Deserto Rub Al Khali (19.43232, 54.02982. )
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Il viaggio si è svolto alla fine dell’anno, temperature gradevoli, pure di notte nel deserto non si avverte uno sbalzo termico preoccupante. Il viaggio è stato pensato e realizzato per vivere le aree desertiche, centrale il passaggio nel Rub Al Khali (da qui in poi abbreviato in RAK), conosciuto anche come Quarto Vuoto, ovvero il quarto spazio vuoto al mondo, ed il secondo deserto di dune, che copre un’area tra Oman, Arabia Saudita, Yemen ed E.A.U. visitandone per giorni la parte omanita. Per entrare in Oman occorrono il passaporto valido per 6 mesi (possibilmente senza timbro d’ingresso in Israele) ed il visto, più pratico richiederlo on line sul sito governativo (https://evisa.rop.gov.om/). Si possono avere per turismo 2 tipi di visti, uno valido 10 giorni, un altro 30 (20 rial), oltre ad un visto con multipli ingressi richiedibile solo per lavoro. Può essere richiesto entro un mese dalla data d’ingresso, il tutto è velocissimo, si paga e nel giro di nemmeno un giorno arriva una mail con allegato, è l’OK che servirà da visto una volta alla dogana. Il roaming internazionale funziona senza nessun problema, si può anche acquistare una sim locale che funziona sui nostri telefoni, ovvio che nel deserto non ci sia mai campo nemmeno con quella. Il wi-fi si trova in qualsiasi hotel, meno nei ristoranti, solitamente funziona molto bene. Occorre sempre pagare in moneta locale, 1 rial = 2,35€ (i centesimi sono divisi in baisa) al momento del viaggio, i pagamenti con carte di credito son merce comune nelle città, molto meno nei mercati, presso i distributori di benzina sempre possibili. Non esistono monete ma solo carta, i bancomat sono diffusissimi, a volte anche in minime strutture nel nulla. La benzina costa circa 0,22r (Shell V Power), oppure 0,21, ci sono solo 3 compagnie, il costo non è nemmeno così limitato date le tipologie di veicoli circolanti, uno standard è il 5,7l, che garantisce consumi elevatissimi, soprattutto a gomme sgonfie nel deserto (questa è stata la nostra maggiore spesa di viaggio). I prezzi indicati sono da ritenersi a persona, se non indicato come in caso delle camere d’albergo.
In Oman si può tranquillamente affittare una jeep e girare autonomamente, salvo che non si voglia attraversare le parti desertiche ove strade e piste terminino. Per questo abbiamo gestito il viaggio tramite un operatore locale di casa nel Rub Al Khali, attrezzato di tutto quello che serve per gestire in autonomia un campo nel nulla, Ali Ahmed Al Habsi (+96892535533). Ci ha accompagnato di persona e si è rivelata una soluzione ottima perché al di là del fatto che conosce chiunque in qualsiasi luogo dell’Oman ci ha insegnato trucchi di sopravvivenza nel nulla ma soprattutto come togliersi dagli impicci che il deserto causa anche a jeep predisposte. I pochi hotel utilizzati, in larga parte li avevamo prenotati anticipatamente dove è occorso prenotare e pagare anche per guida ed autisti al seguito.
Il turismo si sta diffondendo a velocità supersonica, soprattutto a Muscat nei giorni di arrivo delle crociere o nelle città coi mercati principali c’è l’invasione, tra dune e saline la situazione si capovolge. Nei mercati i prezzi sono trattabili, meno al suq di Mutrah quando stazionano i croceristi, nei negozi un minimo si può trattare ma senza grandi risultati. In larga parte le moschee, quando non ci sono funzioni, sono visitabili da chiunque, basta evitare abbigliamenti impropri, non è un paese da integralismo religioso, la maggioranza è rappresentata dagli ibaditi (sunniti) ma ci sono varie comunità sciite, sovente protette, né visitabili ed in alcuni casi nemmeno attraversabili. Le donne non devono avere il capo coperto, viene però chiesto alle straniere di non esibire costumi troppo succinti nelle spiagge, ma in alcuni luoghi sul mare di Muscat questo non sempre è rispettato e nessuno dice nulla.
Le strade sono ottime, gratuite, ma sempre controllate dai radar, anche su quelle non a doppia corsia però fuori dai centri abitati il limite è di 120kmh, segnalo solo che la seconda infrazione per semaforo rosso oltre ad una multa comporta 2 giorni di prigione (a dire della nostra guida, avvilita a segnalazione sopraggiunta).
La lingua ufficiale è l’arabo, ma l’inglese è diffusissimo, anche per via della grande immigrazione dal subcontinente indiano, Bangladesh, Pakistan e indiani stessi, tutti questi l’inglese lo parlano e chiedere informazioni è semplice, non un caso che la quasi totalità del lavoro fisico è fatto da stranieri, gli omaniti tendono più a gestire. Le indicazioni stradali son quasi sempre in 2 lingue, come pure sugli autobus.
L’ora è +4GMT, quindi in inverno +3h rispetto all’Italia, luce di mattina già verso le 6:30, di sera prima delle 18 scende il buio.
La sicurezza generale è elevata, molto forte la percezione di clan familiare da non intendersi come clan personale e di favore, non è uno stato piccolo come alcuni emirati ma è uno stato ricco (se dovete comprare qualche dimenticanza per il deserto meglio farlo prima di partire) mentre per il cibo e per l’alloggio i prezzi sono ancora ottimi.
Guide, si può spaziare, al seguito avevo quella della LP che comprende tutta la penisola arabica, ma fuori da piste e sentieri poco riporta, del resto dare indicazioni nel nulla non è sempre semplice. I nomi riportati sono quelli traslitterati dall’arabo, in alcuni casi possono avere diciture diverse, quando presenti su Google Maps e non trovati nei cartelli stradali riporto quelli, altrimenti quelli recuperati in situ, possono non combaciare. Nel nulla del deserto riporto le coordinate geografiche.
Muscat, tramonto alla Corniche di Mutrah
1° giorno
Da Bologna raggiungo Milano prima dell’alba con l’unico treno possibile, un Intercity Notte (quasi 3h con circa 30’ di ritardo, 27,9€), dalla stazione con lo shuttle di TerraVision (10€ andata, 16a/r) in 1h giungo a Malpensa dove c’è il volo Emirates per Dubai. Non mi era stato concesso di fare il check-in on-line il giorno precedente, meglio così poiché la fila di chi non l’aveva fatto è brevissima, quella di chi lo aveva effettuato lunga per la sola consegna bagagli. Controlli celeri data anche la non tanta gente, imbarco altrettanto veloce e con un Boeing 777 si vola a Dubai (4.967km, 5:30), serviti prima di un pranzo vero e proprio e a seguire di uno snack. Manca il kit confort, per il resto l’aereo ha le più moderne dotazioni di bordo. Atterrati in perfetto orario si evita la scomoda trafila del pullman che riporta in aeroporto, direttamente al finger, buona novità, poi controlli di nuovo veloci. In aeroporto funziona il servizio wi-fi con registrazione, ma avendo avuto 2 anni fa un passaggio qui con accesso alla lounge business mi aggancia ancora automaticamente quella rete e tutto funziona al meglio anche se non c’è tantissimo tempo a disposizione, occorre un lungo spostamento per raggiungere il gate del volo Emirates per Muscat. L’aeroporto di Dubai rimane di vecchia concezione, un unico spazio lungo ed infinito che comporta lunghi spostamenti interni. Il volo, ancora con Boeing 777, è in larga parte vuoto, impieghiamo più tempo negli spostamenti dentro gli aeroporti che in volo (350km, 1h in totale), c’è comunque tempo per un veloce spuntino. All’aeroporto di Muscat le pratiche doganali per il passaporto sono veloci, mentre i bagagli a campione sono aperti e controllati a mano, non proprio dettagliatamente. Ad attenderci un pulmino per portarci al Mutrah Hotel, circa 31km, di notte percorsi in circa 20’ su strade deserte. Camera doppia ampia con colazione a buffet, acqua minerale e wi-fi a 25r, è notte fonda, se non prima mattina quando si prova a dormire.
Sur, vista dal ponte Batar
2° giorno
Poco più di 3 ore di sonno poi è già tempo di colazione (buffet, molto ampio ma con specialità locali, salse tipo hummus, verdure del luogo e così via) per dirigerci subito coi mezzi che ci faranno da “casa” per 2 settimane alla Grande Moschea (oltre 20km dall’hotel, Muscat si espande lungo la costa, lunga e stretta) situata prospiciente al Wadi Al Udahiba. Di recente costruzione, voluta dal sultano Qaboos per i suoi 30 anni di regno (il sultano è morto pochi giorni dopo la mia visita, 40 anni di regno, era il più longevo del mondo arabo) è aperta a tutti, solo vanno rispettate le regole sull’abbigliamento (niente pantaloni corti o spalle scoperte, ma non c’è bisogno di velo) ed è indubbiamente una visita che merita sia per l’aspetto architettonico sia per la magnificenza della sala grande di preghiera e del suo enorme tappeto. Nonostante i tanti visitatori gli spazi ampi permettono visite tranquille, con finale nella parte degli shop dove caffè al cardamomo, tè e datteri sono offerti a chiunque. Da qui riprendiamo la via per il vicino Lulu Hypermarket Boucher dove cambiare soldi e fare spesa per i prossimi giorni tra deserti, spiagge e luoghi nascosti. Sosta cibo e relax a Qurum Beach, la spiaggia cittadina con bella vista sull’isola Al Fahal. Pranzo ovviamente al sacco come molti avventori locali, c’è tempo per una passeggiata dove oltrepassare sempre lungo la spiaggia la foce del fiume Al Wutayyah. Riprendiamo i mezzi con destinazione Old Muscat passando per la Corniche di Matrah dove oltre al forte ed alle torri di avvistamento portoghesi fa ora bella mostra di sé una gigantesca incensiera bianca all’interno del Riyam Park. La città vecchia, propaggine a sud-est di Muscat è la meno turistica poiché vi si trova il palazzo del sultano, anche se da anni non risiede qui ma fuori città. Incastonato tra la Colonnade e le colline che difendono l’accesso al piccolo porto sfoggia colori forti ma nemmeno troppo kitsch, aggirando la costruzione si arriva ai luoghi storici più preziosi della capitale, l’Al Mirami Fort e l’Al Jalali Fort, strategiche protezioni di un luogo già di suo protetto dall’isola Jazirat Masqat. Dopo le 17 prende vita il celebre suq di Mutrah che si affaccia sulla Corniche. Ci buttiamo un occhio ma senza pensare ad acquisti, dovremmo portarceli al seguito per tutto il viaggio, giusto il tempo per ammirare il tramonto che qui diviene magico con le onde che s’infrangono sulla murata e che inondano i passanti poco avvezzi nel calcolo delle maree. A quest’ora ovviamente la Corniche è invasa di gente, turisti (tanti) ma anche locali che si godono la vista, la temperatura e magari un anticipo di cena. Per questa optiamo su consiglio di Alì per un ristorante turco, non vicino, ma il traffico di Muscat, per lui tragico per noi scorrevolissimo, ci permette di sopraggiungere in tempi brevi. Il Turkish House Rest. offre una cena mista carne-pesce di altissimo livello, lasciamo fare ad Alì sulla proposta, per lui per poche persone, per noi perfino troppo abbondante, mancano ovviamente le bevande alcoliche, il caffè può essere servito anche alla maniera turca, opzione che scelgo. Il costo esatto della cena non lo conosco, i 4r che paghiamo sono fortemente mitigati da Alì, il quale mi dice che se avrò intenzione di tornarci meglio contattare lui se non voglio spendere ben più del doppio. Rientriamo in hotel per una doccia calda e per una nottata in un letto, situazione che a breve sarà difficile da ripetere. Percorsi 105km, le dimensioni della città sono considerevoli.
Le scogliere di sabbia nei pressi di Ras Al Ruiz
3° giorno
Colazione a buffet e poi sistemazione bagagli, vettovaglie e cibi vari nei mezzi, da supporto fa una Toyota Tundra con doppia cabina e pick-up posteriore, capace ci contenere il mondo ed anche di più. Seguiamo la statale 17 che prima taglia per il centro poi segue la costa, strada larga in ottime condizioni ma attenzione ai velox, sono numerosissimi. Prima meta presso Haawyat Najm Park, sorta di grande cenote dove si può scendere per fare il bagno in un’acqua verdissima. Sarebbero vietati i tuffi dall’alto, ma coraggiosi risalgono e si buttano. Temperatura che sale, qui dove il deserto lambisce le montagne. Poi continuiamo per uno dei wadi più celebri, il Wadi Shab, a circa 30km. Lasciate le jeep in parcheggi improvvisati, quello dedicato al momento è tutto esaurito, occorre salire su di un piccolo traghetto per oltrepassare il wadi (1r a/r), da lì si segue un sentiero sui bordi del wadi per circa 40’ e si arriva nel mezzo di questa profonda gola in un posto da cui si può proseguire solo scendendo in acqua, in alcune parti nuotando, in altre camminando per entrare in una suggestiva grotta. Attrattiva di facile accesso, pullula di gente, in teoria i sentirei che proseguono sarebbero chiusi, in realtà si può procedere, il cammino che sale sulla sx porta ad una roccia che permette una bella vista, ma è meglio prendere il sentiero a dx lungo il quale si accede alle varie parti del canyon. A parte alcuni locali con asini e capre non incontro nessuno, arrivo oltre alle varie pozze sottostanti per uno scenario che merita una visita, sentiero non pericoloso e anche se limitatamente, segnalato. Su fin dove si voglia seguire il wadi dipende dal tempo a disposizione. Rientrato sulla strada principale, giusto il tempo per fare una passeggiata sulle prospicienti vecchie costruzioni di Tiwi, tra cui una torre di avvistamento al momento non visitabile, in parte in rovina ed alcune antiche case di tipica architettura yemenita. Circa 50km ci distanziano da Sur che raggiungiamo ed attraversiamo per spingerci nell’angolo più a est dell’Oman, presso Ras Al Had dove campeggiamo sulla spiaggia da Fayal, un pescatore locale che sta pian piano organizzando escursioni in mare o alle tartarughe e che pensa di costruire una Guest House, come stanno sorgendo qui ai bordi del villaggio. Per fermarci a dormire nella sua area e per la cena a base di pesce spendiamo 5r a testa, in realtà qui non c’è nulla occorre essere autonomi in tutto, quindi predisponiamo campo e tende, servizi igienici inesistenti e mancando le dune si approfitta del riparo di una vecchia rimessa o di una barca spiaggiata. Terminata la cena, c’è vento, ci spostiamo alla ricerca delle ultime tartarughe che depositano le uova sulla spiaggia, il luogo è appena fuori dal parco Ras al Jinz Turtle Reserve, quindi possiamo muoverci in libertà. Il periodo per ammirare questo fenomeno di deposito uova, dischiusura e corsa verso l’oceano è l’estate, già da ottobre le tartarughe scemano, ma siamo fortunati, alcune sono ancora qui e guidati da Fayal ne scorgiamo, attraversando in lungo e largo la spiaggia spiaccicati sul cassone del suo pick-up. Facciamo pure tardi per essere una nottata da campo, giusto per l’evento tartarughe. Percorsi 282km, a parte i 2 finali per raggiungere il nostro luogo in spiaggia, tutti su ottime strade asfaltate.
Tra i fenicotteri a Ras Knasa
4° giorno
Alle 6 c’è luce, per le 7 abbiamo già riposizionato le tende ed è tempo di colazione. Chi vuole va in escursione per nuotare coi delfini (1:30, 10r) altrimenti un giro nel villaggio passando per spiagge invase dai gabbiani. C’è pure una Guest House gestita da oltre 20 anni da un italiano, ad oggi il numero di turisti maggiore giunge proprio dal bel paese. Sistemato tutto prendiamo la strada per Sur, 50km, dove facciamo tappa al cantiere navale Khour Al Batah (1r) per vedere la realizzazione dei dhow, la tipica nave araba. Il cantiere sorge proprio di fronte al Al Ayjah Watch Tower ed alla sua imperiale scalinata. Visitata la fabbrica a cielo aperto, saliti e scesi da dhow in realizzazione tempo per rimirare la baia fino al faro, cromaticamente scintillante, mare verde, faro bianco, forti e torri marroni, tutto molto bello. Ora lasciamo la costa per dirigerci all’interno seguendo la statale 23 fino ad Al Kamil dove facciamo spesa di generi freschi. Da lì ripartiamo per Wadi Bani Khalid, altro celebre wadi forse più frequentato del precedente poiché l’accesso è più semplice. Che rigurgiti di visitatori lo si comprende dal parcheggio, lasciamo i mezzi ad almeno 1km dall’inizio del sentiero. Non occorrono imbarcazione né lunghe scarpinate, 10’ e si giunge al wadi vero e proprio, con qualche costruzione in cemento non proprio ad impatto zero con l’ambiente, si prosegue lungo sentieri segnalati con passaggi nel fiume e tra gallerie naturali, ognuno può decidere dove far base, molti utilizzano il posto per picnic ma anche per bagnarsi in alcuni idromassaggi naturali, la temperatura lo concede, si raggiungono quasi i 30°. Chi vuole può proseguire fino alla Moqal Cave (dal bar circa 15’), la grotta non è illuminata, ha passaggi ove occorre strisciare per entrare, si trovano ragazzi che possono fare da guida, tra pipistrelli e qualche sorgente d’acqua ben muniti di torcia qualcosa si scorge, la temperatura interna però schizza ad oltre 40°. C’è da dire che questa parte del wadi è la più scenografica, con alcune pozze verdissime su rocce bianche, anche senza entrare nella grotta merita un passaggio. Per chi ha tempo si può risalire il canyon, opzione che non ho eseguito, non so darvi info se non che ci sia possibilità. Ritorniamo sulla statale 23 fino ad Al Mintirib, mentre da un gommista (sono ovunque e numerosissimi) gli autisti sistemano le gomme per l’imminente ingresso tra le dune del deserto, scorgiamo dall’esterno il Forte della città. Poi si entra nel deserto vero e proprio, Sharqiya Sands, conosciuto anche come Wahiba Sands. Deserto “comodo” vicino alle città e con possibilità di passare la notte in alcuni campi tendati di lusso, caratterizzato da sabbia rossa e dune dolci con qualche albero, contrasto interessante. Purtroppo la facilità nell’accesso fa sì che tanti, soprattutto giovani locali, facciano un “salto” qui lasciandone invasive tracce, plastica a più non posso e rifiuti di ogni genere. Dobbiamo così avanzare tra le dune ben oltre il tramonto per trovare un posto dove far campo, in parte protetto dal vento e non troppo sporco, arrivando così quando il vento non aiuta nel montare le tende. Non avendo ovviamente un nome il luogo tra le dune, queste le coordinate : 22.20101, 58.76832. I tramonti incontrati viaggiando su e giù per le dune lasciano però già una valida impressione del deserto che ci vivremo in totale pace creando il nostro piccolo campo e preparandoci la cena. Sarà la notte più fredda del viaggio, ma con temperatura sempre sopra ai 12°. Iniziamo a diventare pratici con la dotazione da campo, dimenticando la doccia, utilizzando con parsimonia l’acqua non sprecandola per lavaggi eccessivi, utilizzando la sabbia per sgrossare lo sporco e l’acqua solo per risciacquare. Le 21:30 è giù un orario per “biassanot” da queste parti. Percorsi 285km.
Il castello di Jabrin
5° giorno
Colazione e poi richiusura tenda non immediata per far sì che l’umidità accumulata durante la notte fresca si asciughi. Oggi attraversiamo le Sharqiya Sands, tappa di deserto, nell’interno di dune rosse. Oltrepassiamo alcuni campi tendati, poi le tracce spariscono, non c’imbattiamo più in maxi suv o jeep sfreccianti, il panorama regala la vista di dune dalle forme più bizzarre ma non particolarmente alte, la temperatura sale ma il caldo non è certo problematico. Quello di problematico invece è un inconveniente alla pompa dell’acqua di una jeep, situazione che ci vede fermi per oltre 1h attendendo un mezzo sostitutivo, e così la sensazione di perdersi nel deserto si fa crescente, provando a salire e scendere le dune non vedendo più il punto di partenza. La promessa di arrivare con un mezzo in sostituzione è mantenuta, magari non proprio l’ora indicata ma trasferiti i bagagli sul nuovo mezzo, si prosegue in direzione verso sud su scenari che indubbiamente scatenano l’interesse degli amanti del deserto. Nel nulla, quasi come una visione ci appare una moschea, nessuna strada, nessuna abitazione, nessuna persona, proprio il nulla. La grande moschea Jal Jalala si trova qui (21.6145, 58.80946), sarei curioso di sapere da chi frequentata, in realtà non molto oltre c’imbattiamo in un accampamento che funge anche da stazione di carburante (qualche tanica), noleggio dromedari per giro tra le dune e bar-ristorante. Una bambina vestina con un abito lungo rosso amaranto ci corre incontro su grandi scarpe con tacchi, proprio l’ideale tra le dune, al ristoro ci sono alcune bibite, gli immancabili datteri, del cibo ed il caffè, quello sempre offerto. Un poco d’ombra nella grande tenda, mentre in un contenitore di plastica tengono in bella mostra un serpentello che tende a nascondersi nella poca sabbia contenuta, a dimostrazione che nel deserto vita c’è, non proprio di quella che invoglia a camminare scalzi. Il complesso porta una vetusta insegna di Arabic Umani Caffè, se risponda al suo nome non garantisco. Continuando a puntare a sud tra la sabbia iniziano a comparire sterpaglie, segno che l’acqua è più frequente o più vicina, ed in effetti non manca molto all’incrocio con la statale 23 che segue la costa nei pressi di Juwayrath, che lasciamo per inoltrarci tra le dune che arrivano al mare, uno splendido luogo denominato Ras Al Ruiz (20.98301, 58.79576), dopo aver dato assistenza ad una coppia ungherese piantata nella sabbia, a pochi metri dall’asfalto. Identificato il luogo ideale per far campo ma anche per rimirarsi dune che paiono una falesia a strapiombo sul mare, prima di iniziare col montaggio tende e campo è bello inoltrarsi su questa distesa non più così rossa ma tendente al giallo che fa da bordo al mare, con alcuni blocchi enormi di sabbia che a volte si staccano cadendo fragorosi nel mare, scene che riportano alla memoria situazione totalmente diverse, come quella del ghiacciaio Perito Moreno che spaccandosi cade nel Lago Argentino. 2 luoghi all’opposto accumunati da fatti naturali. Terminata la piccola esplorazione costruiamo il campo, iniziamo a preparare la cena in una serata contraddistinta da una brezza costante ma non fredda. Percorsi 160km, a parte 12, tutti in fuoristrada.
Sorta di scrittura cuneiforme nel canyon di Shuwaymiyyah
6° giorno
Mattinata senza vento, terminata colazione e riposto il tutto nelle jeep, col favore del sole che illumina dal mare le scogliere di sabbia, l’ennesimo giro su e giù tra questi luoghi, invasi ora da torme di gabbiani. Di nuovo lungo la 23 fino al bivio che porta a Shana’a, porto d’imbarco per l’isola di Masirah, ma soprattutto punto principe della pesca nell’area. Attraversiamo alcune saline e poi dritti fino alla cittadina che in realtà conta ben poche strutture, i pescatori se ne stanno sulle loro imbarcazioni in mare o lavorano a terra per sistemare il tantissimo pesce, questo mare è una fucina assoluta di molteplici specie ittiche. Le condizioni di lavoro non sono proprio in stile Oman, e ben presto chiacchierando coi pescatori ci accorgiamo che sono quasi tutti del Bangladesh, un duro lavoro lasciato ad immigrati. Tra casse colorate, reti che vengono sistemate, gabbiani in ogni dove, imbarcazioni che vanno e vengono c’è anche un distributore di benzina dove rabboccare le “ubriache” jeep a nostra disposizione e un market dove far scorta di acqua. Lasciamo il porto per rientrare sulla 23, qui però Alì, dopo aver preso informazioni in paese, ritiene che si possa tentare l’attraversamento dell’area delle saline, che regalerebbe immagini affascinanti ma comporta il passaggio in luoghi non facili, nelle paludose saline non ancora asciutte è semplice sprofondare con tutta la jeep se si sbaglia il passaggio. Un mezzo che incontriamo in uscita ci avvisa della difficoltà, ma proseguiamo, Alì a volte deve scendere e con un bastone verificare la consistenza della crosta salina, vietato prendere avventure qui dove tutto pare uguale, e una volta passato il primo mezzo anche gli altri 2 devono rimanere rigorosamente sulla traccia. Par di stare nel nulla, non vi vede l’orizzonte, solo una patina salata tendente al nero ed un cielo che più blu non può essere. In qualche modo giungiamo al mare e da lì sempre percorrendo la spiaggia facciamo il periplo della penisola, imbattendoci nella zona di Ras Knasa in un gruppo di fenicotteri, che pare messo lì appositamente dall’ufficio del turismo. La spiaggi bianca alle nostre spalle e pure nel lembo di terra di fronte, l’acqua che propone svariate tonalità di verde, piccole dune bianche tutto attorno e nessuno all’orizzonte, se non poco oltre 2 persone a pesca di squaletti. Tutto vero? Facciamo sosta per cibo e relax al volo qui, luogo incantevole con possibilità di bagno nel mare, ripartiamo attraversando alcuni piccoli villaggi di pescatori fino a Filim, da lì è un susseguirsi di tagli tra deserti, saline e tracce d’asfalto in zona Al Ghadum per ritornare al mare verso Al Khaluf. Qui, in una piazza c’è una sorta di bagno pubblico, 2 docce all’aperto, 2 dentro ad una cadente struttura, fermiamo i mezzi e ci godiamo una doccia che in altre situazioni parrebbe da denuncia, qui è invece una gioia, acqua fresca, ma acqua, dopo qualche giorno senza. La strada saluta l’asfalto e s’inoltra al bordo del mare rasentando le dune bianche dove vogliamo far campo, la serata si preannuncia particolarmente ventosa così troviamo riparo dietro ad un hotel in costruzione, ci lavorano nemmeno a dirlo ragazzi del Bangladesh, ci lasciano piazzare proprio dietro così da evitare di essere sepolti dalla sabbia, sabbia che magari non si vede ma che di mattina avrà riempito per bene le tende. Il luogo prescelto è nei paraggi di Ras Bintawt (20.38291, 57.94052), predisponiamo con comodo il campo per una cena che ad ogni occasione si arricchisce di prelibatezze del luogo recuperate nei pochi negozi incrociati. Del resto è anche modo e maniera per far serata nel nulla, considerando che alle 18 già fa buio arrivare ben oltre le 21 è un’impresa. Giornata intensa con molti km su sabbia, 258 in totale.
Sinaw, giorno di mercato
7° giorno
Mattinata senza vento vuotando le tende dalla sabbia, colazione ed una volta sistemato tutto nelle jeep via per una giornata di lungo trasferimento. Si continua su sabbia ma dopo pochi chilometri, giunti sulla 32 all’altezza di Sarab sosta per sistemare la pressione dei penumatici. La strada è al solito in ottime condizioni, proseguiamo fino a Doqm per rifornimento di benzina, da lì ancora lungo la 32 per una deviazione in area Wadi Darfa (18.93311, 57.34596) dove passato uno sterrato misto sale-fango si scorge un nutrito stormo di fenicotteri tra lagune interne prospicienti il mare. Non c’è nulla qui, nemmeno l’indicazione del sentiero, e guai a sbagliare traccia, pure quando si scende per camminare, altrimenti si sprofonda in una melma che diviene una sorta di cemento a presa rapida. Di nuovo sull’asfalto che diviene statale 41, tappa in un parcheggio prima di Lakabi per veloce sosta cibo e quindi ascesa tra le montagne attraversando la falesia che prima di Shuwaymiyyah regala panorami mozzafiato. Ovvio che pure per avvistare questi angoli occorra una guida che conosca la pista per arrivarci, al solito nulla segnato. Il tramonto qui dovrebbe essere incredibile, ma ci chiedono di procedere, sarà ancora più incredibile nel canyon dove faremo campo, non distante, in pratica dall’alto della falesia si scende e si entra nel sottostante wadi, facile da dirsi, non immediato da realizzare, da quassù le distanze si cancellano. Discesa impegnativa con odore di ferodo che lievita, prima del termine della cittadina si prende una strada interna che a breve diviene sterrata e pian piano ci s’inoltra nel canyon tra alte pareti di roccia che paiono la lavagna di un maestro di scrittura cuneiforme. Troviamo prima una pompa d’acqua per far scorta (acqua che usiamo per preparare cibi cotti e per lavare evitando la sabbia, oggi non disponibile), poi seguiamo il sentiero che pian piano si stringe quasi soffocandoci, per arrivare al luogo dove faremo campo si oltrepassa un guado (al momento del tramonto fa da specchio del canyon, applausi) e si prende una pista che sale tra le gole, nemmeno tanto ma quando arriviamo, dopo svariate soste fotografiche il tramonto è già andato, ma ce lo siamo goduti all’ennesima potenza passo passo, giusto in compagnia di qualche dromedario. Questa notte faremo campo tra la roccia e non tra la sabbia, lasciamo i picchetti da tenda per sabbia (se non ne avete al seguito, poco male, ci pensa la guida, ma sono fondamentali) e recuperiamo pietre per fissare i picchetti tradizionali, magari buona cosa avere un materassino resistente per una notte. Il posto è diabolico, nel mezzo del canyon con vista sia verso monte che valle, essendo nel mezzo delle rocce serata decisamente calda e senza vento, tempo per preparare la cena ed a seguire ricerca di scorpioni, con una torcia a luce dedicata. Dopo numerosi avvistamenti di parti di pelle, ne troviamo uno, felici per aver coronato la ricerca, meno per dover condividere lo spazio con queste graziose bestiole, ci ragguagliano sul fatto che l’eventuale puntura non sia mortale, ma solo altamente dolorosa, nemmeno male. Percorsi 538km, la tappa più lunga del viaggio, quasi tutti su asfalto.
Ras Knasa, spiaggia libera
8° giorno
Colazione sotto qualche sparuta goccia di pioggia, ripercorriamo il canyon per tornare in città, una Shuwaymiyyah pressoché disabitata di prima mattina con giusto qualche dromedario per le vie. Cielo costantemente coperto, lungo la 42 verso sud il percorso fino ad Hasik è un vero e proprio spettacolo, non solo trasferimento. Tutto in quota sopra alla falesia che sovrasta il mare arabico dove iniziamo a scorgere il re incontrastato del luogo, l’albero dell’incenso, incenso qui denominato Frankincense. Prima di Hasik si passa un check-point, controlli veloci solo ai permessi dei mezzi per trasportare turisti, in seguito presso un baracchino per la strada tappa al “miglior” ristorante di carne di dromedario dell’Oman, con la statale che ora è la 49. Siamo ad Hadbeen, il ristorantino è particolare perché la carne viene cotta sotto ad una montagna di sassi e pietre calde, si possono assaggiare anche altre specialità, sia carne sia pesce, siamo a ridosso del mare, a 155km dalla partenza. Circa 90km dopo sorge Mirbat dove si può visitare un forte in pessime condizioni, luogo principe di una delle battaglie del Dhofar nel 1972, subito dopo il colpo di stato non cruento che portò al potere il Sultano Qaboos. Nella parte vecchia della città rimangono anche resti di abitazioni di mercati dell’antica città della regina di Saba, giriamo vedendole senza però avventurarci tra i vicoli, poi via per un’altra deviazione presso i Baobab Trees, anomalia del territorio in gemellaggio col Madagascar. Veloce escursione a piedi tra le montagne, con temperatura che si raffresca, causa pure le nuvole che non se ne vanno. Di nuovo lungo la 49 per un’ulteriore visita, questa volta al Sumhuram Archaelogical Park (2r ad auto, a prescindere da quante persone contengano), antico sito non ancora totalmente scavato che regala pure viste preziose sulla foce del Wadi Darbat. Buona cosa visitarlo tra qualche nuvola, altrimenti il sole potrebbe cuocere anche i più resistenti, si sale e scende tra vecchi muri con la natura che ha seguito il suo corso, in alcune parti alberi crescono sopra ai ruderi delle costruzioni, una piccola Angkor Wat, con pure un’interessante galleria da visitare per capire meglio quest’insediamento risalente al I secolo A.C caduto in disuso verso il III secolo D.C. La nostra meta serale è a Salalah presso Al Nile Furnished Flats, appartamenti completi di tutto che sorgono numerosissimi in città, anche se ora paiono ben poco utilizzati. Qui il turismo piomba da tutta la penisola araba in estate, la coda del monsone copre di nebbia la città, il kharif, quando ovunque si brucia ad oltre 50°, a Salalah si vive tra i 15-20°, e così chi può permetterselo se ne sta comodo tra le nebbie. Ora che questo clima non permea la regione la città ha ben pochi turisti, gli appartamenti sono quasi tutti vuoi e le offerte fioccano, nel nostro caso un appartamento per 4 persone compreso pure di colazione servita in camera, 2 bagni, wi-fi, ed ogni diavoleria immaginabile costa 21r. Un bisogno di doccia impellente è così prontamente ripagato, nell’attesa che la guida ritorni coi mezzi sistemati provo ad avventurarmi per l’area ma siamo molto fuori dal centro con ben poco da vedere, se non la corsa dei più alla funzione in moschea proprio qui a fianco delle 18. Alle 19 si parte per andare a cena, passando a fianco della nuova e grande moschea del sultano, illuminata a giorno, per giungere nello splendido e straniante (rispetto a quanto visto negli ultimi giorni) Garden Mall ove ceniamo al Rest. Yamal (9r), con buffet libero nel dehor esterno. Giochi di luci e acqua ovunque, personale fin troppo servizievole nei mille giri al buffet, clientela prettamente straniera ma non mancano donne sole locali che possono qui cenare in totale tranquillità, anche se vedere una donna senza tunica nera e copricapo è quasi impossibile. Fa specie vedere nei tanti negozi sfilate di tuniche nere che a me sembrano tutte identiche, invece avranno le loro importanti distinzioni a saperle distinguere. La serata non finisce qui, visitiamo il suq dell’incenso dove in botteghe identiche le une alle altre (saranno almeno 50) tutti provano a vendere oltre all’incenso i contenitori per bruciarlo ma pure tante altre specialità del posto non indimenticabili, per andare in seguito al mercato della frutta. Qui, in zona desertica crescono banane, papaya e cocco, i prezzi sono irrisori, tanto che a fronte di un qualsiasi acquisto, l’acqua delle noci di cocco è offerta a tutti. E’ già tardi per le nostre abitudini quando rientriamo in hotel, sfruttando pure la lavatrice a lavaggio e risciacquo veloce per sistemare senza fatica quanto giunto non in perfette condizioni dai giorni precedenti. Percorsi 329km, quasi tutti su asfalto.
Rub al Khali (19.19778, 53.76182), duna barcana
9° giorno
All’orario prefissato suonano alla porta e la colazione è servita, magari non così abbondante e varia come quella che siamo usi prepararci quando facciamo campo, ma anche tutto molto più pratico e veloce. Ancora immersi nelle nuvole, quando in questo periodo non dovrebbero mai far capolino, lasciamo la città direzione nord lungo la 31 dove a Thumrait facciamo le ultime spese rifornendo anche le taniche di benzina. Abbondiamo con l’acqua, bene prezioso, di cibo siamo pieni da tempo, ma prima del deserto sosta a Ubar raggiunta seguendo la 43, sito archeologico ad ingresso gratuito, forse perché le sue origini non sono completamente certe. Che fosse una città lungo la via carovaniera secoli prima di Cristo è quanto raccontato, non però completamente certificato e potrebbero essere molto più recenti, le sue rovine sono sistemate in alcune parti malamente con colate di cemento, certo che la parte sprofondata nella terra colpisce, diciamo che venire qui per visitare appositamente il sito ha poco senso se non si è archeologi provetti, altrimenti è una tappa intermedia comoda per apprestarsi al Quarto Vuoto, il famigerato Rub Al Khali che a pochi km da qui ci attende nella sua maestosa ampiezza. Dove l’asfalto lascia strada alla sabbia sorge una sorta di garage gestito da pakistani, ultimo avamposto di civiltà ed in alcuni casi opzione ultima per recuperare benzina (che oggi non hanno) a prezzi superiori ai distributori. Poi, sgonfiate a dovere le gomme, si va sempre percorrendo la pista 43 in buone condizioni, iniziando a lasciare larghi spazi tra i mezzi per non finire asfissiati dalla polvere. Sempre seguendo la pista arriviamo ad un villaggio di beduini, lo stato omanita ha costruito per loro abitazioni di pregio che sfruttano mettendoci le tende tradizionali negli ampi giardini, siamo ad Al Hashman, 40km dal confine con Yemen e 50km da quello con l’Arabia Saudita. I confini non sono presidiati qui nel nulla del RAK, sorge una balise ogni 5km a dare nota del cambio di stato, nulla di più. Nell’oasi a ovest del villaggio c’è una sorgente naturale convogliata in una grande vasca dove potersi bagnare e riscaldarsi, ma è curioso fare un giro anche nel villaggio, praticamente abitato solo da donne e bambini, coi camion incellofanati per non essere mangiati dalla sabbia e con le strutture un tempo ad uso dell’amministrazione governativa in stato d’abbandono, troppo duro per un omanita vivere qui mi sa. Però un campo da basket che ancora si delinea, chissà chi avrà pensato di far 2 tiri nel deserto? Ora lasciamo la pista e proseguiamo tra le dune che all’orizzonte iniziano a farsi padrone del territorio, rosse ed arancioni pure in una giornata dove il sole non compare mai. Facciamo campo qui 18.636, 53.10377, ovvio che il luogo non abbia nome, l’area è sempre indicata come RAK. Prima di fare campo ci godiamo il luogo salendo la duna più alta e grande di fronte a noi, sembra vicina e non altissima, servirà circa un’ora per conquistarne la cima, fatica e divertimento assicurato, l’oceano di sabbia e dune è ovunque, peccato che le nuvole non regalino colori intensi e vivi. Ridiscesi, il tempo è più che dimezzato, volendo ci si può buttare dritti per dritto, predisponiamo il campo in una serata fresca ma senza vento con giusto qualche zanzara. Cena sempre più abbondante e poco dopo le 21 si susseguono i saluti per trovar posto nelle tende, in una notte più calda di quanto la serata poteva paventare. Percorsi 279km, 2/3 su asfalto.
Sinaw, lavori al mercato del pesce
10° giorno
Sveglia ancora tra le nuvole, colazione al solito abbondante e poi sistemato tutto nelle jeep si parte per una giornata di totale deserto, zero piste, solo vagare tra dune e valli desertiche. Mancando il sole i colori rimangono tenui, ma il rosso delle dune è imperante anche così, si continua tra fermate per alcune foto e qualche passo tra le sabbie, in direzione nord-nord/est. La prima vera sosta, poco prima di mezzogiorno, è presso un’oasi con acqua calda incanalata in una specie di piscina, un getto importante per un relax fantastico. Direttamente dalla “piscina” vista deserto e cielo che pian piano si scopre dalle nubi ci sono regalate viste che ci avvolgono nell’ambiente, per giunta pure all’ombra di alberi che sfidano il RAK nel nulla. Il luogo non ha un nome, identificato nelle mappe di GoogleMaps come Oasis Water Good, si trova qui (18.82374, 53.27021), non ci sono però indicazioni per raggiungerlo, occorre navigare a vista con conoscenza di deserto e dune. Utilizziamo il luogo ombreggiato anche per una rapida sosta cibo, poi via cercando di sfruttare un momento di sole che però dura poco e la vista di splendide dune barcana non ci ripaga al massimo livello, 2 giorni di nubi qui pare come la neve perenne in estate a Rimini!!! Facciamo tappa per il campo in un promontorio sotto ad una duna enorme che ci protegge da eventuali folate di vento, di fronte ad un gruppo che sembra vicino ma che in realtà c’impegna per circa 90’ tra salita e discesa, tempo poi per realizzare il campo in questo luogo 19.1578, 53.58169 raggiunto dopo passaggi complessi con le jeep, con Alì che segna la via e segue passo passo le manovre degli altri 2 autisti, anche un passaggio fuori segno di un metro può costare tempi lunghi per uscire da insabbiamenti non banali, pur avendo imparato come uscirne, ma le eventuali fatiche rimarrebbero. La sera si conferma senza vento e se non calda, con ottima temperatura, dato il luogo facciamo serata alla ricerca di scorpioni, girovagando nei dintorni c’imbattiamo in un esemplare enorme, se la vista rallegra perché la ricerca è stata premiata, un po’ preoccupa questa compagnia non desiderata, meglio muoversi con scarpe pure tra un sabbia finissima che sembra un massaggio plantare di alto livello. Come le sere precedenti, difficile tirar tardi, ore 21:30 e siam già tutti in tenda dopo il solito lavaggio vettovaglie con sabbia e il minor consumo di acqua possibile. Percorsi 115km, tutti su sabbia fuori da piste e sentieri, particolarmente complessi, senza aver mai un’indicazione da seguire, sta tutto nelle conoscenze della guida, soprattutto nel passare da una duna all’altra e non sbagliare l’imbocco delle valli tra le dune, sbaglio che porterebbe ad un consumo eccessivo di carburante ed al rischio di rimanere bloccati per mancanza di benzina, il guaio maggiore tra questi luoghi.
Rub Al Khali, Oasis Water Good (18.82374, 53.27021)
11° giorno
Colazione col primo vero e proprio sole del deserto, si è tentati di approfittarne per le prime foto da “cartolina”, ma dobbiamo chiudere il campo e sistemare le jeep, abbiamo però tempo per girovagare tra queste dune con viste splendide, dove rimiriamo vallate bianche tra dune rosse, il RAK al suo meglio. Non c’è una via da seguire, si vaga a seconda dei luoghi che più ispirano, la perdita di una pista ora è pura libertà, e tra i luoghi incantevoli, sotto ad un gruppo di dune barcana enormi ed ora più tendenti al rosa facciamo una lunga sosta fotografica in questo luogo 19.19778, 53.76182. Continuiamo in un deserto dal fondo bianco e dalle dune arancioni fino ad una nuova sorgente di acqua calda, questa molto più primitiva di quella del giorno precedente, non è altro che un forte getto di acqua nel nulla, sì piacevole ma che colora di nero in maniera pesante. Ma quando l’acqua non c’è ci si accontenta, il luogo è qui 19.43878, 54.01778, dove una parvenza di pista la si nota. Nel dopo doccia tempo per uno spuntino, ne approfitto per attraversare la piana a piedi ed arrivare ad una duna rosa con 2 alberi nel mezzo, panorama surreale, così come le distanze, perdo il tempo esatto e quando sono quasi in cima mi accorgo che mi stanno cercando, almeno mi tornano a prendere…dalla vetta, dove scegliendo bene le parti dove scalarla non è nemmeno difficile farlo, la vista viaggia verso altre dune, queste molto più intense come colori, rosso-arancioni, forte ma non delicata come questa splendida duna situata qui 19.43232, 54.02982. Proseguiamo sempre tra questi scenari travolgenti, il sole regala panorami decisamente diversi ed anche il caldo ci fa sentire molto più nel deserto, troviamo una pista ben tenuta all’incrocio 19.57373, 54.21646 e da qui si continua sempre nel deserto ma meno isolati, anche se traffico inesistente. Ritroviamo indicazioni stradali che però abbandoniamo velocemente non passando dal villaggio di Al Mansil che pare proprio un’oasi nel nulla, ci accampiamo non lontano tra gruppi di dune in un’assolata piana con pochi alberi sparuti da utilizzare come “bagno” riparato, una vera e proprio ritirata. E’ presto, c’è tempo per salire sulla duna a sud-est, pare un’ascesa ad un’unica cresta, facile perché seguendo la parte meno pendente il terreno regge, ma ogni volta che si giunge al punto più alto se ne scorge un’altra, non lontana ma più alta, e così via percorrendo in cresta vari km fin quando laggiù tra le dune si scorge dall’alto Al Mansil, che pare un vero e proprio miraggio. Di malavoglia scendo, ne approfitto per una rudimentale doccia, non è ancora tempo di tramonto e il caldo qui è intenso, quando arriva il tramonto illumina di rosso fuoco, pare veramente un gigantesco rogo la grande duna tartarugosa a sud-ovest, mentre il gruppo di dune scalate diviene surreale. Posto magico, serata calda, senza vento, ideale per una cena comoda e senza fretta, possiamo rimanere a chiacchierare a tavola godendoci per una volta il tepore serale e non una brezza che richiama al calduccio della tenda. Il luogo si trova qui 19.69856, 54.61557, giunti dopo 184km, tutti su sabbia, ma gli ultimi 52 di pista in buone condizioni, qualche volta aggirando dune che abbracciano il cammino, situazione segnalata con cartelli anche in inglese per evitare sorprese.
Rub Al Khali, tramonto di fuoco (19.69856, 54.61557)
12° giorno
Colazione da campo, sole splendente ma molta è l’umidità sulle tende, così prima di richiuderle sistemiamo tutto il resto per poi prendere la pista direzione Maqshin all’incrocio con la statale 31, l’asfalto dopo giorni di pista, quando andava bene. Qui facciamo rifornimento non dovendo però più provvedere alle taniche, si prosegue ed improvvisamente le nubi ci avvinghiano, paesaggio surreale. Lungo la 31 si rivede un traffico fatto di grandi camion che trasportano di tutto nell’asse Muscat-Salalah, circa 1.000km nella gran parte percorsi nel nulla, le nubi però lasciano velocemente spazio al sole ed i colori tornano padroni del deserto, perché anche se su strada asfaltata con qualche villaggio ogni tanto, nel nulla si rimane. A metà giornata tappa a Haima dopo circa 160km, qui sosta cibo, market e di nuovo benzina, a breve devieremo per regalarci un’ultima notte di deserto tra le dune, pure ultima notte del 2019. Ancora lungo la 31 per circa 56km, poi deviamo nel deserto a sx, non c’è pista o sentiero, sono zone note ad Alì, una piana bianca col sole che si riflette accecandoci, la sensazione di essere fuori dal mondo è forte. Facciamo tappa alle dune di Al Zanleaim (20.59462, 56.65332) potendo girarle a piacere. Si sale dal versante dove ci siamo arrestati in maniera facile, oltrepassando le varie creste si giunte al culmine dove la vista spazia su terra e sabbia senza fine, sotto di noi in direzione nord la grande valle con di fronte una vera e propria montagna, come da tempo non incontravamo e soprattutto anomala in questo RAK. Ma non è tempo di sosta per serata, giusto il tempo per una piccola sfida a pallone sotto un sole che inizia a farsi sentire. Ripartiamo alla ricerca di un luogo dove passare l’ultima notte dell’anno, sempre vagando fuori da piste e sentieri, direzione est fino alle dune del punto 20.69914, 56.82944, distante circa 23km dal precedente. Qui decidiamo di far campo, sotto ad un gruppo di dune rosse vellutate, velocemente si fissano le tende poi si parte all’assalto delle dune, che come al solito sembra un’unica grande ma poi non hanno soluzione di continuità all’occhio umano. E visto che si tratta dell’ultima notte desertica, in cui vogliamo provare a far arrivare addirittura mezzanotte, c’è tempo per perlustrare le dune a lungo godendoci il tramonto qui nel mezzo, al resto penseremo in seguito. Se le dune, di varie forme, come fossero dipinte, son splendide di suo, ci si mettono anche alcuni alberi a dare profondità e senso di fin del mundo all’area, una sorta di piccola Sassusvlei, paradiso namibiano. Poi sistemato il campo, fatto un minimo di abluzioni dietro a dune ed alberi è tempo per predisporre il cenone, e come d’incanto dagli anfratti più remoti di zaini e contenitori spuntano cotechini, panettoni, lenticchie e pure fave a km 1.000, dimenticate da tempo nella jeep da precedenti avventori, ma noi questa sera cuciniamo tutto. Ogni cosa al suo tempo, con 2 fuochi non è che ci si possa sbizzarrire, ma alla fine larga parte del cenone verrà spazzato via, grazie anche al contributo più importante del solito dei 3 autisti/guida al seguito. Serata non fredda, anche perché in parte riparati dalle dune, si alza una leggera brezza (ma forse è sempre così dopo un certo orario, solo che non ci eravamo mai arrivati) e allo scoccare della mezzanotte Alì non può esimersi dal folklore locale, quindi estrae il fucile per alcuni spari al cielo. Saluti, baci ed auguri, ma a mezzanotte e 15’ tutti già nelle proprie tende. Percorsi 344km, 230 su asfalto, 40 su pista ed il resto nel nulla, senza nessun problema.
Maschera femminile tipica dell'area di Sinaw
13° giorno
Nonostante abbiamo tirato tardi la sveglia è sempre la solita, aiutati dal fatto che questa mattina il caldo si senta molto di più che nelle sveglie precedenti, colazione, sistemazione delle vettovaglie rimaste e poi via verso la statale 31 attraversando dritto per dritto quest’ultima parte di RAK in libertà, circa 22km. In corrispondenza della stazione di servizio Shell di Al Zamaim riprendiamo la 31 dopo doveroso rifornimento per una lunga tappa di trasferimento. La strada di fatto è una vera e propria autostrada con traffico molto limitato, la percorriamo con tirata unica fino ad Adam, salutando il deserto ed iniziando a scorgere all’orizzonte le montagne dell’Hajar che terremo però per i prossimi giorni. Qui rifornimento, poi via per gli ultimi 60km lungo la statale 27 per giungere a Sinaw, città natale di Alì con tappa per cibo al ristorante Al Jahran, cittadina celebre in pratica solo per il suo mercato del giovedì, l’indomani. Prendiamo posto in hotel dopo giorni di camera con 1000 stelle, il cadente Aiin Safnat suite & rooms (10r a camera senza colazione, con acqua calda, wi-fi e dopo richiesta anche sapone, shampoo, asciugamani e carta igienica, su questa son sorti dubbi perché mi dicono che loro non la usano, ma spiegato il nostro impiego prontamente un addetto è andato a comprarla e consegnarla camera per camera), si rivela meglio di quanto faccia pensare. In città non c’è nulla da vedere, con calma facciamo tappa presso un produttore di dolci locali, il celebre halwa, gloria nazionale, una sorta di gelatina che può essere servita in infiniti gusti. Da Al Dinwanya ne avranno 20 tipologie, pure assaggiabili, desisto testando solo il caffè al cardamomo, dopo lunghi e meditabondi confronti compriamo una torta di queste come regalo per la serata (8r), scelta più in base all’aspetto che al gusto (ricordarseli diviene impossibile). Per la serata saremo ospiti a casa della famiglia di Alì, che risiede in più complessi abitativi che da noi farebbero provincia…, appena fuori città tra i villaggi di Al Aynaya e Al Mudaybi. Alcuni gruppi di turisti che stanno viaggiando con loro qui in zona fanno tappa questa sera presso la grandissima villa del fratello di Alì, un benestante locale che sfoggia un giardino che pare senza fine con allevamenti di capre, piscine, dependance, insomma il mito della ricchezza araba fatta persona. Dopo aver passato una giornata piuttosto calda, la serata diviene fresca se non fredda, il delizioso tè servito al termine della cena comune (un buffet senza fine) è quanto mai prezioso. Rientrando in hotel, per chi vuole c’è una tappa al coffee shop preferito di Alì, un grande bar con spazio interno ed esterno per fumare la shisha, immancabile qui, il narghilè con sapori a scelta. Pubblico totalmente maschile, un attimino stordito di fronte ad un maxi schermo proiettante partita di calcio, fa fresco fuori, si opta per l’interno ove il fumo si taglia col machete, preferisco godermi l’aria frizzante fuori dal caffè rimirando le stelle. Rientriamo in hotel per un’insolita notte su materasso. Percorsi 361km, quasi tutti su asfalto in ottime condizioni.
Misfat Al Abryyin, tra i Monti Hajar
14° giorno
A Sinaw si passa per un’unica ragione, il mercato del giovedì, e proprio qui siamo diretti di mattina, in un ingorgo di pick-up che provano ad entrare per scaricare le merci che rendono unico questo mercato, dromedari (caricati sui pick-up…), capre e pesce, in misura minore datteri. Una grande quadrilatero con portico, al centro una struttura coperta che ospita i banchi del pesce e nell’altra metà la “sfilata” delle capre, mentre dromedari e datteri si vendono all’aperto. Prima però in uno dei tanti piccoli bar, colazione omanita, è un continuo passaggio di piattini vari e caffè (700b) poi tempo d’immergerci nel mercato. Se la parte dei dromedari è diciamo così “simpatica”, quella più interessante concerne la parte ittica, enormi casse arrivano piene di pesce esposto su banchi grondanti sangue, la contrattazione è continua, il passaggio dei soldi costante, una volta acquistato i più passano ad altri banchi dove il pescato è pulito, tagliato, pronto per essere preparato una volta rientrati a casa. La confusione è tanta, ma l’igiene è rispettato, la confusione sale nella parte attigua dove sfilano le capre, qui l’aspetto della contrattazione è molto più accentuato. Spiccano le donne con una caratteristica maschera facciale, un sottile filo centrale che acuisce la forza degli occhi, non per forza abbinata alla tunica denominata abbeyya, e quando avviene non sempre nera, un trionfo di colori. Le immagini del mercato sarebbero infinite, ci si stacca a fatica, Sinaw non è particolarmente battuta e quindi permette un’interessante incursione negli usi e costumi locali, che prevedono in larga parte per gli uomini la cintura con l’immancabile khanjar, coltello a doppia curvatura, da non confondersi con l’usuale coltello arabo denominato Jambiya. Nonostante la confusione, gli animali e la gente che fa colazione (o visto l’orario in alcuni casi il “brunch”…) a terra su preziose stuoie, è un vero e grande piacere perdersi qui. Fuori dal mercato esistono altre zone di commercio, una dedicata ai tappeti e quasi di fronte una denominata mercato delle donne, abbigliamento e vettovaglie, non particolarmente caratteristico. Con qualche scatto di troppo (nessuno si lamenta di essere ripreso, anzi in alcuni casi si mettono in posa) riprendiamo la via, la giornata prevede più visite tra forti e castelli, iniziando dal castello di Jabrin (500b, pagabili solo con carta di credito), situato nel mezzo di una piantagione di palme. Fortificato da alte mura, costruito su svariati livelli originariamente da fine XVII secolo, sistemato da poco tempo non proprio in maniera tradizionale, rimane comunque una tappa non evitabile perdendosi tra infiniti passaggi, scale, magazzini, fino alla sommità da cui si domina la valle con vista sulle montagne. Non dista molto il forte di Bahia, patrimonio Unesco dal 1987, all’interno di un sistema murario di oltre 7km, parte delle quali ancora visibili anche se non in perfetto stato. Il forte (500b, solo con c.c.) è una piccola cittadella, occorre tempo per salire e scendere le tante scale, accedere a torri e magazzini, intrufolarsi in meandri bui di questa costruzione risalente al XIII secolo ma restaurata da poco tempo. Giusto una precisazione, un forte è un presidio militare, un castello è un’abitazione protetta, anche se in alcuni casi qui le differenze parrebbero minime. Nei paraggi del forte si possono ancora visitare le antiche abitazioni di mattoni crudi stile yemenita, proprio adiacenti al grande parcheggio del forte, in 10' ci si può perdere al suo interno piacevolmente. Per goderci un tramonto con vista montagne in un villaggio caratteristico saliamo a Misfat Al Abryyin, strada che s’inerpica tra tornati per giungere dopo circa 20km a 1.000m. Classico villaggio di montagna che si sta trasformando da prettamente agricolo (datteri) a turistico, non si può circolare con le auto ed alcune parti (quella sulla sx) non sono attraversabili nemmeno a piedi. Ancora interamente costruito da abitazioni in mattoni secchi in grande ristrutturazione, rappresenta lo spaccato ideale per comprendere la vita tra le montagne, si può accedere alla torre di guardia che lo domina prendendo un sentiero sulla sx, non passando tra le abitazioni. Gli anziani cercheranno di respingervi, i giovani al contrario invitano ad accedervi, spiegando per bene ed in inglese dove passare, quali recinti poter aprire e quali no, l’idea è che aprendosi al mondo si colgano vantaggi economici, ed i più lo stanno iniziando a fare. In realtà alla torre di guardia non si accede, si può arrivare fino alla grande lastra di pietra a fianco, scivolosa ed in forte pendenza da cui godersi un tramonto intensissimo tra i monti Hajer. Nel villaggio sorgono ora guest house, un ristorante dall’alto della più caratteristica costruzione su di una grande roccia e botteghe artigianali, il tutto non ancora invaso da viandanti, descritti come molto interessanti i trekking che da qui partono, da qualche ora ad una settimana intera tra le montagne. Terminata la visita prendiamo il percorso che ci porta a Nizwa (circa 50km), uno dei punti turistici di più alto richiamo dell’Oman, città di antiche tradizioni religiose (descritta come la casa di più imam dissidenti ed altamente conservatrice), dove pernottiamo all’albergo di più alto livello del viaggio, Al Dyhar (20r a testa, con colazione a buffet, wi-fi non sempre perfetto, spazi infiniti e turismo internazionale ben presente, come dimostrano gli addetti che pure ci portano a forza gli zaini in camera). Tempo di doccia e poi via nel centro cittadino col grande parcheggio antistante al moderno suq riservato ai mezzi turistici. Di sera le botteghe del suq sono chiuse ma il luogo è attraversabile all’interno di una cinta muraria moderna che porta fino al grande forte costituito da una piccola cittadella e da una torre (il maschio nei nostri castelli) imponente sia per altezza (40m) sia per larghezza, illuminato in modo da renderlo un’attrattiva della notte. Appena fuori dal complesso si trova la grande moschea Al Qala’a nella quale nonostante non ci siano celebrazioni non c’è concesso entrare. Si è già fatto un orario tardo per le abitudine del luogo, ceniamo al ristorante Al Zuhly (1,5r), tradizione luogo specializzato in shawarma, ogni tipologia servita con insalata ed hummus, spesa minima con risultato ottimo. Rientriamo in hotel dopo aver percorso 288km, tutti su asfalto in buone condizioni, pure la tortuosa strada che sale a Misfat.
Nizwa, al mercato
15° giorno
Colazione a buffet in hotel, citando il mio amico Sam in vacanza perenne a Cartagena, occorre guadagnarci, e così è. Tappa al suq di Nizwa, che sarà meno caratteristico di quello di Sinaw ma in fatto di merci e capre non è da meno, solo tutto ben distribuito, pulito ed ordinato oltremisura. L’esposizione delle capre è ancora più numerosa, gli affari prosperano, attraversiamo i distinti padiglioni testando datteri (27 tipologie diverse, buon appetito), la parte destinata a pesce e carne però pare una boutique, buona cosa per l’igiene ma tutto appare troppo commerciale, quindi zigzagando tra le molteplici costruzioni quello che impressiona maggiormente è il mercato delle armi, tutto regolare, all’aperto con possibilità di imbracciare fucili di vario tipo, non sparare, la civiltà è già qui con le sue limitazioni!!! Questa parte di mercato si trova prospiciente l’ingresso al forte (5r, insolitamente costoso rispetto alle altre attrattive, gestito dal comune e non dallo stato) che visitiamo rimanendone impressionati nonostante non sia così celebre rispetto a quelli incontrati il giorno precedente. Colpisce la grandiosa torre centrale, il maschio del castello, alla quale si accede su scale che nascondono pertugi per gettare olio caldo su possibili invasori, ma pure botole che si aprono una volta sfondate le porte, geniali nella protezione all’interno della fortificazione maggiore del complesso. Si sale e si scende nella restante parte dedicata alle abitazioni, c’è anche un ampio museo a raccontare la storia del forte eretto nel XVII secolo, la visita totale richiede ben oltre 1h, non preventivata, poi ci sarebbero gli spettacoli nel cortile, con gendarmi dotati di khanjar splendidi, acquistabili per cifre non banali, certamente un souvenir che più tipico non si può, da capire come farlo passare nelle dogane. Lasciamo Nizwa per attraversare i Monti Hajar optando per il percorso di Hatt e Wadi Bani Awf con la strada asfaltata che nel giro di pochi km sale fino ai 2.000m del belvedere di Shorfat Al Alamayn, da Nizwa sono poco più di 60km ma la salita di oltre 1.500m è tutta negli ultimi 21km. Salendo si scorgono belle vedute sui monti e sui canyon, il vento si fa possente e al belvedere la temperatura precipita, quassù non c’è nulla, scendendo di qualche centinaio di metri s’incontra un albergo (che pare desolato) e un posto dove piazzare le tende, ma attenzione, occorre avere un’attrezzatura idonea al freddo della montagna, non certo quello del caldo deserto omanita. Qui termina l’asfalto, ora si prosegue su sterrato a strapiombo nel nulla, viste spettacolari, i rari incroci con mezzi che risalgono non proprio semplici, soprattutto quando ci sono mezzi da trasporto carichi di tutto. I 26km che separano il belvedere da Tikhah sono sì spettacolari ma pure complessi, per passaggi impervi e buche che fanno saltare a più non posso. Lungo il percorso ci sono alcuni villaggi dov’è richiesto di non entrare coi mezzi e comunque se non necessario non entrare proprio, come Hatt o Bylad Said, Hatt si scorge dall’alto quando dal passo si precipita a valle, per l’altro villaggio occorre svoltare a sx dal sentiero, non si avvista se non una volta giunti al limitare. Facciamo tappa prima di questa svolta ad un wadi che porta ad una cascata al momento senz’acqua, qui fanno campo un nutrito gruppo di francesi con svariati bambini di 2-3 anni, sicuramente lontano dall’aria insalubre. Riprendiamo il sentiero che sale, quando si oltrepassa un campetto da calcio con erba sintetica (nel giro di qualche km non c’è nulla) la valle si apre e proprio sotto ai nostri piedi si trova la gola del serpente, uno stretto ed impervio canyon che connota la vallata in direzione nord. Accesso possibile solo agli arrampicatori attrezzati, questo il punto d’intersezione tra i 2 canyon che si congiungono e proseguono verso Wadi Bani Awf (23.20801, 57.39098). Per aggirare il canyon il sentiero volge a ovest scendendo nel wadi fino alle poche case di Bait Bimah dove facciamo una sosta direttamente nel wadi all’ombra in compagnie di capre dalle lunghe corna. Da qui, per chi ha tempo, gambe buone e spirito intrepido, c’è la possibilità di addentrarsi nel canyon Gola del Serpente, da percorrere per svariati km oppure ritornare qui, non si esce se non al termine a meno di non scalare alte pareti. Riprendendo il sentiero si sale ed occorre tenere la dx all’unico bivio che s’incontra, seguendo dall’alto il canyon, si attraversa l’area di Wadi Bani Awf dov’è possibile campeggiare, ma arrivando da Nizwa non è sempre certo che il percorso sia agibile, e soprattutto va previsto il passaggio solo ed unicamente nelle ora di luce. Incontriamo l’asfalto prima di Tikhah, da qui è una sgambata giungere a Nakhal, 55km che ci separano dal più celebre dei forti omaniti. Peccato che questo grande forte sia in ristrutturazione, fortunatamente la parte a sud, pure illuminata dal sole, è già stata sistemata e così percorrendo l’anello esterno è possibile vederlo nella sua luce migliore, dispiace non poter entrare. Ma Nakhal è nota agli abitanti locali per un’altra caratteristica che incontriamo attraversando l’esteso palmeto nella zona a sud, la sorgente d’acqua calda di Ain Al Thwarah invasa di gente di venerdì. Luogo ideale per starsene in relax nel mezzo di un wadi percorso da acque calde e minuscoli pesciolini che puliscono i piedi mangiando le la pelle morta, tutti gli avventori hanno al seguito montagne di cibo a qualsiasi ora, certo, dopo la solitudine dei monti Hajar qui par di essere in un centro commerciale il sabato mattina, ma poco male, si può lasciare il posto quando si vuole, nessun biglietto d’ingresso, giusto qualche problema di parcheggio, anche se un nostro autista ne approfitta per mettersi nel mezzo del fiume a valle a lavare il pick-up. Ultima parte di trasferimento verso Muscat dove alloggiamo in città ma più prossimi all’aeroporto, non distanti dalla Grande Moschea, presso Al Murooj (23.59307, 58.37401), anche questa una struttura di appartamenti completamente accessoriati con pure spazio dedicato alle colazioni. I prezzi variano a seconda delle camere, vanno dai 13r per una singola ai 30r per 3 camere, vanno aggiunti 2r per la colazione, ma il tutto è largamente trattabile nei periodi di minor afflusso turistico, dotato di wi-fi, cucina ma non asciugamani. E’ già scesa la sera quando prendiamo possesso delle camere, ceniamo all’attiguo ristorante iraniano Irani House, bello, quasi lussuoso, ampio ma quasi tutto pieno, che esibisce un ricchissimo buffet a prezzo fisso al quale si devono aggiungere solo le bevande. Qualità e quantità di alto livello, 6,7r coi quali ci si rende satolli, al termine di una giornata dove abbiamo percorso 261km, la parte finale su autostrade non a pagamento, il sentiero di montagna in difficili condizioni di sterrato.
Nizwa, il forte
16° giorno
Oggi resto in città, saluto gli amici che partono per l’isola Damanayat con imbarco da Barka (circa 60km) e dopo colazione (meglio arrivare non troppo tardi per avere il meglio) cambio sistemazione passando da un appartamento ad una camera ugualmente molto grande e poi parto nella visita della città. Opto per il bus, mi dicono di un ottimo servizio a nemmeno 200m di distanza dall’hotel. In effetti qui la fermata c’è, ma si trova lungo una sorta di doppia autostrada in direzione d’uscita da Muscat, la fermata c’è di fronte ma l’attraversamento delle autostrade non è contemplato qui dove tutto è fotografato e sotto radar. Così m’indicano di andare al sottopasso posto prima del wadi della Grande Moschea, 1,5km invece di 200m, poco male. Ci sarebbero anche i taxi collettivi ma me li sconsigliano, strapieni, senza aria condizionata e molto più costosi, così dopo aver appreso il tragitto parto col bus 1 per Ruwi (300b, circa 40’ x 21km) dove alla stazione dei bus cambio col 4 (200b, circa 10/15’ x 6km) scendendo in zona Corniche proprio al mercato ittico. Situato all’interno di una moderna struttura ovviamente sul mare, pulito ed ordinato merita una visita per le tipologie di pesci trattati, alcuni azzurri, altri con occhi debordanti e per gli enormi tonni pinne gialle che svettano sui banchi d’alluminio. Anche qui si trova un’area destinata alla pulizia ed al taglio, all’esterno gli ultimi pescatori portano il frutto del lavoro, nella parte attigua c’è il mercato di frutta e verdura, poco caratteristico. Poi m’incammino lungo la Corniche notando un insolito “tutto esaurito”, nella grande maggioranza una popolazione stordita ed obesa, imparerò in seguito che di sabato approdano le crociere, soprattutto statunitensi e russi, in placido intreccio d’acquisti congiunti. Ho tempo per salire al forte (indicazione di biglietteria, ma è chiusa e l’ingresso gratuito), da poco restaurato ma che offre ben poco se non una bella vista sulla Corniche e sulle torri di guardia portoghesi all’angolo estremo della costa. Provo a raggiungerle ma sono tutte inaccessibili, lavori vari ne bloccano l’ascesa, così come nel parco Al Riyam alla gigantesca incensiera. L’unico pertugio dove poter salire lo trovo al termine della Corniche su di un promontorio naturale che domina una fontana, in realtà non è ben chiaro se si possa salire, ma un gruppo di ragazzi statunitensi sta salendo e mi fa cenno di accodarmi, tutto regolare mi dicono, così salgo lungo scale di vario tipo al belvedere, al vero in pessime condizioni. La vista non è da fine del mondo ma permette di spaziare sulla parte delle torri di avvistamento in maniera migliore rispetto a quanto visibile dal forte. Una volta disceso è tempo per un ritrovo presso lo Juice Center proprio in piena Corniche, dove succulenti succhi o frullati (da 800r a svariati r) possono essere accompagnati da sandwich, hamburger ecc.. E così tra una chiacchiera e l’altra i camerieri ci illustrano il sabato di Muscat, coi tanti croceristi, col fatto che il suq di sabato apre ben prima delle 17, anzi alcuni negozi non chiudono mai, ma che è comunque meglio andare dopo le 17 quando i croceristi devono rientrare ed i prezzi ritornano quelli soliti e in parte trattabili. E così sfruttiamo il tempo per imparare il tutto, abbandonando l’idea di perlustrare il quartiere sciita di Al Lawataya dove gli stranieri non sono ammessi. Sarebbe stato uno spaccato interessante, una comunità ancora chiusa e auto protetta a fianco dell’area a più alta concentrazione commerciale e turistica. A dire il vero un tentativo lo facciamo, partendo dalla Corniche e dalle sue costruzioni con bovindo a fianco della moschea Al Sayyidah Khadijah (che confina con un KFC…), ma in effetti i cartelli sono ben chiari ed allora evitiamo di farci trovare con le mani nella marmellata. Sopraggiunte le 17 inizia il giro al suq partendo dalla parte dell’oro, infinita, e coi vari negozi di abbeyya (le tuniche nere femminili), numero incalcolabile, paiono sempre tutte molto simili, almeno quelle maschili, dishdasha, possono avere colori vari, anche se tutti chiari. E’ facile perdersi, soprattutto in questa parte, stretta e con negozi tutti simili, più volte si ripassa dagli stessi luoghi, nel dubbio prendere le vie in leggera discesa, mal che vada si torna alla Corniche. I prezzi che molti oggetti portano sono elevatissimi, in effetti i venditori chiedono di non guardarli, erano per i croceristi e gli affari li hanno già fatti, da quei prezzi si può considerare un terzo, per trattare fino ad un quarto, ed immagino che nonostante i loro piagnistei abbiano ancora una bella fetta di guadagno. Terminato lo shopping mi accomiato, ognuno riprende il proprio viaggio e sempre in bus, col percorso inverso rientro in hotel, peccato che dalla partenza dal suq all’ingresso all’hotel impieghi 100’ esatti, è già sera avanzata quando son pronto per cena, nei dintorni ci sono solo concessionarie d’auto e piccole paninoteche, così opto nuovamente per il ristorante iraniano dove far scorta di cibo.
Un wadi tra i Monti Hajar
17° giorno
Anticipo la colazione così da non dovermi accontentare di modeste rimanenze, poi una volta accordato con la reception per poter utilizzare la camera anche dopo il check-out delle 12 parto a piedi in una mattinata decisamente calda per vedermi con più tranquillità la vicina Grande Moschea, facendo però prima tappa nel mezzo del Wadi Al Udahiba in questa esatta posizione (23.589110, 58.387398) dove si trova un’incredibile playground cestistico con tanto di gommapiuma a protezione dei sostegni, illuminazione, tavolo per i commissari di campo costruito con pallet e panchine costituite da un’asse incastrate nei sassi che formano l’argine del wadi, che data la costruzione mai sarà percorso dall’acqua. Passato l’atto di devozione nei confronti di questa struttura, invece di riprendere la strada, i ponti ed i complessi attraversamenti dell’autostrada 1 dedicata all’ancora in vita (per pochi giorni) Sultan Qaboos, risalgo il wadi sotto i ponti e dalla parte est dell’argine incontro una scalinata naturale che mi porta proprio a ridosso della Grande Moschea, dal lato nord che non ho visto all’arrivo, dominato da un giardino colorato enorme. L’ingresso però non è da questa facciata, solo uscita, occorre entrare dal lato est, poi con grande calma mi visito l’enorme complesso che sarebbe la gioia di ogni architetto con libertà di budget infinita. Sempre visitatissima, anche se meno rispetto al mio primo passaggio, dedico tempo all’ultima vera e propria visita omanita, poi a piedi rientro in hotel (3km) per una doccia e sistemazione-ritiro zaino, quando nel frattempo i miei amici giungono qui dall’escursione all’isola Damanayat. Chi vuole ha tempo per un veloce pranzo all’attiguo Irani House Rest., dopo è già il momento di predisporre il rientro, all’aeroporto ci accompagna ancora Alì per gli ultimi 11km su terra Oman. Congedo dalla nostra amata guida e poi in aeroporto pratiche per cambio della valuta rimasta (in $ un cambio leggermente migliore rispetto agli €), check-in velocissimo anche senza averlo fatto on-line, controlli ancora più veloci e così aumenta l’attesa al gate. Per connettersi al wi-fi dell’aeroporto, gratuito per tutto il tempo desiderato, occorre la scansione del passaporto. Il volo EK con enorme Airbus A380 dura 1h considerando gli spostamenti a terra, in pratica circa 40’ di volo, riescono comunque a servirci uno spuntino, aiutati dal fatto che in larga parte è vuoto, partenza ed arrivo puntuali, di nuovo passaggio in aeroporto direttamente dal finger. L’attesa a Dubai è lunga, c’è il wi-fi, ci sono svariati ristoranti e ci sono anche comode poltrone che fanno quasi da letto, anche se occorre arrivarci abbastanza presto nella serata, altrimenti di notte sono da tutto esaurito. Ne approfitto per circa 2h di riposo, poi lo stomaco reclama, per evitare file o costi assurdi preferisco un banale McDonald’s dove scelgo un kit non meglio identificato (38dirham, pari a 9,8€) quasi di fronte ad un’area che stanno attrezzando con 2 canestri per renderla un intrattenimento ancora maggiore (nota per Luca Drago di passaggio sovente da qui, esibisci il tuo grande passato da Navile Basket, che magari ti naturalizzano per la nazionale degli Emirati!)
Muscat, nel suq di Mutrah
18° giorno
E’ ancora notte quando il volo EK per Milano con Boeing 777 è pronto per l’imbarco (6:20 durata totale del volo) al completo, subito è servito un kitkat con bibite, niente kit confort ma tempo per riposarsi (chi vuole può come al solito dilettarsi con l’intrattenimento a disposizione sullo schermo personale od utilizzarlo per connettere i propri device) fino ad un’abbondante colazione con pure arrivo in anticipo a Malpensa, controlli celeri compreso il ritiro dello zaino. Esco dall’aeroporto per cercare lo shuttle di TerraVision avendo il biglietto per il ritorno verso la stazione centrale (60’, anche di prima mattina il traffico è consistente) da dove con un treno Italo (il primo in partenza) arrivo a Bologna (72’ puntuali, 42,9€) in una mattina fredda ma nemmeno poi tanto, meglio così visto lo sbalzo termico da Muscat, non di poco conto.
Tra le dune del Rub Al Khali
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