Nella foto, tramonto all'Allée des Baobabs
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Il viaggio si è svolto in agosto, inverno ma stagione secca quando vie e sentieri sono percorribili, mai caldo eccessivo e mai una nuvola, nell’area delle montagne di sera la temperatura precipita. Una felpa pesante o un pile leggero sono necessari, così come un capo per proteggersi dal vento, da utilizzarsi nelle montagne di sera e mattina, mentre al mare di giorno al sole si sta alla grande, ma già all’ombra una maglietta è necessaria, di sera questa non è sufficiente. Durante il giorno nei parchi invece la temperatura sale tra i 25 e i 30 gradi, per le lunghe camminate necessario portarsi molta acqua, non vi è possibilità di trovarne una volta intrapreso il cammino
Per entrare nel paese occorrono il passaporto valido per 6 mesi ed il visto che viene rilasciato all’ingresso per 35€ valido per un unico accesso. Il roaming internazionale funziona, in realtà girando principalmente per parchi le connessioni sono saltuarie, le strutture alberghiere sulla carta sono tutte dotate di wi-fi ma non sempre funziona, la soluzione migliore è quella di comprarsi una sim malgascia (2 le principali compagnie) ed utilizzare quella. Sempre meglio confermare il proprio arrivo agli hotel, come accordarsi anzitempo con le guide nei parchi, il tutto telefonicamente il giorno avanti.
Occorre pagare in moneta locale, il cambio indicativo è 1€-4.000ariary, raramente le carte di credito sono accettate (quasi solo MasterCard e Visa) ma in quel caso è applicata una maggiorazione del 5/6%. Nei mercati i prezzi solitamente sono trattabili, per il cibo da strada talmente bassi che sovente per far conto pari si tratta sulla quantità e non sul prezzo. Le strutture alberghiere le avevamo fissate anzitempo via booking, ricordandoci sempre di confermare almeno un giorno prima, soprattutto perché i tempi si dilatano durante gli spostamenti per strade in pessimo stato, e qui quando il sole è già tramontato la vita termina e se non si è arrivati o comunicato, può pure saltare la prenotazione. Per i mezzi di trasporto c’eravamo affidati ad un operatore locale in maniera di avere sempre un mezzo a disposizione, altrimenti i parchi non sono raggiungibili con mezzi pubblici che non hanno orari definiti.
I prezzi riportati di seguito sono da intendersi a persona quando non specificato. La benzina costa 4.100a al lt, cifra non proprio alla portata di tutti, ed in effetti le auto private sono poche, mentre i van/camion numerosissimi, le strade in corrispondenza dei villaggi rappresentano la vita del luogo, tutto si svolge sulla strada principale, attraversarli, soprattutto nei primi giorni, un’impresa coraggiosa che il conducente affronta a clacson costante nella speranza che tutti si tolgano in tempo (a volte qualche animale non riesce nell’impresa di salvataggio, ma nessuno si è mai fermato).
Il turismo è molto diffuso nei luoghi di mare, molto meno all’interno dove gli standard di accoglienza si riducono notevolmente, l’inglese poco diffuso mentre col francese si riesce ad interagire con la maggioranza della popolazione, magari non nei villaggi più remoti ma nei paesi lungo le vie di comunicazione sì e con facilità. Nei parchi ci si può imbattere in guide che dicono di parlare italiano, meglio evitare, solitamente conoscono pochi termini e non riescono ad approfondire nulla, soluzione ideale scegliere una che parli francese o inglese. Chiunque vedendo uno straniero lo apostroferà con le parole “mura mura”, piano piano, in 2 parole analoghe il loro modo di prendere la vita.
L’ora è +3GMT (un’ora avanti rispetto all’Italia in estate), ma molto legata alla luce del sole, quindi di mattina presto c’è vita, al calare del sole si ferma quasi tutto, rammentatelo soprattutto per l’orario di cena, fuori dalla capitale dopo le 20 sarà difficile trovare un pasto se non avvisando presso la struttura alberghiera dove si fa tappa.
La sicurezza generale non costituisce un problema, ma di notte i van che trasportano le persone nell’area delle montagne possono viaggiare solo costituendo una carovana scortata da forze preposte per paura dei predoni. Se sia una misura necessaria o un balzello che gli autisti devono forzatamente pagare non so dire, la percezione rimane quella di un luogo sicuro, nessuna delle persone incrociate durante il viaggio mi ha mai accennato a disagi in tal senso
Guide, il Madagascar è battutissimo in fatto di guide scritte per farsene un’idea, io avevo al seguito quella della Lonely Planet in versione EDT, ma potete spaziare a piacimento prima di partire per arrivare già preparati alle escursioni che si preferiranno intraprendere, da definire con largo anticipo soprattutto per i tempi di trasferimento, sovente snervanti, oltre al fatto che non si può contare sui voli aerei. Qui opera in regime di monopolio la Tsaradia (voli nazionali della Air Madagascar), annulla e sposta voli a piacimento, un piano alternativo va sempre messo in cantiere.
E’ inverno, gli animali non sono in letargo ma comunque propensi a sonnecchiare, così scorgere lemuri e vederli pure vicini e fermi non è difficile, anzi, così come i camaleonti, anche se per questi l’occhio delle guide è fondamentale soprattutto nei primi avvistamenti, scambiarli per rami e foglie veramente facile. Non servono obiettivi particolarmente potenti per ritrarli, nella foresta il problema maggiore è quello di riuscire a coglierli nel miglior fuoco possibile, in alcuni casi anche la luce è scarsa perché la foresta folta. Ma in seguito segnalerò le aree dove più facile incontrarli fuori da quei luoghi.
Per la strada, Manaut
1° giorno
All’aeroporto di Bologna la fila per il check-in della Turkish Airlines non è così veloce, per una volta più svelta la fila di chi ha fatto il check-in on line e deve consegnare il bagaglio, recupero le carte d’imbarco fino ad Antananarivo, d’ora in poi Tana, come la chiamano i malgasci. Ai controlli passaporto comunitari la fila è lunga, chiedendo di aprire i varchi per i passaporti elettronici tutto inizia a scorrere in modo rapido (capire perché li abbiano predisposti ma non li aprano con costanza è impossibile), il volo per Istanbul è puntuale, circa 1.500km per 2h di volo dove è servita una cena anticipata di buona qualità. Possibilità di ricaricare batterie, schermo personale, tutto comodo, atterriamo nel nuovo aeroporto Istanbul International, dove impegniamo oltre 30’ per arrivare a destinazione. In pratica la grandeur della nuova era turca ha voluto costruire una gigantesca cattedrale con spazi sconfinati sia fuori sia dentro la struttura. Tutto è bello e in perfetto stato, ci si può spostare all’interno in varie maniere, abbiamo tempo per farci un’idea di questa nuova aerostazione dotata di un numero enorme di gate, tutti per giunta doppi, da un gate all’altro spazio per un campo da calcio…Nessun ulteriore controllo per accedere al gate del volo Turkish con doppia destinazione Mauritius/Tana che si presenta con un nuovissimo A330. Appena decollati è un susseguirsi di consegne, tra il menù, cuffie stile rapper, ed un kit confort di qualità e quantità ormai dimenticati passa tempo prima della cena, di ottima qualità con bevande a iosa, equipaggio di bordo molto gentile. Ora è tempo di dormire, temperatura buona per utilizzare la coperta in dotazione, rammentavo un volo Turkish Asmara-Istanbul caldo all’inverosimile tanto da non riuscire a dormire, qui invece tutto a posto, per chi non intende provare a dormire c’è l’intrattenimento di bordo (film in italiano pari a zero, sottotitoli in almeno 15 lingue ma non la nostra) oppure si può connettere il proprio device allo schermo e trastullarsi con quello. Io opto per un sonno prolungato, non si sa mai quello che mi aspetterà una volta all’arrivo, ed in effetti non sarà male essersi messi avanti col sonno.
Bekopaka, al porto fluviale
2° giorno
Un odore di colazione mi desta dal sonno, circa 1:30’ prima di far tappa alle Mauritius (7.500km, 9:30) è servita in maniera abbondante. Lo scalo tecnico (non occorre scendere) ruba poco più di 30’, poi via verso la tappa finale (1.100km 1:40) a Tana che raggiungiamo dopo un nuovo spuntino. L’arrivo è puntuale, con un bus dall’aereo raggiungiamo l’area arrivi, all’ingresso viene provata la temperatura corporea con pistola laser, poi coda per il visto (35€ per quello con unico ingresso), coda di circa 30’, ritiro bagaglio (a quel punto già arrivato), controllo ai raggi X dei bagagli in uscita ed a quel punto a tutti gli effetti siamo in Madagascar, temperatura gradevole ma non troppo caldo, ora che tra una cosa e l’altra sono già le 15. Con un bus siamo prelevati dal corrispondente con cui eravamo in contatto da tempo, trasferimento ai suoi uffici (il traffico è drammatico, una sola via stretta porta in centro, tutto intasato, per 15km scarsi oltre 1h) dove cambiamo un po’ di valuta e ridefiniamo gli spostamenti, già variati perché il volo per Morondava è spostato di un giorno, sempre se sarà confermato. A quel punto ci era già stato predisposto un servizio via terra e la prenotazione variata della prima notte ad Antisirabe, che raggiungiamo sempre col van in circa 4h, la prima delle quali spesa tutta in pochi km in capitale, al tramonto le risaie che la circondano hanno sì il suo fascino, ma le vediamo anche troppo attentamente spostandoci di pochi metri ogni 5’. E’ già buio quando usciamo dalla città, la strada non è più illuminata e quindi non si scorge nulla lungo il percorso, certamente l’asfalto si presenta già come presente ma pieno di enormi buche che costringono a rallentamenti e deviazioni continue. L’unica illuminazione è fornita dalle persone che cuociono la cena sulla strada, piccoli a grandi falò, necessari anche per scaldarsi, salendo tra le montagne la temperatura precipita col buio. Giungiamo a destinazione dopo 4h di trasferimento, ci appropriamo delle camere fermate all’hotel La Villa (50.000a x camera con letto matrimoniale ed acqua calda solo sulla carta, wi-fi veloce), gentilmente ci predispongono la cena, che all’ora di arrivo (circa le 22) non avremmo trovato in città. Pollo e verdure, queste tirate in padella, ottime, fanno anche un caffè buono, preferibile quello loro tradizionale rispetto a quello espresso (cena 16.500a). Poco prima di mezzanotte si riesce ad accostarsi al letto, sarà un passaggio veloce, fortuna che il lungo volo non ha scompensi dovuti al jet-leg. Letti con coperte e panni, assolutamente necessari poiché il riscaldamento non è previsto nelle camere e le temperature esterne stanno di poco sopra i 5° di notte.
Parco Nazionale des Tsingy de Bemaraha
3° giorno
Partenza ore 4, sveglia poco prima, non riescono a servirci la colazione, la faremo sulla strada una volta sorto il sole a Manaut (la mappa riporta Mandoto, sul posto mi scrivono Manaut, 500a per caffè e 2 dolci di riso) in una dei tantissimi posti per la via principale dove iniziamo a far conoscenza con usi e costumi del luogo. Tutto si svolge sulla via, incontri, scambi e vendite, rifornimenti, c’è fermento ma grande tranquillità, proseguiamo in quest’area di montagna che una volta illuminata da sole pian piano si scalda, in partenza felpa, giacca antivento e coperta della compagnia aerea non erano un male. L’area delle montagne verdi di Bevisika è il primo stop per ammirare gli spazi malgasci, anche per rifiatare tra le buche di una strada impossibile. Stop a Miandrivazo, la città più grande che incontreremo nella discesa verso ovest, qui acquistiamo una sim locale per poter interagire (5.000a + a piacimento quanto inserire di ricarica, acquisto molto formale, occorre anche farsi fotografare dalla commessa che inserirà la foto nella pratica, considerare almeno 15’). Il luogo pullula di persone in ogni dove, si fatica nel fenderle per procedere col pulmino, da qui la strada migliora anche perché siamo già usciti dalle montagne. Proseguiamo lungo la RN34 provvista pure di ponti sui grandi fiumi tipo il Manambolo, una volta giunti a Malaimbandy si prende a dx la RN35 fino all’incrocio Pelù dove lasciamo il pulmino per salire sulle jeep 4x4 dopo quasi 500km e 10h di trasferimento. L’asfalto termina immediatamente lungo la RN8, celebre perché dopo circa 6 km si attraversa il luogo più iconografico del Madagascar, l’Allée des Babobas, il celebre viale dei baobab. Ora sorge anche un centro visite, ci sono ristori comodi, servizi e parcheggi, da Morondava dista circa 20km, per chi arriva in aereo una passeggiata arrivare qua. E’ pomeriggio, la vista magica del tramonto la lasceremo al ritorno, dobbiamo riuscire a prendere l’ultimo traghetto sul Tsiribihina, ci fermiamo a rimirare i baobab giusto 15’, ci aspetta ancora un cammino lungo e non banale. I baobab dominano per intero l’area, magari non così perfetti e in fila come nell’allée ma se ne vedono ovunque, spesso utilizzati dalla popolazione come supporto all’abitazione, che qui consta nella maggior parte dei casi di rami appoggiati ai grandi alberi con tetto di lamiera o altri rami. Quest’area durante la stagione delle piogge finisce costantemente allagata, le costruzioni sono quindi ripari di fortuna, sarà una delle parti dove la vita è maggiormente difficile di quelle incontrare in Madagascar. Attraversiamo più villaggi, i bambini sono numerosissimi e in fila per salutare i passanti in jeep, la miseria è percepibile ma non quel senso di tristezza e povertà che sovente le viene associato. Trovare la deviazione per l’attracco del traghetto non così scontato, dopo qualche giro a vuoto prendiamo un sentiero che pare impossibile che abbia una destinazione, invece riusciamo a giungere all’imbarco dell’ultimo passaggio giornaliero, entro le 17. La salita al traghetto è per piloti esperti, poi via in navigazione sul largo Tsiribihina per circa 40’, il tramonto regala viste da La Mia Africa, col sole già nascosto la temperatura sul fiume scende velocemente, ma una volta sbarcati la meta è prossima, Belo Sur Tsiribihina è giusto un km dopo. Facciamo tappa in pieno centro di fronte al palasport a cielo aperto presso l’Hotel Menabe (70.000a x camera tripla o 50.000a per doppia, acqua tiepida. Il wi-fi c’è, il funzionamento altalenante, e solo fin quando il titolare francese rimane presso la reception), bella struttura che serve anche cena. Come previsto dopo 3h di trasferimento tra jeep e traghetto siamo a destinazione già col buio e vita pressoché terminata in città, tranne nel campo di fronte, dove provo ad entrare e mi ritrovo non una squadra di basket ma un gruppo di karateki che mi chiedono di fotografarli (spedirò in seguito le foto all’hotel, la moglie del titolare m’informa che è già rientrata a Parigi). Scelta ovvia di cena in hotel (prenotata appena arrivati, altrimenti nisba), validissima (25.000a) dove è possibile trovare non solo birra ma anche una vasta scelta di rhum, lo dico per i cultori, essendo un luogo a maggioranza islamica non era per niente automatico. I canti del muezzin faranno da colonna sonora a chi ha il sonno leggero, così come di prima mattina i classici rumori di una strada dove tutto passa ed avviene. Qualche zanzara qui c’è, il freddo delle montagne è dimenticato, ma tutti i letti sono dotati di zanzariere, meglio approfittarne.
Un lemure al P.N. des Tsingy de Bemaraha
4° giorno
Dopo il canto del muezzin è tempo di colazione (12.000a, in teoria doveva essere compresa, poi così pare non essere, i francesi…), il paese sarebbe interessante da visitare per i suoi mercati e botteghe, ma a parte la via dove risediamo e buttiamo un occhio non c’è tempo, inoltre gli autisti delle jeep sono anche poco sicuri dei luoghi, quindi si parte per Bekopaka, 100km per quasi 4h di sentiero polveroso, dove nel mezzo del nulla capita d’incontrare qualche viandante a piedi. Il villaggio rimane sulla sponda nord del Manambolo, da attraversare su chiatta (20.000a), di fatto poche baracche da un alto e dall’altro del fiume in corrispondenza di hotel che fanno da base per l’escursione al parco nazionale des Tsingy de Bemaraha, indubbiamente il parco più esaltante visto nel viaggio. Ci fermiamo presso l’hotel Horchide du Bemara (camera doppia+cena+colazione 100.000a cadauno, doccia calda, wi-fi solo sulla carta, zanzariera, zampironi e fiammiferi, piscina) una specie di mega resort nascosto nella foresta, i bungalow che abbiamo fermato si trovano fuori dal complesso principale, sono splendidi ma ovviamente per il posto i meno costosi. La struttura è di altissimo livello per il luogo, qui in pratica esistono sistemazioni solo in resort, non ci sono pensioni o camere in affitto. Raggiunta la prima vera meta del viaggio abbiamo buona parte del pomeriggio libero, in realtà occorre organizzare le visite del giorno seguente, tra parco e navigazione su Manambolo. Prendiamo i biglietti per il parco presso l’ufficio preposto (55.000a) ma per le guide ed il resto occorre ritornare all’imbarco dove c’è la reception per tutte le escursioni. Lì definiamo anche una piccola navigazione sul fiume, da fare di mattina presto, ore 6, perché di pomeriggio sale il vento e non si può navigare con le piroghe, mentre il giro del parco è meglio non farlo sotto il sole cocente. Riusciamo ad incastrare il tutto e proseguiamo coi pagamenti, operazione non banale. Ci si accorda con una guida (135.000a fino a 4 persone, oppure 155.000k per 7), si sottoscrive il contratto che però si paga in un ufficio esterno, assieme al biglietto per l’escursione in barca (15.000a) e la tassa per l’ingresso al villaggio (5.000a). Coperti di carta e ricevute abbiamo espletato tutte le formalità e definito i punti di ritrovo per l’indomani, rimane un briciolo di tempo per il relax in piscina, poco però, già prima delle 18 fa buio. I bungalow, dotati di zanzariere e zampironi quanto mai utili, isolano dal fresco che sale di sera, sono dotati di una misera illuminazione, per il resto ottimi, mentre la cena è servita nel vasto padiglione centrale dove converge gente da tutto il mondo. Prima di cena la guida che avremo per il parco ci raggiunge per un consulto, ci sono più percorsi e preferisce definire fin da ora cosa affrontare, dovrà dotarsi di almeno un collaboratore ed a seconda della nostra scelta opererà in merito. Cena nella media, alle 22 la fornitura di energia elettrica termina, in quel caso anche il wi-fi termina, ma a dire il vero chi ci ha provato non l’ha mai trovato funzionante se non per qualche attimo, quindi non pensate di tirar tardi navigando.
Allée des Baobabs
5° giorno
Colazione pochi minuti prima delle 6, si ritorna all’imbarco dove il sole inizia a colorare il luogo regalando splendide viste. Non così veloci le procedure di partenza, in pratica leviamo l’ancora che son quasi le 7, l’urgenza di partire è stata archiviata. Si entra in una specie di largo canyon, non risaliamo molto, diciamo circa 500 metri, l’acqua è bassa e più volte il barcaiolo deve scendere e trainare la piroga, la parte nord è molto più bella dal punto di vista scenografico, mentre facciamo tappa ad una grotta su quella sud, con l’ingresso lavorato da vento ed acqua in modo certosino. All’interno le formazioni rocciose sono interessanti, ovviamente senza un’accurata illuminazione nulla si percepisce, il barcaiolo illumina molte di queste, ma per camminare con un minimo di sicurezza ognuno deve avere una propria torcia, meglio se quella frontale da agganciarsi in testa. Terminata l’escursione e rientrati alla base si parte in jeep per il P.N. Tsingy de Bemaraha dove ci fermiamo all’incirca dopo 30’ di trasferimento. Non c’è un ingresso vero e proprio, in una spianata ci sono fornite le informazioni sul percorso, l’istruzione per l’utilizzo dell’imbragatura e si parte per un giro di circa 4h nei Grands Tsingy, non lungo come chilometraggio, ma che consta di salite e discese, passaggi in cunicoli ed un ponte tibetano, in realtà banalissimo da attraversare. La prima parte passa nella foresta dove iniziamo a scorgere qualche lemure, ed ovviamente è festa grande, avifauna numerosa e dopo circa 30’ inizia l’avventura vera e propria. Si scalano queste formazioni rocciose a forma di pinnacoli grigi scuri, frastagliati ed alti fin oltre 100 metri, formati nel corso di milioni di anni per il lavoro di vento, ghiaccio ed acqua. L’emozione è solo nel compiere il percorso, la vista poi è grandiosa, soprattutto raggiungendo i 2 punti panoramici da dove non si vorrebbe mai scendere sovrastando un numero incalcolabile di guglie. Ma occorre farlo, passato il ponte tibetano ci s’immerge nella cattedrale, il luogo più basso e riparato, una specie di grande spazio sotterraneo che ispira la vista di una cattedrale naturale. La guida che parla inglese è competente e fornisce indicazioni di suo e risponde con complete (almeno quello che sembra a me) a qualsiasi domanda, lentamente ritorniamo al parcheggio dove ci togliamo imbragatura e guanti (le rocce calcaree sono taglienti, ho utilizzato un paio di guanti estivi leggeri da moto con protezioni), quanto mai fondamentali in molti passaggi. Qui ci fanno trovare pure uno spuntino molto sostanzioso, riso con verdure, penne condite, ma pure pollo, verdure e frutta, con arance che grondano sugo. Il tutto recuperato da un anonimo ristorante lungo il percorso, di quelli dove i più non amerebbero mettere piede. Con calma torniamo in hotel per le 16, giusto il tempo per un breve relax a bordo piscina, schivando la fuliggine prodotta dai tanti incendi (ci dicono controllati) che si avvistano anche a occhio nudo. Cena in hotel, notando che alcune facce incrociate nei giorni precedenti sono di nuovo qua come noi, lungo questi luoghi non c’è tanta possibilità di scegliere dove far tappa. Al solito, ore 22, tutto spento.
Aspettando la chiatta a Bekopaka
6° giorno
Colazione in hotel sempre ore 6, ci aspetta un lungo trasferimento in jeep e l’appuntamento imperdibile col tramonto all’Allée des Babobas, meglio programmarsi per un’eventuale attesa che giungere a giochi conclusi. Riattraversiamo il Manambolo (20.000a) e a ritroso abbiamo i 100km fino a Belo Sur Tsiribihina dove giungiamo dopo poco meno di 4h, in tempo per un veloce spuntino all’Hotel Musulman (300a per un somoza, 500a per un buon caffè, dimenticavo di dire che una grande riserva d’acqua minerale ci è stata fornita dal corrispondente, così non abbiamo bisogno di comprarne, una bottiglia da 1,5l costa indicativamente 4.000a). A Belo nuovo imbarco su chiatta (50.000a) e dopo 30’ raggiungiamo la sponda a Port Bac Tsimafana. Sul fiume durante il giorno gente ovunque, chi lava, chi raccoglie alghe, chi gioca, chi pesca, una via di vita irrinunciabile per gli abitanti di qui. Abbiamo tempo così possiamo fare alcune soste presso villaggi locali, dove il carbone raccolto in sacchi fa da supporto a piccoli pannelli fotovoltaici atti ad alimentare i telefoni mobili, parabole e televisori comuni. A Kirindy c’è il baobab sacro, mentre poco oltre i baobab amoreux (ovvero 2 baobab avvinghiati tra di loro in un abbraccio interminabile), lentamente arriviamo all’Allée des Baobabs con anticipo, il sole ancora alto, spettacolo che attende. Nello spazio ad est i più però iniziano in anticipo a prendere posto per godersi lo spettacolo dall’angolatura migliore, in realtà vero che rispetto ad altri luoghi qui c’è una concentrazione di turisti elevata all’ennesima potenza, ma posto c’è per chiunque. Gli scatti fotografici piovono copiosi, la vista pare costruita per quanto incredibile e non figlia della natura come in realtà è, ma ogni particolare ed in ogni condizioni di luce viene immortalato. Nella calma generale spunta un nutrito gruppo di cinesi dotati di una montagna di tecnologia fotografica al seguito, già si pongono nel mezzo, ma soprattutto fanno decollare una decina di droni proprio nel mezzo dei baobab. A quel punto viene fatto notare come lo spettacolo sia di tutti e nel mezzo della natura i loro droni non ci stanno proprio benone, strano ma vero li ritirano, anche se in seguito manderanno i figli a saltare all’impazzata tra i baobab per essere immortalati nella palla di sole calante. Vabbè, a parte questo lo spettacolo è veramente notevole, visto in innumerevoli immagini pubblicitarie (vedi esempio il sito Nikon giusto per rimanere in tema) ma dal vivo l’emozione è consistente. Sceso il sole si riparte per Morondava, 20km, dato l’orario anche qui meglio cenare subito ma vogliamo evitare di farlo in hotel, che scorgiamo fuori città. Sul lungomare, clima caldo, umido e ventosissimo, la scelta cade sul casalingo Gasy Rest (8.000a) con abbondanti razioni e molto frequentato da avventori locali. L’hotel, uno spettacolare resort, una negatività doveva averla dato il prezzo, ed in effetti è data dalla location, ben fuori dalla città, senza un mezzo a disposizione si vive isolati tra le zanzare. L’hotel Kimony (100.000a bungalow doppio spettacolare che si potrebbe utilizzare comodamente anche in 4, zanzariere, aria condizionata, ventilatori a soffitto e da pavimento, bagno gigantesco con acqua calda) copre un’area talmente vasta che per giungere a certi bungalow è a disposizione un servizio di trasporto, ha di tutto e di più, piscina favolosa, accesso al mare, sala lettura e biblioteca, wi-fi che però non funziona quasi mai, peccato che per chi passa solo a dormire il più sia superfluo.
Mercato degli zebù, Ambalavao
7° giorno
Colazione scarsa e di bassa qualità ad un prezzo da rapina (20.000a), poi prima di partire per una lunga tappa di trasferimento notiamo che un gruppo di lemuri ha preso casa tra i bungalow, per nulla timidi passano da un’abbeverata all’altra da perfetti soggetti fotografici. La poca gente presente in hotel, ma forse anche l’abitudine li lascia fare le loro cose senza paura, bene per noi. Poi si parte, il percorso è il medesimo dell’andata quindi non particolarmente interessante, già visto insomma, sosta cibo ad Ambatolahy, pescando tra i tanti piccoli posti sempre tutti sulla via principale. Pesco a caso qui e là, sempre somoza a 200a e caffè 300a (la tazza fornita è quella comune gestita con generosa sciacquata poiché la servono ad uno straniero), tutto molto buono, somoza solo di carne, i vegetariani non hanno un’alternativa qua. Dai ponti che attraversano i 2 grandi fiumi si notano le tante donne che lavano montagne di panni e li stendono ad asciugare sulle larghe rive sabbiose (siamo nella stagione secca, poca acqua rispetto agli enormi alvei) creando effetti cromatici bellissimi, anche se immagino involontari. Caldo intenso, una volta giunti a Miandrivazo sempre invasa di gente inizia la salita ed inizia il tormento della via, martoriata da giganti buche. La speranza di arrivare anzitempo crolla nuovamente, qualche sosta tra le montagne per scorgere distese di salgemma. Del Madagascar erano noti la vaniglia, le tipologie di pepe (imperdibile quello selvatico) e la noce moscata, non sapevo del sale. Giungiamo al solito col sole abbondantemente calato ad Antisirabe, solito hotel La Villa dove otteniamo camere con acqua calda (60.000a con anche letti singoli), particolare non da disprezzare nel freddo della notte montana. Avvertito l’hotel per tempo la cena è pronta in un attimo, solito pollo con verdure, una zuppa di cipolla caliente, tanto riso al termine e buon caffè di una giornata da circa 485km e 10h di viaggio.
Ristorante nei paraggi di Andranomidibha
8° giorno
Buona colazione in hotel (8.000a) e nel freddo del mattino ben coperti nel pulmino si parte tra le montagne con destinazione Ambositra, la capitale dell’intaglio. La città si sviluppa su più livelli, al centro la zona al solito trafficatissima del mercato, si trova di tutto pure pesce, che non sembra la specialità della casa, nella parte superiore invece le botteghe degli intagliatori del legno. Non sono particolarmente preso da questo specialità, sovente sono trappole per turisti, in realtà si trovano pezzi veramente interessanti anche se i primi prezzi proposti non invogliano più di tanto, ma trattare si può. Da notare che anche i mezzi di locomozione sono in legno, i risciò trainati a mano sono rigorosamente in legno dai colori più sgargianti possibili. Nel centro della piazza della città alta fanno bella mostra di sé 2 campi da basket, tabelloni per forza di cose di legno, i ferri invece non tutti rispondono presente. Quello dei campi da basket è una costante qui in Madagascar, si trovano ovunque, non sapevo di questa passione, pare una versione africana della Lituania. Proseguendo s’iniziano a vedere i terrazzamenti dettati dalla necessità di coltivare il riso, e questo rende colorata e caratteristica la zona, contraddistinta dalle tipiche case di mattoni rossi, alte e strette con rarissime finestre e senza camini. Questo perché il fuoco che si fa all’interno non deve essere disperso, esce pian piano dalle poche finestre ma oltre che per cucinare deve servire per scaldare. Ad Andranomidibha sosta per bisogni presso una specie di autogrill, unico nel suo genere. Hanno costituito in una piccola casa un servizio igienico di primordine con anche una rivendita di alimentari, non lontano una piccola bottega che più indigena non si potrebbe, propone veloci specialità del luogo a prezzi inesistenti. Tratto giusto per far conto pari 3 involtini di pastafrolla ripieni di purè di patate e caffè per 500a, chiedo di poter fotografarli, mi rispondono contenti ma poi anche loro, a loro volta vogliono una foto con me al loro desco. Puntiamo dritto alla meta finale della giornata, per una volta abbiamo tempo per visitare una città ed entrare nel vivo della nazione, per le 14 raggiungiamo la grande Fianarantsoa (circa 250km), cittadina che si sviluppa su tre livelli, la confusione della città mercato in basso, la zona residenziale nel mezzo e l’antica lassù, tra le montagne. Unica volta che non avevamo chiamato per la conferma dell’hotel, scopriamo che la prenotazione è andata, così iniziamo a cercare un’alternativa. Nella città a metà le opzioni non mancano, peccato che sia tutto esaurito, dopo almeno 5 no troviamo posto all’hotel Tombontsoa che sta smontando le decorazioni di un banchetto nuziale. Magari non la struttura al top ma decorosa (90.000a per una tripla con colazione, acqua calda dopo lunga attesa ed un wi-fi funzionante per davvero). Ma si esce immediatamente, visitiamo Fianar come la chiamano i locali, dalla parte mediana a quella superiore. Non sarà la città più bella del mondo ma le sue costruzioni della città alta, i viali di quella mediana ed il mercato totale che si dipana in ogni dove merita una vista, come merita la vista dal retro del ristorante Tsara che scende tra le risaie e sale fino alla Cathédrale St. Nom de Jésus Ambozontany, luogo da non tralasciare se si ha una mezzoretta di tempo per salire e scendere. Il caldo del giorno lascia spazio al fresco della sera, i 1.200m si sentono. Ci concediamo il lusso di cenare allo Tsara (40.000a) sciccosissimo posto ma portate per quanto buone non così favolose come ci si potrebbe attendere, servizio lentissimo, quando di solito tutto arriva in un attimo. Rientriamo in hotel verso le 21:30, la città che prima pullulava di persone ovunque ora è un deserto, illuminazione pubblica pressoché nulla ma nessun problema di sicurezza lungo le vie.
Un camaleonte presso la Reserve d’Anja
9° giorno
Ennesima colazione alle 6 (la integriamo con richiesta di frutta per 5.000k in più), buona ed abbondante, poi via per visitare il P.N. Ranomafana (dichiarato patrimonio dell’umanità da Unesco) che raggiungiamo in meno di un’ora. Al visitor center acquistiamo i biglietti (55.000k), paghiamo la guida (30.000k) in italiano che scopriremo decisamente scarsa (Lahatra +2613496946, contattata in anticipo è impegnata e ci girerà ad altra, pareva un affare poiché parlava italiano, ci accorgeremo che conosce un po’ la lingua ma fatica a fornirci info dettagliate del parco) e paghiamo i soliti 5.000a per la tassa del villaggio. Il parco è celebre perché ospita la foresta pluviale primaria e secondaria, si sviluppa su di un’area particolarmente vasta di cui noi percorreremo un anello in circa 5h. I percorsi hanno nomi, ma per chi non ha giorni a disposizione meglio indicare cosa si preferisce osservare, ci penserà la guida ad intersecare un sentiero con l’altro, senza guida impossibile orizzontarsi date le indicazioni inesistenti e molteplici gli incroci. Salite e discese si susseguono, tutte semplici, meno i passaggi nel mezzo della foresta per avvistare la fauna, molti i lemuri di varie tipologie tra cui i più facili da avvistare l’apalemure dorato e l’aye aye, avifauna di molteplici specie, rane, manguste e la chicca del parco, il celebre fossa, noto ai più per il cartone animato Madagascar, il terribile carnivoro che mangia i lemuri. La fitta vegetazione limita le viste, ovvio che la guida sia fondamentale per scorgere gli animali, io non avrei mai identificato il geco foglia, in alcuni casi dobbiamo agganciarci alle spiegazioni di altre guide con altri avventori poiché la nostra poco sa e in pratica asserisce positivamente ad ogni nostra indicazione senza mai dare una risposta completa. Si sale al punto panoramico, unico luogo dove si può mangiare (ovviamente quello che si è portato, non c’è nulla nel parco), che più che regalare una bella vista attira animali, non a caso qui si vedono numerose manguste (pure una che sottrae una scatoletta di alici ad una coppia di escursionisti) e il fossa, timoroso ma nemmeno troppo nello sporgersi alla ricerca di cibo facile. Il giro prosegue alla cascata sul versante opposto, salita non pesante di circa 20’, dopo un guado che in questa stagione si riesce ad oltrepassare senza immergersi. Ci imbattiamo anche in una serie di stele, sono quelle delle tombe d’indigeni locali, la guida mi riporta di etnia Antanala. Cascata che non è indimenticabile, ma il giro comunque merita, per chi vuole c’è anche una fonte termale di acqua calda, soprassediamo perché come al solito abbiamo un trasferimento non lungo (115km) ma di oltre 2h. Nel parco la temperatura non sale mai, in realtà il sole lo s’intravede tra le alte cime degli alberi ma non si è mai esposti. A dimostrazione che questa sia la stagione secca, nemmeno una goccia di pioggia neppure qui nella foresta pluviale. Certo, cascate e fiumi sono meno impetuosi, ma visitabile facilmente da chiunque. La strada ora è in discrete condizioni ma al solito giungiamo alla meta con sole già tramontato. Facciamo tappa allo Tsienimparihy Lodge (75.000a per camera da 2 con zanzariera e colazione, oltre a wi-fi funzionante fino alle 22, ci sarebbe anche una piscina ed il giardino del silenzio), grande e bella struttura, qualche km prima della città di Ambalavao. Prima ancora di accedere agli splendidi bungalow occorre prenotare la cena, oggi almeno c’è tempo per una doccia calda prima di mangiare. La cena la rammento come la migliore del viaggio (28.000a), sia per qualità, per quantità e per varietà di piatti disponibili, oltre ad un servizio rapido. Ottimo pure il caffè e vasta la scelta di ammazzacaffè.
Tra le risaie nella Reserve d’Anja
10° giorno
Ottima colazione in hotel, nel giardino avvistiamo un camaleonte di notevoli dimensioni facile da scambiare per un ramo dell’albero su cui staziona, poi partenza per una visita cittadina presso la casa artigianale di produzione di carta Antaimoro che visitiamo con una guida del posto, Mr. Gaston +261347244554 che ci accompagnerà anche nell’escursione a seguire. Il processo di lavorazione è spiegato in ogni suo dettaglio, interessante vedere come dal foglio che ne esce, ancor prima dell’essicazione siano inseriti motivi naturali direttamente sulla carta per un prodotto destinato in ogni caso ai turisti, questi prodotti hanno per noi prezzi irrilevanti ma per la popolazione locale sarebbero solo un vezzo troppo costoso. Il piccolo negozio all’interno ha non solo carta, ma anche porta oggetti, borse, cornici, tutto quanto con carta e cartone si possa elaborare rigorosamente a mano. Rimanendo ad Ambalavao saliamo sul pianoro che domina la città per l’evento clou del mercoledì, il mercato degli zebù. Per arrivare fin qui ci sono allevatori che partono anche 20/30 giorni prima, le mandrie si spostano a piedi, soprattutto nella stagione delle piogge l’operazione diviene complessa. La guida ci spiega i vari passaggi, dall’ingresso al mercato passando per le serrate contrattazioni, i controlli e la messa nel recinto dei “pezzi” acquistati. La confusione è totale, il numero di capi elevatissimo, fortuna che nel mezzo c’è una specie di piattaforma di rocce da dove si può dominare il mercato con vista sulle montagne circostanti che hanno cambiato lo scenario, arenaria rossa tra valli verdi. Arriviamo dopo le 9:30, il clou termina verso le 11, giriamo indisturbati, ma occhio alle bestie, mansuete ma a volte tra di loro qualche bisticcio nasce e trovarsi nel mezzo non è piacevole. Lasciamo la guida in centro città e proseguiamo per una riserva naturale circa 10km dopo la cittadina, Reserve d’Anja (20.000a ingresso, 16.000a guida per percorso da circa 2h) nata ad inizio anni ’90 da un progetto del WWW assieme ad una comunità locale che ora la gestisce. Da lontano si scorgono i tre grandi monoliti che la contraddistinguono chiamati le 3 sorelle, dal visitor center partono vari percorsi che si differenziano dal tempo a disposizione e solo nel caso del percorso più lungo anche dalla difficoltà di ascesa nei paraggi delle 3 sorelle. Optiamo per quello intermedio venendone ripagati. L’attraversamento del bosco che porta alle rocce ci fa incrociare con distinti esemplari di camaleonti, e mai come qui è possibile vederli nei loro più incredibili colori, ma anche di lemuri tra cui il catta con la sua coda a 13 anelli più estesa dell’animale stesso. Il percorso sale lungo uno sperone dove la vista è spettacolare su 3 distinti panorami, le 3 sorelle di fronte, a sinistra il lago e gli zebù e a destra le risaie. Si sale e si scende in alcuni casi aiutati da corde fisse, la guida (Adriano +261346040595, contattata il giorno precedente, parla italiano) fornisce innumerevoli dettagli tra cui la storia relativa ad alcune tombe incassate tra finestre naturali nelle rocce, oltre a prestare attenzione alle decorazioni delle terrazze delle case all’ingresso, saranno le ultime da qui a sud, cambiano le etnie, cambiano usi e costumi, le case diverranno molto più povere perché l’usanza sarà quella di bruciarle nel caso un familiare muoia al suo interno, quindi niente arredo superfluo. Ho tempo per scendere tra le risaie e girarle sui muretti di terra che le delimitano comprendendo così al meglio anche il sistema idraulico che le tiene vive. Lo spettacolo cromatico qui è al suo massimo, un giro che assolutamente merita di essere intrapreso anche se il passaggio di più persone potrebbe mettere in difficoltà questo fragile ecosistema, ma sono da solo quindi pochi danni con alcuni locali felici di salutare una faccia mai vista. Nei paraggi dell’ingresso si trova un ristorante vero e proprio (dai tempi lenti) e qualche posto dove trovare cibo locale. Ripartiamo col minivan destinazione Ranohira che raggiungiamo dopo circa 3:30 (poco più di 200km) lungo una strada in discrete condizioni (rispetto al solito…) passando alcuni paesi grandi e pieni di attività come Ihosy. All’arrivo abbiamo un dubbio sull’hotel prenotato, non c’è traccia dell’Horchidee del Isalo, solo perché ora ha un nome unico col ristorante sulla strada, Le Zebù Grillé (130.000k per una fantastica camera doppia in tutto, letti e servizi, zanzariera, piscina per chi ne avrebbe tempo ma non nel freddo della sera, wi-fi decente) dove dato l’orario già col buio imperante decidiamo di cenare scegliendo subito cosa mangiare. Sarà perché molto affollato, sarà perché in posizione tattica, la qualità non è il massimo (ma comunque più che decente) ed il servizio non impeccabile, ma abbiamo tempo dato dal fatto che la guida prenotata per l’indomani passa in hotel per un piccolo punto di quello che ci aspetterà. La guida Renè (tel +261 343803184) ci informa che non potrà accompagnarci ma avremo comunque un suo collaboratore che conosce a menadito il P.N. de l’Isalo, la metà dell’intera giornata dell’indomani.
Un lemure catta nel P.N. de l'Isalo
11° giorno
Colazione in hotel (12.500a, qualità e quantità scarsa), poi a pochi metri di distanza dall’hotel sempre in Ranohira (che significa acqua dei lemuri) ci rechiamo a comprare i biglietti d’ingresso (65.000a) in uno stabile, di fronte invece a pagare la tassa del villaggio (5.000a) e la guida (30.000a). Ora siamo pronti per partire destinazione ingresso del parco dal lato basso del canyon su strada in pessime condizioni. Il parco è possibile visitarlo nelle 2 vie, ci sono anche 2 campeggi ed è meta di trekking di più giorni, noi su indicazione della guida scegliamo di visitarlo nel percorso più duro ma scenograficamente e tecnicamente migliore. Prima il canyon, poi erta salita e pianoro con arrivo per relax alla piscina. Occorre portarsi tutto il necessario, acqua e cibo, non c’è nulla all’interno. Il percorso inizia dall’ingresso al canyon dove i primi camaleonti sono in attesa, oltrepassato il campeggio con servizi basici si prende a sx un percorso di nemmeno un km per 2 piscine naturali, la blu e la nera, chi ha il fisico può fare il bagno, ma tra le pareti a strapiombo del canyon il sole non arriva, fa fresco e l’acqua non è certo termale. Rientrati si prende un sentiero a sx in salita per la cascata, da qui si rientra verso il campeggio dove nei dintorni c’è il tutto esaurito di lemuri, paura zero, in pratica mi passano a fianco quasi scansandomi, il luogo di tutto il viaggio dov’è stato possibile osservarne maggiormente e di tipologie diverse compreso il siffaka di Verreaux che vive praticamente solo qui. Ora è tempo di salire, la scalinata naturale a dx sale senza soste per 350m di dislivello, noto che nessuno la percorre nel nostro senso, mentre pian piano incontro altri avventori in senso opposto, la fatica in effetti molto minore, si domina il canyon poi quando l’ascesa termina ci sono 2 percorsi, quello sulla cresta e quello nella valle desertica, opto per quest’ultimo per permearmi di queste rocce colorate all’ennesima potenza. Le rocce lavorate dal vento e dalla pioggia disegnano luoghi impensabili per questa zona, par di stare tra la savana ed il deserto, ma poi dalla roccia sorge una flora inaspettata, comunque è la roccia la vera padrona di questo luogo magico. Alcune spaccature delle montagne contengono tombe dei bara, un’etnia che vive ancora in questi luoghi attorno al parco. Poi dopo salite e discese su rocce di ogni tipo si può scendere alla piscina azzurra, una piscina naturale incastonata sotto ad una cascata nascosta in un canyon che senza indicazioni è proprio introvabile. Non è una pozza banale, grande tra le palme con la sabbia, l’acqua non si può dire calda ma dopo un lungo cammino (indicativamente nella giornata saranno circa 16km) almeno immergere i piedi è un piacere non di poco conto. Chi vuole può immergersi totalmente, arrivandoci dopo il lungo percorso ha 2 grandi vantaggi, ovvero poter godere di questo refrigerio dopo le fatiche maggiori e di poterlo fare quando praticamente tutti gli avventori se ne sono già andati. Altra nota, col percorso in salita si è sempre a favore di luce, quindi di fronte sempre le immagini del parco nelle condizioni migliori, garantisco che la fatica di procedere in questa maniera è ampiamente ripagata. Dalla piscina azzurra si sale attraversando il secondo campeggio alla cresta dove s’incrocia il percorso che lo attraversa, lì c’è un ultimo pianoro tra rocce anche qui spettacolari e poi ultima discesa per il parcheggio dove l’autista del minivan ci recupererà. La guida che ci ha accompagnato è stata prodiga d’info e consigli nella parte del canyon, dopo ho proseguito per conto mio e non so dire, ma direi che sia andata molto bene. L’escursione del P.N. de l’Isalo in teoria termina qui, in realtà c’è un’altra visita che però non sarebbe all’interno del parco ma che viene comunque intesa parte di esso, o meglio, non serve il biglietto per accedervi, La Fenêtre de l’Isalo, raggiungibile in 15’. Questa finestra naturale è celebre perché regala un tramonto da cartolina, peccato che tutti quanti siano in zona abbiano la stessa idea, così un luogo nel mezzo della natura diviene accalcato oltre modo, tanto che c’è un addetto a regolare le soste per foto nel punto indicato. Meglio trovarsi un luogo nei paraggi, di tramonti africani non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ovviamente appena il sole saluta è gara a rientrare per non trovare la fila lungo il sentiero che dalla RN7 porta qui. Ritorniamo a Ranohira col buio, troviamo ancora qualche negozio aperto così da procurarci cibo per la colazione dell’indomani che sarà sul bus, i prezzi come al solito in questi negozi sono molto contenuti (biscotti, crackers, succo di frutta tutto per 5.000a), ma tra una cosa e l’altra trovare un ristorante in città è già tardi e per comodità rimaniamo nuovamente a cena in hotel (25.000k) che meno assediato del giorno innanzi non guadagna in qualità ma nei tempi del servizio sì. Serata fresca, Ranohira è sui 1.100m d’altitudine, all’aperto una maglietta non basta, mentre durante il giorno, soprattutto camminando, il caldo si fa sentire.
Una formazione rocciosa nel P.N. de l'Isalo
12° giorno
Partenza ore 5, il trasferimento a Tulear per l’imbarco verso Anakao dista quasi 250km e occorre prevedere circa 4h, anche se la strada, sempre asfaltata, scendendo ed uscendo dalle montagne pian piano è sempre migliore e non tanto trafficata. Nel minivan col sole non ancora padrone della situazione fa freddo, poi pian piano la situazione migliora ed all’arrivo a Tulear si sta benissimo. Qui andiamo direttamente all’imbarco dell’Anakao Express, prenotato anzitempo su indicazione della francese proprietaria del Safari Vezo, dove alloggeremo. Arriviamo in anticipo, abbiamo il tempo per sistemare i bagagli, sul motoscafo non possiamo imbarcare tutto, quindi zainetto per 3 giorni, il resto rimane qui in deposito. Ci comunicano che difficilmente prima delle 11 avremo il motoscafo a disposizione, di fronte ci sono alcuni baracchini dove un caffè costa 200a, ma il tempo a disposizione ci permette anche un giro veloce dell’area di Tulear prospicente al mare e una veloce sosta al Blu bar (dove un caffè costa 5.000a il wi-fi funziona molto lentamente, ma il posto almeno è bello). Causa bassa marea per raggiungere il motoscafo occorre salire sopra un carretto trainato da zebù percossi a non finire dagli “autisti” ai quali va data una mancia a piacere, da qui saltare direttamente sul motoscafo e finalmente si parte per Anakao (120.000a a/r, 1h) che non è un’isola, ma si raggiunge praticamente solo via mare nel canale del Mozambico. Chi ha tempo e coraggio, nella stagione secca, può provarci anche via terra, non ci sono collegamenti fissi e servono 7/8 ore di jeep. Il viaggio è tranquillo, mare calmo e poco vento, il problema casomai è che Anakao non ha né porto né pontile, così ci scarica in mare nella vicinanza di una sacca di sabbia (gli orari di attracco solitamente sono regolati per la bassa marea appositamente), con trasferimento alla terra ferma semplice, acqua cristallina e a temperatura ottimale. Il Safari Vezo (costo a persona per notte-colazione-cena 130.000a) è una delle varie strutture caratteristiche del posto direttamente sul mare col quale occorre definire tutto con largo anticipo dalla proprietaria francese Catherine. I bungalow sono splendidi, con bagni altrettanto spettacolari, peccato che le docce non funzionino, l’acqua fredda c’è solo nel lavandino, per le docce dalle 18 si può richiedere l’acqua calda che viene portata in secchi profumati, calda all’inverosimile…L’energia elettrica c’è dalle 18 alle 22, si può cenare tra le 19 e le 21, il wi-fi teoricamente funziona tra le 18 e le 21, personalmente non sono mai riuscito a connettermi come in pratica tutti quelli che qui stazionano, ma dato il luogo meglio dilettarsi con altro. All’arrivo è servita una bibita e fatto un briefing per spiegare il funzionamento del tutto, particolare, ogni consumazione o altro non va pagata ma segnata su di un libretto della camera e definita o in serata o la mattina seguente in contanti, le carte di credito (se funzionano) sono assoggettate ad una maggiorazione del 6%. Lungo la spiaggia si svolge la vita commerciale di Anakao, piena di piroghe di pescatori che all’occorrenza portano in escursione all’isola di fronte Nosy Ve, oppure oltre la barriera corallina per l’avvistamento delle balene. Oggi non è giornata idonea, il mare è stato mosso e freddo nei giorni precedenti, per le balene il meglio sarebbe dopo domani, e così mi adatto a questa prospettiva. Faccio un’escursione prima lungo la spiaggia tra strutture di vario tipo per turisti, baretti improvvisati e piroghe coloratissime in ogni dove fino al promontorio più a nord dove iniziano le dune di sabbia, noto che esiste anche un vero e proprio paese interno così immergendomi a caso tra sentieri delimitati da rami che fungono anche da barriere per le case dei nativi giro la parte più vera di Anakao. Se una situazione del genere avvenisse da noi avvertirebbero immediatamente che uno straniero malintenzionato si addentra nel vicinato, qui invece sono tutti sereni e salutano sempre senza stupirsi. Le abitazioni, sia quelle in muratura sia quelle di rami e lamiera, hanno sempre lo spazio dove cucinare all’esterno ben visibile dai passanti con aragosta come piatto quotidiano. Rientrato al bungalow mi godo un po’ di relax, notando come se non si staziona al sole la temperatura è frizzantina, ma poco male, mi adatto velocemente per attendere un tramonto da palla di sole che s’immerge nel mare e piroghe a segnare la terraferma dopo una giornata di pesca. Ora si che fa freddo, fortuna che alle 18 mi portano l’acqua calda per la doccia (che nel mio caso va domandata, nessuno in autonomia si palesa come indicato), assolutamente da miscelare coi vari secchi di acqua fredda già in dotazione per non ustionarsi. Ovviamente a disposizione un mestolo per abluzioni di alto livello, nel bungalow zanzariere (da usarsi, di notte fa freddo e le zanzare trovano ospitalità nelle camere dove l’utilizzo del ventilatore è sconsigliato), cassaforte, sedie sdraio e panni, fidatevi che se di giorno paiono superflui di notte sono necessari. Cena a base di pesce, scelta non possibile, giusto per i vegetariani se lo segnalano con anticipo, qualità buona, per caffè e amari si deve ritornare nello spazio bar dove volendo si attende l’orario di termine elettricità, poi buio ma non totale, luna piena che si rispecchia nel mare e pian piano pare una vera e propria via dei led, anche se solo per chi ha i bungalow prospicienti il mare.
La consegna dell'acqua ad Anakao
13° giorno
Colazione in hotel, non proprio il massimo, poi avendo deciso che l’escursione a Nosy Ve e l’avvistamento delle balene lo farò domani, oggi vado in perlustrazione di Anakao, non quella sul mare o nell’immediato entroterra, ma quella più interna. Lasciando il Safari Vezo dal retro ci s’inoltra lungo un sentiero che fungerebbe da via d’accesso, ma si nota bene che di mezzi su strada qui ne circolino proprio pochi. Le uniche costruzioni che si notano oltre una grande spianata là tra gli alberi richiamano l’attenzione, sono le uniche in muratura dell’area, approcciando queste noto che si tratta del cimitero costituito su più plessi non in perfette condizioni ma comunque in muratura, non scontato data l’urbanistica del luogo. La grande spianata è utilizzata dai ragazzi locali per giocare, lo spazio pare pure adibito ad atterraggi d’emergenza di ultraleggeri. Al termine svetta uno splendido campo da basket, costruito col contributo del ministero delle finanze, in pratica l’unico cemento che ricopre il terreno di Anakao. Da qui verso sud ci s’inoltra nella zona più spettacolare di Anakao, tra dune di sabbia finissima quasi bianca e vegetazione bassa e verde col mare blu cobalto sullo sfondo. Vista non male, nessuno a condividere queste “vette”, mentre in zona attorno ad un pozzo sempre costruito dallo stato si trova una distesa di donne intente a lavare i panni, che in larga parte sono quelli degli hotel sul mare, motore dell’economia locale. Su e già tra le dune fino alla spiaggia sul versante sud, da lì rientro seguendo la battigia, incontro bambini che giocano sulle piste di sabbia, imbarcazioni con pescatori ed altri alla ricerca di alghe, l’acqua del mare è veramente bella e cristallina anche per uno come me che poco ama il mare. S’incontrano anche piroghe molto più grandi piene di secchi gialli, contengono l’acqua utilizzata per uso domestico dai locali, mentre in lontananza Nosy Ve è ben visibile. Rientrato in hotel è finalmente tempo di relax, ci sono a disposizione ombrelloni e lettini in un’area comune oltre che davanti ad ogni bungalow, la temperatura anche nel primo pomeriggio stando all’ombra non è che sia invitante, mentre al sole tutto cambia. Sfrutto la riserva di barrette per pranzo, in precedenza quasi mai utilizzate poiché il cibo di strada è ottimo ed economico oltre ad essere un sostentamento per l’economia della popolazione locale, attendendo il tramonto che come al solito è uno spettacolo a queste latitudini. Ore 18 e buio già padrone, sarebbe ora dei secchi d’acqua calda per la doccia, ma la vera doccia fredda ci arriva per voce della proprietaria, dobbiamo metterci in contatto col corrispondente e con la compagnia aerea, il volo interno Tulear-Tana non è garantito, anzi praticamente certo che non ci sarà, la Turkish ci garantisce un’eventuale partenza anche per il giorno seguente sul Tana-Istanbul, ma Istanbul-Italia potrebbe essere un problema con rientro sì, ma per una meta italiana su qualsiasi aeroporto dove ci sia spazio. L’alternativa è il rientro da Tulear l’indomani con pulmino, partenza ore 9, circa un giorno di viaggio, con Tulear da raggiungere all’alba. Siccome di certo non c’è nulla a proposito dei voli, abbiamo 20’ per decidere, scegliamo il rientro l’indomani col pulmino, per gestire il tutto impieghiamo tempo (e qui una sim locale per poter parlare ed accordarsi senza cadute di linea è stata fondamentale), così doccia frettolosa per poter cenare, menù cambiato, meno pesce e meno invitante della sera precedente. Al bar ultimi tentativi infruttuosi di connessione col wi-fi per verificare l’esistenza o meno del volo Tsaradia, meglio gustarsi il tempo con un buon caffè (5.000a) e prepararsi per una nuova notte fresca riparati sotto alte coperte per una sveglia anticipata.
Tramonto con piroghe ad Anakao
14° giorno
Ore 5:30 pronti per colazione, ce la servono improvvisata anzitempo, poi l’impresa di giornata è salire sul motoscafo in mare in un momento di acque agitate e senza la bassa marea. L’Anakao Express è giunto a prenderci con 30’ di ritardo, e comunque è una gran favore che ci fa, la salita tutt’altro che agevole, onde alte che quasi a riva lo rendono prossimo a ribaltarsi, occorre salire di corsa sfruttando il rientro delle onde, ma sbatte ovunque e salire nello stretto spazio tra i motori e la paratia laterale può portare a cadute che nell’acqua gelida delle 6 di mattina, insomma…La traversata è comunque buona ma il vento forte, occorre essere protetti con equipaggiamento adeguato, i giubbotti di salvataggio così come all’andata sono forniti. All’arrivo il passaggio sul carretto trainato dagli zebù ci serve per i 2 metri mancanti all’imbarcadero, lì troviamo i nostri bagagli e iniziamo le operazioni di carico su di un pulmino in pessimo stato. Partenza immediata dopo che l’autista gira e rigira nei dintorni della stazione dei bus alla ricerca del secondo autista, poi col sole che inizia a scaldare si parte. Sarà un’intera giornata di viaggio con alcune soste tecniche ed altre forzate, in alcuni casi fermiamo assieme a mezzi che sul tetto trasportano capre legate in modi rivedibili, terrorizzate lanciano inquietanti grida. I mezzi pubblici non possono girare di notte nell’area delle montagne per il pericolo dell’assalto dei predoni, occorre costituire un convoglio scortato dalle forze d’ordine, questo nella teoria, nella pratica non vedo prima e dopo camionette dedicate, saranno in incognito…Questa pratica è attuata in 2 posti ben specifici, all’uscita di Ihosy fino ad Ambalavo e all’uscita di Fianarantsoa fino a Antisirabe. A Ihosy giungiamo ben prima del tramonto, la sosta è a fianco di una pista d’atterraggio sterrata, la lunga comitiva è presa d’assalto da venditrici di cibo e bibite, sostiamo circa 30’ prima di ripartire, all’uscita di Fiana l’attesa è minore, è già notte e la temperatura poco sopra i 10°, qui al solito per 200a compro qualche somoza, mentre in pulmino ceniamo con quanto comprato al volo dal finestrino nei primi villaggi oltrepassati. Nei tragitti sotto scorta ogni sosta è vietata, per qualsiasi esigenza gli autisti hanno il terrore di fermarsi, non possono rimanere isolati, la paura non è tanto quella di viaggiare soli ma di non rispettare le indicazioni fornite. E’ notte quando giungiamo ad Antisirabe, il pulmino ha un problema ad una cinghia, non si capisce se gli autisti si vogliono fermare qui per la notte essendo la loro città o se effettivamente il guasto c’è, alla fine riusciamo a far sì che chiamino un meccanico che verso le 3:00 arriva a visionare il motore, riparte per prendere il pezzo guasto e torna per sostituirlo. Nel freddo della notte (5°) attendiamo oltre 2h per ripartire, arrivando presto in capitale c’è la possibilità di attraversarla senza troppa coda per una sosta in un albergo nei paraggi dell’aeroporto, dove passare qualche ora di relax. Il viaggio riprende, freddo sempre intenso, ben poche le possibilità di assopirsi, spazio limitato e nell’area delle montagne tra la strada in pessime condizioni e le infinite curve par di essere una pallina nel flipper.
Dune e vegetazione sul canale del Mozambico
15° giorno
Il sole compare ed inizia pian piano a scaldare, giungiamo nei dintorni di Tana verso le 8:30, ma prima di far tappa all’hotel gli autisti devono passare alla stazione dei bus dove scaricare sacchi di cereali, perdiamo così tempo e per attraversarla impieghiamo quasi 90’, così arriviamo all’hotel AsiaAfrica verso le 10. Hotel trovato utilizzando un navigatore satellitare offline molto pratico, contattato ai primi segnali telefonici nelle montagne, grande struttura di buon livello interamente cinese (gestori, prodotti, sanitari, prese elettriche, tutto quanto c’è arriva dalla PRC) dove trattiamo per 25€ a testa l’utilizzo delle camere servite di tutto. Veloce colazione e sacrosanta doccia, tempo pure per un’ora di siesta sdraiato dopo 25 ore di pulmino per 950km, ai quali senza sosta c’è da aggiungere il trasferimento in motoscafo, ma siamo riusciti ad arrivare in tempo utile per prendere il volo. In hotel è possibile cambiare in € o $ gli ariary rimasti al tasso di 4.100a, non il massimo ma va tenuto conto che in aeroporto non è detto che sia possibile farlo. L’hotel fornisce anche il servizio di transfert per l’aeroporto Antananarivo-Ivato, raggiungibile in 5’. All’ingresso occorre passare immediatamente i bagagli ai raggi X, la coda al check-in non lunga ma lentissima, i controlli sono molteplici, più volte occorre mostrare passaporto e visto nonostante si sia in uscita, nello spazio di attesa ci sono alcuni negozi dove si paga tutto in €, mentre il wi-fi non c’è. Il volo Turkish è puntuale, si attraversa a piedi il piazzale verso l’aereo, le procedure di partenza celeri e subito via destinazione Mauritius in un aereo quasi vuoto, in questo volo è servito da bere e da snocciolare qualche salatino, una volta ripartiti dalle Mauritius con volo completamente pieno è servita un’ottima cena al termine della quale abbasso il seggiolino e mi godo una dormita tonificante.
Tulear, mercato di strada
16° giorno
Sento nell’aria odore di cibo, in effetti stanno servendo colazione, come non approfittarne? Al solito il servizio Turkish è di buon livello anche in economica, volo puntuale ed immancabili 30’ di spostamento nel nuovo Istanbul International prima di giungere al gate. All’interno proviamo a verificare se sia possibile un cambio per il volo di ritorno, abbiamo 7 ore di attesa per la ripartenza verso Venezia, ci sarebbe un volo immediato per la città lagunare, ma è già chiuso, e 2 volti giornalieri per Bologna, entrambi esauriti in economica, posto in business, anche no. A quel punto, eseguite le formalità doganali usciamo, prospicenti le uscite ci sono almeno 20 servizi shuttle per molte destinazioni della Turchia, compresa ovviamente quelle per il centro città. Prendiamo quello della Havaist che porta direttamente nella piazza centrale di Sultan Ahmet (postazione 18), tra la Moschea Blu e Santa Sofia. Il bus, dotato per ogni posto di schermo, impiega circa 50’ (18L, pari a nemmeno 3€), e alle 6:45 del mattino la sfavillante piazza è tutta per noi. Peccato che le moschee aprano alle 8:30, non abbiamo tempo necessario per una visita dedicata, possiamo solo rimirarle da fuori, girare dietro Santa Sofia fino alla Sultan Ahmet III Fountain e di li scorgere l’ingresso al Topkapi. Di questo si possono attraversare i giardini, così procediamo verso Hocapasa facendo tappa al Miran Nargile café dove gustarci una tipica colazione turca prettamente salata. Un buffet che sarebbe abbondante per pranzo è quello che ci aspetta (35l, meno di 6€), da qui vaghiamo in zona per rientrare in Sultan Ahmet dove ogni 30’ parte lo shuttle per l’aeroporto, lì giungiamo dopo 45’, non incontrando mai traffico, situazione che invece ci avevano indicato considerando almeno 70’ di viaggio. Evidentemente di mattina pochi turchi vanno verso l’aeroporto, nei paraggi del quale le infrastrutture sono gigantesche ma sovente terminano nel nulla, grandiosi svincoli stradali già costruiti portano ad oggi solo nei prati. Controllo passaporti veloce (è apposto timbro sia in uscita sia in entrata ma non serve riempire nessun modulo), controllo persone altrettanto veloce, il wi-fi permette una connessione di 15’ dopo registrazione, oltre ai quali occorre scaricare l’app dell’aeroporto per poter navigare gratuitamente per 60’, non so dire del funzionamento, non l’ho utilizzato. Volo destinazione Venezia (2:10) puntuale, pranzo servito appena decollati e all’arrivo tutto molto rapido, controllo passaporto, ritiro zaino e navetta per la stazione di Mestre (8€, 20’), non certo il bus ultramoderno di Istanbul. Compro il biglietto per il primo treno destino Bologna, una frecciargento (38€, 1:15’) puntuale ma non propriamente a buon mercato rispetto ai costi a cui mi ero abituato durante il viaggio.
Trasporto merci ed animali