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Arabia Saudita


Elephant Rock, a nord-est di Al Ula


2 note di commento

Il viaggio si è svolto alla fine dell’anno, temperature miti nel nord e a Riyadh (6/8 minima, 20 massima) tranne a Jeddah (25/33), giornate terse e sole costante fino alle 18, con rapido tramonto. L’Arabia Saudita ha aperto al turismo ad inizio 2020, chiudendo dopo 2 mesi per pandemia da Covid19, riaprendo ad ottobre 2022, quindi non tutto è già rodato, visto questo ci siamo organizzati con corrispondenti sul posto, e nonostante ciò alcuni accessi a siti o musei rimangono complicati e sempre in dubbio, col governo che chiude o apre a piacimento. Ma forse questa è una delle cose che rendono il viaggio una piccola esplorazione. Per entrare serve il visto, ottenibile on-line senza necessità di spedire nulla (118€), in epoca covid vanno registrate le vaccinazioni sul sito www.muqeem.sa oltre al visto, un’infinità di dati, voli e così via. Lì apparirà un codice fondamentale per entrare, il tutto quando si ha l’esito del tampone molecolare che deve essere effettuato entro le 72 ore dalla partenza dell’aereo che entra in Arabia, quindi in caso di scalo non quello con cui si parte dall’Italia. Inoltre va scaricata l’app Tawakkalna, funzionante una volta sul luogo. Si hanno 12 ore per registrarsi una volta entrati, si riceve un sms con un codice e si procede alla registrazione, l’app è fondamentale in ogni spostamento, tiene la mappatura di ogni spostamento e segnala la propria situazione, sperate di trovarla sempre verde. E’ connessa via gps, ma una volta al giorno occorre aggiornarla collegandosi in rete. Sembrano tante cose da fare, lo sono, ma in realtà è tutto molto veloce e semplice. Telefoni, la rete c’è, ma è fuori da molte convenzioni di roaming, per parlare sul posto (accessi, guide, taxi e così via) meglio acquistare una sim locale, con 100r si hanno già svariati minuti e almeno 10gb di traffico dati. Il wi-fi c’è in ogni struttura alberghiera, hotel o appartamenti, anche se in uno di questi l’accesso era limitato a 4 dispostivi per volta. Ma pure nei ristoranti non troppo local s’incontra. Un € valeva 4,2 rial al momento del mio ingresso, ho cambiato il minimo in aeroporto, con carta di credito si acquista di tutto, anche ai mercati. I costi riportati sono a persona quando non specificato, tutto si paga in moneta locale, rial, niente in valute estere. Il fuso orario è 2h avanti rispetto all’Italia. Le distanze tra i vari luoghi sono importanti, noi avevamo deciso di avvalerci di autisti locali coi loro mezzi, in parte guide, ma nei luoghi più importanti avevamo fissato visite guidate vere e proprie, in alcuni casi sono obbligatorie. Le strade sono ottime, in città trafficate, dove tutti guidano in stile GP da F1, fuori in pratica distese di catrame nel deserto con zero traffico, del resto loro non si spostano per turismo e i turisti sono ancora rarissimi, soprattutto in zone come Tabuk. Causa spostamenti di migliaia di km, abbiamo effettuato un volo interno e una tratta in treno, chiamata alta velocità araba, ma non così veloce. La lingua ufficiale è ovviamente l’arabo, l’inglese è parlato dalle guide e da qualche autista, come negli hotel e nei musei nelle grandi città, fuori da qui può essere un problema e la traduzione della guida fondamentale. Ma grossi problemi ad oggi, non potendo andare ovunque, non se ne incontrano. Dal punto di vista della sicurezza direi che sia uno dei luoghi più sicuri dove abbia messo piede, i sauditi (che raramente lavorano, quello lo fanno i milioni di expa presenti) sono curiosi e gentilissimi, può capitare che paghino loro per voi al supermarket, nei bar, in pasticceria, la curiosità nel confrontarsi coi primi stranieri elevatissima, vale anche per le donne che pian piano si stanno affacciando alla vita sociale, molte lavorano come guide in musei o siti vari (forse le sole saudite che lavorano…). Il costo della vita è contenuto, i prezzi dei ristoranti variano ma spesso il conto è minore di quanto si possa conteggiare, anche lì immagino la gentilezza si faccia notare. Nei ristoranti “local”, da noi amati e frequentati, il problema dell’ordinazione può esserci, ma non scoraggiatevi, nessuno ci ha mai mandato via della cucina, scegliendo assieme cosa mangiare. Una cucina non così varia ma nemmeno male, con tante piccole specialità da provare. In ogni caso supermercati ovunque dove trovare qualsiasi prodotto occidentale, se proprio non si esce dal proprio tunnel personale. La benzina costa circa 2,2r al litro, poco per noi, ma date le vetture con cui si spostano (di regola grandi pick-up o suv giganteschi) alla fine non c’è grande risparmio, avendo deciso di prendere gli spostamenti con autista (nei deserti e nei wadi altrimenti si fa complessa) ci ha evitato questa spesa. Una bottiglietta di acqua minerale da 0,5lt costa 1r, pare incredibile un prezzo così ridotto nel deserto, mentre per gli amanti dell’alcol meglio mettersi il cuore in pace, non si trova. Il caffè arabo (in pratica una sorta di tè al cardamomo e zafferano) è offerto ovunque, nei musei o in siti da visitare alla reception anche l’acqua, come i datteri, che si trovano in una trentina si specie diverse e pure in elaboratissimi dolci. Nel momento del mio viaggio la situazione covid19 in Arabia era ben differente da quella italiana, con circa 1000 casi al giorno, in un luogo dove si vive prettamente all’esterno (ora, da marzo/aprile diventerà difficile causa temperatura elevate), quasi dimenticato, nonostante il fatto che superati i 1000 casi al giorno abbiano imposto l’obbligo della mascherina all’esterno, obbligo rispettato nei mercati, mai nei deserti. Naturalmente accesso ad ogni struttura sempre presentando l’app, anche se come turisti, passati i primi non sempre a tutti era richiesta, dando per scontato che senza non avremmo avuto accesso allo stato, e se uno fosse stato positivo lo sarebbero stati anche gli altri. I nomi riportati sono presi dalla guida LP, da quanto recuperato scritto in inglese, da traduzioni on line e da traslitterazioni di guide del luogo, nomi che non sempre sono riportati nella stessa maniera, oppure luoghi noti con un nome da noi in occidente (Madain Saleh), qui chiamati in altro modo (Hegra).


Nel cuore di Al Balad, antico quartiere ottomano di Jeddah


1° giorno

Parto di notte in auto per Fiumicino, raggiungo il parcheggio di ParkingWay prenotato tramite Parkos (23€ x 12gg, pagamento al rientro) da dove in navetta mi accompagnano l’aeroporto (5’), compreso nel prezzo. Alle 5 di mattina del 26 dicembre il traffico è inesistente, potevo pure prenderla con più calma, ma poco male, oltre 3h prima il check-in della Qatar apre. Nonostante il check-in on-line, le pratiche prendono tempo, molto, prima di accedervi c’è il controllo dei tanti documenti, l’addetto è pure sorpreso dal fatto che vada per turismo e presenti un visto, appunto, turistico. Passato quel primo controllo che prevede il calcolo preciso delle ore antecedenti il volo d’ingresso dal tampone molecolare (eseguito a Bologna il 24/12, esito in inglese riportante il n° di passaporto, per 97€ con risposta in 4h), non mi chiedono il Green Pass, accedo al check-in, fortunatamente le persone sono poche, occorre tempo per registrare il tutto, come se il check-in che avevo fatto in precedenza a poco servisse. Sorpassata questa burocrazia i controlli si susseguono veloci, passaporto e persona, quasi nessuno in fila. Il volo per Doha è a bordo di un Boeing 787 con più posti liberi, a fianco non ho nessuno e si sta comodi. 4500km in circa 5h, servito prima uno snack con bibite (su questo volo gli alcolici ci sono), a seguire il pranzo vero e proprio. In aereo ci sono wi-fi (non provato), film, giochi e ogni cosa un moderno volo mette regolarmente a disposizione, il tempo passa in fretta. A Doha il cambio è velocissimo, 50’ in tutto, ma i controlli sono rapidi, lo spostamento idem e si riesce ad imbarcarsi senza problemi, magari qualche dubbio sui bagagli al seguito. Il volo è sempre QA, 1.600km in 2:40 destinazione Jeddah, arriviamo dopo che ci hanno servito la cena, questa volta nessun alcolico ad accompagnare il cibo. Entrati in aeroporto il primo controllo è per il tampone molecolare, serve copia stampata sulla quale viene apposto un adesivo per un codice che servirà all’ufficio immigrazione, pratica veloce. All’immigrazione idem, tutto molto rapido (provenendo dal Qatar nessun eventuale problema di registrazione, che invece cadrà su chi passa dall’Egitto per un errore dell’addetta all’immigrazione, questo comporterà un tampone ogni 2gg), è apposto un timbro ed un codice sul passaporto (quest’ultimo fondamentale per l’uscita) e presa una foto (comparirà sull’app Tawakkalna), i bagagli stanno già girando sul nastro trasportatore, in Qatar hanno fatto il miracolo in pochissimo tempo. Usciti da qui tempo per incontrarci col corrispondente, cambiare un po’ di soldi, prendere qualche sim locale (optiamo per Zion, 100r per 500’ di telefonate e 10gb di dati in un mese), in fila i pochi turisti e i gruppi di meccanici della Dakar che a breve partirà proprio da Jeddah. In van (30’) raggiungiamo in tarda serata l’hotel prenotato in anticipo, Ramada (380r in camera doppia con a disposizione acqua, tè e caffè, colazione a buffet infinito, wi-fi) che qua è un hotel qualunque, a me pare una struttura al top dei mie trascorsi. L’addetto alla reception non particolarmente veloce, qualche problema nel controllare passaporti e prenotazioni, tempo per registrarsi su Tawakkalna (il wi-fi funziona ottimamente, variando rete da piano a piano) dove compare già la mia foto ed il verde, sono a posto. La schermata che da il via libera non è fotografabile, o meglio si può fare ma il colore che identifica l’immunità non compare, furbi questi sauditi. E’ già tempo di salire in camera e riposarsi, giusto il tempo di testare la grande ed ottima doccia e pensare che fuori prima di mezzanotte ci siano ancora oltre 20°.


Ingresso del suq, Jeddah


2° giorno

Colazione in hotel, come da antico insegnamento di Sam, a buffet bisogna guadagnarci, così mi metto di lena buona, poi con un Uber (25r, qui è utilizzatissimo, in realtà non più economico di taxi ufficiali ma prenotabile con app mentre chiamare i taxi è più complesso) andiamo al museo Al Tayabat (80r, ridotti a 60r per gruppi anche piccoli) dove iniziamo a farci un’idea della storia araba, da ben prima dell’insediamento dell’islam ai giorni nostri. L’esposizione è suddivisa per epoche e aree dell’Arabia, interessante ma perfino eccessiva come raccolta, tutto quanto esposto ha descrizioni in arabo e inglese, l’addetto è di origine eritrea, e finiamo per parlare in lungo e largo di quella martoriata terra, pure stranito dal fatto che qualche anno fa ci sia stato in viaggio, lui che da oltre 28 anni non ci mette più piede. Per terminare la visita, un salto all’attigua moschea con ingresso dall’esterno, dall’interno del museo accesso alla parte femminile. Da qui con un altro Uber (50r) raggiungiamo il centro storico della città, Al Balad, ora in parte in ristrutturazione ed in parte ancora in rovina, ma molto caratteristico con tipiche costruzioni ottomane di corallo, terrazze e bovindo di legno, quando non intere costruzioni in legno. Dalla porta a sud, Bab Sharif City Gate, si passa dal suq, che prenderà vita in seguito, ora ci sono alcune bancarelle di frutta e verdura, donne che decorano con l’henné bellezze locali e gente comodamente sdraiata a sorbire tè, prettamente i sauditi che un tempo vivevano qui ma che ora stanno in grandi ville fuori città e rientrano per incontrare gli amici. Nel primo pomeriggio i negozi, non solo quelli nel suq, sono chiusi, è il momento migliore per girarsi il quartiere in tranquillità ed ammirare le costruzioni, disseminate di piccole vere e proprie perle, magnifiche nella loro decadenza, mentre alcuni restauri paiono un po’ troppo figli d’imbianchini e non di archeologi. Ma un giorno qui sarà tutto rifatto, come nell’attiguo quartiere popolare, già fatto sgombrare e prossimo ad essere abbattuto per ricostruire una città moderna, a Jeddah sta già prendendo forma il grattacielo più alto del mondo, un km verso il cielo, follia architettonica in riva al mare, in cerca di concorrenza con Dubai, anche se ad oggi siamo molto ma molto indietro anche rispetto a Riyadh. In una sorta di casa caratteristica con caffè proprio in cima a questa sorta di museo, sorge una bella caffetteria, Med Café & roastery, situata all’estremo nord del quartiere, lì riposiamo in una calda giornata con un flebile vento che arriva dal 40th lake attiguo, propaggine del mare. Luogo frequentato da molte donne del luogo, curiose del nostro essere qui presenti, capiamo subito che non hanno certo timore di confrontarsi con estranei, ma anzi son loro che vogliono sapere perché e come mai siamo qui, nessun problema con foto, anzi pure richieste. Il nuovo corso saudita, pare essere molto apprezzato (ci mancherebbe, prima non potevano nemmeno uscire da sole, ora possono lavorare e andarsene per negozi, sorvoliamo sulla democrazia e sulla fine del giornalista Kashoggi), e in piccola parte noi ora ne facciamo parte. Continuiamo la perlustrazione con la visita alla Matbouli House Museum (10r), abitazione tipica in perfetto stato, mentre la più celebre Naseef House al momento non è visitabile ma visibile solo dall’esterno, anche questa conservata in perfetto stato. Il suq si anima, come le vie attigue, par di essere in una città stravolta, alla forte luce del sole ora rispondono le luci dei negozi, col suq che “parla” a voce intensa. Per cena scegliamo un ristorante sulla celebre Corniche, proprio di fronte alla gigantesca fontana di re Fahad, un getto di oltre 260 metri che fa bella mostra di se alla sera e di notte nel mare. Prima di questo spettacolo, spazio al ristorante Saedi Fish, sorta di enorme rivendita ittica, dove si può scegliere il tipo di pesce preferito (e fare succulenti mix) decidendone la cottura, tutto molto bello, ma soprattutto delizioso (78r, la delizia ha il suo prezzo, compreso il fatto di essere in uno dei luoghi più attrattivi dell’Arabia). Terminata la cena (hummus e verdure offerte, acqua e pane a profusione), attraversiamo la Corniche e dal parco si può immortalare il getto della fontana illuminato di bianco freddo, nel parco più persone a far serata, coppie in dolce nottata e ragazze sole in lettura, del resto ci dicono come Jeddah sia la città più aperta e cosmopolita dello stato. Rientriamo fermando un taxi lungo la Corniche, ce ne sono parecchi, come in tutto il mondo se con insegna accesa si possono fermare, non come in tutto il mondo saliamo anche in 5 in un taxi non proprio enorme. 25r per rientrare in hotel, tariffe ridottissime vista anche la disponibilità a caricare più persone. La prima giornata è andata, calda e con tante sorprese, una gentilezza profusa in ogni dove che ammalia e ci rende già di casa.


Le tombe rupestri di Madyan (Mugha’ir Shu’ayb)

3° giorno

Sveglia ben prima dell’alba, in taxi (25r, 10’) in una Jeddah deserta raggiungiamo il Fish Central Market, aperto a quest’ora per l’arrivo del pescato e relativa asta. Si entra gratuitamente con presentazione app Takabanda (come l’inizio a denominare io), prima del sorgere del sole la parte viva è quella a nord dove avviene l’asta all’ingrosso. Tutti molto ordinati gli addetti, contraddistinti da pettorine gialle, qui si compra a casse intere ogni tipologia ittica, anche pesci dai colori incredibili. Tra questa parte ed il mercato al pubblico si trova la parte in cui all’asta sono battuti i singoli pesci, questa parte è riservata ai ristoratori ed alle pescherie, più interessante per l’esposizione di ogni pesce. Questi vengono lanciati su di una piattaforma e con uno spazzolone spostati verso chi rilancia per la presa finale. Pian piano anche il mercato vero e proprio si sveglia, i venditori approntano i propri banchi tra montagne di ghiaccio, a Jeddah già di mattina la temperatura tende a salire. Una splendida alba che colora lo skyline della città annuncia il nostro rientro, il clou del mercato è terminato. Sempre in taxi (20r) rientriamo in hotel per la solita infinita colazione, e poi caricati i bagagli partiamo alla scoperta della Corniche, il lunghissimo lungomare che qualche settimana prima aveva fatto da circuito per il GP di F1. Il cielo, spazzata via una bella alba, si è coperto, la vista dalla Corniche dice poco, facciamo tappa in due luoghi ove scorgere opere d’arte di scultori celebri, da Moore a Mirò, da Pomodoro a Baldaccini. Il primo luogo ad Al Hamra, è in una baia interna, dire poco fascinosa è un complimento, forse le opere d’arte servono proprio a fare da richiamo a questa parte di Corniche che 200 metri a sud presenta la grande e nuova moschea Hessan Enamy. In 45’ c’è modo di vedersi il tutto in lungo e largo, proseguiamo per un’altra destinazione “artistica”, le 4 lanterne di Julio Lafuente nella zona di Al Andalus.. Trovarle non è un problema, si tratta appunto di 4 gigantesche lanterne che s’ispirano alle lanterne contenute presso la Mamluk Mosque al Cairo. Il problema è dove fermarsi per arrivarci, troviamo una deviazione chiusa per lavori sulla Corniche, stoppiamo l’autista e percorrendo a piedi l’area verde centrale, arriviamo così presso le lanterne, maniera poco consona agli usi del posto. Il luogo pare in forte decadenza, il fondo semi distrutto, i colori spenti dalle nuvole non donano, così ritorniamo sui nostri passi, dove c’imbattiamo in un addetto alla sicurezza che sta dicendone di ogni all’autista. Dal poco inglese che parla capiamo che non è permesso fermarsi, ma soprattutto non vogliono che lo si faccia per 2 motivi : il monumento è in cattive condizioni e non vogliono che si veda così, oltre al fatto che dietro a questo, verso il mare, sorge una caserma dell’aviazione. Spergiuriamo di non aver fotografato nulla se non le lanterne, mostriamo qualche foto, l’autista ci prega di riconfermare il tutto, ha una paura enorme di doverne pagare conseguenza, alla fine, dopo un lungo conciliabolo riusciamo a ripartire senza “danni collaterali”. Vista la situazione in cui versano le 4 lanterne, direi che si possa saltare la sosta senza perdere nulla. Abbiamo tempo a disposizione prima di recarci all’aeroporto, chiediamo di visitare la zona indiana di Jeddah, che si trova all’estremità opposta. Arriviamo dopo 40’, ma trovarla un rebus. Nessuno ne sa nulla nel dettaglio, le indicazioni ricevute vaghe, alla fine identifichiamo il luogo anche per le ruspe che spazzano via caseggiati e palazzi. L’area è in ristrutturazione, dell’antico quartiere indiano resta qualche negozio di stoffe e poco altro, mentre la popolazione locale imbraccia cellulari a profusione per filmarci, curiosissimi di vedere stranieri in un’area così poco, anzi per nulla, turistica. Qui però qualche bottega per cibo di strada s’incontra, chi non volesse attendere il cibo dell’aeroporto e del volo può mettersi avanti a prezzi economicissimi. Sempre col pulmino (150r l’ora, direi che possa portare fino a 25 persone) raggiungiamo l’aeroporto dove ci attende il volo Saudia per Tabuk. Si entra mostrando l’app Taka, check-in on-line effettuato il giorno precedente, pratiche veloci, più complesse quelle al metal detector, non mi era mai capitato di dover togliere pure gli occhiali, ai più (ma rarissimi i casi agli stranieri) controllo bagaglio dopo il passaggio, molta l’attenzione. Il volo è in leggero ritardo, 1:30 la durata dove ci servono sandwich e bibite, all’arrivo ritiro bagagli praticamente immediato. In taxi (100r, 12km) a velocità buona per sorpassare Verstappen e Hamilton ci dirigiamo presso Al Saraya Building (380r per appartamento da 4 persone, lavasciuga, colazione light alla reception, wi-fi, acqua, caffè, tè e succhi disponibili). Per arrivarci il taxista evitava i semafori rossi passando nel controviale adibito a parcheggio, schivando auto in manovra per distanze misurabili solo con calibri di precisione, modo di guidare notato come standard da tutti i taxisti della zona. Preso possesso dell’appartamento è tempo di cena, perlustriamo i dintorni, siamo in ora di preghiera ed alcuni locali sono momentaneamente chiusi, troviamo un posto aperto denominato Foul-Sah (traduzione da google, non avevano menù, biglietti da visita o altro) e non ce lo facciamo scappare. Si trattano le portate direttamente in cucina, nessuno parla una parola d’inglese, ma ci capiamo alla grande, un assaggio di tutto, verdure a profusione, insomma, un successo, terminato con mille foto da parte loro e ringraziamenti a interminabili per questi operatori gastronomici provenienti dal Pakistan. Non riusciamo certo a terminare tutto, un vero peccato, ma chi sapeva che le porzioni fossero oltre l’abbondante? Spesa di 19r, yogurt per la colazione dell’indomani ovviamente offerto. Non c’è caffè, se proprio vogliamo segnare qualcosa di negativo. Non male il benvenuto a Tabuk, dove la temperatura rispetto a Jeddah precipita verso sera, ci saranno almeno 15 gradi in meno. Presso la reception degli appartamenti (da capire quale sia la differenza rispetto ad un hotel, vabbè) a disposizione tè, caffè arabo (con cardamomo e zafferano) e succhi di frutta. Per un caffè vero e proprio, occorre chiedere agli addetti che prontamente ci riforniscono di Nescafe.


Atterraggio in spiaggia, aereo Catalina

4° giorno

Colazione leggera recuperando alla reception brioche confezionate, succhi e caffè, oltre a qualcosa portato da casa e consumato nella grande cucina a disposizione in appartamento, poi si parte, è tempo di deserto. In grandi e comodissime jeep partiamo verso nord percorrendo la grande via che porta diretta in Giordania, si prende a sx entrando a Bir Ibn Hirmas facendo tappa dopo circa 210 dalla partenza a Zeita. Il luogo, facente già parte dell’Hisma Valley (Hisma significa numerose formazioni rocciose più che una singola montagna) è caratterizzato da deserto rosso e formazioni rocciose con incisioni rupestri antichissime, scritte ma soprattutto disegni di animali che un tempo abitavano la valle. Poi si prosegue verso la meta principale della giornata, l’antica città di Madyan nel complesso di Al Bad’ (chiamato anche Mugha’ir Shu’ayb), abitata a suo tempo dai madianiti, popolazione della quale ad oggi ancora poco si sa, risalenti al II millennio a.c. Lasciati i mezzi al visitor center dove si possono avere molte informazioni sulla storia del luogo e degli antichi abitanti, si sale al complesso funerario, le prime tombe scavate nella roccia. Si trovano su entrambi i versanti della vallata, quelle sulla dx molto più fotogeniche, una volta saliti si può entrare per vederne l’architettura e l’utilizzo che ne era fatto. Già questa una forte impressione, scendendo e salendo sulla collina a sx se ne vedono numerose, il clima è perfetto, caldo ma non eccessivo, ideale per girarsi in libertà il luogo. L’antica città era in posizione strategica, tra Petra ed Hegra, vicino al Mar Rosso, attraversata da un wadi, tutto per essere tappa carovaniera imperdibile, le splendide tombe lo stanno ancora a testimoniare, oltre al fatto che sono (ancora per quanto?) le uniche visitabili senza turisti al seguito. Terminata la visita, veloce passaggio al Pozzo di Mosè (leggenda narra come questi siano i luoghi dove Mosè approdò attraversato il Mar Rosso), dalla parte opposta della cittadina, visita evocativa che riporta a tempi andati, quello che si può rimirare ora dice poco. Lungo la via, B746, sosta per recuperare cibo del pranzo, che consumeremo una volta giunti a Magna, sul mar Rosso, anche se il luogo prescelto è un’oasi senza vista sul mare e sul bel promontorio che sovrasta la città. Così a piedi raggiungo il centro città, completamente deserto, e mi avventuro su di una collinetta per avere la vista migliore che vola fino al mare. Siamo nel Golfo di Aqaba, ma di villeggianti al mare non c’è traccia, la temperatura è buona, giusto il vento a rendere meno intenso il sole, ma qui non siamo ancora da resort con ombrelloni, snorkeling e via così. Da qui, lungo la via costiera, in parte asfaltata, in parte su sabbia, scendiamo a sud, incontrando formazioni rocciose che fanno bella mostra di se sul blu intenso del mare, svetta l’Elephant Rock, una sorta di grande onda rocciosa che dalla strada pare appunto un elefante. Giunti in prossimità di congiunzione con la strada 392 proseguiamo fino al termine della terra dove staziona come uno scheletro abbandonato l’aeroplano Catalina, un aereo americano fatto atterrare a forza qui e lasciato a imperitura memoria come errore di navigazione da non ripetere. La coda è staccata tra le dune, tutto il resto regala un’immagine forte del luogo, si può entrare tra la fusoliera, come all’interno di un gioco postmoderno, l’ambientazione tra deserto e mare rende il tutto magico. Siamo molto lontani da Tabuk, iniziamo il lungo rientro con sosta lungo il cammino a rimirare il tramonto da una grande duna sabbiosa. Il sole velocemente s’inabissa regalandoci la vista della palla gialla che si allarga ai suoi piedi per sparire tra sabbia e acqua. Giungiamo col buio a Tabuk, la giornata è stata di grandi trasferimenti, percorsi 573km, non pochi anche se la maggior parte su strade ampie, ben tenute e senza traffico. Visti i tempi andiamo direttamente a cena, optando per lo Swing Rest. (38r), che sorge al secondo piano sopra all’omonimo Caffè, raggiungibile solo con ascensore a vetri e presentazione app Taka. Ottima cena, portate abbondanti, wi-fi a disposizione, ma una parte è aperta ai fumatori e può disturbare. Rientriamo con le jeep agli appartamenti, per riprovare la doccia, quanto mai opportuna dopo lunga giornata, soprattutto per i tanti km percorsi.


Il Grande Arco dell'Himsa Valley


5° giorno

Colazione sulla falsariga di quella del giorno precedente (a cui aggiungiamo qualche dolcetto portato da casa per scambiarci golosità territoriali), poi via in jeep a scoprire la vera e propria Hisma Valley percorrendo la B874 verso ovest. La prima sosta è lungo la strada in zona rocciosa con deserto rosso, luogo contraddistinto da un grande dipinto di Re Fuad, il posto è definito proprio come “disegno del re”, a circa 70km da Tabuk. Si può entrare a piedi in quest’area che sale in una valle che pian piano si chiude tra dune crescenti, la tendenza sarebbe di camminare a lungo, ma di luoghi da visitare ce ne sono molti, quindi dopo 45’ proseguiamo. Prossima meta Jabel Al Safina, enorme roccia conosciuta come La Nave, distante circa 80km da Tabuk. Sulla grande roccia, bella da vedere anche solo per la formazione e l’ambientazione desertica, ci sono graffiti rupestri, il tutto sorge in area protetta senza però nessuno a presidiarne l’accesso. Da qui lasciamo la via per entrare nel deserto, come meta la Grotta del Faraone (probabile che di questi siq ve ne siano numerosi col medesimo nome) che si raggiunge dopo bei passaggi tra dune avvicinando le formazioni rocciose che hanno reso celebre l’Hisma Valley. Le jeep si devono fermare all’ingresso, a piedi si procede tra stretti canyon e qualche zona di respiro, poi pian piano i passaggi si fan sempre più stretti, accorre inarcarsi tra pareti alte oltre 100 metri, entrare di fianco e contorcersi, ovviamente uno per volta. Arrivati alla penultima apertura, con temperatura che sale ad ogni passo, per accedere all’ultima stanza, c’è solo un passaggio a terra in cui si striscia per circa 4 metri, lasciando zaini e quanto altro, altrimenti non c’è spazio. Così si arriva al termine di questa “tortura”, la vista all’indietro non si addice a chi soffre di claustrofobia, tenendo pure conto del fatto che se si volesse improvvisamente tornare sui propri passi lo si può fare solo se nessuno sta arrivando, non c’è il minimo spazio per muoversi negli stretti pertugi. Bello ed emozionante, ma va detto chiaramente, non per tutti. In queste ultime “sale naturali” almeno non c’è spazzatura, che invece altrove si trova in maniera eccessivamente copiosa, un vero peccato. Ritornati all’inizio del canyon, o grotta, tempo per rifocillarsi con quanto recuperato in precedenza, presso ogni distributore di benzina non mancano supermercati e negozi di generi alimentari pronti. Bello però è vagare indisturbati nel nulla tra dune e rocce in questa Plateau com’è anche chiamato. Una guida mi dice che il posto è chiamato anche Montagne di Giobbe, ma non garantisco sulla traduzione. Riprendiamo le jeep e tagliamo il Plateau in direzione del Piccolo Arco, che fa bella mostra di se nel bel mezzo del deserto, anticipo di quanto vedremo in seguito, ma se le dimensioni di quest’arco non sono impressionanti, la collocazione ed i colori giocano a suo favore. Da qui altro trasferimento sempre su piste desertiche, o meglio seguendo tracce precedenti al tempio Sumero, dove rimirare incisioni rupestri preislamiche, risalenti a 4000 anni fa. La chicca della giornata è lasciata come ultima tappa, ovvero il Grande Arco di Hisma, non distante da qua. Raggiunto il parcheggio, nei pressi del quale si trova un piccolo cimitero islamico, si sale a piedi per 10’, a metà piccola deviazione per vederlo dal versante basso, vista meno spettacolare. Si segue il percorso e si prende una deviazione segnalata sulla sx, volendo si può continuare per arrivare nell’area di Algtaar dove la vista spazia senza limiti su enormi rocce che paiono montagne dalle formazioni immaginifiche (per me una è l’immagine in scala minore ma non troppo dell’Australia). Ritornando al sentiero originale, nel giro di breve si scorge l’arco e pian piano la grandiosa vista sulle montagne circostanti. Peccato che una nuvola fantozziana oscuri il sole e renda i colori meno intensi, lo spettacolo rimane in ogni caso notevole. Ovviamente ognuno vorrà immortalare arco e vista sulle montagne nella maniera più personale possibile, la sosta è prevedibilmente lunga, oltre ad essere l’ultima della giornata, quindi senza fretta. Riprendiamo la via di casa, o meglio di Tabuk, dove giungiamo verso il tramonto, 247km dalla partenza, in tempo per una tonificante doccia. Il tempo da dedicare all’Hisma Valley è terminato, ad identificazione del luogo aggiungo che questo deserto è in terra saudita la continuazione o la parte iniziale di quello che in Giordania è chiamato Wadi Rum, più celebre e conosciuto poiché quello stato si è aperto al turismo con decenni di anticipo. Ma se possibile perfino più affascinate, perché più vario e ancora misterioso. Per cena, a piedi, prendiamo a sx dagli appartamenti a differenza del primo giorno, da questo lato, attraversata la grande arteria stradale grazie ad un ponte pedonale sopraelevato, c’imbattiamo in una sorta di grande centro commerciale pieno di ristoranti di alto livello. Ne scegliamo uno a caso, Top Grill (50r, acqua offerta) livello perfino troppo elevato, dal scegliere il cibo in cucina coi cuochi, passiamo ad un menù da QR code e wi-fi a disposizione, qualità ottima e abbondante, deve essere uno standard saudita il fatto di ingozzare con ogni portata gli astanti. Al rientro presso un piccolo supermercato acquisto 2 bottigliette di acqua per 2r, circa 0,25€ cadauna, nel deserto mi sembra un affarone. Fa fresco di sera inoltrata qui al nord, una felpa e un k-way non sono male.


Famiglia tradizionale al picnic nel Wadi Disah


6° giorno

Colazione in appartamento con quanto recuperato in negozio il giorno prima e qualche dolcetto da casa, tutto con ampio anticipo perché il trasferimento sarà lungo e incontreremo vari luoghi da vedere con attenzione. Appena fuori Tabuk presso un distributore di carburante scorta cibo per il giorno, poi via lungo la strada che porta a sud in un territorio montagnoso. Percorsi 117km la vista spazia sulla valle con un panorama senza fine, rocce lavorate dal vento che paiono tanti funghi giganteschi, poi si scende per entrare in questo luogo magico, al termine dell’asfalto si sgonfiano le gomme e via, si entra. Il Wadi Disah, o valle delle palme, è un lungo e tortuoso canyon che sia attraversa anche in jeep, percorso da più falde acquifere, pareti a strapiombo fino ad oltre 500 metri, in più posti nelle pozzanghere questi pinnacoli regalano riflessi favolosi. Ci sono luoghi ove fermarsi per belle camminate, magari incrociando alcuni locali a dorso di dromedario o asino, piccoli archi naturali molto scenografici tra rocce di un rosso fortissimo. Altre parti del canyon si percorrono risalendo il letto del fiume che oggi ha una buona portata d’acqua ma è fattibile, tra rami e vegetazione che segni decisi sulla carrozzeria li lasciano. Lo spettacolo è sempre più impressionante, siamo un nulla stretti tra queste pareti. Il Wadi Qaraqir, nome locale del canyon, si apre in alcuni posti dover fermarsi e far tappa per poter girare a piedi al meglio il wadi, ma pure per sostare al sole e rifocillarsi, nel nostro caso per tentare un approccio con una famiglia locale qui per il picnic. Marito, 2 mogli e 4 figlie, avanziamo con discrezione, comprendiamo che per loro sia qualcosa di anomalo, non siamo ricevuti dal padrone di casa con grande calore, ma presentandoci si familiarizza, una delle figlie parla un po’ d’inglese (appreso guardando serie e film su Netflix) e diviene il tramite col padre, col quale non ci si può esimere di confrontarci. Passato il primo approccio ci offrono di tutto, l’immancabile caffè arabo ed un numero infinito di dolci, dove la Ferrero svetta incontrastata leader con prodotti di ogni tipo. Noi non abbiamo praticamente nulla per contraccambiare se non una presenza per loro folkloristica, tanto che le ragazze son pur disposte a far foto assieme, anche se solo con altre donne, il padre apprezzerebbe poco con uomini, la diffidenza sotto sotto rimane. E’ comunque un bello spaccato di mondo remoto, qua tra le gole di un canyon fiabesco, loro provengono dai dintorni, il nostro citare Italia ha poco riscontro, se non che si trovi vicino a Parigi, per loro conosciuta soprattutto per una serie sempre su Netflix. Usciamo dal versante opposto dell’ingresso del wadi proprio dov’è situato il villaggio di Disah, che si connota per uno splendido campo da basket con vista canyon e per il miglior hamburger della zona, nonché l’unico mi sa. Gonfiate le gomme ci attende un lungo trasferimento fino ad Al Ula (circa 280km), il centro con più richiami storico-turistici dell’Arabia. La tratta è lunga, non facciamo soste per andare direttamente a rimirarci il tramonto alla Roccia dell’Elefante (Jabal Al Fil), gigantesca roccia di 52 metri che riproduce alla perfezione un elefante. Il luogo, 23km a nord est di Al Ula, è molto turistico, dal parcheggio si procede a piedi alla roccia, potendo passare a fianco oppure nella spaccatura tra corpo e proboscide. Nell’altro versante, ideale al tramonto, ci sono bar e tavolini incastonati in cerchi di sabbia scavati nel suolo, così da proteggere dal vento, molto ma molto turistico, ma pure molto bello. Godersi il tramonto con vista sulla roccia da qui ha un fascino notevole, magari non da isolamento desertico 100%, ma per una volta trattarsi bene con questa vista non è male. I bar possono servire ai tavoli, ma quasi tutti prendono al bar e si siedono, immancabile per i locali il narghilè, e naufragare fino al tramonto è bello in questo deserto. Per i fotografi più appassionati però una vista dal versante contro sole, che s’intaglia tra corpo e proboscide, può valere più di un drink, ed allora perché farci mancare anche questa immagine? Qui anche i locali paiono meno attenti ad usi e costumi, ci sono tante persone in vacanza tra gli expa che lavorano in Arabia, con loro scambiare opinioni sui posti visti è un piacere, un gruppo d’infermiere malesi fatica pure a credere che dall’Italia si sia scelto di passare la fine dell’anno nel deserto arabico, ma Al Ula val bene non solo una messa (che nel mio caso non c’è da decenni…) ma anche cenoni e feste mancate. Col sole già ampiamente nascosto arriviamo ad Al Ula per posizionarci negli appartamenti prenotati ad Al Subhi, camere enormi, ma sistemate male, con bagno non irreprensibile, lavandino in corridoio, cucina che necessita di una sistemazione, wi-fi operativo ma con solo 4 accessi contemporanei. Doccia veloce, poi a piedi raggiungiamo Old Town (Ad Deerah) che dista circa 4km, di sera è aperta (si entra esibendo l’app Tawa) la parte ristrutturata, nell’area formata da ristoranti all’aperto e botteghe tradizionali, per l’ultima serata dell’anno ci diamo al lusso del ristorante Nakheen, all’aperto ma dotato di grandi funghi che riscaldano, di sera la temperatura è buona se si cammina, fermi non proprio. Cena ottima, la più cara del viaggio (86r), ma dati contesto e giornata ci siamo fatti un regalo (che poi il cenone di fine anno nel bel mezzo di un luogo patrimonio Unesco a 20€ dove lo trovi?), finendo per farci un giro in questa “vasca” dove ricadono un po’ tutti gli stranieri presenti ed anche molti abitanti. La vera Old Town la visiteremo in seguito, rientriamo in hotel fermando un taxi proprio di fronte l’uscita nord, poche storie su quanti possano salire, 10r per arrivare a destinazione. La sveglia all’indomani chiama ore 5, la mezzanotte la passiamo già riposandoci dopo 585km in jeep oltre a quelli a piedi, immersi in paesaggi di potente bellezza.


Al Ula vista dalla fortezza di Musa Ibn Nusayr

7° giorno

Colazione in camera al salir del sole (presto, molto presto), poi in jeep raggiungiamo il visitor center dell’antica città di Dedan (o Dadan, 1.000 a.c.), imparando che non si può accedere in autonomia. Così ritorniamo in città presso il Winter Park, dove un pullman porta i visitatori già muniti di biglietto (60r, 1:30) all’ingresso. Burocrazia che si pensa inutile, forse in periodo di grande affollamento potrà avere un senso, al momento non pare. Sul pullman (da 50 posti) oltre a noi nessuno, il primo giorno dell’anno ai più piacerà dormire tra le fiabesche montagne che attorniano Al Ula. In 5’ siamo di nuovo all’ingresso, ora si può entrare, prima di spostarci nella parte storica ci vengono offerti il solito caffè arabo e bottigliette d’acqua, si possono recuperare info sul sito di Dedan, che da sempre controllava le carovane sulla via dell’incenso. Terminato l’apprendimento sulla storia dell’antichissimo insediamento è tempo di vederlo di persona, con la consegna dei binocoli, perché alle tombe scavate sotto l’imponente montagna al di là del palmeto non si accede. E così, la celebre tomba decorata con le sculture dei leoni la vediamo da lontano, sfoggio di teleobiettivi e binocoli, di mattina però l’area è in ombra, la vista ne risente e non poco. Qui non c’è altro da visitare, in pullman ci trasferiscono alla città vera e propria di Denan Nord, Mehlab Al-Naqa, ancora in larga parte da scavare. L’affioramento più importante è il bacino di pietra, chiamato anche bacino del cammello, perché narra la leggenda che il dromedario femmina di Saleh riempisse di latte tale conca. I resti dell’antichissima città al momento paiono come sassi e rocce, poco rimane intatto, lo scenario e l’effetto che colpisce maggiormente, col sole che pian piano inizia a dar luce alle rovine. Dal visitor center che s’incontra al termine di questa visita, ancora in pullman andiamo nel versante opposto, più a nord est, Jabel Ihkma, facente sempre parte di Dadan ma luogo completamente diverso. Anche lì attesa presso il visitor center, con pure spettacolo introduttivo di un artista/guida che narra la storia del luogo, conosciuto come biblioteca a cielo aperto di Dadan. A piedi raggiungiamo un canyon ben protetto tra le montagne dove ogni pietra o roccia porta iscrizioni, alcune veramente notevoli, vere e proprie opere d’arte. Iscrizioni risalenti a oltre 4.000 anni a.c. paiono tanto vecchie, ma più avanti ce ne saranno alcune che faranno passare queste come giovani. Il luogo merita, così come le iscrizioni, la guida è molto informata (ovviamente queste visite sono fattibili solo con guida ed altra collaboratrice al seguito che funge più da controllore che da guida, prenotando in largo anticipo) e recuperiamo tanti dati che completano la semplice vista, per noi altrimenti di difficile comprensione. Terminata questa visita, il pullman ci riporta al Winter Park, dove tentiamo di prendere un biglietto per vedere la Maraya Concert Hall, anche solo dall’esterno. Teatro celebre per essere una costruzione tutta di specchi nel mezzo del deserto, purtroppo accessibile solo in occasioni di eventi, al momento non previsti. Qui non è che si possa trattare un ingresso in via amichevole, non c’è concesso, proviamo comunque ad andare sul luogo, ma una sbarra la chiude e guardie armate ci invitano a tornare sui nostri passi, la Maraya CH rimarrà nella lista dei luoghi da recuperare, infinita. Decidiamo così di tornare all’ingresso di Dedan e rientrare ad Al Ula seguendo il sentiero che taglia la vecchia Old Town, quella fuori dal centro storico e non ancora ristrutturata. Però prima, son già passate le 10 di mattina, la vista sulle tombe di Dedan, compresa quella dei leoni, è baciata dal sole e regala una vista completamente diversa, splendida anche se sempre da lontano. Il percorso taglia la città vecchia attraverso un grande palmento, le vecchie costruzioni di fango sono in larga parte fatiscenti ma conservano un fascino non indifferente, a loro modo forse pure superiore a quelle che vedremo dopo già sistemate. Il sentiero, circa 3km, è pianeggiante e in larga parte all’ombra, ottimo per staccare dai tanti spostamenti in jeep, non incontriamo nessuno, impossibile perdersi, si sbuca proprio di fronte alla fortezza di Musa Ibn Nusayr, a cui saliremo in seguito durante la visita alla città vecchia. Ora tempo per un hotdog da Burgreez (16r) e caffè all’attiguo Rost Biens (6r), prima di entrare in Ad- Deerah, ovvero la città vecchia. La ristrutturazione della via centrale la fa sembrare un po’ falsa, ma sopportabile, l’accesso al complesso vero e proprio avviene dal solito visitor center con immancabile caffè arabo e acqua (70r, durata 1h più il tempo che uno desidera sostare al forte). Costruita come una vera e propria fortificazione all’interno di una città di suo fortificata, le case di fango sono divise da piccole e strette vie dove si passa solo a piedi, il sole non penetra mai, si risiedeva qua d’estate, mentre d’inverno ci si spostava nella parte al di là del fiume visitata in mattinata. Solo una piccola parte al momento è visitabile, dalla via centrale alla meridiana di Tantora, la guida (ovviamente una donna saudita) c’informa che i lavori di restauro apriranno in futuro a b&b all’interno della città vecchia, in larga parte tutto originale tranne le porte che chiudono le abitazioni, volutamente serrate per evitare che s’instaurino persone. Disabitata per secoli, rifugio di carovanieri, la vista migliore la si coglie nella sua interezza solo salendo il forte nel mezzo della città, da lì la vista spazia a 360° su Al Ula e montagne. La città vecchia, incastrata una casa nell’altra pare un gigantesco domino, spettacolo affascinante, forse più da qui che attraversando la parte restaurata, se dovessi indicarvi cosa visitare direi però che la parte orientale al di là del fiume sia molto più meritevole, però l’accesso al forte è contemplato solo col la visita a pagamento, anche questa da prenotare in anticipo, qui tutto quello fatto al momento pare complicato da realizzare. Ora è tempo per raggiungere in jeep uno dei posti che più riempie l’immaginario collettivo dell’Arabia e dei suoi deserti, l’arco Rainbow Rock, circa 60km a nord per un’ora di trasferimento, solo gli ultimi 2 su sentiero sabbioso. La vista emoziona al primo colpo, enorme, con dietro una gigantesca roccia che pare lì apposta per fare da scenografia, lasciamo le jeep che paiono puntini nel nulla per rimirarlo in ogni dettaglio. Dal lato destro si può salire sulla roccia alle spalle per godere della vista dell’arco verso il deserto, da qualsiasi parte lo si veda, uno spettacolo della natura fantastico. Non c’è nessuno, attendiamo con calma i primi colori del tramonto, ma poi le guide ci mostrano altre rocce dalle forme impensabili, forse era però meglio vedere prima queste, dopo il Rainbow Rock paiono meno impressionanti. E’ giù buio quando riprendiamo la statale 375 per tornare in appartamento, doccia e via alla ricerca di un posto dove rifocillarsi. Visti i lussi della sera prima, oggi preferiamo qualcosa di locale, imbattendoci in un ristorante non lontano, ora chiuso per l’ora della preghiera. Ma da Nabek Al Ola riaprono velocemente, i pakistani che lo gestiscono si fanno in 4 per noi, intenderci non è facile, ma come al solito accesso alla cucina, tra foto e gesti ne usciamo con una cena coi fiocchi (16r), pure qui varie portate offerte ed anche gli yogurt presenti nel loro freezer. Ben rifocillati e dopo ringraziamenti a non finire, un salto al supermarket Central Mass di fronte agli appartamenti per prodotti da colazione. Sorpresa pure qua, in fila il cassiere batte il tutto e non ci fa pagare, un saudita che ci segue, incuriosito dalla nostra presenza paga per noi e non vuole sentire ragione, solo sapere da dove arriviamo e come mai siamo in giro da queste parti. Giusto per info, vendono anche le bustine singole di caffè solubile (1,15r), spremuta d’arancio o gusti vari da 2r, prezzi sempre economici e tutto a disposizione. Percorsi in jeep 160km, mancano quelli coi pullman.


Hegra (Madain Saleh), area di al-Khuraymat

8° giorno

Colazione all’alba in appartamento con quanto gentilmente offerto la sera precedente dal saudita al supermercato, poi in jeep al Winter Park, tutte le visite si dipanano da quel luogo. Oggi si va alla metà più celebre (per i non mussulmani) dell’Arabia Saudita, ovvero Madain Saleh come riportano le guide, oppure Hegra com’è chiamata qui, o ancora la Petra d’Arabia come comunemente si dice in giro per il mondo. In bus, e oggi è decisamente più affollato del giorno precedente, si parte un’ora prima dell’ingresso che va acquistato con largo anticipo (95r, 30’ per percorrere i circa 30km, 2h la visita vera e propria) ed una volta entrati nel sito archeologico tappa al visitor center per i soliti convenevoli. Hegra è un’antica città nabatea, la punta sud del grande regno, sviluppata nel 1° secolo a.c., crocevia imprescindibile di tutte le carovane che attraversavano la penisola araba, per l’incenso, le spezie e la mirra, ma pure per altri commerci. La visita è possibile solo in comitiva organizzata, 4 tappe prefissate raggiungibili con un pullman dal quale si sale e scende sono nei luoghi scelti dai gestori, che al momento della mia visita non comprendono l’antica ferrovia dell’Hejaz. Il primo stop è alla tomba più imponente e celebre, Qasr Farid, che si raggiunge a piedi (circa 200m) dal parcheggio, sempre con guida e addetta alla sicurezza, mi siede accanto e posso avere qualche info in più sulla libertà raggiunta nel poter lavorare, e di conseguenza uscire in autonomia. Qasr Farid fu costruita intagliando un’enorme roccia, è alta 27 metri, per ottenere una facciata il più imponente possibile hanno dovuto scavare mezza roccia così da realizzare la facciata più impressionante che ci sia. Purtroppo di mattina è in ombra, per quanto sia una meraviglia, i colori spenti non le rendono la meraviglia che in realtà è. La tomba non è terminata, meno elaborata di quelle a Petra, da subito emerge una grande differenza tra le 2 città, quella giordana ha tombe sicuramente più belle e lavorate, quella in Arabia è collocata in uno scenario inimmaginabile, sulle rocce del deserto si è creata una città. Non si possono fare classifiche di fronte a tale bellezza, se non visitarle entrambe. Ci si stacca a fatica da questo luogo, indicativamente le tappe sono sui 20/30’, riprendiamo il bus per destinazione Qasr al Bint, un’unica gigantesca roccia che ha tombe su tutti i lati, arrivando dalla strada, illuminate dal sole quelle di fronte a noi fanno impressione. Anche qui non tutte terminate (una sarebbe stata la più grande di Hegra), girando sul lato sinistro possiamo entrare in una di queste, l’unica in cui l’accesso sia consentito. Sul retro, all’ombra, tutta la roccia è piena di tombe, più minute ma non per questo di minore bellezza. Qui il tempo di visita si allunga sui 30’, l’impatto visivo e il fatto di poter muovere qualche passo in più ha il suo perché. Tappa seguente molto prossima, Al Diwan, dove non si trovano enormi tombe scavate ma l’unica presenza non funeraria, sala comune con panche (tutto ottenuto scavando dentro la montagna) che si apre verso una falesia che termina in uno strettissimo canyon dai colori intensi. Percorrendolo si arriva al termine, dove si notano formazioni rocciose stranissime, ma ci viene proibito di avanzare. Tante piccoli scavi che servivano per riporre idoli del tempo, la vista da qui, la parte più alta di Hegra, spazia su tutto il sito, s’incontrano a distanza numerose tombe, anche di dimensioni importanti, che purtroppo non potremo vedere ne avvicinare. Ultima tappa, forse la più esaltante nella luce della mattina, presso l’area al-Khuraymat per il complesso di Jebel al-Ahmar, un grande sperone decorato su più lati, in perfetta luce di mattina. Di fronte una roccia che pare raffigurare il profilo di un volto umano, e in lontananza si rimira Qasr Farid, non si possono avvicinare le tombe ma ci si può muovere da un lato all’altro. Passate 2 ore si fa ritorno, la visita è terminata con sommo dispiacere, sarebbe meraviglioso perdersi camminando a piedi per questo deserto infarcito di rocce scavate nel più incredibile dei modi, ma è già un successo accedervi così. Mestamente riprendiamo il pullman per tornare al Winter Park, saliti sulle jeep si parte per un lungo trasferimento verso Hail, lungo la statale 70, asfalto nel deserto e nulla più. Dopo 260km, deviazione a destra fuori dalla strada verso una grande roccia sotto la quale fare tappo per mangiarci qualcosa preso in precedenza, e sopra per trovare deserto in ogni dove. Saliti in cima spira un vento incredibile, del quale non v’è traccia sotto alla roccia, con nuvole in viaggio degne del miglior Kaurismaki, e qualche incisione rupestre, immancabili. Poco prima di giungere a destinazione, sosta per preghiera degli autisti in un grande autogrill dove di aperto c’è solo un Bordo Café (8r per un caffè), poi entriamo ad Hail andando direttamente al Dist Inn Aparthotel (appartamenti enormi, 4 posti con 2 bagni, puliti, in perfetto stato, wi-fi funzionante ovunque, piscina, colazione compresa). Giusto il tempo di registrarci e lasciare gli zaini, con le jeep ci facciamo portare al bazar del centro, dove ci sono bancarelle di ogni genere, soprattutto frutta e verdura. Tutti ci guardano come fossimo extraterrestri, tanti fotografano o filmano, cerchiamo di trovare dei datteri, pare che la qualità dell’area sia la migliore ma inaspettatamente non si trova nulla. Poi, chiedendo, un po’ con qualche parola d’inglese, molto a gesti, c’informano del fatto che si sia una piazza interamente dedicata a quel frutto, ed infatti non distante così è, boutique del dattero in ogni dove a far da cornice ad un’area molto estesa. Per gli appassionati qui c’è da far notte, nel frattempo alcune persone ci chiedono se siamo qui per la Dakar (di passaggio in città proprio in questi giorni), una di noi viene pure scambiata per una motociclista, incredula la ragazza quando si sente dire che così non è, ma una foto assieme la vuole comunque. Terminata la visita al bazar è tempo di cena, le info recuperate sul posto ci consigliano un ristorante nei paraggi, quando arriviamo pare un museo tradizionale, Al Turathi. Nell’attesa che termini la preghiera, solita offerta di caffè tradizionale, ma il tempo è impiegato pure per rimirarsi la storia di Hail e del ristorante, la vista merita assolutamente. Saletta riservata, si cena a terra tra tappeti preziosi e dipinti pregevoli che riempiono le pareti, oltre a manufatti che sarebbero da riporre nello zaino (ma non si fa…), ma la cena ripaga, pure oggi abbondiamo nelle ordinazioni devo dire di grande qualità per 36r. Il rientro è in taxi, fermati lungo la via (25r, 10’) e finalmente tempo per una tonificante doccia (fondamentale aver attivato l’interruttore del boiler in precedenza, altrimenti acqua fredda). Al termine di una giornata corposa, percorsi 467km in jeep, ai quali vanno aggiunti i circa 65 in bus.


Rainbow Arch, area di Al Ula

9° giorno

Ovviamente un motivo per alzarci prima dell’alba lo troviamo sempre, così la colazione è formato standard (quel che hanno pronto, non ancora operativi in pieno), poi in jeep andiamo al Forte di Hail, la guida Magidh conosce un addetto che ci apre nonostante sarebbe nel mezzo di lavori. L’Aarif Fort è situato su di una piccola collinetta in centro città, attivo fino al 1927, tempo dell’ultima battaglia, conteneva 30 soldati, operativi 15 per volta, il contrafforte centrale illuminato dal sole nascente è di un rosso fuoco che abbaglia di prima mattina, con le decorazioni bianche l’effetto è notevole. Da qui ci dirigiamo alla vicina fortezza di Qishlah, anche questa è aperta al nostro arrivo su sollecitazione della guida. Usata principalmente come caserma, conserva al suo interno anche una moschea, il deposito delle armi, stanze lungo il perimetro interno delimitato ovunque da un porticato che permetteva di vivere nonostante il caldo estivo, ci sono 8 grandi torri d’avvistamento e una delle porte è ripresa da un luogo storico, molto più antico della fortezza stessa. Nel mezzo fa bella mostra di se uno dei primi modelli di Land Rover, l’auto che ha conquistato il deserto. Prima di lasciate la città, un salto al belvedere sopra al Vienna Garden (20r), montagna di basalto da cui lo sguardo domina la valle fino alle montagne dell’Hejaz. Salutiamo Hial per salire sulle montagne che chiudono la città a nord, non prima di notare alcune particolarità nelle rotonde, enormi bricchi per il caffè le abbelliscono, originario di qua è tale strumento. Prossima metà sarà Jubbah, 120km a nord-ovest, sito Unesco noto per i suoi preziosissimi petroglifi, risalenti fino a 9.000 anni fa. Un nastro d’asfalto nel nulla, gli autisti sanno dove siano situati gli autovelox, la distanza è percorsa in poco tempo, velocità tra i 140-160 qui nel vuoto del deserto. Ci fermiamo ad una rotonda tra la città e il sito, attendendo la guida, tutto prenotato con largo anticipo, poi entriamo in questa sorta di grande biblioteca all’aperto, situata tra le Jubbah Rock Carvings, che sorgono dal nulla nel mezzo del deserto di Nefud. I luoghi visitabili sono 3, accessibili a piedi, alcuni dei quali con scale per non rovinare rocce nell’ascesa. Il più celebre petroglifo, il carro trainato da cavalli, lo vedremo al termine della visita, fa parte dei più recenti, ancora in ottimo stato. Fa impressione notare come tra i disegni ci siano animali che ora non siano nemmeno collegabili al luogo, tra cui leoni, ma è interessante comprendere in base ai colori e alle forme quali siano i periodi in cui furono realizzati (different color, different age dirà all’infinito la guida, tormentone per i giorni a seguire adattabile a tutto). Dal primo cancello agli altri 2 ci si sposta coi mezzi, se all’inizio si fatica a vedere al meglio queste incisioni, più si osservano e più si notano particolari, fondamentale una buona illuminazione del sole, possibilmente non troppo forte e diretta. Difficile pensare a lasciti umani più antichi di questi, il deserto preserva. Terminata la visita, proprio di fronte al 3° cancello, una sorta di bar si trova, la guida ci offre un rinfresco, come non approfittarne? Caffè arabo e the, datteri a profusione, facciamo un’offerta ma non è accettata dal proprietario. Si riparte, tappa alla stazione ferroviaria di Hail che raggiungiamo dopo nemmeno un’ora di trasferimento, percorsi in jeep oggi 248km. Nella modernissima stazione si entra con app Tawa, le pratiche sono simili a quelle del check-in in aeroporto, tanto che gli zaini vanno lasciati e ritirati all’arrivo, controllo al metal detector rigidissimo, prima si può sostare tra i bar presenti, ma di fatto la stazione è quasi deserta. Questa tratta di AV araba destinazione la capitale Riyahd è l’unica al momento funzionante, in realtà non è che sia proprio un’alta velocità, i quasi 650km son percorsi in 4:45’ nella confusione totale di bambini che urlano e corrono per tutto il viaggio, le madri nulla possono nei loro confronti. 2 soste durante il viaggio, all’arrivo riconsegna zaini in tempi celeri, all’uscita in 40’ con un van (avevamo definito con una guida locale un pacchetto su Riyadh di 2gg con mezzi e guida) raggiungiamo l’hotel Ibis che si trova proprio a fianco dello Sky Bridge, uno dei nuovi grattacieli che modernizzano la vista della capitale, il più iconico. Per arrivare passiamo l’area di Capital Market, ora celebre per i tanti grattacieli, ma ci penseremo in futuro. All’Ibis (controllo app Tawa prima d’entrare, 450r per camera doppia dotata di tutto, colazione senza fine compresa) lasciamo gli zaini per trovare un posto dove cenare, restare in hotel potrebbe essere un’alternativa, ma non scoprire la città non sarebbe bello. Così, chiedendo in giro, raggiungiamo a circa 2km Prince Mamduh Bin Abdulaziz St, piena di locali dove cenare e dove pare si ritrovi la movida locale. Scegliamo il Shawarma House, con lunga fila al piano terra per una sorta di take-away (nel senso che prendi e vai al tavolo), ma meno affollato al primo piano dove ordini alla cassa e ti servono, all’ingresso controllo app Tawa. Pensando a razioni da Hamburgheria italiana, come al solito sbagliamo i quantitativi, con 36r sono sommerso dal cibo, la qualità al solito è valida. Di sera a Riyadh la temperatura è ottima per girare a piedi senza sudare, fresco ma non freddo, clima ottimo, rientriamo in hotel per una doccia prolungata dopo giornata interminabile.


Alba all'Aarif Fort, Hail


10° giorno

Colazione a buffet con talmente tante scelte da non sapere cosa lasciare…poi subito al Delta Medical Lab dove effettuare il tampone antigenico, necessario per il rientro in Italia. Di laboratori medici del genere è piena la capitale, se si può attendere un giorno per l’esito, il costo è contenuto (115r), tempi veloci e poi via per la prima escursione, destinazione Dir’iya, la città d’origine della famiglia reale dal 1.700. Ora sito Unesco, non facilmente visitabile, riusciamo tramite la nostra guida ad avere l’accesso, a differenza di altre persone che nello stesso periodo hanno avuto una porta in faccia. Per arrivare al sito, che ormai è un sobborgo della capitale, occorre andare coi propri mezzi (oggi Chevrolet Tahoe, grandi e spaziosi) in un parcheggio che dista 2km, da lì col bus riservato all’ingresso dove una guida ci attende per illustrarci gli aspetti di questa città rimessa a nuovo, con lavori non ancora del tutto ultimati, più volte la guida ha fatto cenno agli operai di togliersi di torno. Solito passaggio dal visitor center, descrizione e bevande, poi in un clima quasi surreale (solo noi) iniziamo ad entrare nella città ristrutturata con un effetto forse un po’ troppo “perfettino”. Visitiamo l’area di Turaif, passando da passerelle che permettono la vista sui cortili interni di questa realizzazione tutta di mattoni di fango. Si tratta di una visita molto interessante, potendo vedere anche il museo interno, dove si nota l’attenzione per le scuderie di cavalli, passione arcaica dei principi, ed ora una forma di prestigio e guadagno per la famiglia (non che ne abbiano così bisogno…). All’interno, costruito come un albero con piccole foglie, è in mostra l’albero genealogico della famiglia, con un’infinità di eredi. La parte esterna è caratterizzata da orti per coltivare e pozzi, qualcosa di straniante visto il panorama che ci attornia, ma qui non si risparmia nulla per i reali. La visita dura indicativamente 90’, poi col pulmino designato ci riportano ai suv, da dove proseguiamo per le Red Sand Dunes. Inizialmente avevamo intenzione di visitare Edge of the World, ma in seguito ad un incidente occorso a 3 italiani in visita, precipitati con la loro auto, il luogo è stato chiuso. Le Red Dunes, circa 60km dal centro di Riyahd, sono un piccolo parco giochi per chi vuole toccare il deserto senza immergersi. La vicinanza alla città le rendono sporche e per nulla autentiche, si può camminare tra le dune, ma schivando più rifiuti ed i noleggiatori di quad, che in realtà son di basso profilo (2 tempi 50cc, faticano a salire le dune, 75r per 30’), il tutto non da piacere né a chi vuole farsi un giro a piedi, né a chi vuole conquistare le vette in quad. Attorno, campi tendati ricoperti di spazzatura, le reti metalliche che dividono questi dalle dune sono un “tutto esaurito” di plastica a carta, diciamo che la visita sia evitabile. Rientriamo con sosta, circa 30km dopo, al Camel Trail, una sorta di Edge of the World in piccolo. L’accesso allo sterrato che porta alle montagne è in un’area lavori, non facile trovarlo, ma ci pensano gli autisti, anche se pure loro devono fare il punto più volte. Trovato lo sterrato giusto (nel mezzo di un parco giochi in costruzione, per ora non s’intravvede) ci lasciano l’autostrada e il frenetico traffico alle spalle, facendo tappa dopo circa 4km al punto finale, una grande rotonda nel nulla dove rimirare il canyon dall’alto di picchi a strapiombo. Di qua passava la via per La Mecca, nel mezzo della falesia di Tuwaiq, ci sono sentieri che scendono, oppure altri che raggiungono i punti estremi del cammino, verso Berry Park, chi non teme le vertigini può deliziarsi con splendidi passaggi sugli strapiombi. Ognuno si può godere i cammini che preferisce, scendendo o seguendo il bordo (fare attenzione, non c’è nessuna ringhiera o corda di protezione, l’altezza massima raggiunge i 300 metri, la caduta non sarebbe agevole), lo scenario incanta, anche se meriterebbe una visione con sole crescente o calante, non alle 13 come accade a noi. Rientriamo in città (28km) facendo tappa per un veloce pranzo da Shawarner (20r) e nel complesso a fronte da Tooz Cafe (10r), anche se la sorpresa è data da un saudita che vedendo stranieri in un’area dove non ne aveva mai incrociati ci paga caffè e dolce per la sera, che fa preparare appositamente dalla cucina. Gentilezza non di poco conto, assai gradita. In capitale è tempo di visita al Saudi National Museum, enorme museo gratuito che illustra la storia mondiale vista da qui, dalla nascita del mondo alla conquista del deserto e del petrolio. Non tutto è condivisibile, scientificamente ci sono contrasti non di poco tra fatti, scienza e religione, ma in questo contesto meglio soprassedere, le parti molto interessanti sono le ricostruzioni di luoghi storici, in alcuni casi in formato 1:1, come le tombe dei leoni di Dadan. Servirebbe almeno un giorno intero per vederlo con la dovuta attenzione, ci accontentiamo di 3 ore per salire a tramonto già inoltrato al grattacielo Al Faisiliah (progettato da Norman Foster), conosciuto anche come Globe Tower, perché sormontato da un globo di vetro formato da 655 pannelli delle dimensioni di 24 metri. Per accedervi, pagato il biglietto di 69r, occorre lasciare in custodia gli apparecchi fotografici di ogni genere a parte i cellulari, si prende un ascensore per 44 piani e a seguire un altro che a noi permette solo di uscire sul terrazzo dove vedere la città illuminata dall’alto. Bello spettacolo, i vetri di protezione, che riparano in parte dal forte vento che spira quassù, non sono un bene per le foto coi cellulari (riflessi ovunque), la vista sulla parte a nord “dei grattacieli” merita. L’ascensore sale ancora, per chi ha un accesso al prestigioso ristorante che svetta lassù, non noi che ridiscendiamo con destinazione cena. Il ristorante scelto è il Turaib, proprio di fronte ad una nuova stazione della metropolitana in costruzione, pieno centro. Caratteristico, si cena seduti a terra appoggiati a cuscini squadrati, buona qualità, ci limitiamo con le porzioni (18r) uscendone soddisfatti. In taxi (20r) ritorniamo in hotel, salendo sull’unico taxi saudita che rispetta per intero il codice stradale, facendoci fare un giro eterno lungo King Fahad Branch road. Percorsi 186km, inclusi gli ultimi, inutili, in taxi.


Minareto presso l'antica cittadella di Ushaiqer


11° giorno

Prima di colazione giunge l’esito del tampone, negativo, così sotto col buffet, ultimo del viaggio, occorre guadagnarci. Oggi usciamo dalla capitale, destinazione nord, verso alcuni antichi villaggi, noti o meno, a bordo di giganteschi suv (Chevrolet Suburban, più grandi di un camion). Il primo, circa 160km dall’hotel, è Al Qasab, dove l’antica città tra le mura sorge poco prima del villaggio. Si entra da un’imponente porta malandata, e qui un po’ tutto è ancora da sistemare, in questo risiede il suo fascino, storia ed autenticità. Non incontriamo nessuno, dopo aver girato le strette vie interne c’imbattiamo in una persona che ci apre la più bella e meglio conservata abitazione dove ci facciamo un’idea precisa di come fu edificata la città, o meglio questa struttura fortificata, angolo a parte dell’attuale Al Qasab. Luogo in cui sostavano i consiglieri e i giudizi di re Aziz, molto lentamente si sta cercando di ridarle splendore, ma già così ha il suo fascino. Sulla grande porta d’entrata si riesce a salire, anche se non pare così solida, ma la vista sulla città è unica. Da fuori, lasciata la cittadella, pare proprio un grande forte del deserto, nel nulla, la perfetta Fortezza Bastiani. La meta principale dista poco, altri 45km e giungiamo a Ushaiqer per visitare l’antica cittadella, visita gratuita, accesso al museo 10r. A metà tra la ristrutturazione invasiva di Dir’iya e il quasi nulla di Al Qasab, permette di perdersi nei suoi vicoli con costruzioni di mattoni di fango rossi intensi, bei palazzi a fianco di altri ancora in rovina, la parte della moschea molto bella con minareto pure lui di mattoni di fango, rosso bordato di bianco, un effetto che contraddistingue vari edifici, donando un tocco di vitalità che si sposa bene con l’ambiente circostante. Per entrare nei dettagli la visita al museo Al Salem (10r) è d’obbligo, nessuno parla altro che arabo, ma un ragazzo ingegnoso, descrive sul cellulare quanto da illustrare e il traduttore collegato ad un altoparlante rende comprensibile il tutto in inglese. Eccede in descrizioni di ogni singolo oggetto, anche i più curiosi alla lunga desistono, mentre chi ha salutato per primo già si rifocilla con datteri e caffè arabo, immancabilmente offerti. Riprendiamo la via per Riyadh con destinazione lo Sky Bridge, circa 205km da qui, il celebre grattacielo fatto a cavatappi, assunto in breve a simbolo della modernità saudita. Si trova sopra ad un grande centro commerciale, ingresso consentito con app Tawa, poi biglietto (69r) per accedere col primo ascensore al 77° piano, lì nuova fila per un passaggio al 99°, dove questo fantastico ponte nel vuoto congiunge i 2 lati del grattacielo. Saliamo quando ancora deve fare buio per avere la vista sia con la luce, sia col buio, ovviamente questa è più caratteristica, con l’illuminazione interna che cambia colori e toni continuamente, si nota come le dimensioni infinite del deserto consentano la costruzione di case con pochi piani, grattacieli solo nel centro, il resto tutto contenuto. Scendiamo dovendo attendere anche la manutenzione ordinaria, per andare velocemente al suk, posto moderno e non molto caratteristico, se non s’intende comprare datteri o dolci, direi evitabile. Ultima tappa per cena, nel percorso di rientro da Biryani (21r), cadendo sull’ultima cena di viaggio a base di carne, l’immancabile hummus ed insalate, piatti che si ripetono quasi sempre nei locali, tipici o moderni che siano, con questi non si sbaglia mai. Rientriamo in hotel dopo aver percorso 464km. Tempo per doccia, sistemazione zaino e poco dormire, la sveglia per l’aeroporto concede un tempo risicato.


Porta d'ingresso a Al Qasab


12° giorno

Dopo 1:40 è tempo di mettermi in piedi, biscotti e caffè solubile in camera, partenza ore 1 per l’aeroporto con lo stesso pulmino (400r, fino a 25 posti, bagagli compresi, diciamo che stiamo comodi…) che ci aveva recuperato alla stazione dei treni giorni fa, dista 40km arrivando con largo anticipo in 25’, di notte traffico contenuto. Si entra con app tawa, check-in effettuato in anticipo, ma nulla cambia, siamo tutti nelle medesime condizioni, i controlli non sono corti, tra passaporto, visto, codice d’ingresso, esito del tampone (consigliano di stamparlo, ma anche digitale è accettato), poiché il volo ha come destinazione finale Italia chiedono anche il PLF (lo avevo digitale) che però fan giusto finta di guardare. Lo avevo compilato prima ancora di partire, sai mai, poi rifatto una volta ottenuti i numeri dei posti a sedere, non rammento quale dei 2 abbia mostrato, forse quello dell’estate di rientro dalle Faroe, poca cambia, pratica totalmente inutile. Minuzioso il controllo del bagaglio a mano e di quanto si porta al seguito, pure qua ho dovuto togliere gli occhiali, ma tutto sommato veloce (infiniti i varchi a disposizione), volo Qatar in ritardo di 20’con un A350, durata 1:20’, tempo sufficiente per bevande e sandwich. A Doha ho più tempo, peccato che quando sia il momento d’imbarcare ci siano problemi, ma come nell’aeroporto votato come migliore al mondo del 2021? Sì, imbarco ritardato, ma poi tutto si sistema, volo regolare, rinfresco con bibite (anche alcol) e a seguire pranzo vero e proprio, atterraggio in perfetto orario a Roma, 5:20 di durata. Qui nessuno mi chiede esito del tampone o PLF, anzi, nessuno mi chiede nulla poiché sono aperti i varchi automatici per i passaporti elettronici e non incontro proprio nessuno sul cammino. Veloce la riconsegna del bagaglio, sarà per la tanta strada a piedi da percorrere nei tunnel di Fiumicino, in un attimo sono fuori, telefonata all’addetto di ParkingWay che in nemmeno 10’ è già arrivato. In 5’ al parcheggio dove pago 23€ come stabilito (unica nota, non ha in funzione il POS, chiede di pagare in contanti e cifra esatta, scontando pure 50 centesimi) per andare a ritirare l’auto, accorgendomi del clima temperato qui a Fiumicino. In nemmeno 4h sono a Bologna, l’Arabia Saudita è un ricordo intenso di un’avventura che immagino a breve diventerà una meta particolarmente battuta, potendo offrire una moltitudine di attrazioni, oltre all’incredibile gentilezza ed ospitalità del suo popolo.

Vista notturna dal grattacielo Al Faisiliah (The Globe), Riyadh

Per info

fer4768@libero.it

Hegra (Madein Saleh), Qasr Farid

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