Isole Faroe (Fær Øer)
- Luca
- 28 ago 2021
- Tempo di lettura: 29 min

Cascata di Múlafossur, isola Vágar
2 note di commento
Il viaggio si è svolto in agosto, presunta estate, anche se lassù non sempre il bel tempo premia i viandanti. Giornate lunghe (alba dopo le 5, tramonto prima delle 22), ma raramente il sole si palesa, temperature che variano tra i 6° e i 13°, ma a far percepire un freddo più intenso è il vento, sempre presente con forza. Le isole Faroe (in lingua locale Fær Øer) fanno parte del Regno di Danimarca ma sono autonome, fuori dall’UE ma all’interno di un accordo di libero scambio coi paesi scandinavi, in pratica è come se fossero UE se si arriva da uno di questi, quasi sempre dalla Danimarca. E’ sufficiente la carta d’identità, col passaporto tutto più veloce. In tempo di Covid19, oltre al Green Pass è obbligatorio il tampone in arrivo, che va prenotato in anticipo, senza non si entra. Il costo è di 312dk se pagato al momento della prenotazione, altrimenti 350dk sul posto, preferibilmente con carta di credito, in contanti se non pagato con cifra esatta il resto potrebbe essere un’utopia. Effettuato il tampone ed ottenuto riscontro (via SMS in nemmeno 4h, indicato l’esito di tutti i componenti del volo con cui si è giunti, clean nel nostro caso), se negativo, del covid19 non c’è più traccia, si vive senza mascherina e senza distanziamento, che qui è naturale, anche in capitale. La moneta è la corona danese, con cartamoneta rappresentante i luoghi delle isole, ci sono bancomat, ma di fatto il contante quasi non esiste a queste latitudini, si paga tutto con carta di credito, non importa prelevare, l’€ non è accettato, soprattutto perché il contante non gira. I costi riportati sono sempre a persona quando non indicato. Le 18 isole sono scarsamente abitate, circa 50.000 persone a fronte di oltre 80.000 pecore, gli abitanti risiedono prevalentemente in capitale, Tórshavn oltre 20.000, e nella seconda città, Klaksvík oltre 5.000, nelle isole orientali, raggiungibili solo col postale vivono circa 12 persone a isola. Per arrivare si può fare in aereo, preferibilmente via Copenaghen, oppure anche in nave, ce ne sono 2 alla settimana in alta stagione, dalla Danimarca verso l’Islanda con sosta alle Faroe, ma il costo è salato. La lingua ufficiale è il faroense, più simile all’islandese (quindi auguri) che al danese, ma è ben difficile incontrare qualcuno che non parli qualche parola d’inglese, mi è capitato solo col custode della remota chiesa di Kunoy, una delle isole meno turistiche, ci sta. Per muoversi, essendo nel mezzo della natura, fondamentale un’auto a noleggio, i mezzi pubblici ci sono, ma non raggiungono tutti i luoghi e gli orari comportano lunghe attese, taxi fuori dalla capitale praticamente sconosciuti. I mezzi si noleggiano in aeroporto all’arrivo, ovviamente in alta stagione il tutto deve essere effettuato con largo anticipo. I costi sono in media coi paesi scandinavi, quindi elevati, ma non c’è alternativa. Se tutti in possesso di Green Pass e negativi, concessa la possibilità di stare in 4 in un’unica auto. Questione cibo : dati i prezzi proibitivi dei ristoranti e le scelte molto limitanti come menù ed in fatto di orari (ultimo turno verso le 19:30, per chi in escursione e si gode le giornate lunghe, improponibile), abbiamo sempre cenato in casa portandoci buona parte del cibo dall’Italia (avevamo affittato con largo anticipo 2 appartamenti, in realtà grandi case) con unica eccezione in capitale, ma per andare in un pub verso le 21, altrimenti non c’è nulla, nemmeno in zona porto a Tórshavn. Costi proibitivi del cibo, ma pure alcol e bibite gassate non scherzano, a Klaksvik però c’è la produzione di birre locali, e lì una bottiglietta da 33cl costa circa un €, invece degli 8€ nei pub. I supermercati, ben forniti e quasi sempre con una panetteria interna, non vendono alcolici, mentre per pranzo una valida ed economica soluzione sono le stazioni di servizio, Magn o Effo, che si trovano quasi ovunque. I negozi hanno orari ristretti, 10-17 o qualche volta 18, sabato pomeriggio e domenica chiusi, senza nessuna eccezione, supermarket compresi. Per muoversi da un’isola all’altra sono stati costruiti tunnel sotterranei (100dk a/r), il costo è aggiunto automaticamente alla carta di credito senza mai necessità di fermarsi, il sistema calcola in automatico a/r, a parte il nuovo tunnel che dall’isola di Stremoy porta a Eysturoy, il 2° tunnel stradale più lungo al mondo con pure una rotonda, ci sono 2 uscite su Eysturoy, costa 175dk a passaggio. Attenzione alle indicazioni stradali, non hanno ancora inserito nei cartelli questo tunnel, mentre nei navigatori c’è. Ma lasciate perdere i navigatori, non ci si perde mai, meglio scegliere le strade secondarie, sovente passano da punti panoramici splendidi che altrimenti non si vedrebbero. In aeroporto è fornita una valida mappa stradale, utile per orizzontarsi tra le isole con ottima visione d’insieme, quello che appunto il navigatore non contempla. Traffico praticamente nullo se non un minimo in capitale, mai incrociata una pattuglia della polizia (ma esiste da quelle parti?), i limiti di velocità son più dovuti alla conformità delle strade che ai limiti veri e propri. Per vedere la maggior parte delle attrazioni occorre camminare, come sempre quando lo spettacolo è dettato dalla natura, va messo in conto, affrontando venti non di poco conto e immagino in vari momenti la pioggia, noi siamo quasi sempre stati graziati. In alcune escursioni fondamentale avere le previsioni meteo prima di un’ascesa, o gli orari delle maree in alcuni passaggi sulla costa. Telefoni, il wi-fi era presente nelle case affittate, si trova nelle stazioni di servizio, la linea mi pare non scompaia mai (questo mi dicono i miei amici, io ne faccio sovente a meno) tranne nei tunnel sotto l’oceano, essendo un luogo fuori dalla comunità europea occhio al contratto sottoscritto in Italia, è però possibile acquistare una sim locale al momento dell’arrivo.

Pulcinella di mare dopo la pesca, isola di Mykiness
1° giorno
La lunga marcia di avvicinamento parte dall’aeroporto di Bologna, con un buon anticipo la fila è corta al check-in KLM, carte d’imbarco fino a destinazione, verifica green pass solo visiva. Controlli per ingressi al gate pure veloci prima dell’alba e partenza puntuale del volo (1:45) dov’è servito un sandwich e da bere quello che si vuole. A Schiphol nessun controllo per il volo successivo destinazione Copenaghen, a parte un’attesa di quasi 4h. Altro volo KLM (1:15), pure qui servito sandwich e vasta scelta per bere, arrivo e partenza puntuali. Nell’attesa di quasi 3h tempo, qualcosa di più sostanzioso come cibo (91dk) e poi ultimo volo di giornata, al quale accedo senza ulteriori controlli. Volo Atlantic, in code share con KLM, destinazione aeroporto di Vágar sull’omonima isola dell’arcipelago delle Faroe. Volo di 2h, qui il cibo si paga, il bere è offerto tranne gli alcolici, disponibili a pagamento. Atterriamo in perfetto orario, ritiro bagagli immediato, appena usciti si è incanalati verso la tenda che funge da punto tamponi (va prenotato in anticipo, meglio pure pagarlo in anticipo, ma gli infermieri sono dotati di pos, meno di contante per il resto), in nemmeno 20’ tutti i componenti del volo son testati, basta mostrare la carta d’imbarco e la fialetta per il tampone compare con nome stampigliato sopra. Piove, nuvole basse ma tanta luce nonostante siano le 20. Da qui arriviamo agli uffici dei noleggi che gravitano un po’ tutti attorno ad Hertz, pratiche veloci e via verso l’appartamento prenotato in capitale che dista circa 50km da qui. Piove anche all’arrivo, siamo a Tórshavn in R.C. Effersøes gøta, zona centro, dopo aver invaso il parcheggio delle attività commerciali attigue già chiuse prendiamo possesso della grande casa su 3 piani che ci farà da base per 5 notti (consiglio, forse meglio far base per tutta l’escursione qui). La differenza dell’ora ci allunga la giornata, ma una volta sistemati e mangiato qualcosa al volo è già tempo di pensare alle tappe del giorno dopo e riposarsi. Percorsi 58km

Lago sospeso Leitisvatn, dal promontorio Trælanípan
2° giorno
Mi sveglio e noto sul telefono cellulare un sms che avvisa come tutti i passeggeri del volo con cui sono arrivato siano negativi al covid19, ottimo inizio. Prima di colazione, spesa al vicinissimo supermarket Mylnan nella zona pedonale. Si trova di tutto, compresi ottimi prodotti freschi di pasticceria, faccio scorta per il soggiorno in capitale di yogurt, biscotti, spremuta (157dk), caffè e the già predisposti da Bologna, in realtà in casa c’è di tutto e di più, probabilmente lasciti dei passaggi precedenti. La prima meta è la più celebre del luogo, il lago sospeso, Leitisvatn, nell’isola Vágar che raggiungiamo in una giornata di sole dopo aver ammirato begli scorci nei passaggi che portano al tunnel dal nome omonimo all’isola. In pratica la stessa strada per l’aeroporto, raggiunta Miðvágur si prende per l’ingresso alla camminata (quasi tutta in piano sul lato ovest del lago, in 2h si fa tutto comodamente) dove si lasciano le auto e si paga l’ingresso (c’è scritto 200dk, ma la bigliettaia ci applica la tariffa di 100dk). Si costeggia l’azzurro lago contenuto da sponde verdissime, al termine si scorge il promontorio di Trælanípan sull’oceano, e proprio là sta la magia del luogo. Salendo, contrastando un vento fortissimo, s’inizia a scorgere l’imponente scogliera che sovrasta grandi grotte marine, al di sopra della quale sorge magicamente il lago. Non ci sono collegamenti, sopra acqua dolce, sotto acqua salata, come se si trattasse di un doppio livello delle acque. Non fosse per un vento implacabile si resterebbe qui a verificare a lungo se sia verità o magia nordica, meglio scendere verso la minima cascata di Bøsdalafossur, in questo momento con portata minima. Ovunque si getti lo sguardo si rimane estasiati, non si vorrebbe lasciare questa magia, ma risalendo un gioco di viste fa comparire il lago a due livelli, insomma, se di fiaba si tratta, tutto eccitante ed incredibile. Ma rientriamo in paese, tappa al Magn locale per un veloce hotdog, ricoperto di pancetta abbrustolita, cipolla caramellata ed una senape da urlo, col caffè americano che qui sembra bibita abituale per pranzo spesa di 50dk. Scendendo nella baia che merita per la vista sulle case colorate del villaggio, scorgiamo una ragazza che se ne va in costume a fare il bagno. Temperatura sui 13°, vento ma sole, acque ovviamente gelide, le chiediamo conto della possibile “impresa”, quando le diciamo la nostra sulla temperatura, ci risponde con un umiliante “not for us”. Prendiamo e partiamo mesti, abbiamo in programma un’altra delle visite simbolo, quella alla cascata di Múlafossur, che immagino i più avranno visto come cascata tipica tra le tipiche cascate a livelle mondiale. Perché questa? Perché cade direttamente in mare in una sorta di ferro di cavallo naturale che anche pensarla non si sarebbe creata così affascinante. Parcheggiando lungo la strada si raggiunge il punto fotografico di Gasadalur, ora il sentiero che costeggia è bloccato, il mare se lo è mangiato, per chi vuole c’è la possibilità di percorrere il sentiero che fino a non tanti anni fa era l’unica connessione col villaggio e che passa sulla montagna, ora in alternativa c’è la strada che grazie al tunnel taglia la montagna. Da qui si può percorrere un anello che permette viste splendide dell’isola ma non della cascata, proprio sotto ai nostri piedi (in meno di un’ora con soste fotografiche). Si può salire sino al punto panoramico del tramonto e rientrare attraversando il villaggio che offre qualche caffè ma poco altro, se non abitazioni caratteristiche con alcune dal tetto in erba, qui un tempo unica soluzione, ora spesso la soluzione più coreografica tra chi si può permettere una manutenzione complessa. Riprendendo la via di casa, passato il tunnel di 200m, c’è un viottolo che porta ad un altro punto panoramico, questa volta rivolto verso alcune isole, tra cui il faraglione con grande arco naturale di Drangarnir e la cresta di gallo di Tindhólmur che vedremo meglio l’indomani in nave. Si scorge però già molto bene come il mare sia un po’ ovunque contraddistinto da grandi cerchi con reti protettive, la coltura intensiva del salmone si sta prendendo sempre maggiori spazi rispetto alla pesca tradizione. Sosta al villaggio di Bøur, abitazioni tipiche, una chiesa di legno e una piccola spiaggia nera (oltre a un campo da basket). Ora è tempo di rientro a casa, doccia bollente (nella casa ci sono 3 docce e 4 bagni), preparazione cena e a seguire un giro in centro città, che alle 21:30 è già deserta. Nell’area del porto, sul promontorio di Tinganes che separa le 2 aree portuali, sorge l’antica città in legno rimessa a nuovo, ospitante ora i vari ministeri. Particolare, merita un rapido passaggio, soprattutto in una serata come questa in cui non piove. Proseguiamo fino al forte di Skansin che ingloba anche il faro, oggi è giorno di arrivo del traghetto dall’Islanda che proseguirà verso la Danimarca, così da scambiare qualche chiacchiera con alcuni motociclisti in attesa che m’informano sulle loro escursioni preferite a piedi delle Faroe. Veloce briefing per i giorni a seguire, per l’indomani è già tutto fissato avendo il biglietto del traghetto per Mykenes, per i restanti confrontiamo le nostre idee prima della partenza con quanto ricevuto sul posto, ma molto dipende dalle condizioni atmosferiche, oggi giornata memorabile, ma sappiamo che può cambiare da un momento all’altro. Percorsi 102km.

Villaggio di Saksum coi tetti tradizionali
3° giorno
Colazione in casa (sempre abbondante), poi in auto destinazione porto di Sørvágur (isola di Vágar) da dove salpa il traghetto per l’isola di Mikynes. Giornata particolarmente fredda, tocchiamo i 6° sulla terraferma, sulla barca probabilmente dato il vento pure meno, ma come non restare all’aperto quando si passa a fianco di Drangarnir? In circa un’ora (16,2€, pagati in anticipo da casa) raggiungiamo il porto di Mykines, l’isola più “bella”, quella fotogenica, senza strade, con un unico villaggio che si raggiunge salendo la ripida scalinata (per chi vuole c’è un montacarichi) e da lì una sola delle attrattive del luogo. Il faro, situato all’estremo nord, non è raggiungibile, il ponte che serve per giungervi è chiuso, alternative non ne esistono, ma chi viene qui lo fa principalmente per un altro scopo. Qui, non chiedetemi perché, sul promontorio a ovest dell’isola stazionano migliaia di pulcinelle di mare (puffin in inglese, forse meglio note così). Quello veramente inspiegabile è il fatto che non abbiano la minima paura delle persone, si può camminare tra di loro, occorre però salire il promontorio, tranquilli, 10’ di ascesa e si giunge a destinazione (non sono nel villaggio), e quasi farci conversazione!!! Anche guardare nelle loro tane è possibile, in un interscambio virtuoso in cui uno non disturba l’altro. Emozione unica, pure il freddo ed il vento si dimenticano, foto a centinaia, s’inizia ad una certa distanza, già increduli, per terminare con primi piani incredibili, a volte i potenti zoom devono essere sostituiti dai grandangoli per dare una visione d’insieme di questo fenomeno. Dal villaggio si può prendere un sentiero che porta dal versante opposto, ma volendo c’è la possibilità di anticipare il rientro (il biglietto non è controllato al rientro, è dato per scontato che tutti l’abbiano essendovi arrivati), occasione che forzatamente colgo perché mi si sono aperte le pedule, devo trovare una soluzione in città negli stretti orari d’apertura dei negozi, un altro giorno a camminare sulle montagne in Converse anche no. Al rientro il mare è particolarmente mosso, ma un salto all’esterno per rimirare un’altra volta Drangarnir va fatta. Sono in anticipo, sosta al Magn di Miðvágur per un menù ormai fisso (50dk) ed arrivo sotto una leggera pioggia a Tórshavn. Qualche negozio sportivo c’è, pure aperto, opto per un comodo Intersport, fornitissimo ma non proprio per pedule, e dire che qui appena fuori città si cammina solo nel verde. Trovo comunque un paio di scarpe idoneo, CMP (599dk, pensavo peggio dati i costi del luogo), così da salvarmi il viaggio. Continua a piovere, anche le buone intenzioni di visitare la capitale terminano, attendo i compagni di viaggio proponendomi come cuoco di serata, ne ho il tempo, dopo una lunga e corroborante doccia che serve pure a scaldarmi viste le temperature odierne. Terminata la cena, tempo per programmare le varie escursioni, largo spazio ogni giorno a cambiare idea, si va dove il clima permette. Percorsi 92km.

Faro di Kallur nell'isola di Kalsoy
4° giorno
Colazione in casa con le provviste dei giorni prima e poi via destinazione Saksun, uno dei più idilliaci villaggi faroensi, celebre per le sue case col tetto d’erba. Avendo programmato il trekking che ci porterà a Tjørnuvík, e volendolo farlo tutti assieme, prima arriviamo a Saksun, 2 “autisti” vanno con le 2 auto alla meta finale dove lasciano uno dei 2 mezzi e rientrano. Il “gioco” riempie un’oretta che impieghiamo visitando la parte ovest di Saksun, quella che porta alla spiaggia nera da dove si gode un ottimo panorama sul villaggio e sulle cascate che lo circondano. Da lì occorre rifare la strada che costeggia il fiume fino all’unico ponte per andare al centro vero e proprio dominato dalla bianca chiesa con tetto verde, ricongiunti coi driver iniziamo il percorso in una mattinata che si prospetta di bel tempo, qualche nuvola che velocemente passa e scappa via, poco male. L’ascesa è dolce e costante fino alle cascate denominate Gellingará, il sentiero ben indicato. Qui si trova il bivio, a dx si va a Haldarsvik, a sx a Tjørnuvík, nostra meta. Proseguiamo seguendo il corso del fiume che dà vita alle cascate, perdendo però il sentiero che passa molto più in alto e alla nostra destra, lo si recupera anche se i passaggi non sono agevoli. La vista sulla valle è spettacolare lungo tutto il sentiero, sia la parte in ascesa da dove si rimira il canyon che porta alla spiaggia nera di Út á Lónna, sia la parte precedente che pare formata da 2 laghi distinti, Saksunarvatn e Pollurin, anche se questo è già parte del mare. Il cammino centrale, in piano, regala la vista delle cime con le nuvole che le liberano e le imprigionano, dal blu intenso passando per il verde, tutto molto scenografico. Al passo vero e proprio (altitudine indicativa 500m), contraddistinto da un grande omino di pietra, la vista a nord spazia su tutti i promontori a nord delle isole, vedendo già da qui il Gigante e la Strega (Risin & Kellingin), enormi scogli nel mare (oltre 70m) facenti parte dell’isola di Eysturoy ma meglio visibili da qua. Non fosse per il forte vento, si potrebbe continuare a camminare in maniche corte, ma la discesa influisce nello smorzare i bollori ed è meglio rivestirsi. Sentiero segnato tra vari piccoli guadi, ultimo tratto in forte pendenza, si arriva al villaggio dopo circa 7km, tempo impiegato 3:30h, con soste per foto e deviazione cascate, altrimenti in 3h il percorso è fattibile, ma perché privarsi del tempo di siffatta bellezza? Indicato dai più come il trekking più bello delle isole, conferma la sua nomea, va detto che siamo riusciti ad approfittare di una buona giornata dall’ottimo clima. A Tjørnuvík una sorta di bar all’aperto condiviso tra varie case e poco altro, il villaggio regala una bella vista dall’alto, incastonato in una baia naturale più che dal basso, non ha le tipiche abitazioni di Saksun, quelle sì iconiche. Ora dobbiamo tornare proprio là a recuperare una delle 2 auto, lungo la strada sosta volante alla cascata di Fossa, quella con la maggior portata di acqua dell’arcipelago, parcheggio sotto la cascata, comodissimo. Presso un distributore Effo l’ormai canonico hotdog e caffè americano (51dk), poi recuperate auto e passeggeri, trasferimento a Vestmanna per la minicrociera tra scogliere e avifauna. Prima giro del paese, che coi suoi quasi 1300 abitanti pare uno dei più grandi delle isole, per quanto molto anonimo, un porto, e come tutti i porti non particolarmente colorato e pittoresco. Alle 16, quando salpiamo, il clima è cambiato, le nubi hanno coperto il cielo, il vento spira intenso ed il freddo ci proietta in inverno, si sta all’aperto iniziando a battere i denti. L’escursione di 2h (320dk, prenotato in rete il giorno precedente, meglio farlo, se non ci sono prenotazioni non preparano il viaggio, oltre che per evitare il tutto esaurito) diviene così un po’ anonima, le scogliere sono sì impressionanti ma indistinte, il mare nei paraggi agitatissimo, obbligatorio l’uso del casco quando si passa tra grotte e archi naturali, ma è quasi un bene, scalda! La celebre scogliera di Trøllkonufingur, 313 metri che s’innalzano come un dito accusatore verso il cielo, vanno e vengono tra nuvole infernali e grida di uccelli strazianti, pare un girone dell’inferno dantesco, peccato che la vista sia quasi esclusivamente in grigio ovunque, mare, cielo e scogliere, impietosamente gigantesche sopra di noi e alla nostra barca che pare un puntino nel vuoto. Rientriamo direttamente a casa, per godere al meglio di una lunga e fondamentale doccia calda. C’è pure tempo per programmare la lavatrice in dotazione (con serie infinita di detersivi a disposizione) e per una cena in casa. A seguire asciugatura lavaggio, termosifoni mai così utili. Percorsi 192km, 55 dei quali evitabili se non si deve fare a/r Saksun/ Tjørnuvík.

Le incontrastate regine dell'arcipelago
5° giorno
Colazione anticipata, ma sempre abbondante, partenza per destinazione “lontana”, isola di Kalsoy. Occorre percorrere il nuovo tunnel che sbuca nelle 2 uscite a sud di Eysturoy, attraversare quell’isola fino a Leirvik da dove il tunnel Eysturoyarvegur sbuca a Bordoy e far tappa a Klaksvik, la 2° città faroense. Qui ci sono i traghetti per Kalsoy, noi puntiamo a quello delle 10 decidendo di lasciare qui le auto. Per imbarcarle occorre arrivare molto presto, il traghetto garantisce posto a 12 auto (ce ne potrebbero stare di più, ma se ci sono camion il numero diminuisce), non è prenotabile e la popolazione locale ha diritto di passaggio, quindi troppo vago come passaggio. Poco male, 40dk per 15’ di navigazione, giunti a Syðradalur (isola di Kalsoy) un servizio bus parte nel giro di 5’(20dk, 30’ fino al villaggio a nord di Trøllanes) con possibilità di scendere negli altri 2 villaggi attraversati (Húsar e Mikladalur dove si trova la statua della donna foca e relativa leggenda, Kópakonan), passando per strettissime gallerie non illuminate, dove il bus passa a fatica, se s’incontra un’auto occorre che questa attenda all’ingresso, rare piazzole di scambio. Ma il traffico non è un problema, in pratica a quest’ora tutti vanno a nord, nessuno è già di rientro. Giunti a Trøllanes tutti scendono (il bus da 25 posti è esaurito anche negli spazi in piedi) e si parte per l’attrazione dell’isola, il faro di Kallur. Un’escursione in salita di 299 metri, a tale altitudine è posto il faro, gradevole e con belle viste per arrivare al promontorio a dx del faro da dove si trova la prima delle scenografiche vedute, raggiungibile senza dover passare per sentieri a strapiombo sull’oceano. Immancabile, ma indubbiamente quanto visto a profusione tra le escursioni imperdibili delle Faroe non è questa posizione, ma quella che si trova, una volta raggiunto il faro a nord, su di un promontorio raggiungibile con un sentiero completamente a strapiombo sull’oceano, 299 metri di scogliera a dx, 299 metri di scogliera a sinistra, passaggi non piani e un vento assassino. Vale la pena questo azzardo? Assolutamente sì! Vista mozzafiato, chi soffre di vertigini provi a farsi accompagnare o legare, non si può perdere questa vista. Il faro è di fronte, sotto il verde dei prati scivola nel mare profondo come se fosse una piscina naturale, gabbiani e loro amici vari volano imperturbabili sfruttando le correnti incredibili che si formano quassù. Da quanto ci dicono, il film di 007 No Time To Die contemplerà scene girate in quest’angolo di mondo, quando scrivo il film non è ancora uscito, anche se girato oltre 2 anni prima, il covid19 ha posticipato l’uscita nelle sale. Si ha poca voglia di scendere, prendo un sentiero che mi porta a sud del faro per averne un’ulteriore visione, proprio sotto il grande sperone che lo contrappunta, da lì seguo sentieri naturali battuti prevalentemente da pecore, le padrone del luogo, per ritornare a Trøllanes dal punto più alto così da godermi una vista diversa, anche se le nuvole ormai la fanno da padrone. Poco male, lo spettacolo ha ampiamente ripagato un’escursione di circa 35’ (sola andata, tempo per foto), in paese a parte i bagni pubblici quasi nulla, se non un bar in un container, suonare il campanello se la signora non c’è. Riprendiamo il bus per il ritorno (sempre 20dk, 35’ perché fa soste più lunghe), decidiamo di saltare la visita alla donna foca (avremmo dovuto attendere il bus seguente, oltre 1h) per rientrare a Klaksvik col primo battello. Avevamo lasciato le auto nel parcheggio di un Effo, tanto vale farci il solito spuntino prima di salire al punto panoramico di Klakkur, per nulla indicato. I vari navigatori ci danno indicazioni contrastanti, chiediamo a persone del posto ed ovviamente otteniamo l’informazione migliore. Lungo una strada non asfaltata che ha più cartelli di divieto, decidiamo di parcheggiare in corrispondenza di 2 abitazioni da cui escono 2 signore, ci confermano che la via è corretta, in circa 30’ arriveremo a destinazione. In realtà con l’auto si potrebbe salire ancora 500 metri, poi un cancello blocca il traffico e da lì solo a piedi. S’incontra un piccolo bacino artificiale, ci sono 3 secchi, un cartello riporta una strana indicazione : chi s’inoltra è pregato di mettere ghiaia nel secchio, riempirlo dell’acqua del bacino e versare il tutto lungo il sentiero per un buon mantenimento. Lo facciamo, ma come direi facciano tutti, nei primi metri, il resto sarà sempre figlio di un dio minore. Il sentiero sale in forte pendenza, quando si arriva sulla terrazza naturale un vento patagonico spazza via tutto, va fatta attenzione a dove porre i piedi, non si sta veramente in piedi dritti, mai. Ma la vista, nonostante l’ormai fisso cielo coperto, è spaziale. I semicerchi delle isole paiono un dipinto, i fasci di luce che le colpiscono i laser di una navicella venusiana, le piccole barche che solcano l’oceano punti fermi che sfidano l’infinito, la fatica ed il vento incredibile son stati ripagati con interesse. Poi si scende, riprendiamo le auto e ritorniamo a casa, doccia bollente e serata in uscita in capitale. Già, ma dove? Un pub aperto fino alle 23 ci sarebbe, Landskrona, ma serve solo hamburger, decido di tenare la sorte al porto con qualcosa di più tipico, e m’imbatto in Kaffihúsið, il ristorante ha già smesso di servire pasti (non sono nemmeno le 21) ma il servizio bar è operativo. Così, nel paradiso del salmone riesco a gustarmi un’insalata di salmone (con acqua naturale offerta e caffè a libero riempimento) spendendo 140dk, che per qua è quasi un regalo. Ritorno al pub dove stazionano gli amici, serviti un hamburger alla volta, la cucina riesce a muoversi solo così, oltre a noi ci sono solo 2 ragazzi che giocano a biliardo, che farà la gioventù locale se non esce nemmeno in capitale nella zona dei locali? Percorsi 93km

Le pulcinelle di mare svettano sul villaggio di Mykiness
6° giorno
Solita colazione corposa, meglio finire le provviste, oggi trasloco. Partiamo con zaini al seguito, destinazione Oyrarbakki, piccolo agglomerato nel nulla sull’isola di Eysturoy. Non andiamo direttamente, facciamo tappa al punto panoramico di Sornfeli, che si raggiunge percorrendo la vecchia strada che taglia l’isola di Stremoy verso Tórshavn, sostituita dalla nuova coi tunnel, veloce e senza necessità di salire le montagne. La vista a sud, sul fiordo di Kaldbaksfjørður (visibile prima di giungere alla deviazione per il view point) è ben illuminata pure in questa mattina uggiosa, mentre una volta imboccato lo stretto viottolo che conduce al parcheggio del punto panoramico le nuvole iniziano a farla da padrone e la vista su tutte le isole a nord è tagliata appunto dalle nubi. Resta un’immagine forte ma dai pochi colori e dalla profondità pressoché nulla, peccato. Oyrarbakki si trova appena oltrepassato il ponte che unisce le 2 principali isole, parlare di paese è una forzatura, qualche centro commerciale, una stazione di rifornimento e alcune abitazioni sparse lungo la via che costeggia il fiordo a sud, dove si trova anche la nostra nuova base, al 35 di Oyrarbakkavegur. Una doppia abitazione, con una dependance che può ospitare fino a 6 persone in totale autonomia, ma in 6 gli spazi sono limitatissimi, soprattutto un bagno minimale e la cucina quasi sui letti. La casa vera e propria ha ben 9 posti letto, anche questa sfruttata totalmente diviene stretta, 2 bagni ma una sola doccia. La struttura è comunque bella e calda, ovviamente dotata di wi-fi (con info scritte a gesso su lavagnetta) ed un gigantesco tv (inutilizzato), con una dotazione infinita di suppellettili per cucina. Appena lasciati i bagagli si parte, a nord verso Eiði, villaggio celebre per il suo campo da calcio praticamente sul mare, tra montagne a picco. In realtà in questa stagione funge da campeggio, pieno di roulotte e camper, lo si vede bene prendendo la strada 61 che sale al passo tra le montagne più alte dell’arcipelago. Ma prima di arrivarci, uno spiazzo sulla sx fa da punto di vista panoramico per gli scogli celebri del gigante & strega. Si trovano lontano, ed allora approfittiamo del drone che uno di noi ha al seguito per mandarlo in spedizione e vederci al meglio queste montagne nel mare. Il drone regge pure un vento sferzante senza problemi, recuperato il diabolico gioco si parte per il passo Eiðisskarð da dove si possono salire le 2 montagne più celebri, Slættaratindur (882 metri, la più alta) e Vaðhorn (più bassa di circa 150 metri ma con vista sulla “cima Coppi”). Prima di giungere al passo si può vedere il lago artificiale Eiðisvatn che pare appeso nel nulla sull’oceano, questo però a differenza del Leitisvatn è solamente un gioco ottico La salita la lasciamo ai giorni prossimi, oggi meta Gjógv, altro remoto e idilliaco villaggio che par sorgere nel nulla tra scogliere impressionanti. C’è la possibilità in circa 30’ di salire al culmine delle scogliere a nord seguendo un percorso indicato e battuto, ci sarebbe da fare una donazione, ma non avendo denaro contante nessuno versa. Giunti al termine del sentiero, protetto da una rete, si può allungare il giro fino al punto più esposto delle scogliere, con mirabile vista a nord e sud, per chi non teme le vertigini, si tratta di un altro punto particolarmente esposto e senza nessuna protezione, 30 metri che però cambiano la percezione del luogo in maniera intensa. Gjógv merita quei 20’ di attenzione, dal piccolo promontorio che crea un fiordo naturale sul quale un sistema a carrucole funge da montacarichi, alle solite costruzioni col tetto di erba sul mare, l’unico ristorante funzionante si trova in un hotel all’interno. Da qui prendiamo direzione sud, con sosta cibo (il solito eletto a standard di giornata) presso un Effo (51dk) in zona Skálabotnur, tagliata appena prima dell’ingresso per prendere a sx, destinazione Oyndarfjørður. Un sentiero a sx conduce dopo breve passeggiata ad un porto naturale, percorrendolo ci s’imbatte in un’antica abitazione col tetto in erba e con un lato completamente interrato, mentre dall’altro si domina l’oceano. Vi è un bar che funge anche da ufficio informazioni e vendita di prodotti tipici, si scorge di fronte, dall’altra parte dell’insenatura un altro villaggio che raggiungiamo, risalendo la montagna e scendendo, Hellurnar, similare al precedente villaggio ma se possibile perfino più piccolo. Da qui rientriamo con sosta al supermercato Bonus nell’area commerciale di Oyrarbakki, dove far scorta di cibo le 3 colazioni future (83dk), vi è anche un van che fa street food, o meglio fish&chips, che annotiamo per i giorni in seguito. Rientriamo a casa per testare bagni e docce (quello della dependance non proprio comodissimo, i più alti avranno problemi), passando poi alla preparazione cena, terminata la quale si tenta una sortita esterna per 2 passi digerenti, nel nulla totale. Percorsi 173km

Út á Lónna, la spiaggia nera dell'isola Streymoy
7° giorno
Piove mentre prepariamo colazione, le nuvole son bassissime, par di toccarle con un biscotto. Però oggi è tempo di postale, la nave che 3 volte al giorno collega da Hvannasund le 2 isole orientali, di Svínoy e Flugoy, sprovviste di tunnel o ponti che le rendano unite alle altre. Il postale Rital parte subito dopo il ponte che collega Bordoy con Vidoy, c’è pure una struttura dove aspettare, dato il clima invernale, non male. Si paga direttamente sulla nave (40dk, circa 2h, ma dipende da quanto ci sia da lavorare nei 3 ormeggi previsti), non si prenota, ma il “pubblico” è contenuto. C’è un locale sottostante dove poter starsene al caldo, ma da lì, nonostante quale oblo, si perde la vista e soprattutto il contatto con le isole. Sopra, invece, si rimira il tutto, ma fa un freddo intensissimo pure a metà agosto. Aggiriamo i grandi allevamenti di salmone nel fiordo per immetterci in mare aperto, dove si balla forzatamente. Le manovre son svolte in cabina, mentre quando si accosta un addetto guida dalla macchina operatrice posta sul lato dx, per movimenti molto misurati. A Svínoy i primi lavori, si scaricano provviste e rare persone, si preparano ponteggi (li ritireremo al rientro, altra sosta qua), il tutto dalla gru posteriore, gli addetti ci forniscono info su questi lavori e la vita remota di queste isole isolate (e se sono isolate per chi vive ad Hvannasund, fate voi…) abitate da ben 12 persone, in inverno pure meno. Raggiungere Fugloy è roba per stomaci forti, l’attraversamento del flugoyarfjørður anche in giornata a dire dei marinai del posto tranquilla, fa vedere il fondo del mare e il cielo in contemporanea. Flugoy ha ben 2 attracchi con villaggi direttamente su questi, a differenza di Svínoy dove l’attracco è dalla parte opposta del villaggio, nonostante sia la più lontana pare più vissuta, ma pure qui a 12 abitanti si arriva, forse in aumento in estate, qualche capitolino possiede ancora la casa di famiglia e ci passa qualche giorno. Solite manovre e via di nuovo per l’attraversamento del fiordo, meno problematico dell’andata perché costeggiamo da Hattarvik a Kirkju, meglio così, per fermarci nuovamente a Svínoy completando il carico. Siamo ormai familiari coi lavoranti, il rientro lo si passa tra qualche info e la ricerca di postazioni col vento meno terribile possibile, rientrati riprendiamo le auto per andare a nord di Vidoy, in un clima veramente terribile. Giunti a Viðareiði ci sarebbe l’ascesa al Villingadalsfjall, 841 metri a strapiombo sul mare da dove rimirare tutte le punte a nord dell’arcipelago. Ma chi ne ha voglia? Piove ancora, le nuvole coprono pure il villaggio che proviamo a girare con la solita chiesa sul mare con tetto caratteristico, abdichiamo dall’idea e proviamo a raggiungere sull’isola di fronte il non più abitato villaggio di Múli. Non piove, così tentiamo di fare almeno 2 passi lungo la costa, Múli consta proprio di rare case, in estate alcune pure vissute, escursione volendo evitabile in caso di bel tempo e mete raggiungibili altrove. Passando da Klaksvik tappa per cibo da Magn (50dk), alcuni fanno scorta di birra direttamente dalla produzione del Föroya Bjór, unico produttore nazionale con svariati marchi differenti. Il prezzo è largamente conveniente rispetto a qualsiasi altra ridotta alternativa, circa un € a birra, al pub arrivano a 8€. L’orario è giusto per approfittare della bassa marea odierna e visitare la spiaggia nera a Saksun, di strada in auto ne dobbiamo percorrere, ma il traffico inesistente agevola. Lasciamo le auto al parcheggio a circa 100 metri dal cancello, si entra pagando 75dk con carta di credito munita di chip, il tornello magicamente si apre. Notiamo come qualche autoctono faccia il portoghese, non tanto saltando le reti, ma pigiando a lungo il tasto sul retro che permette l’uscita o l’eventuale disincastrarsi del tornello, siamo più onesti noi di loro. La prima parte costeggia la laguna Pollurin regalando quelle immagini sognanti delle rare abitazioni con tetto verde nel verde sotto le cascate e con la laguna ai loro piedi, poi prendendo il lato destro del canyon ci si dirige alla spiaggia nera, Út á Lónna. E’ uno spettacolo spiazzante, tra grandi pareti verticali grigie ammantate di verde, questa spiaggia completamente nera cosparsa da piccole lagune che paiono vuote data l’acqua completamente trasparente, un autentico spettacolo di magia della natura. I più ardimentosi (diciamo la verità, uno solo!) tentano pure l’immersione almeno fino al ginocchio, impresa ostica ma a suo modo terapeutica. Il rientro lo facciamo col drone che ci rincorre, ci regalerà a seguire spettacolo nello spettacolo, da qui la vista su Saksum è ancora più magica, per uscire dal cammino pigiando il famoso tasto che permette ai tornelli, piccoli movimenti in apertura. Arrivati alle auto rivisitiamo pure il paese prendendoci il tempo per le foto più classiche del luogo, non abbiamo il trekking verso Tjørnuvík ad attenderci, possiamo permearci di questo sito fuori dal tempo e dalla velocità. Al ritorno in paese la delusione è grande nel non trovare il van per il fish&chips tanto sognato, sarà in altro luogo, evidentemente ogni giorno bazziga una diversa piazza. Rientrati a casa doccia bollente, ne abbiamo bisogno, poi è ora di preparare la cena e a seguire tentare un’escursione per provare a regalarci un tramonto ad effetto dal passo Eiðisskarð. Il tramonto non sarà ad effetto, solite nuvole da censura, però c’è gente, mai visto un traffico del genere, che succede? Alla domanda se ci sia una festa, ci rispondono sbigottiti, festa? Come se qui festa sia argomento sconosciuto. In realtà qualcosa accade, 2 atletici indigeni stanno tentando l’ascensione all’Everest alla maniera faroense. Faranno di corsa dal mare alla vetta dello Slættaratindur il percorso ben 18 volte, così da simulare il dislivello del tetto del mondo. Ognuno si diverte a suo modo e dà modo ai tanti del luogo di avere circa una giornata di lucida follia e qualche argomento da dibattere. Ci sono tavoli con cibo e da bere per tutti, affrontando il solito vento gelido. Rientriamo a casa al termine di una giornata da 166km.

Saksum con vista dalla laguna Pollurin
8° giorno
Colazione in casa e subito partenza per Elduvik per un trekking abbastanza comodo con destinazione Oyndarfjørður. Il sentiero parte lambendo la costa, buona parte in piano con qualche passaggio a strapiombo, ma ci sono corrimani per chi teme di non farcela, tutto molto semplice. Leggera salita una volta lasciato il mare, si taglia il promontorio di Tindur per approdare in leggera discesa alla meta finale, con passo leggero e soste per panorami e foto in circa un’ora. C’è chi lo fa pure al rientro per recuperare le auto, mentre altri attendono a destinazione. Ora ritentiamo l’ascesa alla montagna più alta delle Faroe, Slættaratindur, il clima è terribile, un vento che spazza via tutto, le nuvole coprono la cima e dopo qualche decina di minuti di attesa decidiamo di rinunciare, troppo pessimo il clima, oltre al fatto che in cima non si sarebbe visto nulla. Tappa al Magn di Oyrarbakki per il consueto pranzo hotdog&caffè americano, scegliamo di vederci alcuni posti non considerati fino ad ora. Il primo è il villaggio tipico di Funningur, come molti incastonato in un piccolo spazio tra le montagne con accesso al mare, ovviamente contraddistinto da una chiesa col tetto ricoperto di erba, anche questa chiusa ma in perfette condizioni di conservazione. Da qui, con un giro che taglia buona parte delle isole prendiamo per una delle meno battute e più sconosciute, Kunoy. Distante una cinquantina di km, compreso il tunnel Eysturoyarvegur, vi si accede tramite ponte dall’isola Bordoy passando da Klaksvik. A parte le 3 case 3 nei dintorni del ponte che danno nome al villaggio di Haraldssun, non v’è nulla sulla costa est, “tutto” sta nella parte ovest, raggiungibile percorrendo lo strettissimo Kunoyartunnilin, circa 2km non illuminati, senza vista sull’uscita, con piazzole per scambio ogni 200m, ma il traffico le rende inutili, qui non arriva nessuno. Nel villaggio omonimo sorgono alcune abitazioni tipiche ed una chiesa, questa senza tetto d’erba ma aperta, almeno riusciamo a vederne una. L’addetto sta facendo le pulizie, ci invita ad entrare, ma penso sia l’unica persona che non parli una parola una d’inglese, italiano, francese o spagnolo dell’isola, così le info sono minimali, non capisco se 70 persone siano quante ne contenga la chiesa o quante siano quelle fisse nel paese, o forse entrambe le cose. Si può fare un giro ad anello sopra al paese per raggiungere una piccola sorpresa, un bosco, l’unico dell’arcipelago. Il Viðarlundin í Kunoy si trova sotto un arco roccioso naturale, trae linfa dal fiume Myllá lungo quasi un km…è attraversabile lungo brevi sentieri nei quali ci imbattiamo in alcune coppie che portano i loro piccoli a vedere questa stranezza della natura. All’uscita il panorama dell’isola è impreziosito da qualche canestro (incredibile quanti ce ne siano da queste parti, anche se nessuno gioca partite, per loro si tira a canestro e basta, questa impressione che mi son fatto osservando ogni canestro incontrato e i loro avventori mi è stato confermata da un ragazzo serbo che vive 9 mesi all’anno sulle isole, e come tradizione un serbo di basket sa tutto!) e da un campo da calcio a strapiombo sul mare, in discesa e storto, auguri a giocarci. Non c’è nemmeno un piccolo bar dove far tappa, nulla, isolamento totale su questa stretta terra con montagne quasi fino ai bordi. Il clima non è il massimo ma un’escursione col drone va tentata. La curiosità lo fa spingere fino all’isola di fronte, così da arrivare fino alla celebre Kópakonan, la statua della donna foca a Mikladalur, isola di Kallur. Nuovamente non teme il vento nemmeno tra le isole in mare aperto. Terminate le escursioni sull’isola, a nord non ci sono più strade, un sentiero in terra battuta di 500 metri che conduce ad una casa privata e nulla più, riprendiamo la via di casa, ma passando nel centro di Klaksvik notiamo in un parcheggio di un centro commerciale chiuso (è sabato pomeriggio, ci mancherebbe) il van del fish&chip, ed allora una sosta con assaggio è un obbligo. Una porzione standard costa 100dk, è merluzzo, poi ci sarebbero anche altre qualità ittiche, ma manca la traduzione, e poi è sufficiente la versione basica, giusto per entrare nello spirito del luogo. Quantità abbondante (patatine fritte pure troppe), qualità buona, tempi d’attesa veloci, pure maxitendone dove cibarsi riparati dalle intemperie, serve altro? Rientrando facciamo tappa all’ultimo villaggio lungo il cammino, Fuglafjørður, che potremmo definire un posto industriale tutto attorno al proprio importante porto, nulla di particolare da vedere. Rientro a casa, ultima sera di viaggio, ultimo rabbocco carburante (9,96dk al litro) e poi doccia bollente per controbattere il freddo della giornata e la pioggia che fuori bagna la serata impedendoci anche l’ultima camminata per smaltire la cena abbondante, va finito tutto quanto rimasto. Tempo per il check-in on line, ma la prima tratta non è fattibile, così nemmeno il PLF è compilabile perché teoricamente servirebbero i posti esatti dove si siederà nei 3 aerei che dovremo prendere. Percorsi 188km.

Funnings Kirkja nell'isola Eysturoy
9° giorno
La sveglia trilla quando l’alba ancora non si è palesata, e qui significa molto presto. Colazione in casa, carico zaini in auto e via, destinazione aeroporto di Vágar sull’omonima isola, che raggiungiamo attraversando l’isola di Stremoy ed il tunnel sotto al Vestmannasund, percorsi 51km. Consegnate le auto (controlli pari a zero) arriviamo con 2h di anticipo in aeroporto che però è chiuso. Un addetto ci scorge e gentilmente apre la porta principale, possiamo attendere al caldo, all’interno e seduti, usando il wi-fi a disposizione senza nessuna password. Appena il check-in apre, velocemente ritiriamo le carte d’imbarco e possiamo predisporre il PLF, faccenda brigosa che consta nel nostro caso di ben 14 passaggi, se uno è sbagliato non si procede, e non segnala cosa non lo sia. In realtà ci verrà detto di segnare un posto a caso sull’aereo e procedere. Pratiche velocissime anche perché a parte questo volo Atlantic per Copenaghen non c’è nessun altro volo in programma per le prossime 4 ore, il duty free apre mentre siamo chiamati all’imbarco, le poche addette potevano restare a casa per altre 4 ore a quel punto. Volo puntuale (2h) dove è offerto da bere ma cibo solo a pagamento, come all’andata, arrivati nella capitale danese ho 6 ore d’attesa così decido di uscire per visitarne il centro, non ci passo dall’Interail del 1992. Con la metro gialla si raggiunge il centro in 8 fermate, 13’ (36dk), è una meravigliosa giornata di sole e mi lancio nella visita, bloccato qua e là dalla gara dell’Ironman, pure sulle scenografico Nyhavn. Scansando un po’ di folla fuori dal ponte Nyhavn, la vista delle coloratissime case a murata simbolo della città (ok la sirenetta, ma questo è pieno centro) emerge prepotente tra infiniti ristoranti operativi a qualsiasi ora e sciami di gente a cui non sono più abituato. Prendendo strade a caso mi spingo fino all’isola del palazzo di Christiansborg, in parte in ristrutturazione. Ma il bello della città in una giornata calda e soleggiata è quello di aggirarsi con tranquillità tra un canale ed una piazza con la gente che si gode il buon clima. Per rimanere in tema, un ultimo hotdog in un baracchino in Kongens Nytorv (37dk, pagabili con carta di credito) e un centrifugato di frutta da Joe & the Juice (45/56 a seconda del formato, ovviamente con carta). Noto come nessuno utilizzi mascherine anche se a differenza delle Faroe non si è sottoposti a nessun controllo all’ingresso. Terminato il soggiorno purtroppo brevissimo nel centro di Copenaghen, riprendo la via dell’aeroporto, controlli doganali velocissimi, ma imbarco ritardato. Qui al gate i passeggeri con destinazione Amsterdam provenienti dalle Faroe e da altri paesi fuori UE sono chiamati al gate a mostrare il Green Pass, che guardano confrontandolo col passaporto ma non lo scansionano. Il volo KLM è in ritardo, anche se i tempi una volta decollati paiono in recupero, è servito il solito sandwich con bevande. All’arrivo nessun controllo, chi ha coincidenze ristrette era già stato avvertito di seguire determinate linee, per Bologna ho 45’ di tempo, non tantissimo ma sufficienti per arrivare con comodo all’imbarco. Volo KLM puntuale, anche su questa tratta servito sandwich e bibite, arrivo dopo 1:40 e ritiro lo zaino dopo nemmeno 5’, all’uscita un’addetta chiede da dove si provenga, ma senza necessità di esibire nulla, così la brigosa pratica del PLF cade nel vuoto. Fuori fa caldo, un caldo da mezzogiorno estivo nel Sahara per chi giunge da una settimana da 13° come temperatura massima, un ritorno all’estate ed alla gente, più in quest’aeroporto che in tutte le Faroe. E così il primo viaggio dell’era post covid19 è andato, agevolato dal fatto di essere stato in un luogo con isolato, con pochissimi abitanti e rare linee di accesso che ha permesso la visita come si viveva prima della pandemia.

Abitazione tipica nell'isola Kunoy
Per info

Ehi, tu, dici a me?
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