top of page

Mangystau (Kazakistan)


Kyzylkup, a passeggio nel "tiramisù" arancione


2 note di commento

Il viaggio si è svolto a partire da metà agosto quando le temperature in teoria iniziano a scendere, ma i pomeriggi desertici stazionano sui 42-44°, con pure notti particolarmente calde. Il viaggio è totalmente nel deserto, non ci sono strutture, né campeggi, occorre far campo ogni sera nel nulla avendo al seguito tutto il necessario, durante il tragitto s’incontrano solo 2 piccoli paesi. Per entrare in Kazakistan serve il passaporto con validità rimanente di 6 mesi, non è più richiesto il visto, come al momento del mio ingresso non era più richiesto nessun tampone covid. La moneta è il tenge (1€ circa 480 tenge, 1 tenge circa 0,2€), ma data la tipologia dei luoghi attraversati non abbiamo cambiato nulla. Ci siamo appoggiati alla guida Sergey Khachatryan (organizzazione ottima, conoscenza del luogo centimetro per centimetro, appassionato di riprese col drone), che si può definire colui che ha scoperto il luogo, con i suoi autisti/guide hanno gestito il viaggio, le rare spese “desertiche” le abbiamo aggiunte al costo del viaggio evitando così di perdere tempo in cambi ed avere eventuali rimanenze di moneta locale. Riporto i rari costi sostenuti in €, perché tutto rapportato a quella moneta che però nel capoluogo Aktau non è accettata (in un ristorante si son fatti curiosi a capire cosa fosse…). Discorso nomi, riporto quelli che mi hanno segnato le guide o trovato sulle mappe, ma le traslitterazioni sono spesso diverse, i nomi in principio erano russi, poi trasformati in kazako, le guide di solito riportavano quelli russi perché nelle loro etnie miste solo il russo faceva da base univoca. Ma i nomi dei luoghi spesso lasceranno posto solo alle coordinate GPS perché si è sempre nel nulla e solo certe montagne hanno un nome, in alcuni casi un soprannome. Il costo dei rifornimenti per le jeep, compresi nella quota, sono risibili, il gas per autotrazione costa l’equivalente di 0,13€, la benzina 0,38€, del resto qua ovunque c’è petrolio, gas e sostanze all’oggi preziose, come testimonia Aktau che a fianco di alcuni palazzoni stile sovietico affianca ville sul mare, palazzi modernissimi con tanti negozi occidentali e spazi verdi in ogni dove, tra il Caspio e il deserto. Tutta l’acqua (elemento fondamentale) è fornita dalle guide, in quantità elevata, sono arrivato a bere fino a 8/9 litri al giorno (escludendo il tanto the a colazione/pranzo/cena), il problema è che sarà sempre calda, meglio avere al seguito sali o altro per cambiarne il sapore. Già un po’ di polvere di the freddo la rende meno “problematica”, a piacere vostro. Al seguito le guide hanno un frigo, ma è utilizzato principalmente per le vivande deperibili, anche se in piccola parte lasciano uno spazio alle bevande, ma servirebbe un camion-frigo. Telefono, nel deserto dimenticate cosa sia la telefonia, una settimana di disintossicazione penso possa far bene a tutti, ad Aktau hotel e ristorante avevano il wi-fi. Traffico inesistente sulle poche strade asfaltate incontrate, giusto sulla nuova R114 che porta a sud, ma la mia indicazione fa poco testo avendo percorso prevalentemente sentieri nel nulla. Sentieri che scompaiono nel periodo delle piogge, quindi da rifare ogni anno. Per godersi al meglio gli scenari naturali di montagne dai mille colori e dalle formazioni impensabili, serve camminare a lungo, sotto il sole cocente, ma il deserto ha un clima secco che aiuta. Indicativamente 15-20km al giorno si percorrono, con piccole salite e discese che in alcuni casi proprio banali non sono. Al momento, anche per la mancanza di guide, non s’incontra nessuno nelle tante escursioni, questo regala una sensazione d’esplorazione ancor più che di viaggio, acuendo il piacere di visitare un luogo unico al mondo.

Sul lago Takir

1° giorno

Da Bologna in auto raggiungo l’MX Park a Somma Lombardo, dove velocemente salgo sulla navetta a disposizione e raggiungo il limitrofo aeroporto. Il check-in l’avevo già fatto anticipatamente on-line, il deposito del bagaglio è veloce (l’addetta è solo curiosa di capire dove sia Aktau…ed è sorpresa che non serva più il visto) e pure i controlli persona e documenti altrettanto veloci. Il volo Turkish, su di un moderno A321 è in leggero ritardo per la lunga attesa sulle vie che portano alla partenza, una volta decollati i circa 1.775km son percorsi in 2h, servito un buon pranzo. Monitor personale, possibilità di utilizzare i propri device e ricaricarli, cuffie a disposizione, a richiesta coperta, il servizio resta molto buono. All’arrivo al nuovo e gigantesco Istanbul Airport (un’ora avanti per il fuso) quasi in orario, abbiamo più ore di attesa (quasi 6, ma per esperienza precedente un po’ poche per un giro in centro città collegata al momento solo con bus e non metro/treno), solo girarsi tutto l’aeroporto le impiegherebbe tutte, magari nell’area centrale potevano pensare a qualche poltrona in più invece di un concentrato di centri commerciali e alimentari, quelle si trovano andando verso i vari gate, a minuti di distanza. Per chi non vuole restare sconnesso, c’è possibilità di attivare il wi-fi per un’ora in automatico con codice via sms (un’ora secca, non un’ora di connessione, se ne avete necessità concentrate l’uso in quel periodo), oppure scansionando il passaporto negli appositi macchinari avrete altre possibilità. Mi è parso tutto molto semplice, anche se non l’ho provato in prima persona. I controlli per accedere all’area internazionale una volta arrivati, velocissimi, del resto ce ne sono una quantità non misurabile.


Pastore a Sherkala


2° giorno

E’ già scoccato il nuovo giorno quando è tempo d’imbarco sul volo Turkish destinazione Aktau, puntuale a bordo di un non nuovissimo A319. Qui niente schermo personale né possibilità di ricaricare i device, il totale del volo è di 3h per 1.818km. Servita un’abbondante colazione, l’orologio avanza di altre 2h, per una differenza rispetto all’Italia di 3h. L’aeroporto internazionale di Aktau è piccolo, le pratiche di accesso veloci, quando le passiamo l’attesa del bagaglio ridottissima (c’è una cinghia sola ma pure solo il nostro aereo in arrivo alle 6:15) ed appena usciti dall’area internazionale c’è la guida Sergey ad attenderci. Rapido consulto per distribuirci nelle jeep lì nel parcheggio dell’aeroporto, si parte immediatamente verso nord, dopo una seminottata non proprio da sonno consumato. Voli brevi, spezzati dal cibo, dormire un’impresa, ci penseremo poi. Si va a nord su strada asfaltata lasciando a fianco campi petroliferi col Caspio non lontano, che vedo per la prima volta. Non passa molto tempo che l’asfalto è salutato per addentrarci su sentiero sterrato verso Khanga Baba (44°27’24’’N 50°35’34’’E), necropoli sorta lungo la via commerciale ove incontrare acqua dolce, uno degli infiniti passaggi della via della seta. Situata su di un altipiano, salendo al fortino si domina la vallata dove si notano anche alcuni gelsi in uno stretto passaggio, unica presenza di alberi per giorni e giorni. Temperatura godibile, la mattina è vivibile. Proseguiamo sul plateau per arrivare a Zhigalgan, una vasta area rocciosa sprofondata col Caspio al margine (44° 24’ 30’’N 50°50’06’’E). Qui a piedi prendiamo un sentiero che scende tra le rocce sprofondate, nel cui mezzo sorge un piccolo lago, su alcune rocce si vedono le impronte di animali preistorici. La prossima tappa è al bianco canyon di gesso di Kapamsay (44°24’35’’N 51°04’42’’E) dove, dopo averlo rimirato dall’alto sempre col Caspio non lontano, ci inoltriamo a piedi sul fondo potendo salire su piccole montagnette. Qui le guide predispongono un veloce pranzo al volo, tavolino tra 2 jeep, un telo in alto per evitare il sole che inizia a farsi sentire, e prime esperienze col the caldo, fedele compagno di pranzi e cene, poiché l’acqua è sempre calda. Ma ci abitueremo, oggi è solo un accenno. Prossima tappa la moschea interrata di Shakpak Ata (44°26’05’’N 51°08’15’’E), che raggiungiamo passando prima dalla nuova costruzione che funge da riparo per i pellegrini nei periodi di clima severo, utilizzabile anche dai viaggiatori stranieri quando non è possibile far campo. Si parcheggia vicino a questa costruzione, la moschea si raggiunge a piedi oltre la necropoli, è scavata nella falesia ed emerge solo la cupola, ora protetta da 4 pareti di mattoni recenti. Interessante per la formazione a croce, ancor di più per le iscrizioni, per la leggenda che mischia il culto del fuoco alla religione islamica, è vagamente datata tra il X e il XIII secolo. Si può entrare dalla parte bassa, percorrere il suo interno e salire al tetto sulla parte alta della falesia, rientrando da questa per rimirare il panorama. Occorre togliersi le scarpe solo quando si calpestano i tappeti, volendo si evitano e non occorre sfilarsele. Il caldo inizia a farsi importante mentre passiamo dal punto panoramico di Shakpak Sai in direzione del villaggio di Tauchik (c’è un bel campo da basket). Nei dintorni s’innalza la montagna o plateau di gesso bianco di Akespe (44°24’32’’N 51°36’22’’E), vuoi non salire? La piccola ascesa regala uno spettacolo tutto bianco, poi scendere non è piacevole come salire, ma non si può non godere di questa vista. Procediamo verso il primo campo, nell’area delle giganti sfere di roccia di Torish, proprio qui montiamo per la prima volta le tende (44°19’17’’N 51°35’17’’E) in un’area che regala un tramonto fantastico tra queste enormi sferiche di pietra, che servono anche da ritirata per i bisogni. Alzate le tende il più è fatto, al cibo (e lavaggio pentole) pensano le guide tuttofare, la prima cena è buona per forza, mentre iniziamo a familiarizzare con la vita nel nulla che ci attende per la settimana. Area per il campo molto bella, peccato solo la notte sia caldissima, non serve montare il copri tenda, anche a oblò aperti però niente aria. Percorsi 265km con già larga parte di sterrato in buone condizioni.


Torish, nell'area delle sfere giganti


3° giorno

L’intenzione era quella di rimirare l’alba tra le giganti sfere di pietra, ma il sonno arretrato ha la meglio ed il risveglio è già col sole nascente, anzi, nato. Poco male, recuperato il sonno è tempo di colazione e smontaggio tende, poi via a piedi tra le enormi sfere nella valle di Torish. Il bel percorso a piedi parte dalla zona bassa per risalire, così da vedere queste palline nel fondo e capirle al meglio per poi avere una visione completa dall’alto, una volta compresa la maestosità di ogni singola sfera. Pare una grandinata gigantesca, in realtà i “chicchi di grandine” di dimensione ben oltre 2 metri, si sono formati sul fondo del mare milioni di anni fa, costituiti di calcare e arenaria, alcuni sono perfettamente spaccati a metà così da capirne la conformazione. Il giro di circa 90’ permette un’ottima osservazione di questa impensabile area, tempo per foto e soste in una mattinata con temperatura gradevole, prima che il sole la faccia da padrone. La valle delle sfere fa già parte della Riserva Naturale Ustyurt, istituita già in tempi sovietici, comprendente oltre a quest’angolo di Kazakistan, anche parti di Uzbekistan e Turkmenistan. Durante la nostra escursione le guide che non ci avevano accompagnato hanno già sistemato i mezzi, azione non banale che ci è risparmiata. Ripartiamo attraversando il lago Takir (44°17’45’’N 51°46’58’’E) al momento completamente ritirato, dove la crosta di fango regala visioni eccentriche e colori di vario tipo. Ma è bene non fidarsi, in alcune zone sotto la crosta fangosa c’è acqua ed il passaggio incauto della jeep causerebbe uno sprofondo, le guide sono sulle spine e attente come non mai. Passati indenni da Takir giungiamo al paese di Shayir che attraversiamo senza fermarci, sosta fuori villaggio dove da una tubatura dell’acqua piove una doccia naturale (44°14’41’’N 51°47’54’’E). Una volta fatta scorta d’acqua potabile, tempo di doccia, nei paraggi c’è pure una piccola costruzione per cambiarsi, così attorniati dai ragazzi del posto che stanno attendendo la nostra partenza per lavare i motorini, la delizia della doccia è garantita. Tempo per mangiare qualcosa di fresco al solito “chiosco” tra le jeep e poi via a Kokala, una montagna rocciosa nella steppa, risalente al periodo giurassico (44°14’48’’N 51°59’17’’E). Per gli studiosi è un luogo importante per le tracce fossili ancora visibili, sia di animali, sia di piante, per chi vuole fare un giro a piedi posto ideale per salire e scendere rocce e crinali da dove godersi belle viste. Sempre via piste sterrate continuiamo per la montagna di Sherkala, che va vista da più punti perché regala impressioni diverse. A prima vista pare un leone a riposo, un perfetto profilo con fronte, naso, occhi e bocca, con i suoi molteplici colori (44°19’32’’N 51°59’17’’E), aggirandone il fronte si tramuta in una yurta o gher (a seconda che la tenda delle popolazioni nomadi sia chiamata alla russa o alla mongola). Nell’area ci sono allevatori che inseguono cavalli e dromedari con le vecchie moto di produzione cecoslovacca, dal nulla ne compare uno a cui proviamo a chiedere info, ma ha altro da fare e la conversazione (tramite guide a tradurre) si arresta dopo poco nello spiegare da dove veniamo, collocare l’Italia da qui nel nulla non è impresa semplice, lui non la conosce. Da notare che tra i vari dromedari s’incontrano anche cammelli, sono i “lasciti” della via della seta, chi partiva dal Taklamakan o dal Gobi e cambiava i cammelli qua ripartendo poi con i dromedari, alcuni hanno resistito fino ad oggi. Il caldo è intenso, salire la montagna sarebbe bello ma ce lo sconsigliano, facciamo solo un giro a piedi nella parte est mentre le jeep percorrono tutto il periplo e ci attendono a metà strada. Da qui ripartiamo per gustarci una nuova visione di Sherkala da una collinetta poco oltre, da dove si scorge una vista ancora diversa. Non lontano sorge un Etno Camp, dotato di tende gher sia per passare la notte che per bar, ma soprattutto una doccia vera e propria, ne approfittiamo poiché sarà l’unica durante il viaggio. Etno Aul Quges il nome del camp, con rari avventori al momento del passaggio, ma tonificante anche per le bibite che vi si trovano. Si riparte, meta il canyon bianco (gesso, che altro?) di Jylshi (44°18’35’’N 52°10’02’’E), raggiunto dopo un bel passaggio tra dolci colline bianche. Al canyon, fortunatamente percorribile solo a piedi, si può girovagare per la parte bassa avvolti nel bianco più bianco, ma anche risalire la montagna per vederlo dall’alto, il cielo azzurro intenso e l’intero scenario bianco creano un contrasto fortissimo. La meta finale dove fare campo dista ancora, destinazione Ayrakty Shomanai, tra le montagne, dove arriviamo dopo sosta tra i cavalli che si abbeverano in pozza naturale col sole calante, immagine chi lì vi si rispecchia, in tempo per salire sulla montagna che ci farà da protezione per la notte così da goderci un’ultima vista da cartolina, il sole che s’inabissa tra i pinnacoli delle montagne a ovest. E’ già buio quando terminiamo di montare le tende, senza vento e col caldo non serve montare il telo di protezione, il terreno è più duro del giorno precedente e per i picchetti è necessario un martello, o una grossa pietra (44°14’58’’N 52°08’27’’E). Terminata la cena (sempre buona ed abbondate), schivate le cimici (l’unico insetto in cui ci s’imbatte nel periodo) e spento il grande faro che illumina la tavola, prendiamo confidenza con la visione delle stelle e della via lattea, con giusto la luna che fa da faro naturale e rendere meno intensa la visione. Fa caldo, molto caldo anche di notte, non si muove una foglia, pure a tenda spalancata non entra un filo d’aria, se non calda. Percorsi 97km, oltre 90 dei quali su sterrati a volte fuori anche dai sentieri.


Area di Bozzhira, la Nave

4° giorno

Dopo una notte molto calda, un tè caldo e 2 biscotti prima dell’alba e veloce trasferimento verso la vicina montagna di Zaigrakty che si sale a piedi con un bel giro dal lato sx (44°14’23’’N 52°05’58’’E). Mezz’oretta e si giunge in cima, preferibile salire di prima mattina per evitare il caldo, sul grande piano in vetta le folate di vento aiutano nel cammino, o meglio niente caldo ma attenzione a camminare sul bordo. L’area è celebre per i petroglifi raffiguranti svariati animali, alcuni dei quali non più presenti in zona, mentre nella sottostante pianura si avvistano alcuni geoglifi. Una simil Nazca? Niente di tutto questo, son stati realizzati in tempi recenti, 2017-2018, in teoria per attirare turisti, non penso che in futuro si verrà quassù per quei geoglifi. Una delle nostre guide ha invece contribuito alla realizzazione di un labirinto in pietra, poco più di un gioco arcaico nel nulla, ma simpatico da interpretare. Si scende mentre la luce acceca da quassù, la discesa è sotto un solo cocente, molto bene aver intrapreso la salita senza questo caldo. Rientriamo al campo per completare colazione, poi si parte passando dal paese di Shetpe, con tappa in mini supermarket. La toccata e fuga con la modernità è sancita dalla presenza di un semaforo (con mucca indifferente ai colori di detto semaforo) e connessione telefonica grazie al wi-fi dell’auto del capo guida. Fatta spesa, ci concediamo ben 2 bibite a testa (meglio bere subito, almeno son fresche, tè freddo da 0,5l, circa 1,1€), fatta scorta di tanta acqua (non lesinate con la scorta) ed alimenti velocemente deperibili, prendiamo una grande strada asfaltata, A33, in direzione est. In uno slargo con vista ci fermiamo per uno spuntino, da qui si può rimirare in lontananza l’area del “tiramisù” che visiteremo nei giorni a seguire. Il caldo è molto intenso, si resta al riparo sotto le costruzioni con tetto di lamiera bevendo tè caldo, prima di rimetterci in marcia, prendendo a sud su strada sterrata, ormai un’abitudine consacrata. La destinazione è il lago di sale Tuzbair che regala visioni allucinanti forse per via del caldo forse per via del gioco sale-cielo che paiono confondersi e proporre specchi d’acqua ovunque, in realtà miraggi. Decidiamo di attraversare questa distesa di sale a piedi sperando che la crosta regga, sembrerebbero 2 passi, in realtà il miraggio dell’acqua accompagna anche quello della distanza, ma perdersi in questo nulla è fantastico. Più ci addentra nel centro del lago e meno la crosta regge, s’inizia a calpestare una piccola traccia d’acqua, ma non si sprofonda mai, le montagne che cingono il lago paiono formate da gigantesche zampe d’elefante, in un punto si aprono per regalare colori diversi, ocra, gialla e arancione, proprio in corrispondenza di un enorme arco naturale visitabile sempre a piedi. In queste strane forme ognuno ci vede quello che vuole, o quello che la mente verso il delirio porta ad immaginare. Hunter Thompson non avrebbe avuto bisogno di strafarsi qui, a differenza di Las Vegas, per scrivere dei propri deliri e paure. Decidiamo di far campo qui (44°02’20’’N 53°11’29’’E) con tempo a disposizione per salire le montagne che cingono il lago, facenti parte dell’altipiano di Ustyurt. Il lago Tuzbair era un tempo il fondo del Mar Caspio, da qui il sale che ancora ne riempie il fondale. Qui tutto è bianco, intensamente bianco, le montagne, il lago, le rarissime nuvole di veloce passaggio, l’insieme cinto dal blu penetrante del cielo, un contrasto che ad occhio nudo fa perfino male. Il tramonto colora i crinali che paiono prendere fuoco, mentre durante la sera la luna s’innalza dando luce alla distesa di sale, un vero buio non c’è mai, quando questa inizia a splendere di meno, il cielo si riempie di stelle e la via lattea una verrà fontana con getto bianco. Il luogo pare fuori dal tempo e dalla logica (una sorta di Salar di Uyuni ma invece di essere a 3.800 metri è a 15 metri s.l.m.). Cena a ritmi lenti, godendoci la magia del posto, in una serata che porta pure una leggera brezza, oro puro dopo il grande caldo delle nottate precedenti. Le camminate al caldo intenso hanno portato a bere sui 9 litri di acqua (quasi tutta calda, purtroppo), oltre al tè durante colazione e pasti. Percorsi 151km, circa 50 pure su strada asfaltata, lusso sfrenato.


Tra le montagne colorate

5° giorno

Un refolo di vento allieta la nottata in tenda, all’alba un giro a piedi in questo luogo magico, poi colazione e tempo per salire di nuovo sulle montagne che delimitano l’area prima di abbandonare Tuzbair. Riattraversiamo l’area del lago prendendo un diverso sentiero per risalire, non semplice. Ci porta alla vetta da dove rimirare il panorama ed una necropoli, qui nel nulla assoluto (43°57’43’’N 53°05’34’’E) dove gli agenti atmosferici creano rocce che paiono cristalli. Il sentiero non è per nulla agevole, ci permette di tagliare e di passare per alcune dune che ovviamente saliamo (43°49’52’’N 53°12’46’’E), la temperatura ancora non rende l’escursione affaticante. Da qui si prosegue per il punto panoramico su Kyzilkup (43°29’58’’N 53°47’34’’E) dove facciamo una sosta che vale anche per pranzo/merenda, lungo la strada asfaltata per Beket Ata. S’intravvedono gli scenari che a breve toccheremo con mano da vicino dell’altipiano di Ustyurt, per oggi il prosieguo prevede il giro dei punti panoramici, solo al termine scenderemo per far campo. Lo scenario di Bozzhira può ricordare in alcuni casi (il simbolo ne sono i denti) le Tre cime di Lavaredo nel deserto con laghi di sale a fare da corollario, altre formazioni sono picchi nel vuoto dove salire e sentirsi ai limiti del mondo. Prevale il bianco, ma dal primo punto panoramico (43°27’27’’N 54°04’16’’E) i colori abbondano mischiandosi in più tinte. Incredibile ma vero, qui incontriamo un gruppo di locali in visita, forse più impressionati nel vedere noi che le incredibili formazioni di Bozzhira. Ne vedremo 7 di luoghi panoramici, ad ogni nuovo punto la magia si moltiplica, se devo scegliere il più impressionante decido per quello dall’alto della NAVE, così Sergey rinomina la cresta bianca e sottilissima proprio sotto di noi. Un passaggio fino all’estremità c’è, facile se non soffrite di vertigini, poi un piccolo salto per andare sulla montagna di fronte, quello già meno banale, ma fattibile. Ognuno ha qualcosa che cattura, anche un semplice cartello stradale con riportate le città del Kazakistan qua fa notizia, come un’imperiale aquila della steppa che vola sopra di noi, attendendo che ci sfracelliamo sul fondo del plateau o pronta a salvarci in caso di caduta? Meglio non sperimentarlo, certo la vista da tutti questi magnifici promontori porta via tempo, iniziamo la discesa nel posto più basso del plateau quando il sole scende così da far campo quando è già buio. I km per la discesa son pochi, ma in condizione pessima, così i tempi si dilatano. Poco male, ormai il montaggio tenda è in automatico, previsto vento ma il caldo evita di dover montare il telo di copertura. Il luogo scelto (42°25’59’’N 54°02’30’’E) non è l’ideale per eventuali bisogni fisiologici non essendoci nulla a riparare nei dintorni, ma il buio aiuta per la nottata. Si cena con una zuppa non proprio dai tempi rapidi, passiamo mezzanotte, quasi inaudito in questo nulla, ma le viste meritavano tutto il tempo dedicato, la magia sta proprio nel godersi questi luoghi con i propri tempi, chi fermo ad occhi aperti chi in perenne movimento su e giù per crinali e colline o bianchissime o dai colori usciti da una tavolozza di pittore caduta per terra e mischiata alla follia. Percorsi 181km, in parte su strada asfaltata, molti su sterrato in pessime condizioni a velocità molto limitata, per chi vuole possibilità di far “surf” sulle o a fianco delle jeep.


Attraversando a piedi il lago Tuzbair

6° giorno

C’è vento di mattina, ne abbiamo beneficiato anche durante la notte (prima volta d’utilizzo del sacco lenzuolo), colazione rapida in piedi, è il giorno di Bozzhira, della parte “bianca”, e non c’è tempo da buttar via. Muovendoci in jeep andiamo verso altipiano che da proprio sui Denti di Bozzhira, ascesa semplice a piedi, anche il passaggio che porta al punto panoramico semplice, salita e discesa senza grandi burroni a fianco, la vista al termine ovviamente spettacolare. Scene da drone, rivendendo il luogo, beh, proprio a strapiombo. Da qui percorriamo con le jeep ma con tanti passaggi a piedi il sentiero che porta alla discesa, sempre sul bordo per panorami costantemente mozzafiato, per chi soffre di vertigini forse troppo. Qui ora è tutto bianco, intensamente bianco, senza occhiali impossibile resistere, occorre venire preparati. Una volta scesi la vista punta sui denti di Bozzhira, facciamo sosta anche se il caldo è intenso, proviamo a vedere se salire sia semplice magari per tornare in un secondo tempo. La prima parte è poco irta, a quel punto presi dall’enfasi decidiamo di salire, ma pian piano si fa sempre più verticale. Salire è il meno, nel crinale tra i due denti la vista è ovunque superba, ma tira un vento incredibile, non si riesce a star fermi, e lo spazio non è così abbondante da starsene comodi, ma come non godersi questo luogo? La discesa non proprio agevole, i piccoli sassi che ricoprono le bianche rocce sono sdrucciolevoli e non fissi, o si scende di corsetta (serve tanta, tanta fiducia) o di una lentezza incredibile, a volte pure appoggiandosi col sedere, la prima opzione la migliore, testata sul posto. Rientrati alle jeep sani e salvi, le guide avevano già attrezzato il rinfresco (ovviamente di fresco nulla qui in pieno caldo), sosta veloce perché abbiamo altri punti da rimirare, come quello proprio sotto la splendida cresta della Nave. Escursione molto meno impegnativa ma meritevole, sempre attorniati dal bianco che più bianco non si può. Visto da sotto il picco dove di mattina ci siamo messi per rimirare i denti fa impressione, ha retto, bene così. Vorremmo far campo proprio sotto i denti, ma le guide prevedono molto vento e così ci dirigiamo circa 2km oltre in uno spiazza in larga parte chiuso da montagne (43°25’59’’N 54°04’45’’E) con posti più comodi per i bisogni. Da qui si può esplorare il limitrofo canyon, che risaliamo fino ad una cascata tra le rocce (al momento secca), poi rientriamo ed aggiriamo in parte la montagna in fronte, per poi salirla e discendere proprio nei pressi del nostro campo. La montagna presenta diversi colori, bianca solo in cima, pare vulcanica anche se in realtà non lo è, più tonalità in un unico complesso, ci abituiamo già a quello che ci aspetterà nei giorni seguenti. Terminata la cena (abbondante pasta asciutta che alcuni di noi si offrono di preparare), in una serata con stelle che illuminano l’area, facciamo un’escursione notturna fino ai denti di Bozzhira, quando arriviamo (2km, sterrato percorso in precedenza in jeep, una vaga idea l’abbiamo) sono avvolti dal cielo azzurro scuro, non è ancora del tutto buio nonostante siano già le 22. Il luogo non smette di regalare emozioni, al rientro il buio si fa più denso e le torce diventano fondamentali se si vogliono evitare storte, il sentiero è quasi tutto pianeggiante ma presenta più crepe e buche importanti. Il vento allieta il cammino, le indimenticabili viste di Bozzhira sono una ninna nanna superba. Percorsi 39km tutti su sterrato a volte nemmeno su sentiero, vagando tra cielo e terra, ai quali vanno aggiunti oltre 20km a piedi.


Bakty, il "tiramisù" di fragola

7° giorno

Dopo una buona nottata allietata da un minimo di vento, colazione al campo e poi a piedi raggiungiamo i denti di Bozzhira, che con i colori della prima mattina sono ancora più intensi. Non saliamo fino in cima ma un salto a metà per rimirare l’area è immancabile, poi usciamo dall’area di Bozzhira ripercorrendo in salita il non comodo sentiero del giorno precedente. Attraversiamo la valle di Baisary per giungere al Tiramisù allo Strawberry. Questa denominazione della montagna di Bakty l’ha data Sergey, essendo il primo a descriverla verso i viandanti, questo nome ora è rimasto. I tiramisù son quindi 2, nel caso fate attenzione a quale andare giusto per capire dove si sia, anche se data la bellezza van visti entrambi. Per rimirare al meglio questa montagna, prendiamo un giro lungo che ce la mostra dall’altipiano (43°24’19’’N 53°49’59’’E), da un punto panoramico che regala anche altre viste non indifferenti, peccato che Bakty sia di un altro pianeta. La similitudine col tiramisù in effetti ci sta, gli strati colorati di rocce che la costituiscono a quel dolce rimandano, se la vista pare superba da lontano, avvicinandoci ne guadagna pure. Le jeep ci lasciano qui, tra alberi secchi, terreno arso e montagna colorata, ci avviciniamo e ne scaliamo una parte, si può girare dal lato destro a lungo senza scendere, tra il bianco, l’arancione ed il rosso emergono anche formazioni ferrose ad acuire ulteriormente i colori della montagna. Una volta scesi aggiriamo la montagna per raggiungere le jeep poco lontane da dove ci avevano lasciati, tutto pronto per un veloce spuntino caldo (ormai l’abitudine a bere tè caldo è consolidata, del resto di fresco nulla c’è). Da qualsiasi punto la si osservi, Bakty regala una vista ineguagliabile, sola nel nulla, colorata e superba, nonostante siamo qui col sole a picco, non ideale per foto. Poco male, rimarrà nella nostra memoria fotografica a prescindere. Bakty è la montagna che compare sulla carta moneta da 1000 tenge, una foto della banconota con la montagna sullo sfondo è banale ma significativa, meritevole dello sforzo di arrivarci. Si riparte e si sale in jeep, destinazione la pietra storica di Tambaly Tas, in realtà è il punto di partenza per altre escursioni nei dintoni. Da lontano si scorge anche Bakty, ma si trovano all’interno di una conca naturale che ne evita la vista se non arrivandoci dal punto indicato da Sergey. Rientriamo con un giro ad anello percorrendone tutta l’estensione, e di seguito velocemente alle jeep, la seconda parte del tiramisù ci aspetta, quella suddivisa in più parti, tra picchi e canyon. Arriviamo nell’area di Kyzylkup del Tiramisù arancio, suddivisa in 2 settori distinti. Entriamo prima nella parte a sud, da dove saliamo immediatamente sulla montagna più alta, percorrendo un piccolo crinale ci inoltriamo sulla parte che volge verso una vera e propria tavolozza di colori, giallo, rosso, arancione, bianco, ma come si può anche solo pensare ad un luogo con questi colori? Saliamo e scendiamo all’impazzata, non si vorrebbe mai abbandonare il luogo, ci accorgiamo che salire e scendere, anche se ad occhio paiono verticali, in realtà è semplice, il terreno regge bene e non ci sono pericoli, ma dobbiamo andare anche nel versante più iconico di Kyzylkup, quello con i canyon e le creste che corrono tra infinite tinte della montagna. Si trova a poca distanza, aggirate le piccole montagne limitrofe, lasciamo le jeep e ci perdiamo tra questa formazioni che viste dall’alto sono ancora più impressionanti. Veri percorsi non ci sono, è bello vagare in ogni dove, nel mezzo del canyon una cresta tendente al bianco s’insinua come uno scoglio nell’oceano, se non soffrite di vertigini vi regalerà un’emozione di non poco conto. Non si scenderebbe mai, iniziamo a farlo quando il sole è calante e le valli tra i canyon risplendono meno, l’intenzione sarebbe quella di far campo qua, ma secondo le guide il vento nella notte sarebbe un grosso problema, così ritorniamo al primo punto di Kyzylkup, facendo campo a fianco della tavolozza del pittore, di certo un impressionista pazzo (43°28’33’N 53°47’20’’E). Prima di arrivare notiamo come i colori si carichino enormemente col sole che illumina sole le creste più alte, ennesimo giro di foto approfittando di ogni singola immagine con colori leggermente distinti. Nemmeno fossimo Monet alla cattedrale di Rouen. E’ l’ultima notte in tenda nel deserto, per cena terminiamo le varie provviste, non il top delle cene, ma ci sta, il tutto in una serata molto ventosa con tende che devono essere ancorate in modo idoneo, meglio se tutti i bagagli siano all’interno per far da contrappeso. Il luogo del campo è spettacolare, però mancano ripari per i bisogni, approfittare del buio, nemmeno troppo intenso causa solite stelle, della notte. Percorsi 75km, tutti in fuoristrada, su strade in non buone condizioni ed altre nemmeno sentieri, percorsi che conoscono le guide, si cancellano durante la stagione delle piogge e si riformano in seguito a più passaggi, ad oggi non ancora avvenuti. I soliti circa 20km a piedi, il luogo li reclama insistentemente ed a giusta ragione.


I denti di Bozzhira

8° giorno

Notte ventosissima, in certi momenti par che la tenda prenda il volo, verso mattina il vento si placa e tutto diventa sereno, all’alba giro a piedi tra le montagne e la tavolozza del pittore, viste spettacolari, impensabili. Tristemente si fa ritorno al campo per colazione, c’è tempo per un’ultima escursione, le guide sistemano il tutto per l’ultima volta, partenza alle 10, un poco di sterrato per lasciare l’area di Kizylkup poi asfalto. La prima meta di giornata è alla moschea sotterranea di Shopan Ata. Non abbiamo previsto che di venerdì la nostra idea fosse quella della larga parte della popolazione locale di Aktau e dintorni, per accedere occorre attendere oltre un’ora, così desistiamo visitando solo la necropoli ed assistendo al rito dell’estrazione dell’acqua, figurativo, poiché di acqua dal pozzo non ne sgorga in questo periodo. La necropoli merita un passaggio in ogni caso, nel parcheggio un signore del posto incuriosito ci offre del pane tipico, una sorta di focaccia molto buona. Titubanti all’inizio, senza vergogna a seguire, la finiamo completamente, ma è molto felice di aver condiviso parte del suo picnic con stranieri, italiani, non pare capire bene da dove proveniamo, poco male. Proseguiamo lungo la statale P-117 per Jañaözen (chiamata anche Zhanaozen), la città del petrolio, che sorge nel mezzo di numerosi pozzi petroliferi, nota in occidente per i violenti scontri di una decina di anni orsono. La popolazione locale, impegnata a lavorare nei pozzi, si rivoltò per le terribili condizioni di lavoro contro i gestori, tra cui risultava esserci pure l’italiana ENI. Tutta l’area, prima e dopo la città è attorniata da una coltre nebbiosa dettata dal vento che porta in giro la polvere e la sabbia che si trova attorno ai pozzi petroliferi, la scena che dura decine di chilometri poco migliora in periferia della città, contraddistinta da infinite gigantesche tubature che portano in ogni dove il gas, altro elemento preziosissimo che si trova in sovrabbondanza nel luogo. In città si cono più pompe di benzina che negozi vari, quasi ogni casa esibisce la propria, addentrandoci verso il centro (anche se un vero centro storico non c’è) la situazione migliora, facciamo tappa al ristorante Bereket, cosa quasi dimenticata. Un grande stabile ospita una gigantesca macelleria ben ordinata, un mercatino (solo tenge in contanti) ed un ristorante con aria condizionata a temperatura da polo nord. Andiamo direttamente sulla macchina che gestisce il tutto a programmare una temperatura umana, nessuno contesta, girando il luogo mi accorgo che la cucina per la parte del riso si trovi esterna, con un addetto che non fa altro, la parte take-away (disponibile) per il riso (noto richiestissimo) avviene senza nemmeno dover entrare nel complesso. Un pranzo vero, anche se ci porta via del tempo, quel tempo che non potremo dedicare ad una spiaggia vera ed un vero bagno sul Caspio. Non andiamo diretti verso Aktau, ma prendiamo la E-121 e a seguire la R-114 per attraversare la depressione di Karakye, prossima al Caspio. Anzi, un tempo questo ne era il fondale, quando il mare si ritirò lasciò questa valle che tocca la punta più profonda a -136 metri sul livello del mare. Prendiamo una deviazione dalla grande autostrada per accedere ad un punto panoramico, caldo intensissimo, vista del mare sullo sfondo, poi riprendendo l’autostrada tocchiamo la profondità di -125 metri, almeno stando alle indicazioni stradali e quelle dell’altimetro, che coincidono. Attraversiamo la parte a sud di Aktau, tra vecchi centrali nucleari dismesse trasformate in centri di desalinizzazione delle acque, stabilimenti dove si produce azoto, e centrali del gas, stabili alcuni nuovi, alcuni da “splendida” architettura post industriale, ma tutti in piena produzione. In città, attraversiamo la parte sud lungo larghi vialoni percorsi prevalentemente da grandi suv o pickup, poco armamentario mobile del tempo sovietico, per raggiungere il punto più trendy della città, il Skal'naya Tropa, ovvero la camminata lungo la scogliera. Indubbiamente il posto più celebre della città, basta vedere la fila di matrimoni in attesa di scattare foto a ricordo (nel bene o nel male lo sapranno i posteri), ci sono scalinate e passerelle per qualche km, scendendo si può arrivare a piccole spiagge sabbiose e immergersi, non che sia l’acqua più incantevole del mondo, ma resta pur sempre il mare interno più grande del mondo. Ci sono scogli e grandi altalene nel mezzo, gioia dei giovani del luogo, noi velocemente tocchiamo l’acqua ma nessuno si allunga in una nuotata. Locali, bar e altri esercizi pullulano, mentre nella parte alta ville di pregio dominano il litorale, qualche casermone stile URSS c’è ancora (alcuni con murales raffiguranti eroi locali, pure l’ex presidente/dittatore Nursultan Nazarbaev che ad agosto 2022 dava nome alla capitale, tornata a chiamarsi Astana nel settembre 2022) ma in generale l’impronta di modernità è elevata, centri commerciali (con nomi in idioma occidentale), palazzi a vetri e tanti spazi verdi (e mantenerli così verdi qui, prossimi al deserto, non pare essere impresa di poco conto). La città è quindi in forte espansione, del resto se sorge tra petrolio, gas, azoto, acque depurate, male male non deve stare chi vi abita. Le guide ci portano a destinazione, l’hotel Zelonaya, conosciuto ai più anche come Green Hotel, ovvero la traduzione del nome russo. Costruzione anni ’60, arredamento anni ’60, ma non in stile, proprio originale dell’epoca, le foto di Yuri Gagarin e Neil Armstrong alle pareti certificano del loro passaggio (Bajkonur non è distantissima da qua) e forse in onore a loro nulla è stato cambiato. La gentile addetta alla reception morde solo in russo, fanno da garanti le nostre guide che qui saluteremo con lunghi addii, siamo ormai grandi amici dopo aver condiviso intensamente un’intera settimana (quando non hai intimità nemmeno per i bisogni fisiologici facile divenirlo…). L’hotel ha wi-fi, acqua calda (ma più si sale dal piano terra al 2°, più cala l’intensità della pressione dell’acqua), camere grandi come appartamenti signorili (arredamento debordante in ogni spazio e da archivio storico), ci sarebbe compresa anche la colazione, ma non potremo testarla causa partenza anticipata l’indomani. Costo 30€ per doppia, 20€ uso singola, da quanto ci riferiscono le guide i costi in pieno centro lievitano e non di poco, così come per i ristoranti. Finalmente doccia, esiste ancora questa salutare pratica, poi tempo per il check-in online e via a cena. Senza moneta locale in tasca dobbiamo trovare un posto che accetti carta di credito o €, ci consigliano un ristorante georgiano nei paraggi, verso il mare, consiglio confermato pure da alcune persone del posto incontrate in un bar che ci portano proprio nei paraggi, non trovando una lingua comune, gentilissimi. Non lontano ci sarebbe anche un bel ristorante sul mare specializzato in pesce, a fianco del Kafe Apel'sin (non comprendo se si chiami così pure il ristorante), ma non prendono carte di credito e non hanno mai visto un €. Esibiti, iniziano a chiamare vari colleghi a mostrare questa esotica banconota da 20€, e ci chiedono se sia quelle dell’Europa. Vabbé, desistiamo e tentiamo al Kaheti, il ristorante georgiano, entrando ci troviamo in un gran bel ristorante che purtroppo esibisce il karaoke. C’è una cameriera che parla fluente inglese così riusciamo a chiarirci, non accettano € ma Visa sì (non altre carte occidentali), facciamo pure un test e funziona, si cena! La scelta si rivelerà ottima, qualità di alto livello, prezzi contenuti, possibilità di dividerci molteplici specialità, così mi ritornano alla mente i piatti consumati in un viaggio di anni fa in Georgia e posso rammentare i nomi di alcune portate anche senza la foto, non c’è menù in inglese, ma tutto perfetto comunque! Sarà che manchiamo da una cena vera da tempo, sarà che i più ritrovano birra, altri piatti prelibati, sembra tutto ottimo ed abbondante tranne il conto, con 9€ a testa mangiare tanto e per chi vuole bere altrettanto. Per chi vuole dal karaoke si passa ai balli, la popolazione locale gradisce e non poco la partecipazione straniera, le scelte musicali da pessimo ventesimo secolo. Rientro in hotel con temperatura ottima lungo le vie, la vicinanza del mare mitiga il caldo del giorno, non mitiga la rigidità dell’addetta alla reception. Percorsi 290km, quasi tutti su asfalto.


Aquila della steppa, Riserva nazionale di Ustyurt


9° giorno

Sveglia ben prima dell’alba ma non per rimirarla dall’albergo, talmente presto che dobbiamo rinunciare alla colazione, pur compresa nel prezzo. Un pulmino ci recupera in perfetto orario, ore 5, e ci conduce all’aeroporto internazionale di Aktau, situato in zona nord-est, a 29km di distanza, circa 35’ a quest’ora di traffico nullo. In ingresso tutti i bagagli vanno passati ai raggi x, si sente suonare ma non controllano nessuno straniero. Il check-in è veloce sia per chi l’ha fatto on-line sia per chi lo deve fare in aeroporto, mentre la sequela dei controlli non proprio. Lo strano è che non tutti sono/sembrano obbligatori, al primo mi dicono di procedere senza controlli, altri invece son controllati e devono mostrare tutto quanto contenuto. Il controllo passaporto porta via tempo non per la pratica in se ma solo perché di prima mattina solo 2 sportelli sono aperti, poi nuovo controllo bagagli, e qui nessuno scappa, sarebbe già il terzo dall’ingresso in aeroporto e timbro sulla carta d’imbarco. A questo punto si accede all’area internazionale con duty free (non c’è nulla) e caffetteria (addetta dispersa al momento), almeno ci sono molte sedie per l’attesa, che in realtà si rivela corta, nuova fila per l’imbarco sul volo Turkish, puntuale, del resto c’è solo quello presente al momento. Il volo, su di un Airbus A320/200 non dotato di schermo personale e prese di ricarica, rispetta i tempi previsti, 3h nel complesso, servono una colazione identica a quella dell’andata, soddisfacente anche perché in precedenza non abbiamo avuto possibilità di prendere nulla tra città e aeroporto. Al solito il gigantesco aeroporto internazionale di Istanbul ci mette nel mezzo di una città, questa volta tempi di attesa minori per il volo destinazione Milano Malpensa. Altro controllo bagagli ma non documenti, il gate viene spostato e si fa confusione tra l’imbarco per Milano e quello per Lisbona. Sorprende che accada, ci sono spazi giganteschi per ogni gate, ma le porte per gli accessi ai fingers sono una di fianco all’altra, dico questo perché una volta che il nostro aereo si sarà mosso mancherà una persona che ha preso la via di Lisbona. Questo ci farà perdere quasi un’ora tra attese varie, arrivando così con un’ora di ritardo a destinazione, situazione che a qualcuno complica il rientro a casa per treno perduto. A bordo del moderno A321 (schermo personale a disposizione) servito un pranzo di buona qualità, Turkish è tra quelle compagnie con cui si può ancora pranzare utilizzando splendide posate di metallo e non quelle pessime di plastica che si rompono al primo utilizzo. Giunti a destinazione, ritirato il bagaglio, anche questo arrivato senza errori al seguito, esco dall’aerostazione e la navetta per il parcheggio l’MX Park a Somma Lombardo è già alla piazzola, in nemmeno 10’ sono a ritirare l’auto già pronta per uscire. Il rientro a Bologna avviene senza code, quelle ci sono in direzione opposta, il Mangystau resta vuoto, libero e bello anche verso casa, una magia.


Un cuoco solo per il riso, Jañaözen

Per info


Riserve d'acqua terminate a Bakty

1 則留言


Sergey Khachatryan
Sergey Khachatryan
2024年7月02日

Luca, per favore contattami urgentemente (+77776313322) WhatsApp Sergey

按讚
bottom of page