Relitto al largo della costa Atlantica
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Il viaggio si è svolto da metà dicembre ad inizio gennaio, con l’arrivo della stagione secca, anche se vero più in teoria che in pratica, momento turistico molto intenso, sovente occorre prenotare anzitempo passaggi nei bus e pernotti. Per entrare sufficiente il passaporto, permesso un periodo di 90 giorni. La moneta è il colon, i bancomat (ATM) sono ovunque, al momento della mia partenza 1€=660c oppure 1c=0,0015€. L’utilizzo del $ è uso comune, il cambio avveniva tra i 570 e i 575€, si trovano ATM con doppia emissione, colones o dollari. Coi $ si va tranquilli ovunque, pagando in colones si risparmia, diventano in pratica obbligatori giusto sui bus presi lungo la strada. Con carta di credito si può pagare quasi ovunque, ma ci si scontra col fatto di avere conti più alti, in pratica i possibili sconti che fanno non saranno mai conteggiati alla presentazione di una carta, ma un caffè al bar non risulta problematico pagarlo, anche se spesso la lentezza della connessione per i pagamenti toglie la voglia di utilizzo. La lingua ufficiale è lo spagnolo, ma soprattutto sulla costa pacifica, terra gringa, facile che vi si rivolgano direttamente in inglese, non tutti lo parlano, ma chi ha un minimo a che fare coi turisti sì. Il wi-fi è ovunque, in certi bus a media-lunga percorrenza pure, non c’è struttura dove pernottare o mangiare che ne sia sprovvista. Le connessioni telefoniche direi idem (non le utilizzo mai quindi non ho verificato di persona) dato l’esorbitante impiego che ne fanno i ticos (gli abitanti del Costa Rica) e i tanti turisti, sia nei luoghi molto frequentati, sia nei parchi. La rete viaria passa sempre dalla capitale San José, non ci sono vere e proprie autostrade, il traffico abbonda, nella zona centrale si viaggia sempre tra le montagne e di conseguenza gli spostamenti richiedono tempo, i bus delle infinite compagnie di trasporto private vanno ovunque, la complessità essendo numerose e non interconnesse sta nel recuperare orari, posti di arrivo e partenza, non sempre coincidenti. Taxi ovunque, come ogni cosa in Costa Rica non economici, dimenticate i prezzi del mesoamerica, la nomea di Svizzera del centro America vale anche per quest’aspetto. Ma indubbiamente i tanti lati positivi compensano questo difetto. Per chi viaggia incontrare persone con cui condividere escursioni, viaggi, pernotti è facilissimo, il Costa Rica è talmente battuto da viaggiatori e turisti che la condivisione è un’opportunità quotidiana, in molti casi permette di ridurre le spese. Viaggiando da solo sottolineo la sicurezza degli ostelli dove ha pernottato, spazi condivisi dove mai nulla è sparito, e così anche per le tantissime persone incontrate, nonostante la gente dica sempre di stare attenti, il luogo rimane un’isola felice nei confronti non solo dei suoi problematici vicini (ma in questo periodo i rapporti sovente tesi col Nicaragua erano distesi) ma anche delle nostre “ricche” città d’occidente. Girare il Costa Rica con un mezzo a nolo sarebbe l’ideale, in parte scoraggiato da tariffe non basiche. Sulla costa atlantica, per darvi un esempio, una bicicletta può costare 10-12$ al giorno, uno scooter 50$, una moto 65$, quasi meglio un’auto sugli 80$ (dipendo molto dal tipo di assicurazione che integrerete), in molti casi i noli forniscono Daihatsu Terios, una piccola jeep in grado di andare ovunque. Discorso fotografico, essendo il paradiso del birdwatching, è effettivamente possibile avvistare pure rarissime tipologie di avifauna, meglio muovendosi con una guida esperta (e qui costano…), comporta però, per poterne attenere scatti apprezzabili, avere al seguito una dotazione di altissimo profilo. Fotografare questi uccelli spesso in controluce, in leggero movimento, mai troppo vicini, richiede un obiettivo di elevata qualità (consigliati dei 600mm con focali molto aperte) che devono essere supportate da macchine di pari livello, questo comporta costi elevati e peso, tanto peso, considerando che in ogni parco almeno 10km a piedi sono uno standard, spesso in salita/discesa e nel fango. Resta il fatto che così si può tornare con scatti preziosi per chi è amante del genere, altrimenti meglio godersi la natura e rinunciare a perdere tempo e fatiche inutili per foto che ben poco diranno.
Zopilote al sole a Puerto Viejo de Talamanca
1° giorno
A Bologna col check-in online sul sito Lufthansa la coda agli sportelli di Air Dolomiti è quasi nulla, ma anche chi deve fare il check-in ha ben poco da attendere, forse anche per via che in aereo saremo in 20, non di più. Lunga invece la coda al controllo bagagli. Il volo per Monaco (1:10) è puntuale, ci servono pure bevande e snack, una volta a Monaco mi trovo in un aeroporto completamente vuoto di prima mattina. Uscendo dall’area Schengen il controllo passaporti è automatico, quindi molto veloce anche se non ho particolare fretta. Wi-fi gratuito con registrazione, velocissimo, sarà anche per via del fatto che nessuno lo utilizza. Il volo Air Canada per Toronto è puntuale (Air Canada, Air Dolomiti e Lufthansa fan tutte parte di Star Alliance, per questo il check-in online è possibile da Lufthansa per tutte e 3 le compagnie in una volta unica), occorre però recarsi al gate per registrarsi e mostrare l’Eta (il visto per il Canada), o cartaceo o in pdf. Va richiesto in anticipo sul sito del governo canadese, costa 7$ canadesi, poco più di 4€, se trovate un prezzo maggiorato significa che siete finiti su di un sito che lo emette per il governo e quindi c’è la loro commissione. Il volo (6.936km, 8:50) è confortevole su di un moderno Boeing 787, ottimo servizio che consta di bibita e snack di benvenuto, pranzo, e spuntino prima dell’atterraggio. Disponibilità di film, giochi, intrattenimento, possibilità di utilizzo dei propri device, wi-fi (ma non l’ho utilizzato quindi non so dirvi come funzioni), direi un buon trattamento per una tratta intercontinentale. All’arrivo le pratiche sono velocissime, essendo in transito e non verso gli U.S.A. via preferenziale con verifica del passaporto e nemmeno mi chiedono l’Eta, stranamente pure qui come a Monaco non mi viene controllato il bagaglio a mano. Wi-fi in aeroporto ben funzionante ma ho poco tempo, la coincidenza è stretta, il volo per San José è sempre Air Canada ma Rouge, in pratica la linea “giovane”, o meglio economica, una specie di Ryanair per un volo però di 5:30. L’aereo è uno stagionato 767, niente schermo a disposizione e quindi intrattenimento zero, cibo a pagamento ma almeno il servizio bere è compreso. Noto che i più, avvezzi a tale servizio, salgono in aereo come se fossero partiti per un pic-nic, dagli zaini escono panini, insalate, borracce piene d’acqua (a Toronto ci sono più fontanelle dove riempirle) e così via. Causa fuso orario di 7 ore atterro al Juan Santamaria alle 21 di sera, il controllo passaporti è veloce nonostante una lunga coda, il bagaglio arriva 5’ dopo l’uscita dai controlli, prima di lasciare l’aeroporto tutti i bagagli vanno passati ai raggi X, non si possono importare parecchi generi alimentari, tra cui ovviamente frutta e verdura ma nemmeno carne. Possibile invece importare parmigiano-reggiano sottovuoto, come richiestomi da amici che sto andando a trovare. Usciti dai controlli ci si trova già all’esterno dell’aeroporto, in taxi (7$ o 3.500c) raggiungo l’Alajuela Backpackers, ostello-hotel prenotato in anticipo, camera da 6 ovviamente al completo con bagno in camera. Grande struttura in pieno centro con bar terrazza al 4° piano dove prendo un po’ d’aria, qui di sera a quasi 1.000m d’altezza il caldo non è eccessivo, anzi, serve coprirsi un minimo. Presa una boccata d’aria e mangiate 2 barrette al cioccolato che mi ero portato come scorta provo a dormire, nonostante 7 ore di fuso e più tentativi di essermi messo avanti col sonno in aereo.
Refugio Nacional de Vida Silvestre Gandoca-Manzanillo
2° giorno
Sveglia ore 7, a poca distanza c’è un ATM dove prelevo colones ($ li avevo già dall’Italia) e di fronte la Pasteleria Inglesa dove compro un’enorme pasta per colazione (1.200c), il caffè è offerto in ostello, ovviamente wi-fi e su richiesta servizio taxi per l’aeroporto. Già, l’aeroporto, non si trova nella capitale ma appunto ad Alajuela, la seconda città del paese a 40km da San José, e lì mi reco in bus che parte proprio dal terminal a fianco dell’ostello. In bus (565c, 45’) raggiungo il terminal Wagon di San José, il bus per Puerto Viejo de Talamanca parte dal terminal dell’Atlantico Norte, meglio conosciuto come terminal Mepe, son 6 quadre a piedi, sono in largo anticipo e vado a piedi, anche per via del fatto che la temperatura è fresca e la giornata bella. A San José i terminal sono un numero spropositato, quasi tutti molto piccoli, gli spostamenti quindi continui, a piedi impiego circa 15’, mi procuro il biglietto (non si può comprare via internet, già molto poterlo comprare il giorno prima, l’abitudine qui è comprarlo al momento) ed attendo comodamente seduto nella sala d’aspetto. Ci sono vari negozi per procurarsi cibo e bibite, bagno a pagamento (200c) che fa anche da deposito bagagli. Il bus parte puntuale alle 10 (ce ne sono 5 al giorno), impiega dalle 4 alle 5 ore, dipende dal traffico, costo 5.450c, essendo domenica in uscita non c’è troppo traffico e viaggiamo spediti. Prima sosta a Puerto Limon dopo quasi 3h e seconda a Cahuita, ma qui nemmeno il tempo di scendere che già si riparte. Arrivo a Puerto Viejo de Talamanca alle 14:15, tempo record, vicino al campo da basket ed alla biglietteria dei bus, una vera stazione qui non c’è. Il bus è stato così veloce che i miei amici devono ancora arrivare e quando si palesano sono sorpresi da tale velocità. Sono in bicicletta, il loro mezzo di spostamento locale, col quale raggiungiamo il Kalunai Hostel che per una settimana mi farà da casa. Il costo, trattato dai ragazzi in anticipo con Chelo, la proprietaria di Barcelona, è di 11$ (pagabile anche in colones) per un posto in camera da 4 persone, grande cucina a disposizione con caffè e tè gratuiti, wi-fi, biciclette a nolo con prezzo di favore, possibilità di rabboccare acqua a 300c x litro (prezzo ottimo, tenete conto che nel supermercato più economico una bottiglietta da 500/600cl costa 500c), amache, banane e guardia fornita da 2 simpatici cagnoni. Non ho tempo per prendere conoscenza con l’ostello, giro in paese a far conoscenza dei primi indigeni italiani di stanza qui, in preparazione della grigliata serale presso la casa dove vivono i miei 2 amici per il mio arrivo di oggi. Cuochi provetti da quando si sono trasferiti qui, con l’aiuto del padrone di casa, o meglio delle case che sorgono nella sua area, esperimento alcuni tagli di carne di maiale da noi in parte sconosciuti. Poiché qui non si fanno prosciutti, la coscia di maiale viene lavorata in maniera da renderla una parte prelibata della grigliata, posta de cerdo, mai provata prima, promossa a pieni voti, come la salsiccia che i ragazzi fanno da se. La partecipazione alla serata e composta da più avventori che inizio pian piano a conoscere, una comunità molto forte si è ritrovata in quest’angolo di mondo, tendenzialmente italiano in questo pueblo, ma in generale europea sulla costa atlantica. Rientro in ostello dopo un forte scroscio di pioggia, una situazione che si ripeterà con triste frequenza e a cui occorrerà abituarsi. Esperimento la doccia con ottimi risultati, come mi capiterà quasi sempre quando c’è la possibilità di averla calda il tutto è realizzato con ducha Lorenzetti, doccia elettrica applicabile in qualsiasi impianto. Tanto spazio, pure un dosatore di sapone, nell’ostello noto che ci sono più servizi di lavanderia, automatico a pagamento, ma anche con tanti lavabi a disposizione degli ospiti. Altro aspetto, senza fare eccessivo rumore molti ospiti tirano tardi tra i tavoli e le amache, l’aspetto della socializzazione qui come in qualsiasi altro luogo del Costa Rica è alla base del loro modo di vivere, che chiunque ovunque evidenzia con l’immancabile frase Pura Vida, emblema della nazione, compreso in meno di 24 ore. In camera siamo solo in 2, lusso che passerà ben presto, casualità c’è un tedesco in viaggio verso Panama che era nel mio stesso bus da San José a qui, altra caratteristica data anche dagli spostamenti non lunghissimi, il rivedere le stesse persone più volte in più luoghi distinti.
Il vecchio molo a Puerto Viejo de Talamanca
3° giorno
Alle 5 c’è già luce, alle 7 è già tempo di sveglia ma piove, ed allora sotto alla grande tettoia dell’ostello relax con tè e banane gentilmente offerte dalla direzione. Ma qui la pioggia viene e va, alle 8 è già tutto sereno e gli zopilotes aprono le grandi ali ad asciugarsi raccattando in paese avanzi di cibo, son pur sempre appartenenti alla famiglia degli avvoltoi. Appuntamento a casa dei miei amici, per arrivarci passo davanti alla De Gustibus Bakery, splendido forno-pasticceria dove non farmi tentare è dura. Un assaggio di 3 mini croissant ripieni al momento di crema, cioccolato e nutella (1.500c) è doveroso, e così incontro altri italiani, la bakery è ovviamente gestita da connazionali. A casa tempo per un batido all’ananas (i ragazzi hanno tempi e abitudini assolutamente caraibici) e poi via per organizzare l’escursione al P.N. Tortuguero per la settimana a seguire presso Exploradores Outdoor (155$, pagabili con carta di credito). Oggi si va in esplorazione, col bus verso Manzanillo (685c, 20’) dove la statale 286 termina prima del confine con Panama (non si passa da qui) e dove si entra nel Refugio Nacional de Vida Silvestre Gandoca-Manzanillo, uno dei rari parchi non a pagamento della nazione. Si accede dal villaggio lungo una strada non asfaltata dove fanno sosta i locali che accedono al mare e si trova un campetto da basket con retine bruciate, un puente colgante porta all’entrata e fino alla spettacolare Punta Manzanillo il sentiero è ottimo, facile da seguire e ben tenuto. Da qui invece, inoltrandosi nel parco le cose cambiano, si sale, le tracce sono poche ed il fango la fa da padrona, pian piano la foresta s’infittisce e perdersi è un attimo. Saliamo e scendiamo più colline, costeggiare il mare diviene impossibile e nella parte interna dopo circa 30’ di percorso immaginato più che seguito desistiamo, rientrando coperti di fango. Ritorniamo a Punta Manzanillo e da lì passiamo da alcune piccole e spettacolari spiagge, ovviamente in questa parte del parco c’è un sacco di gente, oltre la Punta praticamente nessuno. Rientrati al villaggio sosta per spuntino e canonico batido alla soda La Playa (3.300c) attendendo il bus che ci riporti in paese (650c, passa indicativamente ogni ora ma ogni 3 una corsa la salta), il bus ferma di fronte alla spiaggia nera dove nel mezzo del mare staziona una barca arenata, non l’unica lungo questa costa che pare amica ma si dimostra impervia. Il mare in questi giorni non è di facile accesso, onde importanti e causa piogge quotidiane il magico colore azzurro lascia il posto ad un verde tendendo al fango perché eccessivamente mosso, ideale per i surfisti che non mancano, anzi. Molti sono attrezzati con scooter o bici che hanno sul fianco il porta surf, si noleggiano già così con un sovra costo. A Puerto Viejo tempo per doccia e a seguire ritorno a casa dagli amici per cena, spettacolare guazzetto con gamberi e pane fatto in casa, prima un assaggio di focaccia, giusto per verificare le differenze tra i vari impasti. In serata non piove, rientro in ostello dove al solito c’è gente tra tavoli e amache, si chiacchiera ma senza eccessi, chi vuole può dormire anzitempo senza rumore, qui, nemmeno 300 metri lontano dalla costa, durante la notte il silenzio è totale e si dorme alla grande, caldo ma mitigato dal ventilatore fornito in ogni camera.
Coppia di coati nel P.N. Cahuita
4° giorno
Sveglia col bel tempo, il programma non varia, tè e banane in ostello, poi solita sosta alla bakery e arrivo dai ragazzi in tempo per batido e caffè. Oggi si va in escursione a nord, bus per Cahuita (750c, 20’, partenze cadenziate quasi ogni ora) con stop in centro presso la stazione dei bus. Da qui attraversando il pueblito verso sud si arriva all’ingresso del P.N. Cahuita, offerta libera se si entra da questo lato (versiamo 5.000c in 2), mentre a pagamento 5$ se lo si fa in senso inverso da Puerto Vargas. Si costeggia la spiaggia percorrendo un sentiero in ottimo stato, incontri coi tipici coati, una sorta di animale a metà tra un gatto ed un orsetto che vive sugli alberi ma non disdegna puntate in spiaggia, l’importante è recuperare cibo, si nutre di tutto, anche piccole tartarughine che si sono attardate a prendere il mare. Docilissimi e tranquilli, non hanno paura nell’avvicinare l’uomo, aspetto simpatico, sono una delle specie più fotografate della nazione. Il sentiero segue la parte esterna della terra che si spinge nel promontorio nel mezzo dell’oceano raggiungendo Punta Cahiuta, luogo spettacolare ove per giungervi si attraversano 2 guadi, almeno occorre farlo in questa stagione. Proprio sulla punta vi sono alcuni tavoli per picnic, obbligatorio uscire dal parco con tutto quello con cui si è entrati, non è ammessa spazzatura. La giornata è assolata, regala belle viste ma anche molto caldo, il lato a sud su playa Vargas di pomeriggio è decisamente caliente e molto meno coperto del versante nord di playa Blanca. Alcune delle caratteristiche rane tanto note del Costa Rica vivono qui, ma senza una guida notarle è impresa non da poco, come per la moltitudine di specie avicole, più facile udirne la presenza che avvistarle. C’è gente che viene qua anche solo per godersi il mare e la spiaggia, agitato come nei giorni precedenti e per forza di cose non strepitoso come le immagini relative al parco (che si estende per oltre la metà nell’oceano) rimandano. Arrivati alla stazione dei rangers di Puerto Varas si rientra sulla statale lungo una passarella sopraelevata nella foresta pluviale di 2 km, si percepisce che nell’intrico ci sia un’affollata vita animale, ma scorgerla non è semplice. Le guide con cannocchiale al seguito dei turisti che le hanno affittate non lamentano la presenza di altri viandanti se non si sta con loro per tutto il tragitto ma solo nel punto in cui sono ferme per spiegazioni e viste, così in alcuni casi ne approfittiamo per avvistare scimmie, uccelli e anche se molto lontano un bradipo. Il percorso nel parco è di 8km, se si sommano gli accessi si arriva sui 10km, lunghezza che non comporta nessun problema, niente fango, niente salite e discese, proprio un’escursione piacevole ed alla portata di tutti. Unica nota, occorre entrare al parco prima delle 14 per essere certi di uscire prima del calare del sole. Prima di giungere sulla statale si trova l’unico bar/ristorante del parco, gestito da un italiano offre svariati prodotti ma con prezzi fuori mercato, preferiamo prendere il bus di ritorno proprio di fronte all’uscita (770c, i prezzi andata e ritorno raramente coincidono) e fermarci a Puerto Viejo alla fidata De Gustibus Bakery (2.000c x spuntino e batido). Doccia ristoratrice in ostello, relax sulle amache e poi ritorno dai ragazzi per cena, ormai il loro piacere di inventarsi pranzi e cene ha surclassato il gusto di andare per ristoranti. Lentamente procediamo nella serata, ritardando un buon caffè poiché come abitudine uno scroscio di pioggia si abbatte sulla sera, la temperatura si fa piacevolissima ma per rientrare in ostello attendo che dal cielo non cada più nulla. Puerto Viejo rimane un posto assolutamente tranquillo anche al calar del sole, ha punti di animazione che a tarda ora si concentrano principalmente al Salsa Brava, specie di disco in spiaggia in corrispondenza del break preferito dai surfisti.
Incontri verso la cascata a Bribrì
5° giorno
Il diluvio universale pare abbattersi sulla mattina caribeña, quindi tanta calma e relax, tè in ostello e chiacchiere varie, una volta smessa la pioggia veloce colazione alla soda Caribe (2.200c, si paga con carta di credito anche per 500c) poiché di mercoledì la fidata bakery è chiusa per turno. Oggi visto anche il tempo che promette cambi velocissimi tra pioggia e sole, tempo dedicato a sistemare aspetti casalinghi, iniziando da ozio su amaca in lettura tra un caffè ed un batido. In bicicletta andiamo in centro per acquisti dei prodotti da consumo quotidiano, giro che vale anche come incontro della cerchia di amici e rientrati si va di piadina, partendo proprio dalla realizzazione del prodotto più romagnolo che ci sia, il mare evidentemente accomuna. Poiché il clima rimane variabile, andiamo da Fidel, o meglio Fedele ma essendo qui da tempo ha acquisito nome alla spagnola, dove recuperare alcune suppellettili ad uso casalingo. Un’affettatrice, una macchina per tirare la sfoglia, ci sarebbe pure un vecchio PC per il quale il padrone di casa vorrebbe monetizzare invano, ma di fatto l’incontro verte nella preparazione di quella che sarà la cena de navidad, imperniata in primis su di un maialino da fare al forno. Definito questo, quanti saremo, peso e tempi rientriamo in città, oggi è mercoledì ed al campo da basket c’è gente, un richiamo non scritto trasforma per molti abitanti del luogo che non distinguono un giorno dall’altro il mercoledì nella giornata del baloncesto. Puerto Viejo riporta un numero di circa 2.000 abitanti, tra i 200 ed i 220 di questi italiani, in realtà essendo un luogo turistico di gente se ne trova molta di più, e gli europei spopolano, si potrebbe dire che sul totale superino la metà dei residenti, francesi, olandesi, perfino svizzeri, tedeschi, insomma una piccola fetta d’Europa unita ha scelto questo cono da fin del mundo come meta privilegiata per vivere senza le ansie, le corse e gli obblighi delle ricche o meno città d’occidente. In questi giorni il turismo abbonda e le strade sono piene, da qui fino a Manzanillo si registra il tutto esaurito, ma rimane un tutto esaurito nel contesto ben identitario del luogo, assolutamente diverso da quanto avviene in contemporanea sulla costa pacifica. Certo, se avete fretta che vi servano il piatto preferito nel locale che avevate adocchiato la sera precedente, beh, magari oggi non apre o apre 4/5 ore dopo quanto riporta l’iscrizione sulla serranda. Ma siete qui per il Caribe o per battere dei record di percorrenza? Come mi disse una guida chiloana tanti anni fa (tal Miguel Angel, chissà se riesce ancora a farsi pagare senza far praticamente nulla…), descansa y disfruta. Solito giro saluti ai lavoratori in città, rientro in ostello, doccia e relax, noto che le facce continuano ad essere quasi sempre quelle, per cena di nuovo a casa dai ragazzi dove diamo fondo alla riserva di piade prodotte in mattinata e imbottite con gli embutidos acquistati dal Ciccio, o meglio al ristorante Va a seguir, che vende anche prodotti sciolti italiani, insaccati, affettati, formaggi e così via, ovvio che i prezzi non siano contenuti, costa più riempirsi una piadina che mangiarsi una deliziosa fettuccina inventata dal Ciccio sobre la marcha. Strano, di sera piove, quindi attesa che si sistemi per rientrare in ostello e scambiarsi info su cosa fatto e dove andare nei prossimi giorni coi presenti. Nel frattempo spazio in ostello esaurito, quindi camera da 4 al completo, spazi decisamente ridotti.
Parcheggio incustodito, Puerto Viejo de Talamanca
6° giorno
Questa mattina il sole svetta in cielo, tè in ostello poi riprendo le buone usanze in bakery (1.800c) per arrivare dai ragazzi col sole che si nasconde. Uno scroscio di pioggia scappa velocemente, ritorna il sole ma pure una forte umidità. Decidiamo comunque di andare in escursione, dalla fermata principale del bus partiamo per Bribri (775c, 30’) in direzione del confine Costa Rica/Panama di Sixaola. Si sale in montagna nel verde totale, strada tutta curve per sbucare in pieno centro di Bribri, piccolo villaggio che funge da mercato agricolo e dove nei paraggi sorgono alcune delle ultime comunità autoctone della nazione, i cabecar ed i bribrì, al vero piuttosto integrati, soprattutto i secondi. Dal villaggio a piedi lungo la statale 36, in pratica diritto rispetto alla fermata del bus, andiamo verso la cascata di Bribri, strada inizialmente asfaltata poi sterrata. Si oltrepassa un primo guado quando la strada ha preso leggermente a salire con belle viste sulla valle, oltre il quale ad una biforcazione si va a dx (non ci sono indicazioni in nessun punto del percorso), e s’incontrano altri 2 guadi. Uscito da quest’ultimo il percorso è decisamente peggiore ma ancora percorribile con un mezzo, ad un piccolissimo parcheggio (giusto x 2) si scende un tratturo in pessime condizioni tra radici di alberi e fango, scorgo varie farfalle enormi e coloratissime ed una piccola e mimetizzata rana, poi il guado più complesso, attraversato questo prendendo la parte a dx del ramo del fiume a sx si sale alla cascata. C’è una biforcazione, a sx si accede alla parte superiore della cascata (c’è una corda cui tenersi, un passaggio di 3 metri è lungo una roccia completamente liscia in forte ascesa), la cascata la si vede tra la folta vegetazione, il sentiero a dx porta alla base della cascata, ora al culmine della portata d’acqua. A differenza di altri periodi dell’anno per accedere alla piscina naturale dove precipita il flusso più grande della cascata occorre attraversare un piccolo e scivolosissimo cañon, date le attuali condizioni nessuno dei presenti si avventura in tale esplorazione, ci godiamo la cascata fuori dalla piscina naturale ma in un ambiente comunque molto bello, e pian piano siamo ricoperti d’acqua, ma dato anche il caldo il tutto è un piacere. Ripercorriamo il percorso dell’andata coi 4 guadi (nella stagione completamente secca solo l’ultimo proprio prima dell’ascesa finale rimane) per giungere in paese, tempo di percorrenza 1h sia per andata sia per ritorno. I bus salgono e scendo lungo la tratta Puerto Viejo-Sixaola ogni ora, abbiamo quindi possibilità di far tappa qui rifocillandoci alla celebre Pollera (4.600c), con piatti abbondanti e gustosissimi, in un locale preso d’assalto ad ogni ora del giorno da locali, turisti e da chi fa avanti ed indietro dal confine. Rientriamo in bus in paese (775c, questa volta coincide, 25’) dove faccio un salto a vedere l’ex molo. Struttura di ferro andata in rovina, ne rimane una parte nel mare che sembra più un relitto che un molo, divenuta quindi simbolo di Puerto Viejo proprio di fronte all’inizio della lunga e spettacolare playa Negra. La vista in controluce del tramonto rimanda a momenti tragici di affondamenti, in realtà niente di tutto questo, i più utilizzano la vecchia struttura come trampolino naturale, importante studiare per bene marea e onde. A seguire relax in ostello, chiacchiere post doccia e per cena giusto qualche spiedino recuperato dalle bancarelle sul lungo mare (1.000c a spiedino), nonostante siamo appunto sul mare gli spiedini sono sempre di carne, meglio non chiedere animale e trancio ma gustarlo, ottimi. Questa sera non piove, caffè in ostello dove oltre a quello americano c’è pure possibilità di prepararlo con moka tradizionale.
P.N. Cahuita, ragno su Playa Negra
7° giorno
Notte particolarmente calda, niente pioggia, veloce tè in ostello poi di nuovo bakery (1.800c), caffè e batido dai ragazzi. Una passeggiata intrapresa da più soggiornanti a Puerto Viejo è quella che conduce ad una delle spiagge più amate, Cocles. La particolarità è data dal fatto che invece di andare lungo la strada vi è un sentiero nella foresta che sta appunto tra oceano e strada, in alcuni casi uno spazio che non arriva a 100 metri ma che estranea da entrambi i confini. Il sentiero lo si può incontrare partendo dal Salsa Brava, oppure nei dintorni della soda Caribe o uscendo dal paese entrando al grande Rocking J’s, ostello e bar-ristorante. Scelgo la seconda opzione e subito mi trovo immerso in una fitta vegetazione dove l’avifauna la fa da padrona e pare pure fresco, il sentiero è largo e tranquillo, ci sono più piccoli anfratti sul mare dove fermarsi, ma voglio camminare e quindi avanzo fino al promontorio prima appunto di playa Cocles. Si sale alla vetta dal lato sud, ovviamente nessuna indicazione, dall’alto la vista spazia tra baie, foresta ed isolotti, una specie di piccolo paradiso che sulle prime pare pure incontaminato. La spiaggia, nonostante sia la più celebre della zona non è particolarmente battuta, in più va detto che il sole batte forte quindi i pochi presenti se non in acqua (ma oggi nuotare tra le grandi onde non è certo un piacere) se ne stanno sotto gli alberi. Proseguo cercando di trovare un punto dove saltare il fiume che qui giunge al mare, lo costeggio tra un lembo di terra dove c’è acqua in ogni dove, da una parte l’oceano, dall’altra una laguna piena di animali, ma un posto adatto per superarlo non c’è, la corrente è molto forte e l’unica alternativa è ritornare verso la strada e passare dal ponte. Certo la magia scompare ma lungo la strada trovo la Panaderia Francés dove far sosta (3.000c x 2 empanadas rellenas), in realtà gestita da uno svizzero, qualità non eccelsa, per bere il mio ormai canonico batido proprio di fronte sorge un baretto e lì mi fermo a gustarne uno (1.300c) e far 2 chiacchiere su cosa vedere ancora. Opto per rientrare per il medesimo sentiero, per il bus sono nella pausa delle 2 ore, lungo la strada oltre al fatto che c’è traffico batte anche un sole forte, appena si entra nella foresta la temperatura precipita di almeno 5 gradi. Soste di nuovo tra promontorio e spiagge e rientro in ostello dove preparo il bagaglio da lasciare in ostello e le poche cose da portarmi al seguito al Tortuguero. Oggi ceniamo fuori, ritrovo dal Ciccio a Va a Seguir, tra qualche assaggio di antipasto ed una fettuccina di alto livello cozze e vongole (il Ciccio ha scelto dopo vari confronti quelle provenienti dal Cile), finale con caffè Lavazza (8.000c). Compagnia varia, non solo il gruppo degli amici italiani ma anche la titolare dell’ostello con famiglia, altri personaggi locali tra cui El Chato, un nicaraguense che in condizioni normali è in grado di sistemare qualsiasi cosa ma questa sera con qualche decina di birre di troppo lotta contro Newton e non sempre vince. Qui in riva al mare la compagnia è completata da un numero elevatissimo di zanzare, appena all’interno scompaiono.
Oceano Atlantico al P.N. Tortuguero
8° giorno
Alle 6:20 il bus di Exploradores Outdoor passa a prendermi in ostello, è già quasi al completo, solo altre 2 tappe in paese e poi si parte, tutta una tirata fino a Betania, villaggio lungo la statale che sale a San José. Il complesso della compagnia che sorge qui funge da hub per tutte le destinazioni ed attività che offrono, tappa con colazione a buffet compresa nel pacchetto, splendidi bagni, armadi guardaroba per chi vuole lasciare qui zaini ingombrati, docce, e così via oltre al servizio wi-fi, io attendo il bus per il trasferimento verso il P.N. Tortuguero, i più sono invece qui per andare a fare rafting sul Rio Pacuare, considerato uno dei paradisi mondiali dell’attività. Con un bus più piccolo partiamo dopo circa 30’ verso Caño Blanco, inizialmente la strada è asfaltata, non in perfette condizioni ma si procede spediti, passiamo la città bananiera della Union Fruits (meglio conosciuta come la compagnia della Chiquita) e sul lato opposto della strada quella della Delmonte, un’enorme proprietà dotata pure di aeroporto privato. Terminate queste 2 cittadelle l’asfalto scompare, o meglio larga parte scompare lasciando di se solo piccoli rattoppi che fanno viaggiare a velocità ridottissima, molto meglio quando questi rattoppi scompaiono e si viaggia decentemente su sterrato. Caño Blanco altro non è che un imbarco per le long boat che solcano i canali tra l’oceano ed il parco, occorre circa 1:15 per giungere a destinazione, purtroppo un simil uragano si abbatte sull’area, dobbiamo chiudere le paratie laterali dell’imbarcazione e del percorso lungo i canali non vedo quasi nulla. Fortuna vuole che poco prima di giungere al lungo, stretto e turisticissimo villaggio di Tortuguero la pioggia cessi, sbarchiamo e siamo suddivisi a seconda del tipo di sistemazione richiesta. Alcuni vanno verso i taxi d’acqua per i grandi resort che sorgono più a nord, io faccio tappa a La Casona, bella sistemazione di fronte agli impianti sportivi e prossima all’oceano. Ho una camera tutta per me, letto matrimoniale e singolo, ventilatori (non fa caldo ma molto umido), grande e pulito bagno con acqua caldissima, amache nel patio centrale coperto, giardino interno con fontana e visita d’iguane, ovviamente wi-fi e colazione l’indomani, più uso cucina. Il villaggio è un susseguirsi di ristoranti e bar, agenzie di viaggio e nella parte interna alberghetti, la prima esplorazione termina con l’ennesimo acquazzone, tappa al Flor Caribe (2.500c) x batido ed insalata di frutta attendendo che smetta. Quando accade raggiungo gli impianti sportivi, attraverso il campo da basket che si rispecchia nelle pozzanghere e arrivo all’oceano, particolarmente alterato ed inaffrontabile. Un sentiero interno sale al Sea Turtles Conservancy (1.200c), il luogo dove apprendere ogni segreto dell’animale che ha fatto la fortuna del parco e giustamente è protetto. Qui nella stagione giusta, da aprile a settembre, migliaia e migliaia di tartarughe ritornano ogni anno a depositare le uova, una volta dischiuse, le decine di migliaia di piccolissime tartarughe prendono il mare, l’operazione è protetta dai volontari del centro per far sì che i turisti non intralcino quest’azione naturale ma pure che questa non sia interrotta dai tanti animali predatori, i simpatici coati per primi. Ora non è stagione quindi di tartarughe non c’è traccia, ma si può assistere ad un filmato che spiega con dovizia di particolari quanto avviene qui oppure leggere i tanti pannelli illustrativi, visitare il piccolo museo che elegge a massima attrazione la tartaruga verde, alcuni soggetti possono raggiungere anche un diametro di 2 metri. Stupisco un’addetta mostrando la foto di uno di questi esemplari immortalato nell’estate precedente in un’isola della Papua Nuova Guinea, si scandalizza quando vede una di queste tartarughe con bambini che le saltano in cima. Il livello di cultura dei 2 stati non è proprio paragonabile. Nei paraggi si avvista una fitta presenza di avifauna, tra cui una coppia di ara, il pappagallo più grande, singolare e colorato, ammetto visto grazie alle dritte di una guida assoldata da una comitiva canadese. Ad occhio nudo si riesce giusto ad individuarli, col cannocchiale della guida altro discorso, pure io posso rimirarli non facendo parte del gruppo. Rinuncio ad un’escursione a piedi al parco al tramonto, più che vedere qualche animale occorre guardare dove mettere i piedi causa un fango oltre ogni immaginazione, allora dopo doccia e relax inizio a fare un punto di eventuali mete alternative lungo il cammino. Per cena ridò fiducia al Flor Caribe, un po’ perché c’è gente ma non è completamente pieno, un po’ anche per via del fatto che mentre passo riprende a cadere un po’ di pioggia. Cena dalla quantità perfino eccessiva (4.100c) poi rientro velocemente in hotel data anche la sveglia a seguire decisamente anticipata.
P.N. Tortuguero, iguana in amore
9° giorno
Ritrovo al Costa Rica Roots Tour ore 5:30, sveglia in modo da essere puntuali per un caffè e torta casalinga nell’ufficio della guida, il figlio della proprietaria de La Casona, con torta di quest’ultima. Nato qui David, di chiara origine europea (la madre è olandese) gestirà l’escursione in canoa nei canali del parco per un gruppo indicativamente di 18 persone, oltre a me ci sono 15 svedesi ed una coppia brasiliana. Ci fornisce giubbotto di salvataggio, remo e impermeabile, useremo i primi 2 ma non l’ultimo, la giornata è incredibilmente bella. A piedi raggiungiamo l’ingresso al parco, (15$ o l’equivalente in colones al cambio di 575, pagabili anche con carta di credito), fila di 10’ e poi prendiamo possesso di 2 grandi canoe. Il vantaggio della canoa, oltre a non inquinare, è quello di non far eccessivo rumore ed arrivare nei pressi degli animali che si avvisteranno, cosa non fattibile con medesime barche a motore, i componenti dell’equipaggio remano per tutto il tragitto, la guida è solo uno dell’equipaggio. Essendo l’unico che parla spagnolo mi chiede di rimanere nella canoa con lui ed usufruisco di spiegazioni aggiuntive, la guida parla un inglese basico imparato qui lavorando, ovvio che in lingua madre abbia molte informazioni in più da trasmettere, ma gli svedesi presenti non la masticano. Circumnavighiamo isla cuatro esquina e siamo subito accolti da un’enorme iguana arancione, ci spiega che è nel periodo degli amori alla ricerca di una compagna e si pone con questo sgargiante colore per prendere tutte le attenzioni del mondo. Se a prima vista la foresta (non di mangrovie ci viene spiegato come tutti avremmo creduto) pare solo flora, pian piano e guidati dal puntatore laser della guida iniziamo a familiarizzare con una quantità incredibile di avifauna, remiamo lentamente riempiendoci gli occhi, il caldo inizia a farsi importante e l’ombra dei grandi alberi pregevole. Ovvio che i più siano in attesa di avvistare il tucano, l’animale più particolare tra i volatili, impariamo che in Costa Rica ne vivono di 7 tipologie distinte, 4 della quali qui nel parco. Grazie alla guida ne avvistiamo parecchi anche perché solitamente si muovono in piccoli branchi, sono di una tipologia dalle dimensioni ridotte e col becco meno grande del solito, quindi volano con più facilità e velocemente, vederli è relativamente facile, fotografarli praticamente impossibile, tra i rami, in controluce e sempre in movimento. Ci spostiamo sempre adagio osservando uccelli grandi e piccoli d’infiniti colori, prendiamo un canale molto più interno e qui facciamo conoscenza di una lontra e di un alligatore. Non spaventa come gli enormi coccodrilli, rimaniamo in visione reciproca a poca distanza, poi con calma come venuto ad osservarci se ne va. Il percorso procede fino a Caño Chiquero, da lì rientriamo e a metà ci fermiamo, il gruppo svedese trasborda per un’escursione sulla terra ferma, io rimango in canoa per completare il percorso tra i canali rientrando alla base dopo circa 3:15. Il tour che può essere acquistato direttamente sul posto costa 20$, fino a 2 persone si può trovare posto al momento della partenza, per più persone meglio prenotare in anticipo. Rientro a La Casona in tempo per la colazione e per docciarmi poiché remare al sole è sì bello ma se ne esce grondanti. Relax fino alle 12, quindi amaca e lettura, il villaggio l’ho già visto in lungo e largo, all’imbarcadero ho la long boat tutta per me e questa volta col bel tempo mi godo il viaggio tra i canali con un verde che pare nato da una saturazione fuori controllo di PS. 1:10 di tragitto dove potermi godere un ultimo angolo di Tortuguero fino a Caño Blanco. Qui giro inverso del giorno precedente, furgone per trasporto persone in cui di nuovo sono da solo e con l’autista recupero info sulla vita della zona ed in un’ora raggiungo l’hub di Exploradores Outdoor. Qui attendo il rientro di quanti al rafting e di partenza come me per Puerto Viejo, ci sono minibus verso San José, Arenal ma al momento non per Alajuela poiché il volcan Poas non è visitabile. In 2h sono a Puerto Viejo scaricato proprio al mio ostello, tempo per sistemare gli zaini, riprendere possesso di un posto in camera da 4 (oggi tutto esaurito) ed andare a casa dai ragazzi per la serata del natale. In bicicletta partiamo per casa di Fedele dove una buona fetta del gruppo italiano si da appuntamento per festeggiare la noche buena, diciamo per festeggiare in generale, del natale se ne parla proprio pochino. Giusto il tempo di arrivare che la pioggia ci regala la sua presenza, poco male, abbiamo a disposizione una grandissima casa, e pure il forno a legna stile pizzeria è sì esterno ma al coperto. Il menù prevede tagliatelle tirate a mano con ragù bolognese e a seguire maialino ripieno al forno, ovviamente antipasti, contorni e così via, il tutto annaffiato con vino e birra a piacere, si son pure ricordati di mettere al fresco dell’acqua non frizzante per me, servizio di altissimo livello! La serata scorre lunga, ne approfitto di una pausa della pioggia per rientrare in ostello dove avevano organizzato una maxi paella per gustarmi con alcuni tiratardi un caffè vero e proprio poi finalmente si dorme, giornata lunga e sonno meritato.
P.N. Tortuguero, coppia di Ara
10° giorno
C’è luce di mattina ma piove, poca voglia di alzarsi anzitempo, per far ché poi, oggi che è navidad e qui fan festa anche quando non lo è? Un tè mentre attendo che smetta di piovere, colazione più tardi del solito da Pan Pay nei dintorni della fermata dei bus, bar pasticceria gestito da spagnoli (1.200c), ottima qualità. Compro il biglietto del bus per ritornare a San José (5.600c o 11$), si può comprare solo dal giorno precedente la partenza, consigliato farlo nei periodi di festa. Sempre in bicicletta che avevo in dotazione dal giorno prima raggiungo i ragazzi, se uno come sempre è attivissimo l’altro sconfigge i postumi della nottata e la mattina parte tardi, poco prima di pranzo facciamo un giro in centro per cercare alcuni reduci della serata e preparare il pranzo, oggi hummus con nachos. Giornata di riposo tra gente che passa a salutare e un salto in spiaggia a rimirare più che il mare sempre tendente all’agitato i danni provocati da questo su natanti arenati lungo la costa. Alcuni fanno bella mostra di se proprio a pochi passi dalla riva, ancora intonsi, ma come i più qui raccontano, passerà poco tempo prima che pian piano siano smontati ed ognuno recupererà pezzi per sistemare le proprie case. Rientro in ostello per sistemare tutto in vista partenza, doccia e relax su amaca, serata con cena a base di maxi insalatona preceduta da focaccia con affettati, scontato dire che la focaccia sia appena uscita dal forno di casa così come il pane che la segue. Ultimo giro di chiacchiere coi ragazzi, loro continueranno le loro fatiche quotidiane in quest’angolo di mondo dai ritmi in simbiosi con natura e benessere mentre io inizierò la scoperta delle parti centrali ed occidentali del Costa Rica. Alleggerito in parte lo zaino di alcune cose portate appositamente da Bologna, me ne trovo altre che fanno il giro inverso, una specie di corriere. Rientrando non manca il solito scroscio che mi costringe ad un’attesa lungo il cammino, clima coerente con se stesso da queste parti da quando sono arrivato. In ostello qualche faccia è cambiata ma noto che alcuni imperterriti restano ancora qui, scambiando ormai Puerto Viejo per il loro angolo di Sassonia.
Cratere principale del Volcan Irazù
11° giorno
Raggiungo a piedi Pan Pay (1.800c) per una corposa colazione, da qui son 2 passi per il capolinea dei bus. Come prevedibile quasi tutto pieno ma ho biglietto e posto riservato, si parte puntuali, sosta a Cahuita e Limon e dopo 4:30 arrivo al terminal dell’Atlantico Norte di San José. Da qui a piedi raggiungo il vicino (600m) Hostel Pangea che dalla strada nemmeno si nota. All’interno un fantastico ostello su più piani dotato di bar e ristorante con ampie terrazze, spazi comuni con divani e poltrone in grande misura, piscina bella ma data la temperatura in pratica inutilizzabile. Un posto in camera da 4 costa 6.950c, compreso una veloce cena dalle 18 alle 19 escluse bevande, colazione con gallo pinto ed anche qui escluse bevande dalle 7:30 alle 8:30 e wi-fi funzionante alla grande in qualsiasi angolo dell’ostello costruito come moderno utilizzo di più piani e terrazze con vista sul centro città. Per ogni letto in dotazione lenzuola, in questo periodo dell’anno meglio richiedere un panno se come me non avete potuto procurarvi quella della compagnia aerea (Air Canada Rouge risparmia pure su questo), bagni numerosi e pulitissimi. Una volta all’interno pare più un locale di tendenza che un ostello. Parto in escursione della capitale, so già di trovarci poco d’interessante ma oggi è invasa di gente, la piazza principale da sull’unico monumento segnalato il Teatro Nacional (chiuso in corrispondenza delle festività) e sull’avenida 2 par di incontrare tutto il Costa Rica. C’è un tope de caballos, una sfilata di cavalieri e cavallerizze, organizzazione perfetta, attraversamenti della avenida regolati, pronta pulizia al seguito del passaggio dei cavalli e gente festante lungo tutta la parata che non termina mai. Il cavallo è ancora un animale di riguardo qui, noto infatti che nei ristoranti si mangia carne di ogni tipo ma non di cavallo. Chi sfila sono i ticos ricchi, che possono permettersi grandi allevamenti di cavalli, ma l’occasione fa far festa a tutti, la sfilata pare non terminare mai, si mangia, si beve, si fanno acquisti di ogni cianfrusaglia, nel frattempo provo a vedere alcuni dei monumenti riportati dalla guida ma in effetti la capitale ha poco da regalare, musei a parte ma oggi tutti chiusi. D’interessante qualche via nei dintorni di avenida 2 ma se non si ha tempo evitabile, mi dirigo verso plaza de la democrazia dove sorge il Museo Nacional dando un occhio alla cattedrale lungo il percorso. Il museo è chiuso, sorge in una grande costruzione gialla denominata in passato Fortezza Bellavista, di fronte sorge un mercato artigianale, artigianale forse un tempo, ora pare pieno del trionfo cinese di prodotti standard. Rientro in ostello, non è clima da piscina ma c’è gente che prova ad anticipare la piccola cena, così inizio a far conoscenza di un po’ di passanti per la capitale e mi accorgo che già qui la lingua è l’inglese. Maggioranza di statunitensi, e tutti pronti a partire per l’ovest del paese, la piccola cena non è male ma un po’ perché avevo saltato il pranzo un po’ per far 2 passi completiamo la cena facendo un salto da Rapi Snack nei paraggi (2.350c) in una città che sceso il sole pare svuotarsi. Ed allora rientriamo in ostello dove viene improvvisato un tavolo multietnico per giocare a carte, una specie di scopa che serve più per far gruppo che per puntare a vincere, ognuno finisce per usare regole autoctone. Nottata che si fa fresca, coperti dal solo lenzuolo vien dura tirare mattina, non ho voglia di scendere alla reception e mi copro con felpa ed asciugamano, ripromettendomi di chiedere un rinforzo per l’indomani.
Liberia, tramonto da fine anno
12° giorno
Il bus Metropoli per il Volcan Irazù parte alle 8:30 dalla avenida 2 di fronte al Teatro Nacional, occorre arrivare in buon anticipo per trovare posto, così non riesco a far colazione in ostello e ripiego molto bene da Cafeteria y Pasteleria Ricos Pan Vane (1.700c) e con oltre 20’ mi metto infila. Non si può comprare il biglietto in anticipo ma solo dal conduttore (2.360c), per meno di 60km s’impiegano circa 2h passando per la cittadina di Cartago. Si sale dai 1.170m di San José ai 1.430m di Cartago per guadagnare in nemmeno 40km i 3.333m del parcheggio al vulcano. Chiaro che la salita sia micidiale, oggi la giornata è splendida e il panorama sempre mozzafiato. La paura è legata all’arrivo delle nuvole, sovente il vulcano è coperto e si viene quassù per nulla. L’Irazù, così come il Poas, attualmente non visitabile, permette la visione dalla sommità sui 3 crateri, questa la caratteristica unica rispetto ad altri più celebri come l’Arenal al quale non è più ammessa l’ascesa. Sosta per pagare il biglietto d’ingresso al parco 2km prima (15$ o 8.700c, solo contante), fila lunga poiché uno ad uno tutti gli avventori in bus rallentano le operazioni, le nuvole compaiono ma scappano anche e così quando giungiamo al parcheggio che da direttamente sul cratere spento Playa Hermosa la vista è fantastica. Visto che sul bus mi sono imbattuto in conoscenze precedenti, un tedesco di Puerto Viejo ed una tedesca di Tortuguero, ci giriamo il vulcano assieme stupendoci più volte appena lungo il sentiero si apre la vista sui due crateri sottostanti, il cratere principale dove si trova un lago azzurro ed il cratere Diego de la Haya con un piccolo lago verde. Una balaustra di protezione gira attorno al cratere spento dalla quale rimirarsi i crateri attivi, è uno degli spettacoli migliori di tutto il Costa Rica, c’è un sole che colora ogni singolo pezzo di terra ed un forte vento, a quest’altitudine fa freddo ma non lo si nota immersi in tanta bellezza. Terminato il giro lungo la balaustra rientro attraversando playa Hermosa dove nel versante contro la montagna qualche fumarola c’è ma nessun pericolo, rimane una sensazione particolare quella di inoltrarsi in questi terreni. Tornato al parcheggio ho tempo per salire in vetta, una strada non asfaltata di un km di circa 100m di dislivello necessita però di quel minimo tempo in cui le nuvole si prendono lo scenario e a quota 3.432m la visibilità non arriva a 5m. Quassù il freddo è intenso, il vento è micidiale, ma appena si lascia la vetta e si scende il sentiero è riparato e quindi nessun problema, al parcheggio il bus attende la partenza per le 12:30. Il versante che da a sud è sgombro da nubi, la vista va quasi fino alla capitale. Si rifà il biglietto per la stessa cifra e lentamente scendiamo impiegando quasi 2:30 causa un incidente lungo il percorso che porta ad una colonna di traffico infinita. Non possiamo raggiungere il capolinea in centro città perché pure oggi c’è una sfilata per le vie del centro, è il turno dei motociclisti, quasi tutti con custom, molte HD ma non solo, qui le marche principali sono tutte cinesi a me sconosciute tipo Fortuna. I grandi custom dei marchi tradizionali hanno cilindrate assolutamente fuori media per il Costa Rica, oltre 1.000cc mentre lo standard cinese va sui 250-300cc. Al seguito dei motociclisti ci sono tanti pattinatori ed un numero infino di bambini ma non solo con costumi da carnevale, un modo per far festa lo si trova sempre. Più veloce sistemare il tutto al termine della parata perché non occorre recuperare quanto seminato il giorno prima dai cavalli…Provo di nuovo a dare una possibilità alla città e visito quanto indicato come meritevole, ma tra piazze (Morazàn ed España) ed edifici (templo de la musica, metalico, casa amarilla) niente merita veramente. Allora opto per il mercado central trovando probabilmente il luogo più interessante della città, tra corridoi strettissimi si muove una variegata umanità che compra di tutto, magari abiti di pregio stanno a fianco alla macelleria, mi rifocillo con tamales e batido (3.1000) prima di andare al terminal 7-10 per comprare il biglietto del bus del giorno a seguire per La Fortuna. Rientrato in ostello mi faccio consegnare un panno per la notte, dopo un’ottima doccia tempo per un po’ di relax in una delle tante sale e alla 18 puntuali piccola cena al termine della quale con alcuni frequentatori dell’ostello completiamo l’opera al ristorante cinese Xing Long nei paraggi (3.900c), dove apprezzo pure un abbondante e caliente caffè. Fine serata in ostello, oggi praticamente vuoto a parte i pochissimi avventori con cui ho condiviso il ristorante cinese, mentre nella camera da 4 siamo sempre e solo in 2.
Il gigante con la testa tra le nuvole, Volcan Arenal
13° giorno
Ricca colazione in ostello, il tipico gallo pinto, vanno pagate solo le bevande (caffè 1$ o 550c). A piedi raggiungo il Terminal 7-10 da cui parte il bus per La Fortuna (2.495c, 4h) che fa sosta a Ciudad Quesada (San Carlos) per scendere per cibo e servizi, unica per questo nelle 4 ore. Devo dire che i più arrivano già carichi di ogni diavoleria alla partenza, ne approfitto per qualche info su La Fortuna da una ragazza a fianco che sta andando la per lavoro, soprattutto per una soluzione al meglio tra prezzo/qualità riguardo le tante opzioni termali. Tempo splendido, poco prima di arrivare salendo tra le montagne tutto cambia ed anche scendendo a La Fortuna le nuvole fanno compagnia. Il terminal dei bus è poco più di una fermata coperta, non c’è né ufficio informazioni né biglietteria, prendo a piedi per lo sciccosissimo Arenal Backpacker Resort prenotato in anticipo perché della stessa catena del Pangea di San José (15$ in camera da 8 con bagno privato, wi-fi, acqua potabile sempre disponibile, campo da basket, piscina, amache, servizio tour operator, bar e ristorante). Un vero e proprio luogo di ritrovo alle pendici del più celebre vulcano del paese l’Arenal, che dalla piscina si potrebbe vedere in tutta la sua grandezza, se non fosse che le nuvole lo avvolgono completamente. Ho un po’ di tempo per fare il punto in paese dell’escursione per l’Arenal ed il Cerro Chato, apprendendo che da qualche mese questo non è più accessibile perché le troppe ascese hanno rovinato i sentieri e così la sua laguna sul “tetto” con vista Arenal rimane un ricordo per chi passò da qui anzitempo. Il tour dei 2 vulcani che propongono tutte le agenzie ha prezzi indicativi tra i 55 ed i 60$, opto per acquistarlo in ostello, per chi vi soggiorna costa 50$. In paese sosta cibo da Paseo (2.730c), poi a piedi raggiungo le Termalitas del Arenal che mi erano state descritte come poco lontane, nemmeno 20’ a piedi. In realtà sono 4km lungo la statale, dopo il primo km termina il marciapiede e raggiungerle non è piacevole, oltre a perdere circa 45’, ma il viaggio ne vale la pena. Qui i centri termali si sprecano, del resto i vulcani sono ovunque, il problema è aver acqua fredda, non calda e termale, ci sono più punti naturali gratuiti, ma le strutture regalano agi di tutto altro livello. I grandi hotel hanno però costi rilevanti, si va da un minimo di 25$ a 60$ per il solo accesso termale, queste terme che Raquel mi aveva consigliato non sono in un hotel ed il prezzo di 4.400c contenuto. Se non avete un lucchetto per chiudere l’armadietto lo forniscono sul posto (2.000c, ne serve uno col becco sottile e lungo), affittano anche asciugamano e costume nel caso, poi via alla scoperta delle 10 piscine immerse nella foresta. Temperature di 7 vasche a 42°, una a 35° per familiarizzare, le 2 restanti a 50°, uno spasso. Nella piscina più grande ci sono pure scivoli stile acquapark, ma son più invitanti quelle piccole con idromassaggi su lettini sotto l’acqua, i 42° sono un piacere che va intervallato con frequenza, tanto uscendo nonostante la giornata non sia bella non si ha la minima percezione di possibile freddo. Le piscine a 50° son più per spettacolo che per altro, impossibile immergersi, anche solo facendo 2 passi con acqua alle caviglie sembra di entrare nel fuoco, nessuno in tutto il pomeriggio è riuscito a restarvi per più di qualche secondo. Quando il sole tramonta, o meglio la luce scompare, le brume che salgono dall’acqua in mezzo alla foresta regalano uno spettacolo splendido, tempo di doccia e poi rientro a La Fortuna, questa volta cercando di fermare un taxi, impresa non facile in cui ci aiuta il parcheggiatore nicaraguense col quale scambio un po’ di chiacchiere. M’invita a visitare il suo paese dicendo che con quello che spendo in un mese qui là posso viaggiare per 6 mesi, la mia amica tica gli contesta che la qualità però non è nemmeno paragonabile, la discussione che si alza si smorza solo con l’arrivo di un taxi, 3.000c per La Fortuna, qualsiasi punto in paese. Voglio schivare uno dei maxi ristoranti sulla statale 142, così troviamo posto al Sabor Tico (3.500c) che non sarà scenografico ma sulla sostanza se la gioca alla grande. Saluto Raquel alle prese coi suoi conteggi di giornata lavorativa, che intermezzata dalle terme è sempre un bel lavorare per rientrare in ostello dove la piscina non è frequentabile per il clima ma nel grande spazio del bar ristorante tra tavoli e divani ricavati coi pallet par richiamare la stragrande maggioranza dei viandanti che evitano gli hotel, anche se pure qui ci sono opzioni per camere singole e mini villette con accesso diretto in auto. Alle 22 passa un addetto in ogni camera ad attivare il servizio di aria condizionata, fortuna che da me chi già presente ha evitato richieste troppo forti. Tutto sommato nonostante il numero elevato di presenti poco rumore, gente ben educata, in linea col paese visitato.
Rana dagli occhi rossi, dintorni del Volcan Arenal
14° giorno
Piove, colazione forzatamente in ostello (3.450c), alle 9 passano a recuperare sia me che altre 3 persone qui presenti quelli del tour operator per l’escursione odierna (50$, compresi accesso al parco e cibo) che parte con 30’ di ritardo poiché lungo la statale c’è un funerale, tutti procedono a piedi e l’ingorgo è assicurato. In bus proseguiamo fino all’ingresso al Parque Ecologico Arenal, qui il bus ci scarica e si continua a piedi. Siamo un gruppo di oltre 30 persone, ci dividono in 2 per rendere la situazione vivibile, guide preparate che parlano inglese e spagnolo, gruppo giovane e interattivo. Iniziamo la lunga giornata di marcia, prima tappa alla vicina laguna, piove e non poco ma camminando nella foresta il problema è quasi inesistente, non occorre nemmeno coprirsi col poncho, sconsigliatissimi capi antipioggia come k-way o impermeabili, col caldo-umido della foresta si finirebbe per essere più bagnati della pioggia stessa. Faremo tappa qui al ritorno, ora al campeggio (all’interno di una grande struttura aperta in legno ma coperta) ci fermiamo per rimirare alcune rane, tra cui la famigerata rana dagli occhi rossi. Pare proprio il frutto di una foto col flash, ma è tutto vero, ancora più incredibile quando inizia a camminare e mostra i 7 colori di cui sono tinteggiate le zampe. Da qui prendiamo un sentiero che scende alla laguna, il fango la fa da padrone assoluto, la vista con la pioggia non regala purtroppo grandi emozioni, ora ci aspetta una mezzora in salita intervallata da una sosta dove ci segnalano su di un albero le unghiate di un giaguaro, in tutto il parco se ne trovano 10, in concreto impossibile vederli di giorno, sono controllati tramite le telecamere fisse. Ci spiegano come avviene la marchiatura dell’albero, la differenza tra queste e quelle dei puma che qui sono in un numero di 3:1 rispetto ai giaguari ma sempre di difficile visione. Incrociamo il sentiero che porta alle rocce laviche in concomitanza del passaggio di un gruppo a cavallo, il tutto rende il sentiero ancora peggiore. L’ultima parte è direttamente sulle rocce laviche della colata del 1968, quella che annientò un intero villaggio causando la morte di 87 persone, salvando solo alcuni contadini che lavoravano i campi dalla parte opposta del villaggio. Quest’ultima grande eruzione portò pure alla formazione di una laguna, che sistemata in seguito con una diga artificiale costituisce ora il lago più grande del paese e fonte primaria di energia rinnovabile, il Costa Rica è l’unico paese al mondo con emissioni ZERO grazie ad energie alternative e grandi foreste trasformate in parchi nazionali dove non è possibile disboscare o costruire. Camminare su queste rocce è altamente rischioso soprattutto in giornate piovose e ventose come oggi, le nuvole non hanno intenzione di andarsene e così l’Arenal non è mai visibile, la pioggia rallenta la presa e ci permette una sosta fuori dalla foresta senza lavarci completamente. Peccato la non vista del gigante che fuma, quella sulla laguna, che da qui paiono 2 vicine è aperta, anche se con colori spenti, pare di essere in un documentario in bianco e nero. Con precauzione iniziamo la discesa andando direttamente alla laguna incrociata in salita dove è possibile fare il bagno lanciandosi da una corda appesa ad un albero con un salto di 5 metri nell’acqua verdissima. Chi lo tenta, io non sono tra questi, racconta di un’acqua che sulle prime pare fredda ma poi si rivela tonificante. Da qui ci sono alcuni secondi in cui il vulcano si scopre, scatti compulsivi dei più, gli unici in cui si potrà vedere la sommità. Tutti sistemati riprendiamo il sentiero verso l’uscita dove il bus ci porta alla sosta cibo presso l’hotel ristorante Montaña de fuego, sosta veloce perché la giornata è ancora lunga ed intensa. Pranzo discreto, possibilità di rabboccare borracce e bottiglie con acqua fresca. Da qui sempre in bus andiamo all’Arenal Observatory per giro a piedi verso il Cerro Chato, vulcano non più scalabile. Un giro ad anello ci porta in una bella posizione dove vedere entrambi i vulcani, la parte inferiore dell’Arenal si scopre mostrandoci i canali aperti dalle ultime eruzioni ancora fumanti, mentre il Cerro Chato, spento da svariate migliaia di anni è completamente ammantato dalla vegetazione. Avifauna in grande presenza, continuiamo sul sentiero passando per il primo puente colgato, 5 alla volta e non di più. Quando incontriamo il secondo siamo già rientrati all’osservatorio, qui c’è una terrazza che spazia con viste sia sull’Arenal sia sulla laguna, a fatica identifichiamo la laguna, per il resto sempre immersi nelle nuvole. Ma ci raccontano che non è stato nemmeno male, a volte i sentieri sono così coperti di fango che si percorrono solo con calosce al ginocchio e più volte rimangono incastrate nel troppo fango. Lungo il percorso in bus altre soste per immortalare alcune scimmie cappuccino e ragno, poi tappa finale quando già siamo completamente al buio per un bagno termale ristoratore lungo il fiume, temperatura elevatissima e fanghi di cui narrano benefici incredibili. Alla “vecchia” rientriamo velocemente sul bus per arrivare in ostello oltre 10 ore dopo la partenza con la necessità impellente di una doccia che trovo libera in camera. Oggi vari cambi di presenze ma stanza sempre tutto esaurito, come al solito gente tranquilla che non causa mai il minimo problema, provenienza da ogni angolo del mondo con solo inconveniente di non poter mai parlare spagnolo qui dove regnerebbe lingua madre. Mi avventuro in paese per cena, la pioggia mi coglie impreparato, avevo lasciato tutto l’occorrente in ostello data il limitato spostamento, mi fermo così in un Pollolandia più per non prendermi una cascata d’acqua che per scelta oculata, cena passabile (3.000c), appena spiove raggiungo a passi lesti l’ostello dove mi godo un intenso caffè (575c) trovando i compagni di viaggio del giorno, una ragazza argentina che lavora nel campo della moda e 2 olandesi di Gouda, la città del formaggio, ed appunto impiegati in attività affini. Piove di nuovo, ma nel grande ostello e nella sua enorme sala all’aperto ma ben coperta non costituisce problema. Wi-fi ottimo, mi guardo pure tutti gli highlights di Eurolega.
Temalitas del Arenal, vasca a 50°, impossibile immergersi
15° giorno
Sveglia di buon mattino, devo essere alle 6:15 al terminal dei bus, alle 6:30 passa quello per Upala, qui non c’è nulla per colazione, mi accontento di 2 mie barrette cioccolato e cereali e acqua, recuperata dall’ostello. Son già le 6:45 quando non vedendo ancora arrivare il bus inizio a chiedere, le risposte dagli autisti degli altri bus di passaggio son vaghe, aspetta, sarà in ritardo, poi arriva ecc…fin quando uno mi dice che quel bus non ferma al terminal ma passa lungo la statale ed ovviamente è già andato da tempo. Veloce studio della mappa e provo a costruirmi un passaggio diverso verso la meta di giornata, Bijagua. Ore 8 bus per Tilarn (2.750c, 2h), circumnaviga la laguna Arenal lungo un percorso da mille curve con laguna visibile ma vulcano no. Poco prima di arrivare le nuvole in parte si aprono, nella parte sud della laguna il clima è sempre migliore e ne ho conferma, qui il bus in corrispondenza per Cañas attende appositamente l’arrivo di quello da La Fortuna per partire a sua volta (600c, 30’, si paga al conduttore) e scendendo di poco a sud il clima pare di un altro mondo, 30° e non una nuvola. A Cañas attesa di 20’, tempo giusto per un salto al bagno (200c, fanno pure da minuto deposito bagagli) e cibo in una delle piccole tiendas del terminal (1.000c x 5 piccole e scarse empanadas), fila ridotta per il biglietto a destinazione Bijagua (955c, 1h). Qui fa caldo, caldo intenso, partiamo per ritornare tra i vulcani e dopo 30’ che passo in bus in compagnia di una giovane coppia belga quello che temiamo si profila, ritornano le nuvole, il brutto tempo e la pioggia. Scendiamo e prendiamo direzione opposte, loro hanno la prenotazione in un hotel nei paraggi dell’ingresso al parco del Volcan Tenorio meglio conosciuto come Rio Celeste, il fiume che solca la vallata è descritto appunto come incredibilmente celeste, così come la laguna che la cascata forma, e tutto questo da vita ad uno dei richiami principali dell’intero Costa Rica. Avevo contattato un backpacker in vicinanza consigliatomi pure da un amico, circa 750m prima del paese, lo raggiungo a piedi dopo prolungata sosta durante un acquazzone da paura, ma quando arrivo non c’è traccia di presenza umana, così ritorno nel centro del paese, avevo scorto l’hotel Los Vulcanes e provo a domandare. Pure qui non incontro nessuno, riprende a piovere intensamente e mi riparo sotto la tettoia dell’attiguo negozio di souvenir gestito da 2 gentilissime persone. Mentre lui dipinge tucani di varie dimensioni da vendere ai passanti, lei m’informa che la dueña dell’hotel non è qui perché durante queste giornate uggiose non arrivano nessuno a soggiornare, prova pure a chiamarla sul cellulare ma nessuna risposta, in seguito sapendo delle mie intenzioni di visitare il parco chiama una guida e me la passa al telefono, senza che io abbia chiesto nulla. Mi dice subito che in questi giorni non ha in programma escursioni, il Rio Celeste pare il Rio Chocolate, nessuno ha intenzione di spendere soldi per un’escursione del genere e nemmeno lui si azzarderebbe a portare qualche ingenuo chiedendogli soldi. Così faccio di nuovo il punto della giornata e decido di procedere a ovest dove pare sempre regni il bel tempo, attendo il bus di ritorno a Cañas (950c, 1h) dopo circa 40’ e come d’incanto uscendo dalle montagne il sole torna a farla da padrone. L’autista mi scarica alla confluenza tra la Panamericana e la strada proveniente da Bijagua così da guadagnare tempo, lì attesa di 15’ per il bus destinazione Liberia (1.500c, 1h) dove arrivo verso le 15:30 di pomeriggio, caldo da 30° abbondanti allo scalcagnato terminal Liberia, non lontano dal nuovo e moderno Terminal Pulmitan. Trovo alloggio all’Hostal Pura Vida dopo qualche ricerca conclusasi col tutto esaurito, strano vista la non turistica città. Anche qui sistemazione non semplice, una notte in camera da 6 ed una in singola (pago un forfait di 30$, in realtà 17.100c), nella prima bagno in camera nella seconda esterno, doccia fredda (qui fa sempre caldo), wi-fi, uso cucina, caffè ed infusi offerti, niente amache ma poltrone a dondolo, per entrare ed uscire occorre sempre suonare ed attendere la simpatica, anziana ed arzilla dueña. Proprio lei m’informa relativamente all’escursione più richiesta nel luogo, il Parque Nacional Rincón de la Vieja, non raggiunto da mezzi pubblici ma fattibile solo con escursione organizzata o con passaggio privato, al quale provvede lei tramite autista e guida. Sistemata questa questione, più stanco dopo 5 bus e relative attese che dopo 15 km a piedi in un parco provo ad esplorare la cittadina, pur sempre una delle principali del paese anche per via dell’aeroporto internazionale. Un campo da basket tipo The Cage newyorkstyle mi pare l’unica attrattiva, il mercato sta chiudendo, in città proprio pochino, grande paesone in stile sudamericano, larghe vie con alberi, case basse ed un museo aperto nelle ore diurne, ovvero quando tutti sono in giro in escursione. Unica nota positiva, un tramonto da cartolina, il fuoco in cielo. Mi fermo per cene alla Soda Esperanza (2.700c), completo la serata per smaltire l’eccessivo fritto con un po’ di frutta in un bel negozio nei paraggi del terminal e caffè in ostello, qualche chiacchiera con alcuni avventori, ovviamente sono statunitensi e non parlano una parola di spagnolo.
Laguna vulcanica al P.N. Rincon de la Vieja
16° giorno
Colazione al mercato proprio di fronte all’ostello e a fianco del terminal, qui vi sono svariati locali, opto per El Viajero, perché frequentatissimo (1.800c) dove scelgo un gallo pinto completo di formaggio alla griglia, quantità e qualità elevate, caffè buono ed abbondante. Alle 9 si parte con pulmino privato per il vulcano (costo del passaggio 20$, pagabili anche in colones), non distante sale anche un ragazzo tedesco e lungo la strada del parco 2 ragazze svizzere, altre 3 persone che dovevano essere dei nostri non pervenute. La via d’accesso privata va pagata, 700c a testa, poi arrivati al parcheggio in corrispondenza del P.N. Rincón de la Vieja sector Las Pailes il duo autista e guida ci abbandonano, si tratta in pratica di un trasporto privato dotato di guida che illustra alcune attrattive del parco ma senza poter entrare. Si pagano 12$ (anche con carta di credito, ma molto lentamente), si è assegnatari di un numero di accesso che va registrato in ingresso ed uscita e da lì c’è la possibilità di scegliere 2 percorsi, il facile sendero Las Pailes tra fumarole, lagune vulcaniche ed il più piccolo vulcano al mondo ed il sendero La Catarata, che si divide in 2 cascate separate. Piove e tira un vento fortissimo, ci consigliano di prendere prima il sendero Las Pailes ma farlo nel senso opposto all’indicato, si tratto di un anello tra 2 tipologie di foreste distinte, optiamo prima per la parte umida, in realtà più folta e meno coinvolta da pioggia e vento facendo subito un passaggio ad una cascata. Qui troviamo più fumarole che sprigionano zolfo, non importa nemmeno seguire le indicazioni per arrivare, è sufficiente il naso. Pozze di fango, fumarole, il tutto nel mezzo della foresta, mentre le lagune vulcaniche sono nell’altra parte di questo sentiero, più aperto. Da qui la vista è più impressionante, si scorgono anche gli imponenti fumi delle precedenti fumarole tra il bosco come se il tutto stesse prendendo fuoco. Sopra invece, o meglio, come sempre le nuvole, il vulcano non è visibile e nemmeno più scalabile, costantemente in eruzione l’accesso è stato chiuso. Terminato quest’anello di circa 2,5km prima di arrivare all’ingresso parte il sentiero per le cascate, 5km per la Cangreja, non propriamente agevoli. Il primo km e mezzo scende e sale oltrepassando un fiume, fango e radici sono un ostacolo non semplice, oltre questo si arriva alla deviazione per la cascata Escondida, opzione che quasi nessuno prende in considerazione, da qui a sx si va alla cascata più conosciuta, il sentiero sale leggermente e la vista spazia tra le montagne fino all’oceano Pacifico, poi per circa 30’ si scende tra le rocce perso la cascata, posta in luogo effettivamente spettacolare. A differenza di quanto riportano le guide, si può fare il bagno nella piscina naturale ai piedi della cascata, l’acqua non è troppo fredda, sulla sx c’è un piccolo rivolo in entrata caldissimo, il posto, attorniato da grandi rocce funge anche da naturale punto di relax dov’è facile addormentarsi nella natura assoluta che ci attornia. Peccato solo che alla ripartenza ci aspetti la pietraia in salita ed i 2 km finali non proprio idilliaci anche se già conosciuti. Poiché il pulmino per il ritorno ci attende alle 16 difficile riuscire ad arrivare anche alla cascata Escondida, sarebbero 6km tra a/r descritti come non in buone condizioni, il sentiero che sale, o meglio saliva al vulcano si trova poco prima di giungere al termine di questo percorso, ben sbarrato e già in pessime condizioni. Torno a vedere la laguna vulcanica nella speranza che i colori siano più intensi, ma il fittizio attimo di sole balenato scompare prima del mio giungere. Così rientro ad attendere la partenza (x il ritorno abbiamo imbarcato anche i 3 desaparecidos della mattina, qualche sosta in più, una statunitense nemmeno ricordava quale fosse il suo hotel, lo descrive e l’autista fortunatamente indovina), percorsi circa 15km a piedi, durante i quali la stramba formazione che avevamo costituito aveva creato un rapportarsi in lingue varie, il ragazzo tedesco parlava inglese, ma delle 2 ragazze svizzere, quella lì da oltre 2 mesi voleva provare a parlare solo spagnolo e quindi ero l’unico interlocutore, l’altra sapendo 7 parole d’italiano provava a parlare con quelle in modo che per parlare in 4 occorreva ripetere più volte lo stesso discorso, probabilmente la fatica maggiore della giornata, i 15km molti dei quali su terreno ostico son stati nulla in confronto. Ritornato a Liberia, prendo possesso della camera singola, un lusso sconosciuto ormai, e dopo una doccia sempre fredda ma non freddissima provo a trovare un posto dove cenare nell’ultima giornata dell’anno. Le soda ed il mercato per l’occasione son già tutti chiusi, in centro poco di disponibile, un bel ristorante ovviamente aperto solo su prenotazione, dopo aver già meditato di far spesa in un supermarket dove mi fermo per predisporre la colazione del giorno a seguire trovo un Pizza Hut aperto e ne approfitto (3.675c). Rientro in ostello per il caffè dei giusti e lì 2 signore son stupite di vedere uno spagnolo (per loro la mia lingua è spagnolo, si stupiscono nell’apprendere che in Italia si parli italiano e non spagnolo) a Liberia per l’ultimo giorno dell’anno. Sono di Formosa/Taiwan e vivono in Oregon, una è la proprietaria di una galleria d’arte giapponese ed effettivamente parla inglese, l’altra non più di 3 parole. Però sono curiose di sapere cosa ci faccia lì, cos’abbia visto in Costa Rica e altrove, sono arrivate oggi e visiteranno il paese nelle prossime 2 settimane. Si aggrega anche la figlia della non parlante, lei parla perfettamente inglese, capendo il mio sobbalzante idioma tutto diventa più semplice e finiamo per farci un giro del mondo tra foto e ricordi vari tirando pure mezzanotte e quindi anno nuovo. Una particolarità che mi colpisce, pensavo che con le varie tazze di acqua calda bevesse tisane o infusi, invece continuava a bere pura acqua calda, qui dove al caldo intenso del giorno segue una serata ventosa e per nulla calda, anzi.
Jacó, tramonto in spiaggia
17° giorno
Prevedendo che per la festività del primo dì dell’anno tutto fosse chiuso, mi ero mosso in anticipo acquistando per colazione paste e croissant da Buonas Compras (800c) accompagnandole col caffè dell’ostello. Anche gli orari dei bus sono diversi, mi era stato detto della partenza per Puntarenas alle 9, in realtà saranno le 9:30, biglietto acquistabile direttamente dal conduttore (2.850c, 3h). Giornata splendida, i pochi turisti presenti scendono nei dintorni di Llanos de Cortés, una delle cascate più note del paese. Puntarenas è una delle città più grandi della costa, porto e punto di partenza per raggiungere la Penísula de Nicoya con traghetto, si raggiunge lasciando la Panamericana ed entrando in una specie di cuneo terrestre intensamente gentrificato, come avviene in ogni luogo del mondo in corrispondenza di porti importanti. Non c’è una stazione dei bus, ogni compagnia ferma al suo piccolo terminal, spesso un ufficio sulla strada con bus parcheggiati in zona, nel migliore dei casi una sala d’attesa come nel caso di TQP. Ho 30’ di tempo, faccio un giro sull’avenida 4, il lungo mare, pieno di baracchini che vendono di tutto compreso ottimi spiedini di carne (1.000c cadauno) a fianco di una serie di ristoranti senza fine. Di fronte il Golfo di Nicoya ma qui i più sono alle prese col cibo e non col mare, forse anche per via dell’orario. Bus in partenza in perfetto orario per Jacó, biglietto acquistabile in biglietteria con posto assegnato (1.245c, 2h), bus dotato di wi-fi. Lungo il cammino oltrepassiamo il ponte sul Rio Tárcoles, celebre per la presenza di giganteschi coccodrilli, ed in effetti sui marciapiedi a fianco del ponte c’è una certa ressa, così come in ogni dove lunga la statale, sarà il giorno festivo ma pare proprio che l’intero Costa Rica sia da queste parti. E così sarà appunto a Jacó, l’avevo scelta come base per un’escursione nei dintorni senza rendermi conto di arrivare nella Rimini locale. Percorrere la via principale, saranno nemmeno 2km, per il bus è impresa complessa, scendo alla fermata centrale (non c’è autostazione) e cerco un alloggio trovando varie difficoltà, tutto esaurito per questa notte, posto per la seguente. Finalmente trovo una sistemazione presso Hostal De Haan (14$ pagabili anche in colones, letto in camerata da 8, ventilatori, doccia fredda perché qui usa così, armadietti per zaino con integrate prese di corrente per ricariche, wi-fi, piscina, canestro che da sulla piscina che sarà coreografico ma giocarci non facile, amache, sdrai, uso cucina e tanta, tanta gente), frequentatissimo nel mezzo di una stradina che porta al mare. Così faccio pure io un salto lì imbattendomi in una grandissima spiaggia, una specie di gigantesco ferro di cavallo tra 2 promontori. Onde sì, ma affrontabili, questo il richiamo sia per i surfisti sia per i tanti che vanno al mare con cibo, tanto cibo e musica, magari sparandola fuori da casse supplementari portate fin lì in auto. Un buon batido da Breeze (1.500c) e poi mi godo un tramonto che definire da cartolina è perfino minimizzarlo e svilirlo. Un giallo-rosso fuoco che impressiona tra onde, surfisti di rientro con tavola in controluce e gente numerosissima a scattare foto a non finire. Tramonto che scappa via verso le 17:30, alle 18 è già tutto buio e la folla si riversa per le vie del centro, ristoranti di ogni tipo, negozi di souvenir che spuntano ovunque, la vita brulica e anche le iguane che tagliano incredule la strada principale paiono allarmate. Dopo l’esperienza della doccia fredda, anche se non freddissima, nel gigantesco bagno nella camera da 8 (ma al 2° piano c’è un numero elevato di docce e bagni) tempo per esplorazione serale della cittadina con cena in una soda, non facile trovarne nella parte a sud del fiume, molto più turistica. Ne trovo una proprio nelle vicinanze del fiume, non ha nome ma è molto frequentata, non il massimo ma evito catene internazionali o ristoranti etnici (che magari sono francesi o italiani da queste parti…) con qualità accettabile (3.600c). Non hanno però un caffè, così faccio tappa al Luna Lounge (800c) prima di rientrare in ostello e finire la serata tra sdraio e amaca, che si libera quando immagino i più escano per far serata.
Iguane al P.N. Carara
18° giorno
Ore 7:30 città deserta, le notti lunghe dei tanti presenti si vedono anche da questi aspetti, colazione in bakery da Pachi’s Pan (2.250c) poi faccio un salto a vedere la grande spiaggi di mattina, un blu senza fine attorniato solo dai due promontori verdissimi. Ma non è questa la meta di giornata, alle 9 prendo il bus verso Puntarenas per recarmi al P.N. Carara. Avevo intravvisto l’ingresso il giorno precedente arrivando, spiego al conducente dove voglio scendere e gli chiedo di indicarmelo, probabile che fraintenda per via del prezzo irrisorio che chiede, 300c x 35’ di viaggio, infatti non si ferma, scorgo l’ingresso, lo avviso ed inchioda in piena Panamericana. 500m di strada in più poco male, entro all’ingresso principale (10$), niente mappa, se ne trova una grande e dettagliata impressa sotto alla biglietteria da fotografare. Da qui si prende il sentiero costituito da più anelli, per non sbagliare basta tenere sempre la sx a tutti i bivi, così si fanno tutti i passaggi e si rientra alla base. La prima parte si sviluppa lungo un sentiero su cemento aperto anche ai disabili, poi ci s’inoltra nella foresta e passo dopo passo le fronde degli alberi, radici e rampicanti sono sempre più folti, avifauna sempre ben presente ma difficile da identificare e scrutare, incontro qualche coati che ormai sono animali domestici per me e pure qualche pizote, per nulla timorosi seguono i loro “sentieri dei canti” disinteressandosi della presenza umana se questa non diviene invasiva. Percorro i vari sentieri (Accesso, Encuentro, Quebrada Bonita e Araceas) che in tutto misurano 2,5km, praticamente tutto in piano, nessun fatica, nella foresta temperatura ottima perché il sole non penetra mai. Uscito da qui, proprio nei dintorni della biglietteria c’è un convivio d’iguane, un numero spropositato, tutte intente nel crogiolarsi al sole. La seconda parte del parco si trova a circa 2km da qui a nord seguendo la statale, mancante di marciapiede e molto trafficata, non ideale da fare a piedi ma alternative non ne ho. Il settore Quebrada Meandrica lo si localizza a fatica, un inserviente nascosto in una specie di capanna a sua volta nascosta nemmeno mi controlla il biglietto, un sentiero nel pieno della foresta raggiunge una piccola laguna che al momento non ha presenza di coccodrilli, il richiamo del posto. Tra a/r si percorrono 4km, non impegnativi, occorre aggirare qualche grande albero abbattuto sul sentiero, ma niente fango, buona cosa. Ritrovata l’uscita mi spingo al ponte sul Rio Tárcoles per il richiamo del posto, i giganteschi coccodrilli americani che qui stazionano. Arrivarono tanti anni fa seguendo la corrente, hanno trovato una sistemazione ideale e non si spostano mai da qui, luogo dove si possono ammirare da vicino ma in totale sicurezza, attenti giusto all’intenso traffico sul ponte, ma un marciapiede fa da isola. Numerosissimi e placidi, quelli intenti ad asciugarsi spalancando la gigantesca bocca incutono paura nonostante non potranno mai arrivare al ponte, alcuni uccelli di fiume li accompagnano senza nessun timore. Mi narrano che nessuno ha mai avuto problemi con questi coccodrilli, a parte un nicaraguense borracho, sul bus internazionale che aveva preso per recarsi da casa a Panama disturbava oltremodo gli occupanti, dopo più richiami l’autista gli impose di scendere alla prima fermata incontrata che malauguratamente fu proprio al Rio Tárcoles. Qui, in teoria sotto effetto alcolico, scese al fiume per un bagno o chissà per cosa, di lui non trovarono più traccia tranne la testa, circa 500m più a valle. A monte del ponte, grazie alla costante presenza di turisti, si è sviluppato un piccolo agglomerato con ristoranti e negozi di souvenir, prezzi elevati rispetto a Jacó, soprassiedo perché un bus passa proprio ora e rientro anticipatamente in città (750c, 45’) con un bus locale che compie un lungo e largo giro per raggiungere il centro della cittadina. Anche se già pomeriggio mi godo un pranzo con kit panino-insalata di frutta-batido-acqua da Luna Lounge (4.050c). Rientro in ostello e mi godo attimi di relax sull’amaca poco prima che un forte scroscio d’acqua si riversi sull’area, cancellando così la possibilità di rimirarsi l’ennesimo tramonto incantato. Oggi la camera da 8 si è in larga parte svuotata, doccia fresca in grande tranquillità e mentre esco si riempie in parte, 3 ragazze ovviamente tedesche in arrivo, di gran lunga la presenza straniera più corposa qui nel mezo america. Su consiglio di un addetto dopo aver notato che la città è un’altra dalla sera prima, praticamente svuotata, ceno al ristorante Pura Vida, una specie di self-service dove potersi comporre un piatto unico enorme con refresco (bibita) compreso, questo a riempimento infinito, situato appena a nord del fiume. Mi giro la via principale che rimane sempre molto poco battuta rispetto al giorno prima per un caffè da Pachi’s Pan (775c, possibilità di scegliere tra svariate tipologie e quantità) e rientro in ostello. Qui a parte un gruppo di statunitensi ubriachi quasi nessuno, giusto qualche scambio d’info con le ragazze tedesche che arrivano da sud e mi narrano mirabolanti esplorazioni nel P.N. Corcovado, una settimana intera nel nulla, luoghi attraversabili solo a piedi. Anche loro qui giusto come tappa di sosta rimangono in parte incredule dal turismo assolutamente distinto che s’incontra.
Cascada Escondida, P.N. Rincon de la Vieja
19° giorno
Colazione ancora da Pachi’s Pan (1.950c), a pochi passi da qui c’è la fermata dei bus per Quepos (1.250c, 80’) dove arrivo in un piccolo paese nei dintorni del celebre P.N. Manuel Antonio. Mi era stato raccomandato perché molto meno turistico e ancora tipicamente tico, forse quanto di più riva atlantica vista nel versante pacifico. Le sistemazioni tipo ostello non sono numerose, in pratica in paese c’è solo il Wide Mouth Frog Backpackers (14$ x letto in camerata, wi-fi, piscina, uso cucina, caffè libero e colazione con caffè/te e zuppa di avena), struttura a metà tra ostello ed albergo, una specie di costruzione messicana con le tante stanze attorno ad un grande patio con piscina centrale. Affianca un piccolo ristorante a cui c’è accesso direttamente dalla sala che da sulla cucina comune (Restaurante la Cocina), chi vuole può fare tutto qui, essendo l’unica soluzione in pieno centro, sempre molto pieno. In camera, molto grande con armadietti per zainetto ed allacci all’energia elettrica, siamo ben in 11, oggi tutto pieno, esco subito in escursione per il parco con bus dal terminal che partono ogni 20’ (325c, 20’). In pratica il parco si trova dall’altro lato della montagna, i 7km sono percorribili molto lentamente, strada stretta e sempre attorniata da hotel, ristoranti, agenzie viaggio e negozi di souvenir senza soluzione di continuità. Il bus ferma sul lungomare, si percorrono poco più di 500m per l’ingresso, essendo il parco più visitato c’è molta gente e quindi si fa fila sia per comprare il biglietto (piccola costruzione bianca sulla sx circa 150m prima dell’ingresso) sia per l’entrata vera e propria dove gli addetti verificano che non siano introdotti nel parco oggetti indesiderati. E’ il parco più costoso (16$ o 9.200c), il sendero principal è una via vera e propria, sul lato si apre una passerella nella foresta, ma indubbiamente tutti sono richiamati da Punta Catedral, chi per girarsi il promontorio alla ricerca di viste spettacolari, i più per spiagge incantate e qui ce ne sarebbero almeno 2 da sogno, non fosse che il bel tempo è un lontano ricordo e le nuvole si son prese tutto lo scenario. Tutti pronti per picnic debordanti la scusa della passeggiata nella foresta trova soluzione con scorpacciate di cibo. Salire e scendere Punta Catedral è comunque splendida azione, per arrivarci si passa da Playa Manuel Antonio dove la presenza di coati e scimmie cappuccino è foltissima. Alcuni coati danno la caccia a piccole tartarughine, sono ghiottissimi e abilissimi nello scovarle, alcuni si scandalizzano, semplicemente la natura che fa il suo giro. Il clima è sempre peggiore, le nuvole si toccano con una mano, faccio appena in tempo a vedermi la trappola per tartarughe realizzato in tempo precolombiano, che la pioggia arriva. Provo a riprendere un sentiero nella foresta verso il mirador in minima parte protetto dagli alberi, ma la pioggia diventa una specie di tifone e solo il poncho by Decathlon mi salva rientrando verso l’uscita attendendo che un fiume umano di avventori esca correndo. Tornato in paese, anche questo chiamato come il parco, trovo subito un bus (315c, 30’) per tornare a Quepos, nel mezzo di un traffico intensissimo, più di 50m senza fermarci è impossibile. Fortunatamente giunti a destinazione la pioggia scema, raggiungo l’ostello per una doccia ovviamente fredda a cui faccio seguire momenti di siesta su amaca. Per cena vado da Chili Taco (3.000c), carne alla mexicana con refresco libero, ritorno in ostello dove incontro tantissima gente, un tedesco in pensione è ormai di casa, partito qualche mese fa sta finendo i soldi (standard comunque levati, preleva 250$ alla settimana…) e ha scelto di rimanere qui in ostello per l’ultimo mese di vacanza, cibo e bevute, letture continue, piscina o piccole escursioni in spiaggia non proprio in paese. Tutti lo conoscono e lui fa un po’ da padrone di casa, caffè per tutti offerto dall’ostello e gente da tutto il mondo a scambiarsi info, idee e sogni di viaggio, non sono l’unico italiano, c’è una ragazza di Palermo ma la maggior parte dei presenti è di lingua tedesca pure qui, a parte una ragazza boliviana che fa specie incontrare, luogo da cui non mi era quasi mai successo di incontrare viandanti fuori dalla loro splendida nazione. Tiriamo tardi, per una volta fa pure piacere, anche se domattina per molti la sveglia sarà di buon mattina con escursione disparate.
Un tucano presso il Refugio Nacional de Vida Silvestre Hacienda Barú
20° giorno
Notte non proprio silenziosa, i vecchi e comodi letti di legno sono rumorosissimi, al minimo movimento par di essere in disco, sveglia di buon mattino per caffè e succo in ostello, ci sarebbe anche una sbobba di aveva che evito per far tappa alla bella e fornita Pasteleria Musmanni tra ostello e terminal dei bus per 2 ottime paste (950c). Proprio dal terminal parto con un bus destinazione Dominical per il Refugio Nacional de Vida Silvestre Hacienda Barú (1.500c, 1h) e questa volta l’autista non sbaglia la fermata. Il complesso è una grande riserva privata dove poter alloggiare sia per visitare il parco sia per godersi la grande e disabitata spiaggia che non è nemmeno invasa da onde improponibili. Ingresso 12$ o 6.600c pagabili anche con carta di credito (guide a partire da 20$ l’ora a persona), ci sono 3 percorsi, ma in questo momento visitabili solo 2, il Pizote ed il Teak and Canal. All’ingresso acqua gratuita per chiunque, opto per il Pizote che attraversa la foresta umida verso l’oceano con una deviazione appena entrati che porta ad una torre d’avvistamento. Proprio lì scorgo alcuni splendidi ed enormi tucani che giusto come mi era stato illustrato al Tortuguero passano di ramo in ramo con piccoli spostamenti, il gigantesco becco limita notevolmente la mobilità. Nel totale isolamento del parco se ne restano nelle loro dimore ad alta quota pacificamente, dalla torre tutto questo si osserva con precisione godendosi pure i colori della vegetazione e dei tucani al massimo perché a differenza del solito non occorre rimirarseli in controluce verso il cielo. Da qui ritorno sul sentiero Pizote ed attraverso la foresta, gli incontri con svariate tipologie di avifauna sono continui, ma pure alcuni abitanti sulla terra si notano, qualche coati ed anche altri mammiferi di piccola taglia passano indisturbati, purtroppo causa condizioni atmosferiche che hanno reso impraticabile il sentiero non è possibile accedere al Lookout Trail che con un giro ad anello di 2,5km porterebbe sul versante est della riserva oltrepassando la carretera Pacifica fino alla vetta della collina dominante l’area. Continuo il percorso ad anello di 3km, nella foresta temperatura ottima, l’accesso alla laguna segnata sulla mappa non è fattibile, rientro alla reception per accedere al secondo percorso, questo fuori dalla foresta imbattendomi subito in un caldo elevato. La prima parte mette in mostra diversi alberi, tra cui una specie interamente coperta da spine, quando si rientra nella foresta il fresco anche se umido si ripropone e questa parte mette in mostra oltre all’avifauna anche alcuni movimenti nei ruscelli che si attraversano, che mi sono descritti alla reception come in larga parte lontre. Raggiunto il sentiero principale, unico percorribile in auto, vado verso l’oceano, nascosto dagli alberi e dalle dune, attraversate le quali si apre ampio e pacifico, almeno per una volta. La bassa marea lascia tantissimo spazio alla spiaggia e qui da soli pare di essere ad un passo cortissimo dall’infinito. Rientro alla reception al termine del sentiero di 2km, la deviazione all’oceano aggiungerà poco più di 500m, tutti sentieri facilmente percorribili. Qui rabbocco nuovamente l’acqua, per chi vuole servizi igienici a disposizione comprensivi di docce, torno sulla statale in attesa di un bus per Quepos, sono decisamente fortunato, nemmeno 10’ di attesa ed eccone comparire uno, la frequenza è di uno ogni ora. Cambia la tariffa, 1.300c ma non il tempo impiegato di 1h, arrivo a Quepos di primo pomeriggio e faccio tappa di nuovo alla Pasteleria Musmanni (1.150c) prima di visitare il lungo mare della cittadina che non ha spiagge. O meglio, di fronte sorge la penisola El Cocal che varia e non di poco al variare della marea, quando questa è al punto più basso è quasi raggiungibile se non a piedi con una piccola nuotata, quando la marea arriva diventa oceano vero e proprio con le imbarcazioni che rientrato dalla pesca mattutina verso il porticciolo che sta nei paraggi del ponte tra la penisola e Boca Vieja. Col rientro delle imbarcazioni arrivano anche diversi uccelli, tra cui una colonia numerosa di pellicani che scacciano tutti gli altri avventori dalle zone con più presenza di pesci. Questa parte di lungo mare, tra parco e scogli molto rialzato dal mare è utilizzato sia da coppiette che da avventori alla griglia, con pesci che dal mare terminano la corsa direttamente alla parilla. Rientro in ostello con turisti in ogni dove, è giunta una comitiva polacca che sempre un’invasione di cavallette, ma un angolo per relax su amaca lo trovo proprio sotto ad un albero che pare la delizia di una comunità di colibrì. Un forte rovescio di pioggia non rovina il programma, a seguire solita doccia fredda poi guidati dal tedesco ormai cittadino onorario di Quepos andiamo a cena presso la sua soda preferita nel retro del mercato adiacente al terminal dei bus. La Cueva del Marisco non è facile da localizzare se non per gli abitudinari, il mercato è chiuso e solo alcune sodas sul resto offrono servizio di sera, piatti ricchi e a costo minimo (3.000c) con refresco a rabbocco libero. Proprietà tica ma inservienti nica, un classico in questi lidi, rientriamo in ostello per terminare la serata con un caffè o una tisana a disposizione dei residenti, questa sera però al nostro piccolo gruppo di 5 persone non si unisce nessuno, in ostello è cambiata la presenza, quasi tutti polacchi (che fortunatamente utilizzano la grande sala comune al primo piano) o russi, del gruppo misto della sera precedente più nessuna traccia.
Coccodrillo in riposo sul Rio Tárcoles
21° giorno
In camera siamo in 6 anziché 11 e il sonno ne guadagna, ho pure meno fretta perché il bus parte alle 10 ed il biglietto lo avevo già comprato il giorno precedente, caffè e succo in ostello, paste alla solita Pasteleria Musmanni (950c), parto col bus colectivo destinazione San José (4.320c, 3:30’) più lento del diretto che parte alla medesima ora ma col vantaggio di fermarmi all’aeroporto di Alajuela coì da raggiungere la mia destinazione prima spendendo pure meno. Lungo il cammino, dopo Parrita (sosta per bisogni e acquisti), lasciamo la carretera Costanera Sur per tagliare tra le montagne, tante curve lungo la 239 ma poco traffico, scendo all’aeroporto di Alajuela e con un bus (530c, 5’) raggiungo il centro cittadino per far tappa nuovamente all’Alajuela Backpackers dove l’addetto alla registrazione nota come fossi già passato presso gli ostelli della catena, mi trova posto in una camera da 8 ma senza la presenza di nessuno, bagno in camera ma doccia esterna, il tutto a 14$. Qui mi trovo con un amico arrivato da pochi giorni dall’Italia, ha noleggiato un Daihatsu Terios e con quello partiamo alla scoperta dei dintorni. Tappa ad Atenas, descritta dalla LP come la città col miglior clima del mondo, non garantisco su questo, segnalo solo che non piove, il cielo è azzurro così come le panchine del parque central antistante la chiesa di legno che domina la cittadina. Prima di arrivare abbiamo notato il monumento ai portatori di caffè con i carri trainati dai buoi, una storica tradizione di queste parti che molto ha inciso sul benessere degli abitanti, tutti coinvolti in quest’affare che parte dalla coltivazione del caffè, passando per la lavorazione, la commercializzazione attraverso lo spostamento del tutto ai porti, sia sul Pacifico sia sull’Atlantico. Cerchiamo a lungo un museo indicato lungo la strada 135 che giunge fin qui, chiediamo in giro ma alla fine si riduce tutto al carro con buoi in uno spartitraffico prima di Atenas. In città poco da vedere se non la chiesa che all’interno è tutta di legno con dimensioni molto ampie, mi riporta alla memoria quelle della lontana isola di Chiloè nel sud del Cile. Ed allora inizio a far conoscere qualche abitudine locale agli amici, batido (1.500c) e descanso alla pizzeria Olivera con vista sulla piazza principale, cosa di meglio per godersi il clima di Atenas? Rientriamo ad Alajuela dove parcheggiamo l’auto in un parcheggio a fianco dell’ostello (10$ per la notte se si è presso l’ostello, le tariffe in pieno centro sono salatissime) e dopo una doccia finalmente calda è tempo di uscire di sera in città alla ricerca di un buon ristorante per le ultime notti ticos. Dopo svariati tentativi facciamo tappa al messicano Japaleños, collegato al vicino Sr. Patacón Y Doña Arepa così da poter scegliere tra 2 menù. Bello il posto e frequentatissimo, riusciamo a trovare posto anche per via dell’orario, per noi le 20:30 è normale, qui ormai i più sono ai saluti. Esibisce inoltre una scelta di dolci proposti direttamente al tavolo, rinunciare è impossibile, alla fine per le abitudini locali tiriamo pure tardi, infatti quando chiediamo il conto è già pronto (8.500c), rientriamo attraversando la piazza centrale con la cattedrale illuminata mentre l’aria si fa frizzante. Nei dintorni sorgono i ristoranti delle catene internazionali frequentati dai ragazzi della città, quelli caratteristici sono all’interno del mercado central, chiuso purtroppo di sera.
Jacó, tramonto tra cielo e oceano Pacifico
22° giorno
Colazione con paste alla Pasteleria Inglesa (1.200c) e caffè in ostello, poi in auto ci rechiamo a Sarchì, la capitale dei carri dei buoi e una vera e propria città del mobile. Nella piazza principale fa bella mostra di se il più grande carro di legno al mondo, costruito come simbolo dell’artigianalità della cittadina, coloratissimo e decorato in modo unico, visitiamo l’adiacente chiesa sempre nella parte norte di Sarchì per recarci nel luogo più popolare, la Fabrica de Carretas Eloy Alfaro entrando dal retro. Passando da qui si giunge direttamente al laboratorio dove artigiani stanno realizzando preziosissime parti per ruote e sponde dei tanto celebri carri per trasporto del caffè, entriamo nel bazar e ci scontriamo con una produzione gigantesca di souvenir, gruppi di turisti che girano con guide all’interno del complesso, difficile allora credere che tutto nasca dalle sapienti mani artigiane di pochi e sparuti lavoratori, la parvenza di un gigantesco made in china è forte. Ma alcune realizzazioni sono preziose, i bidoni per spazzatura differenziata in legno basculante meriterebbero, come alcuni piccoli carretti che vengono proposti con prezzo comprensivo di spedizione aerea, farebbero un figurone in molti giardini ricordando un poco i carretti dei vecchi gelatai, tutti in legno con colori e disegni dei più disparati. La guida segnala la presenza a Sarchì sur di un suo concorrente (fabrica de carretas Joaquin Chaverri), prendiamo l’auto e lì ci rechiamo, ma purtroppo è chiuso e l’impressione pare proprio quella di una chiusura non per turno o momentanea ma protratta nel tempo. Da qui andiamo verso Grecia, la statale 118 bordeggia per ogni metro fabbriche e rivendite di mobili, impressionante, ma tutto il nord e sud America si rifornisce qui? Strada che si adagia su verdeggianti montagne, sole e cielo terso con buona temperatura, a Grecia facciamo tappa nella piazza centrale, celebre per la Catedral de la Mercedes, una delle più grandi della nazione, che fu eretta in Belgio e qui trasportata ed in parte ricostruita. Oggi è tempo di celebrazioni, prima un funerale che richiama un numero spropositato di cittadini, tutti festanti, questa la particolarità della manifestazione, a seguire una folta fila di battesimi, questi molto meno seguiti, pure questa chiesa con soffitto di legno. In realtà il passaggio da Grecia è per raggiungere una delle più conosciute cascate del paese, Las Cataratas de Los Chorros che si trovano all’interno di un parco in via di sistemazione. Da Grecia si prosegue per Tacares, lì non indicato si prende a sx una via in salita (strada 722, all’angolo c’è un Pollolandia) e dopo poco più di un km s’incontra sulla dx una strada dissestata che va ad un cantiere. Poco prima uno spiazzo dove parcheggiare (3.000c) custodito da un anziano che si regge a malapena ad un bastone, a petto nudo con costole in evidenza, viene da chiedersi se sia Caronte prossimo a portarci all’ultimo viaggio, un sentiero riporta sulla strada, ad un bivio si va a sx, lì ci sono lavori e poco dopo un sentiero non segnalato si dipana nella valle (la biglietteria è in stato d’abbandono, non si pagano i 6$ che la guida indicava). Alcuni tratti non sono facili per alberi abbattuti, ma niente paura, seguendo il fiume dopo meno di un km si giunge alla vista della cascata, spettacolo non da poco. La prima cascata si raggiunge dopo uno spiazzo con tavoli e panche per picnic e dopo un puente colgante bello e particolare sul fiume ma ora chiuso, o meglio con divieto di attraversarlo, se si vuole fare 2 passi nessuno dice nulla. Alta circa 50m con caduta dell’acqua in una sorta di piscina naturale che sul lato montagna è contraddistinta da imponenti colonne di basalto è meta di giornata per più avventori locali, qui si fa il bagno, si sta al sole, si guada il fiume e si mangia (tanti lo fanno con cibarie all’ennesima potenza), sul lato sx si prosegue verso la seconda cascata, più piccola e di fatto sopra ad una grotta naturale, guadando il fiume si può entrare e godersi una sorta d’idromassaggio naturale. Il posto è preso d’assalto da meravigliose e giganti farfalle di tantissimi colori, anche questo gioca a suo favore. A malavoglia ripartiamo, quando giungiamo di nuovo sulla via principale ci facciamo tentare da Pollolandia per uno spuntino (2.100c) per poi rientrare ad Alajuela in 20’. Gli amici continuano per l’Atlantico, ho fissato per loro la serata dai ragazzi a Puerto Viejo de Talamanca, io perlustro la cittadina andando al mercado central, in una giornata d’iper affollamento ma tenuto molto bene dov’è possibile mangiare e bere qualsiasi cosa (un batido a 800c, con latte a 1.000c, i prezzi più popolari incontrati con scelta di gusti oltre il solito) sia di casa in Costa Rica e pure comprare di tutto, compreso souvenir. Oggi poi son già iniziate i saldi ed il centro cittadino è invaso di persone da ogni dove, bus pieni in arrivo e partenza, un clima però tranquillo, gli abitanti hanno mano al portafoglio per compere di ogni tipo, anche le moto (sempre cinesi) hanno sconti, una grande festa che ha il suo meglio nel parque central de Alajuela dove i cuenteros danno dimostrazione della forza delle storie che raccontano con gente incantata ad ascoltarli. Utilizzano sovente uno spagnolo molto adattato e comprenderli non è facile, ma già la musicalità porta in dote emozioni tangibili. Rientro in ostello dove nella mia spaziosa camera continuo ad essere l’unico, per cena vado da Cevichitos (5.400c), ottimo ristorante di pesce che ha la sola pecca di non servire caffè. Rimediarne uno in città non è impresa facile, se si scartano i vari McDonald’s o KFC rimane solo il Mini Market Musmanni (550c) con scelta di varie opzioni e qualche tavolo dove gustarselo e fare pure qualche chiacchiera con altri turisti lì a definire programmi futuri, purtroppo ormai non più per me. Fine serata al bar dell’ostello al 4° piano con terrazza sospesa sul vuoto rimirandosi la città, le montagne e l’aeroporto illuminato con una brezza sempre più corposa.
Sarchì, particolare della ruota da carro più grande al mondo
23° giorno
Sveglia verso le ore 5, colazione col caffè dell’ostello e le paste comprate il giorno precedente in una panaderia del mercado central (1.400c con piccolo succo d’arancia) ed alle 5:30 il bus transfert dell’ostello mi reclama per portarmi all’aeroporto con grande anticipo, trasporto compreso nella tariffa dell’ostello. Il volo Air Canada Rouge è alle 9:10, all’arrivo nemmeno il check-in è aperto, occorre attendere le 7, fila che si forma subito ma non avanza. Che qualcosa non vada è evidente, attendiamo mentre il viavai dall’altra parte del bancone inizia a preoccupare, un annuncio segnala che il volo partirà alle 14:10 mentre viene dato il via al check-in. E’ possibile fare il check-in del solo volo per Toronto, una volta sul posto ci diranno come proseguire, in cambio ci forniscono un buono per colazione ed uno per il pranzo valido da Malinche, i cui ristoranti si trovano sia fuori dall’aeroporto sia dentro nell’area dei gate. Faccio colazione sfruttando il primo buono da 8.900c, una cifra perfino troppo alta, converto i colones rimasti in $ (hanno anche € ma in pochi tagli) poi inizia l’attesa perché il volo non compare in lista, l’aeroporto non ha monitor grandi e dettagliati e quindi oltre i 10 voli a seguire non è possibile capire a che ora il mio decollerà. Se ne impara di più entrando nel sito dell’aeroporto di Toronto, più volte vedo che è posticipato, gli inservienti di Air Canada rinviano prima alle 15, poi alle 16:10 ed infine l’orario delle 17:45 pare confermato come confermato è il fatto che perderò le coincidenze a seguire. La fila per il controllo passaporti nel pomeriggio è interminabile, quasi tutti i voli sono in quest’orario, impiego oltre 1:30, non che il controllo sia lungo, assolutamente no, è che c’è tantissima gente. A seguire controllo bagagli a mano (qui si può imbarcare bottiglie d’acqua anche aperte) veloce e poi finalmente imbarco puntuale, senza che venga verificato l’Eta per il Canada. Nel frattempo sfrutto il secondo voucher cibo per il pranzo, questa volta all’interno e di nuovo difficile sfruttarlo a pieno, unico aeroporto al mondo con prezzi umani. Proprio mentre salgo la scaletta che mi porta via dal Costa Rica sorge in cielo l’ultimo tramonto che pare portare la sigla di Photo Shop tanto intenso e saturo di colori. Partenza con 8:30 di ritardo, al solito cibo a pagamento (ma sono satollo) e bere gratuito con svariati passaggi, arrivo dopo 5h di notte e nemmeno sceso dall’aereo mi ritrovo con in mano il piano volo del giorno a seguire, hotel pagato per la notte e voucher per trasbordo con limousine, colazione e pranzo. Ritiro il bagaglio dopo una lunga fila al controllo passaporti perché assieme al mio volo ne è giunto uno dal Giappone, il bagaglio mi è riconsegnato praticamente in contemporanea, esco dall’aeroporto ed il freddo è intenso, la limousine su cui salgo riporta un -6° che per l’autista è pure caldo rispetto al -20° della settimana precedente. L’hotel a cui sono stato assegnato assieme ad almeno altri 20 passeggeri con destino Europa (all’arrivo siamo stati divisi tra chi proseguiva per voli interni, negli U.S.A. e intercontinentali) è il Towneplace Suites by Marriott (wi-fi), registrazione veloce, così sono circa 1:30 quando prendo possesso di un mini appartamento con cucina tecnologica. Prima di una ritemprante doccia caliente mi gusto un buon tè nero e poi svengo sotto ad una montagna di cuscini e panni.
Catarata de Los Chorros, dintorni di Tacares
24° giorno
Sveglia ore 9, la colazione è servita fino alle 9:30, ritrovo più o meno tutti quelli con cui ero arrivato e tutti diamo fondo al buffet dell’hotel. Qui non servono il pranzo, ma sono gentili e ci fotocopiano il voucher per poterlo utilizzare in aeroporto. Terminata colazione provo ad avventurarmi nei dintorni in una zona interamente coperta da neve e ghiaccio. Si scorge il Centenary Park, nevica e quindi la temperatura non dovrebbe essere eccessivamente bassa, i problemi però sono 2, ho un abbigliamento non idoneo, se le calzature resistono alle infiltrazioni dell’acqua non sono però alte e la neve in alcuni punti può infilarsi dall’alto, un leggero pile tiene un briciolo di caldo ma i pantaloni sono da Costa Rica, appena il vento si alza il gelo è inaffrontabile, devo mestamente rientrare sui miei passi. L’hotel è pochi km a ovest dell’aeroporto, a sua volta a ovest della città, non ho tempo per prendere un treno leggero per il centro e quindi mi sistemo in attesa in hotel, un’addetta senza nemmeno stare a chiamare AeroLimo ci porta all’orario che decidiamo tutti assieme in aeroporto. Per Toronto direi che ci sarà spazio in un altro viaggio, in condizioni e tempi più idonei. Il nuovo piano voli prevede il rientro con Lufhtansa fino a Francoforte, check-in velocissimo, così come il controllo passaporti ed il controllo del bagaglio a mano, qui però il bonus del voucher vale ben poco, con 10$ canadesi si compra a fatica un panino, fortuna che per il bere l’aeroporto è disseminato di fontanelle così mi mangio un panino finendo per trovarmi di fronte una ragazza in partenza proprio per il Costa Rica che mi chiede mille informazioni al riguardo. Volo puntuale per Francoforte (6.350km, 7:45) con schermo a disposizione con interattività come su tutti gli aerei più moderni, appena decollati tempo per un rinfresco e a seguire cena, poi luci basse e dopo un po’ di lettura provo a dormire durante un volo particolarmente tranquillo.
P.N. Manuel Antonio, un coati alle prese con una piccola tartarughina
25° giorno
50’ prima di atterrare è tempo di colazione dopo aver dormito poco, i tempi tra dopocena e colazione sono di nemmeno 4 ore. In aeroporto il controllo passaporti è come a Monaco automatico, ma c’è il controllo del bagaglio a mano accurato, prima di passarlo un addetto chiede di mettere a parte pc e tablet (che non ho), all’uscita un’addetta lamenta che abbia lasciato tutte le parti elettroniche nello zaino (telefono, caricatore, macchina fotografica), se si chiarissero tra di loro…In aeroporto wi-fi, attesa del nuovo volo per Bologna ancora con Lufthansa a differenza del piano voli precedente che prevedeva Air Dolomite (ma tutti i voli presi stanno nella Star Alliance), puntuale pure quello. Servono solo da bere, ma dura poco più di un’ora, nel primo pomeriggio atterro a Bologna con circa un giorno e mezzo di ritardo rispetto al programma, il tutto non a causa di problemi col gelo in Canada, ma proprio perché gli aeroporti canadesi sono perfettamente in grado di affrontare questa emergenza ed hanno concesso spazio a quelli statunitensi in larga parte bloccati. Il mio volo San José-Toronto arrivava da Toronto, partito in ritardo da là proprio per dare spazio ad altri voli, una volta atterrato in Costa Rica è andato in coda alle altre partenze e così la catena di ritardo ha fatto sì che per una cortesia sia stato in ballo 30 ore in più. A Bologna rispetto a Toronto par di essere di nuovo nel Caribe, ma il Caribe mantiene tempi e modi sempre tutti suoi che non possono non essere apprezzati e che mi fanno capire molto meglio la scelta degli amici che ora la stanno a vivere mentre in tanti, mestamente qui esistono.
Lago all'interno del Volcan Irazù