la possibilità di impostare solo il piano della propria camera, poiché avevamo camere su piani separati e quest’opzione non c’era nota, siamo impazziti per trovarci, in pratica una volta in ascensore occorre che salga una persona che possa impostare l’uscita identica a quella che si sta cercando. Altro discorso, per il wi-fi 60k al giorno, che non mi sembrano proprio pochi…Hotel ovviamente splendido, al top della città, così quindi cena e camera, anche se all’arrivo pure lì il freddo era pungente.


Muschu Island, le mangrovie a Muschu Bay


24° giorno

Ore 8 colazione a buffet di ottima qualità, poi perfino in anticipo sui tempi col servizio transfert a disposizione raggiungiamo l’aeroporto (25’) per andare immediatamente a fare il punto della situazione. L’addetta del giorno prima ci intravvede mostrandoci delle carte, la lunga fila passa più serena perché capiamo che la situazione pare sbloccata. Quando finalmente tocca a noi ci consegna il tutto, partiremo sempre con Air Niugini ore 15 (son poco più delle 10’, ne abbiamo ancora da attendere) e le combinazioni con Emirates sono le medesime solo con un giorno di ritardo. La lieta novella è che con Emirates viaggeremo in business, e da quanto si dice non dovrebbe essere così male. Attendiamo nuovamente l’apertura del check-in (dove si forniscono tutte le carte d’imbarco, potenza della business), pratiche veloci come velocissime sono quelle al controllo passaporti e bagagli. Freddo ancora elevatissimo in aeroporto, ma dopo l’esperienza di ieri lo combatto meglio, anche se dal mio naso pare che piova. Nell’attesa utilizzo nuovamente il collegamento wi-fi che mi era stato aperto il giorno precedente in modo da dare info in Italia sul rientro. Gli orari rimangono qualcosa di vago, se noi partiamo con oltre 30’ di ritardo, un volo Virgin per Brisbane parte con 20’ di anticipo. Il volo Air Niugini è pieno o vuoto a metà, pranzo buono e prima di atterrare rinfresco, a Singapore abbiamo poco tempo a disposizione, ma avendo il volo business non dobbiamo fare una lunga fila, volendo rimarrebbe tempo per sfruttare il wi-fi dell’aeroporto. Anche qui, ci sono gli scanner per persona completa, quando sto per entrarvi e mostro il biglietto mi mandano subito ad uno scanner normale, mah. Al secondo piano dell’A380 mi attende una postazione per me faraonica, sedile che può diventare un vero e proprio letto, maxischermo e tablet a disposizione, 2 hostess (strepitose, sarà un caso proprio a questo piano…) che si presentato e illustrano ogni aspetto o eventuale richiesta, frigo bar a disposizione se proprio non si vuole far la fatica di chiamarle, lista del menù che pare un libro e così via, nella parte terminale bar lounge con tavolini e divanetti a disposizione. Una volta in volo il servizio wi-fi non funziona molto bene, mi viene detto che tutto sarà ok quando sorvoleremo l’India, cibo di grandissimo livello, in pratica devo dire io basta, selezione di 8 vini pregiati provenienti da tutto il mondo (io non bevo altro che acqua, hanno pure risparmiato), quando sto per sistemare il sedile in posizione letto mi forniscono pure il materasso. A disposizione un kit confort da urlo, scontato che fosse così.


Singapore, Gardens by the Bay


25° giorno

Sveglia e colazione con una scelta che mette in difficoltà, almeno nella lettura del menù, noto che i bagni sono forniti di qualsiasi accessorio uno immagini, una volta atterrati i servizi di terra sono per me ancora meglio. Intanto sbarchiamo immediatamente e direttamente in aeroporto a Dubai, il controllo bagaglio a mano avviene in area dedicata solo a chi ha volato con questo volo in business, il controllo passaporti è una formalità così accediamo direttamente in aeroporto ed ovviamente approfittiamo della lounge vip. Come avere a disposizione un ristorante 3 stelle Michelin gratis funzionante 24 ore al giorno, divanetti, sedie, tavoli, wi-fi alla velocità della luce, tv, schermi, bagni, docce, ecc.. mentre al secondo piano la zona silenzio dove dormire su poltrone ergonomiche. Meglio mettersi una sveglia, non si sa mai…giornali provenienti da ogni parte del mondo in tempo reale, occorre dirlo? L’aereo per Bologna come sempre parcheggia a km di distanza da qui, ma poco male, ci imbarcano per ultimi con un bus dedicato dove c’è posto in grandi poltrone per tutti, appena saliti notiamo che sul Boeing 777 la situazione è diversa, non avendo un piano dedicato si rimane nella parte anteriore dell’aereo, spazi più ristretti ma per me sempre giganteschi, niente bar e docce, ma un servizio ancora curatissimo, tanto che non assaggio che una minima parte di quanto potrei, sono già satollo da giorni. Volo che atterra a Bologna in anticipo, pure qui altra comodità, ci fanno disimbarcare immediatamente con un mezzo dedicato, fila al controllo passaporti quindi di poche persone ed i nostri bagagli giungono subito al nastro trasportatore, quando tutti i passeggeri stanno iniziando i controlli dei passaporti io posso già uscire. Un giorno di ritardo ed i problemi conseguenti che Emirates ha alleviato alla grande, provando a far dimenticare i disastri dei servizi Air Nuigini che nemmeno ha comunicato in seguito l’annullo del volo così da non poter essere rimborsati dall’assicurazione. Non avendo Air Nuigini nulla in Italia, complesso venirne a capo, occorrerà far come loro, tintinnare di sciabole?


Muschu Island, tramonto con ragno


2 note di commento

Il viaggio si è svolto in agosto, parte finale della stagione secca, anche se la pioggia quasi tutti i giorni si fa sentire. Per entrare è sufficiente il passaporto in corso di validità per 6 mesi, il visto viene rilasciato in frontiera valido per 60 giorni senza costo. La moneta in uso è la Kina, 1€=3,6k, 1$=3,1k. Ma questi sono cambi sulla carta, presso le banche il tasso è sempre molto sfavorevole, forse meno peggio col dollaro, oltre ad attese di ore per ogni operazione. Va pagata ogni transazione, quindi conviene farle tutte assieme, se si cambiano dollari ed € le considerano 2 separate. I Bancomat, denominati ATM sorgono ora un po’ ovunque, anche in luoghi dimenticati come Tari, ma è possibile prelevare cifre minime, e non sempre lo stesso importo, una regola non c’è. Le valute estere, dollari compresi, non vengono mai accettati, vi diranno di sì, poi vogliono che voi li cambiate. La lingua ufficiale è l’inglese, anche se in realtà comunemente nessuno lo parla. È studiato a scuola ma in realtà ogni tribù adotta un suo idioma, quindi essendoci oltre 800 tribù esistono oltre 800 linguaggi. Capita che su di una piccola isola nei 3 ristretti villaggi siano parlati 3 lingue diverse. In ogni caso con l’inglese di solito se ne esce positivamente. Se amate rimanere in contatto costantemente coi vostri cari, consigliabile acquistare una scheda locale, che funziona sia per voce sia per dati, poi per la copertura è tutta un’altra cosa. Nella zona nei dintorni di Tari difficile trovare copertura, così come sulle isole, andando di roaming si è quasi sempre fuori rete. Gli spostamenti sono difficili, non c’è nulla con un orario definito, coi mezzi locali denominati PMV si parte solo quando stipati oltre ogni ordine di posto, se vuoto al momento in cui si sale va previsto da 1 a 2 ore di giri a vuoto nel villaggio prima di partire. Non esistono veri e propri prezzi per escursioni, guide, tutto è trattato e alla fine niente è confermato, quindi armarsi di tempo e pazienza e faccia tosta. Le condizioni igieniche sono pessime, va considerato che nonostante sia andato durante la stagione secca fuori dalle Highlands il pericolo malaria è incombente, da combattere con prevenzione fatta di abiti lunghi, zanzariera, tanti repellenti e nel caso peggiore medicine adatte. Consigliato il Coartem, in Italia non si trova (non siamo un paese dove questa malattia sia endemica) ma è reperibile presso la farmacia del Vaticano o in vari paesi africani, se avete amici che viaggiano lo possono procurare a costi molto minori rispetto al Vaticano. Gli alloggi variano da hotel molto costosi a bettole, una via di mezzo difficile trovarla, una buona alternativa sono le GH gestite dai missionari, in realtà hanno tutte un manager che non è un religioso di carriera, del resto tutto quello che permette alla PNG di procedere, seppur malamente, è gestito da missioni, governi stranieri (in primis Australia e Nuova Zelanda) e organizzazioni umanitarie. Facile trovarsi di fronte a voli aerei cancellati senza nessun avviso, spostamenti in auto non fattibili, altri solo con scorta da pagare alle varie polizie regionali, come imbattersi in agguati lungo il percorso. I tagliatori di testa che da noi i più conosceranno per averli incrociati sul lavoro, qui s’incrociano lungo il percorso, sangue freddo e nessuna paura, come mi ha spiegato un missionario indicando la mia pelle bianca, “quella ti salva la vita, per il resto si vedrà”. Ed in effetti in alcuni casi abbandonare le guide locali (fondamentali quando si visitano le tribù fuori dai centri abitati) può essere un’ottima soluzione. Le leggi dello stato valgono unicamente nei centri abitati, fuori da quella che possiamo definire la provincia, valgono le antiche leggi tribali, quindi in caso di problemi non pensiate di rivolgervi alla polizia, che in definitiva è una delle tante tribù in lotta nel paese.

Nokondi, piazza con campo da basket

bottom of page