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Senegal


Kayar, il pescato del giorno dalla piroga al mercato


2 note di commento

Il viaggio si è svolto tra fine dicembre ed inizio gennaio, stagione secca, caldo, cielo limpido e quasi mai pioggia. Le temperature durante il giorno son sempre almeno sui 25°, quando non oltre i 30°, in alcune zone umido. La stagione secca, oltre a far sì che tutte le vie siano percorribili, anche le tante sterrate, scaccia il pericolo malaria, con la quale la popolazione forzatamente vive nel periodo delle piogge, giugno-ottobre. Il percorso del viaggio era stato definito anticipatamente con un corrispondente locale, le tempistiche legate al traffico sulle vie lungo la costa lasciano poco spazio ad improvvisazioni, mentre all’interno questo scompare e si ha più tempo per variazioni. A disposizione un piccolo pulmino con autista, sui luoghi scelti avevamo accordato guide dedicate, sempre puntuali e precise, nonostante gli arrivi non sempre all’orario stabilito causa traffico. Le strutture dove alloggiare sono di buon livello a prezzi contenuti (alcune splendide e non le più costose), da fissare in anticipo poiché il periodo è di vacanza anche per i locali e quindi l’esaurito ci può stare. Per entrare è sufficiente il passaporto con validità di almeno 6 mesi, nessuna richiesta riguardante controlli covid al momento. La moneta in uso è il Franco dell’Africa Occidentale (CFA), in uso in più paesi dell’area (Togo, Burkina-Faso, Costa d’Avorio, Benin, Guinea-Bissau, Mali, Niger, in pratica tutti quelli francofoni), circa 650CFA=1€. Dimenticate carte di credito o altri sistemi di pagamento che non siano il contante, ai mercati tutto è trattabile. I costi riportati sono in CFA, a testa quando non specificato (scrivo K per definire le migliaia). Benzina e gasolio non sono propriamente economici, circa 850-890CFA la prima, 650CFA il secondo, per il costo della vita locale, molto elevati, e come si potrà vedere lungo le strade, ancora largo impiego di carretti tirati da cavalli ed asini. La lingua ufficiale è il wolof, ma quasi tutti parlano il francese, mentre l’inglese è ancora merce rara, per guide turistiche e poco più. Telefono, direi che col roaming funzioni quasi ovunque, le strutture alberghiere han sempre il wi-fi, in alcuni casi non disponibile tutto il giorno, ma del resto chi rimane in albergo tutto il giorno? Presso famiglia invece dipende, nel mio caso assente, in altri con cui mi son confrontato c’è stata possibilità. Il Senegal è praticamente diviso in 2 dal Gambia che separa il nord dal sud, con pochi giorni a disposizione non si riesce a visitare la parte sud, la nota area della Casamance, occorre quindi far scelte anticipate. Il Senegal, come ripeteranno gli abitanti all’infinito, è il paese della Teranga, ovvero dell’accoglienza. In effetti, nonostante la confusione che si può trovare ovunque, è tutto molto tranquillo, dovuto anche al fatto che il paese è socialmente stabile e pacificato, il cibo non manca, tra l’incredibile quantità di pesce che arriva dall’oceano, l’agricoltura e l’allevamento di bestiame. A maggioranza musulmano, ma l’alcol è disponibile ovunque, la birra Gazelle in pratica l’emblema nazionale, ma potete anche provare vini ed altri alcolici. C’è grande tolleranza su questi aspetti, al di là della teranga, ci tengono a ribadire che si tratta di una repubblica. Fotografare le persone invece più complesso, non amano essere ritratti, ufficialmente i più vi diranno perché non vogliono che siano immortalati i bambini, ma il diniego avviene pure quando dei piccoli non v’è traccia. Ovviamente con tempo a disposizione la situazione cambia, ma varia pure la spontaneità dello scatto. Abbigliamento, si può girare come meglio si crede, solo nella città santa di Touba per visitare la grande moschea occorrono pantaloni lunghi e almeno t-shirt per gli uomini (no canottiera per intenderci), mentre per le donne gambe (no pantaloni però), braccia e testa coperte, forniscono loro l’eventuale indumento mancante senza dover pagare nulla. Questione sportiva, nei centri urbani i canestri per il basket non mancano mai, in centro, negli istituti scolastici e sui lungomare, nei piccoli villaggi invece imperano spiazzi polverosi per campi da calcio e a volte pallavolo. Il basket per loro significa NBA, con quantità industriale di canottiere (su tutti LeBron James col 23 Lakers, oltre ad un altro storico 23, ma quello non è più solo basket), le chicche sono quelle di giocatori che mai hanno indossato quella maglia, che sappiano già dove giocheranno in futuro?


Parc National du oiseaux Djoudj


1° giorno

Giorno di trasferimento, da Bologna raggiungo Fiumicino dove lascio l’auto al parcheggio Air Car Parking prenotato in anticipo (9 giorni 21€, servizio navetta compreso). Pratiche di registrazione velocissime (basta inserire la targa sul terminale e lasciare la chiave), la navetta è già pronta per la partenza e dopo 5’ scendo di fronte al terminal. Ai check-in TAP con buon anticipo poca fila, check-in effettuato on-line, aperto 36 ore prima del volo, devo dire molto semplice. I controlli del bagaglio a mano rapido, ci sono i primi sensori che rilevano acqua all’interno di bottiglie e borracce così da poter portarsi appresso la propria senza svenarsi con quella dei bar all’interno degli aeroporti, buono per la prossima volta. Nell’attesa del volo uno spuntino da Moka Caffé (10,3€), a seguire imbarco in orario per volo con aereo A319 di vecchio stampo, nessuno schermo, niente possibilità di ricaricare, ma soprattutto nulla da bere e mangiare, volendo a pagamento solo bere. Atterrati in perfetto orario a Lisbona dopo circa 3h, per accedere ai voli fuori Schengen il controllo passaporti è veloce per chi ha quello elettronico, molto lento quello tradizionale, poco male perché l’attesa è comunque lunga. Verso sera la ricerca cibo nei pochi negozi/ristoranti aperti è infruttuosa, vetusti panini che riabilitano la Luisona di Stefano Benni a 10€ tra le poche offerte ancora a disposizione, mentre i distributori di acqua fresca gratuita si trovano, se al seguito una borraccia si può far scorta. Il volo TAP a seguire è in ritardo di 45’, lo raggiungiamo dal gate con un lungo tratto in bus, sarà su di un nuovo A321 con più spazio a disposizione e nel poggiatesta alette direzionabili, ma niente schermo, qui possibilità di ricarica. La differenza tra il volo precedente e questo è data dal servizio di cena leggera e bevande, volo di 4h accompagnato anche da coperta per evitare il freddo notturno, in un volo che il freddo proprio non lo conosce, coperta sempre utile in seguito. Tra volo corto, momento per cena, si passa già al giorno seguente con ben poco tempo per dormire.


Saint Louis, ritorno dalla pesca


2° giorno

Atterriamo all’aeroporto internazionale Blaise-Diagne mantenendo i 45’ di ritardo, sbarcati saliamo sul bus interno che ci accompagna al controllo passaporti in aerostazione. Molti gli sportelli aperti, a seconda del funzionario possono essere rapidi o meno, rapidi nel mio caso poiché non mi prendono le impronte digitali (non è dato sapere perché ad alcuni sì ad altri no), l’unica domanda è sull’indirizzo in Senegal, basta indicare il primo albergo, anche a caso. Nell’attesa si può usufruire del wi-fi, connessione libera e ben funzionante. Terminata questa procedura si passa al ritiro bagagli, e sorprendentemente in una confusione di valige, zaini, cartoni e sacchi di giorni prima, il mio già gira sul nastro. L’autista con cui avevamo preso contatto ci attende all’esterno, caricati i bagagli percorriamo i 55km che ci separano dall’hotel in Dakar lungo vie di notte senza traffico. Notte fonda, quasi mattina quando ci accolgono all’Auberge Le Coumbassou (doppia 20k), nonostante questo il tepore già ci abbraccia e il ventilatore fa buona compagnia nelle poche ore di sonno, dopo aver provato la doccia ben funzionante. La colazione costa 2k a testa, facoltativa, non abbiamo molto tempo per cercare altre opzioni e procediamo con questa, poi trovato da cambiare i soldi in valuta locale partiamo per un giro rapido in città passando dalla zona dei ministeri, dalla stazione ferroviaria alla chiesa della beata vergine fino a Piazza Indipendenza, tutti decisamente evitabili, per far tappa al Monumento al Rinascimento Africano sulla collina che domina la città. Una lunga scalinata porta alla base da dove si gode il panorama dell’intera Dakar quasi al termine della penisola che la porta ad essere il posto continentale più a ovest dell’Africa. L’ingresso è a pagamento, come quasi tutto in Senegal le tariffe variano a seconda della provenienza, evitiamo la visita poiché ci attende un trasferimento breve ma molto trafficato. I circa 70km di distanza da Kayar sono un tormento, tra rallentatori di cemento, carretti, auto ferme in ogni dove s’impiegano oltre 2h, fino a Bayakh a piedi non si perderebbe molto più tempo, anche se s’inizia a delinearsi un’idea della nazione, sulla costa popolazione densissima, commerci di ogni tipo debordanti, poca fretta, molte voci. L’ultimo tratto è più libero, quando entriamo in Kayar la bolgia si riprende strada e spiaggia dove con una guida raggiungiamo il luogo dove la pesca anima la città. Le coloratissime piroghe fanno più viaggi nella giornata, tornate a terra frotte di addetti caricano pesanti casse stracolme di pesce in testa, attenuando il peso con una sorta di torta morbida che fa da spessore, per raggiungere la raccolta del pesce che poi finirà all’asta direttamente in spiaggia o nei vicini mercati dove attendono i camion frigo che partiranno per tutta l’Africa occidentale. Colori, suoni, odori, un mondo in continuo movimento a cui si può partecipare per acquistare il pesce e farselo cucinare nei tanti banchetti tra spiaggia e strada. Cucine volanti che non vendono alcolici, per quello meglio andare direttamente ai bar degli alberghi, non mancano casse di Gazelle e vino locale. Gli addetti, come sempre gentili, son contenti di far sentire il vino del luogo, chi con me non ne parla con soddisfazione, meglio la birra. Una birra da 66cl può costare da 1k a 2k, a seconda del luogo d’acquisto, così come una bottiglia d’acqua, ai market mezzo litro è sui 200CFA, 400/500 per un litro e mezzo, ovviamente presso hotel e ristoranti sono più costose. Terminato il pranzo in una dei banchetti della spiaggia ripulito alla grande per noi, dopo aver rimirato i tanti sarti che non vecchie macchine per cucire girano il posto (Singer su tutte, ma si trovano marche di ogni tipo), è tempo di riprendere il cammino per la tappa serale, l’antica città coloniale di Saint Louis, estremo nord del paese, quasi sul confine con la Mauritania. Il viaggio è lungo oltre 200km, occorrono più di 4h per arrivare a destinazione passando per villaggi molto trafficati e ricolmi di attività commerciali lungo la via principale, come Mboro. A quel punto l’autista preferisce allungare il percorso andando sulla statale N2 interna, molto meno trafficata. Tra una sosta e l’altra entriamo in città col buio fitto dopo le 21, decidendo così di pranzare prima di andare in albergo, che si trova nella penisola esterna Langue de Barbarie, raggiungibile attraversando i 2 ponti che passano dall’isola centrale (la parte coloniale, patrimonio Unesco), dove facciamo tappa per cena al ristorante Flamingo, affacciato sul fiume Senegal dal lato del ponte Faidherbe, progettato da Gustav Eiffel. Qualità e servizio ottimo, prezzo non popolare per il luogo, ma dopo una certa ora trovare un ristorante aperto non banale (11k). La vista ripaga, il cibo anche, per chi vuole carne di manzo impazza lo zebù. Nel buio totale, attraversando un’abbandonata Langue de Barbarie giungiamo all’Hotel Marmoz (50k a camera per 2 dove si potrebbe stare comodamente anche in 3, colazione compresa, wi-fi nell’area reception), le camere sono tanti miniappartamenti sperduti tra la reception e l’oceano, oceano dalla voce tonante per tutta la notte. Così mi dicono, dopo i lentissimi 320km odierni, una doccia fantastica in un bagno che potrebbe essere un piccolo appartamento, non sento voci che mi distraggono dal sonno.


Pavoncelle del Senegal al Parc National du oiseaux Djoudj


3° giorno

Colazione in hotel, abbondante e varia, poi in pulmino destinazione Parc National du oiseaux Djoudj, il paradiso dell’avifauna senegalese ma si potrebbe dire africano se non mondiale, esteso per oltre 160kmq. Poco più di 60km, ma il tempo di percorrenza è di 2h, più altri 20’ della sterrata che porta al disastrato centro visitatori, in piedi per miracolo, mentre l’attiguo hotel cade a pezzi. Il pacchetto per l’accesso consta di 5k di biglietto, 4k per giro in barca, 10k per il mezzo di trasporto (a prescindere da quanto sia grande) e 10k per la guida (da dividere per il gruppo). Sommati e pagati (rigorosamente in contanti) tutti questi biglietti, si prosegue per l’imbarcadero, altri 15’ per giungere al fiume Senegal confine naturale con la Mauritania. Il parco è tappa di centinaia di specie di avifauna, cormorani come se piovesse, pavoncelle del Senegal imperanti, ma mai tante quanto i pellicani. Qui più difficile avvistare ad occhio i fenicotteri, ma si possono incontrare, in ogni caso per gli amanti del birdwatching, un paradiso assoluto. Il giro in barca dura indicativamente 2h, la metà è il “nido dei pellicani” o wyspa pelikanòw, nido che non delude. Un’isola interamente coperta da pellicani di grandi dimensioni che vanno in cerca di cibo per i loro piccoli, riconosciuti al ritorno dall’odore. Migliaia di pellicani, che a volte coprono il cielo quando partono, i piccoli devono essere difesi dai varani in agguato che possono trovarsi un prelibato pasto a fatica minima. Si naviga sui canali laterali del grande fiume, ibis re della flora, per rientrare dall’escursione e ritornare verso sud, con sosta al villaggio di Débi, ove sorge pure un ristorante dai tempi lenti. Ne approfitto per un giro a piedi attorno ad una laguna da tutto esaurito di avifauna, pure fenicotteri. Sono a piedi, avanzo silenziosamente, non incontro mezzi a motore, giusto qualche carretto trainato da cavalli, così molte specie sono avvicinabili, soprattutto le pavoncelle del Senegal che cercando cibo vicino riva si specchiano nella laguna, ai bordi del parco (16° 21’ 08”N-16° 16’ 39”W). L’unico sgangherato autocarro passante sull’argine va volteggiare l’intera laguna, così il cielo si copre come nel film di Hitchcock. Terminata la visita si rientra per la città, passando verso Ndialan scorgo un campo da basket, mi fermo per fotografarlo dall’esterno, ma il guardiano s’infuria. Il nostro autista spiega la mia strana attività (a questo link potete trovare l’intera galleria : https://calledfortravelling.wixsite.com/home/foto-basket ), lui chiama il responsabile e c’introduce al Centre d’Accueil UVS de Ndialan, centro che ospita bambini di famiglie indigenti. Centri che si occupano di gestire appunto questi bambini che non possono avere istruzione e cibo a casa, in una lotta in concorrenza coi Marabout locali, sorta di capi religiosi islamici che pure loro nei propri centri recuperano bambini che però si vedono in giro costantemente a mendicare, quindi l’azione che sarebbe di alto valore spirituale diviene in realtà una guerra di recupero economico. Sui Marabout si potrebbe scrivere di tutto e di più, non è questo il contesto, ma prima di partire per il Senegal sarebbe opportuno informarsi su questa tradizionale usanza che ora appare molto deviata. Visitate aule, sale giochi, campetto da basket salutiamo un addetto incredulo della nostra presenza e del nostro interesse prendendo la via di Saint Louis giungendo al tramonto quando le piroghe col pescato attraccano e inizia la contrattazione verso i terzisti che lo porteranno ovunque. Il tutto avviene lungo la Langue de Barbarie, a quest’ora praticamente inaffrontabile, gente, carretti, camion, pellicani e ogni sorta di commercio a prendersi le vie. Raggiungiamo l’hotel a sole abbondantemente calato, veloce doccia e ritorno in città quando il commercio ittico è terminato, par di essere in un luogo completamente diverso, le opzioni per la cena quasi scomparse, così per evitar sorprese ritorniamo al Flamingo (11k, per chi vuole c’è anche il wi-fi), sempre ottima qualità e tempi nemmeno lenti. Il rientro in hotel, nel buio totale, avviene attraversando nuovamente la Langue de Barbarie, deserta come non mai, ritroviamo i miniappartamenti sull’oceano che tuona in sottofondo. Percorsi 163km, buona parte su asfalto.


In camion alla spiaggia di Lampoul, ciò che non c'è non si rompe

4° giorno

Colazione in hotel che ricalca quella del giorno precedente, in pulmino andiamo nei pressi dell’hotel del la Poste dove stazionano i tradizionali calessi per il giro guidato (in francese) della parte coloniale e della parte di città che sorge sulla Langue de Barbarie. Sui calessi si può stare fino a 6, prezzo trattabile per un giro di circa 1:30 (20k), per girarsi appunto principalmente l’isola centrale, quella dove sorgono ancora svariate costruzioni coloniali. Fondata a meta del XVII secolo dai francesi, il nome è in omaggio a Re Luigi IX, quasi di fronte ad un’altra città fondata dai francesi attualmente in Brasile, São Luís. Saint Louis è stata la città principale del Senegal fino a pochi anni dall’indipendenza, avvenuta nel 1960, capitale appunto fino al 1957. La decadenza ha reso la parte coloniale dell’isola particolare, non aspettatevi di rimirare ville sciccose, ma quel che resta di un mondo a suo tempo ricco e lentamente lasciato andare. La parte nord è quella prettamente cristiana, quella a sud più islamica, tra i punti principali che vengono narrati pure una grande gru da cui salivano e scendevano tutte le merci che giungevano qua dall’Europa. Terminata l’escursione (si può salire e scendere dal calesse quando si vuole, basta avvisare il conducente che fa anche da guida) sull’isola, si passa alla parte commerciale, ovvero quella sulla Langue de Barbarie, e grazie alla guida possiamo entrare anche in alcuni anfratti e passaggi per la spiaggia dove già ci si prepara alla pesca. Per ritornare sull’isola occorre scendere dal calesse, la salita al ponte Masseck Ndiaye non è fattibile col carico (al momento il ponte a sud, Malick Gaye, era chiuso per restauro), completiamo il periplo sud da dove si godono le viste più caratteristiche delle piroghe lungo il fiume Senegal col commercio imperante alle loro spalle. Recuperati dal pulmino, tempo di partire e lasciare definitivamente Saint Louis, decisamente la città più caratteristica ed interessante del Senegal. Si va a sud, la strada interna attraversa il Parc National de la Langue de Barbarie, dove scimmie e facoceri non mancano l’appuntamento per mostrarsi. Il parco sorge nell’estuario del fiume Senegal, noi proseguiamo fino a Lampoul che dista in linea d’aria meno di 4km dal mare. In centro paese occorre posteggiare il mezzo, per accedere ai camp nel deserto si va con un antico camion che sopporta buche e smottamenti, non rischia che si rompa poiché il rompibile è già andato. Destinazione Ecolodge de Lampoul, Esprit du Afrique (22k a testa, tenda doppia abitabile con bagno sul retro a cielo aperto, cena e colazione, pure wi-fi dopo le 17), dove lasciamo gli zaini, le tende devono essere ancora sistemate perché la notte un forte acquazzone si è abbattuto sul camp e lavori di sistemazione sono necessari. Allora affittiamo camion e autista per attraversare deserto e foresta destinazione mare, 5km tribolati su retro del camion con salite su dune non percorribili sempre al primo tentativo. Si attraversa qualche remoto villaggio con tanti bambini che scorrazzano, è tempo di vacanze scolastiche anche per loro, oltrepassata l’ultima duna la foresta termina e l’oceano si presenza nella sua maestosità. Abbiamo tempo per girarci a piedi spiaggia e dune, sembra ci sia il nulla attorno, invece carretti passano lenti sulla battigia, strani personaggi camminano a piedi non capendo da dove arrivino e dove potranno mai andare, ma il bello del luogo è anche questo, mentre sole e rare nuvole cambiano colore al posto col vento che alzando la sabbia da un’idea di nebbia molto ferrarese. Alla ripartenza alcuni bambini hanno bloccato il percorso con rami e bastoni, l’autista indispettito va alla ricerca dei genitori per una ramanzina, abbiamo così il tempo per vedere meglio questi spartani agglomerati, con pozzo e cucina all’aperto, le piccole case hanno solo la funzione di dormitorio, la vita si svolge tutta all’aperto, curioso di capire come sarà qui la vita nella stagione delle piogge. Dalle 18 le tende sono di nuovo agibili, la temperatura dell’acqua per la doccia passabile fin quando il sole scalda l’ambiente, non calda ma nemmeno fredda, è comunque splendida una doccia a cielo aperto intravvedendo le dune a pochi metri. In ambienti separati da siepi artificiali ci sono quindi, doccia, toilette e lavandino con pure specchio, non c’è illuminazione, quindi di sera utile una torcia frontale. La cena, in comune con tutti gli avventori, è prevista per le 20, orario vaghissimo, nel frattempo c’è spazio al bar, oppure c’è chi inizia una sorta di cantato e suonato locale a cui gli avventori fanno da coro nel buio della serata, all’aperto, a parte all’ingresso delle tende con lampada a olio, non ci sono luci. Cena passabile, compresa acqua, chi vuole può pagarsi la birra, non si sceglie il menù, ma si possono richiedere rabbocchi vari, anzi, son loro ad offrirli, c’è pure il dolce. Al termine, luci spente e tutti a rimirar le stelle, nel deserto è sempre uno spettacolo, per quanto il deserto qui sia proprio piccolo, ma non ci sono luci nei dintorni, da una parte l’oceano, dall’altra 4km di foresta ed un villaggio senza quasi illuminazione. La temperatura serale nel piccolo deserto si abbassa, niente freddo, ma la coperta lasciata in tenda è quanto mai preziosa per la notte. Percorsi col pulmino 95km, ai quali vanno aggiunti circa 15km col camion oltre a quelli in calesse di cui non ho conto.


Un varano in agguato nel nido dei pellicani, Parc National du oiseaux Djoudj

5° giorno

La tenda nel deserto (una sorta di microcasetta) si rivela con letti comodissimi, il fresco combattuto con la coperta in dotazione ha agevolato un fantastico sonno, tempo per colazione nella stessa tenda dove fu servita la colazione, poi in attesa del camion che ci riporterà al villaggio di Lampoul, faccio una bella escursione a piedi tra le dune. Questa è anche una delle varie attività che il camp propone, noi dobbiamo ripartire ma capendo quale sarà il tempo a disposizione raggiungo una bella duna barcana che si trova a nord ovest dell’Ecolodge. E’ mattina, la sabbia regge bene e camminare un piacere, deserto piccolo ma godibile, certo che un camp del genere facilità la permanenza ma toglie l’aspetto selvaggio e reale di come s’intende un deserto nell’immaginario (per chi volesse averne un riscontro, si può riprendere il diario di alcuni miei viaggi precedenti, Mangystau, Sahara algerino, Dancalia etiope). Il rumore del camion sgangherato è udibile a distanza, caricati bagagli e persone ritorniamo al centro di Lampuol, pagato il posteggio (1k, spazio lungo la strada, protezione della popolazione locale) si riparte subito destinazione la città santa di Touba. La strada è buona e poco trafficata, circa 120km asfaltati che si percorrono velocemente, l’interno rispetto alla costa è un paese totalmente diverso. Agricoltura, allevamento bestiame, questi non mancano, attraversiamo il paese di Darou che è un unico gigantesco mercato all’aperto, ovviamente alimentari, ma non solo. A Touba si visita la grande moschea fondata a fine XIX secolo dallo sceicco Amadou Bamba, città divenuta santa per i Muridi, 2° al mondo nell’Islam per il pellegrinaggio dopo La Mecca. Sono milioni (si dice fino a 7) i pellegrini che giungono qui nell’anno per il Magal, il pellegrinaggio secondo solo all’Haji, ed ogni venerdì la moschea è invasa da circa 6/7000 persone. Durante il Magal è impossibile trovare un posto in città, gli abitanti sono in pratica obbligati ad ospitare parenti e pellegrini in ogni dove, oggi invece (sabato) tutto è tranquillo e possiamo visitarla comodamente perché aree destinate alle preghiera a parte, è aperta a chiunque (la teranga vale anche in ambito religioso). All’esterno vanno lasciate le calzature (ma le calze sono concesse), non sono ammessi pantaloni corti e canottiere per gli uomini, le donne devono avere braccia e testa coperte, anche le gambe dove non bastano i pantaloni. Ma tutto quanto occorre è fornito all’esterno da un addetto, noi avevamo appuntamento con una guida ed ha provveduto lui gratuitamente (immagino dandogli parte dei soldi devoluti (circa 1k a persona). Si stagliano 6 minareti, uno per ogni sceicco, non si è potuto costruire il settimo da parte dell’ultimo sceicco per non andare oltre a quelli che contornano la moschea di La Mecca. La visita dura un’ora, non possiamo accedere a tutte le parti ma comunque possiamo farcene una corposa idea, venditori autorizzati propongono i rosari islamici a prezzi da rapina con l’ok della guida (10k, quando all’esterno sono a 2k trattabili). Touba è una vista completamente diversa dall’immaginario del Senegal, se si ha poco tempo evitabile, altrimenti consigliata, riprendendo la storia della sua creazione ed evoluzione, non così diversa da La Mecca, ma quasi sconosciuta ai più, nel mezzo di una popolazione che non crea divisioni. Si riparte, tappa alle saline di Kaolack, in realtà la parte industriale non è visitabile, dopo più informazioni riusciamo a trovarne alcune lavorate ancora manualmente. Questa parte si trova ad ovest della città, su di un’ansa del fiume Saloum in prossimità del villaggio di Kabatoki, sosta per spezzare il viaggio, in seguito lagune e saline ci accompagneranno lungo il cammino verso Passy (altro mercato totale con tutti concentrati alla partita di basket del campetto sulla via statale) per giungere a Sokone dove faremo tappa per la serata, ultima dell’anno. Avevamo preso contatto con l’associazione Jokkoo, un gruppo di famiglie che sostengono azioni della comunità proponendo iniziative per viandanti presso famiglie. All’arrivo un discorso di benvenuto e spiegazione della loro associazione, poi l’assegnazione ad una famiglia, le differenze tra una e l’altra possono essere molte e non banali, presso le famiglie fondamentale parlare francese per interagire, altrimenti tutto diviene sterile se non inutile (28,5k a testa, dove sono andato io camera con doccia fresca, ventilatore per notte calda e zanzariera, le zanzare ci sono, cena e colazione). La cena è preparata dalla figlia dei proprietari, con aiuto nel finale della madre, si può cenare nel cortile o all’aperto, optiamo per questa soluzione, ci raggiunge anche il padre, mentre un fratello fa avanti ed indietro con amici per preparare la festa di fine anno. Il menù prevede pollo con sugo di cipolla e patate, il tutto piccante all’ennesima potenza, per chi vuole in via del tutto eccezionale ci sono le posate, loro non le usano, cibo anche buono ma talmente piccante da rendere bocca e stomaco un inferno. Non c’è acqua da bere, ma bibite fatte artigianalmente da loro, sorta di tè o spremute, ammetto molto gustose. Poi per chi vuole c’è la festa di fine anno, l’associazione organizza per loro ma anche per i loro ospiti questo avvenimento nella villa da riccanza del gestore di Jakkoo, il che fa sorgere qualche dubbio sull’impiego dei fondi, si può far festa fino all’alba, per chi ha il fuoco della cena, anche no. E’ festa grande in tutta Sokone, risuonano botti e petardi, tutto il mondo è paese, nonostante questo non v’è parvenza di pericoli in giro. Percorsi 334km, quasi tutti su strade asfaltate in buone condizioni e traffico limitato rispetto alla costa. Dimenticavo, Buon 2023!


Kayar, lungo la strada

6° giorno

Colazione fissata ad orario leggermente in anticipo sull’alba, sebben sia il 1° dell’anno, ma oggi ci aspetta un percorso vario e lungo. Dopo una nottata di botti e rumori quasi obbligati vista la data, la colazione è veloce e scarsa, puntuale passa il pulmino a recuperarci. L’idea di passare un momento a contatto con una famiglia del luogo non mi è parsa così efficace, mi pare più un’idea di massima, in realtà loro son poco interessati se non a far cassa, sarà la data particolare che li vedeva affaccendati in altre faccende, le disparità di opzioni tra famiglie, la poca trasparenza dell’organizzazione, forse meglio soprassedere. Circa 20km ci separano da Toubakouta dove c’è l’imbarcadero per navigare sul fiume Saloum, o meglio, nel Parc National du Delta du Saloum, per estensione il 2° parco del Senegal. Si sale su piroghe a motore similari a quelle utilizzate dai pescatori nell’oceano, partendo da uno stretto ramo tra le mangrovie. Pian piano il fiume si allarga e si naviga tranquilli, la piccola tenda che fa da tetto limita di poco il forte sole che ci accompagnerà per l’intera giornata. Il barcaiolo è fonte di tantissime informazioni non solo sul parco ma sul Senegal in generale, parla pure inglese, dopo circa 2:30 di navigazione c’è la prima tappa all’isola Dioram che ci accoglie con l’iconico baobab ornato dalle tariffe dei trasporti fluviali (info, una persona vale come una vacca, un cavallo o 2 capre). Il villaggio è costruito tutti in mattoni e calcestruzzo, poco caratteristico, lo sono maggiormente le famiglie che vi abitano, molto restie a foto ravvicinate, anche per i tanti bambini che scorrazzano. Tra moschee, madrase, caserme e fatiscenti costruzioni, anche qualche scuola laica, chiusa al momento, un breve giro a piedi di circa 30’ con più soste per poi ripartire, 1:15 di navigazione in un fiume che pare un mare fino alla tappa di Dyogene dove il barcaiolo ed un aiutante preparano un veloce pranzo improvvisando una grigliata di pesce, devo dire ottimo. Pochi mezzi, tanta resa, gustandolo comodamente sdraiati su grande stuoia all’ombra di alberi sull’acqua del fiume. Ultimo tratto su piroga, 30’ per raggiungere la terraferma a Djiffer, vivacissimo villaggio di pescatori dove c’inoltriamo nel mercato del pesce, che qui consta in numerose bancarelle dove avviene l’essicazione al forte sole della stagione secca. Spazio sterminato, odori forti, l’essicazione avviene per meglio mantenerlo, dati i pochi mezzi a disposizione delle popolazioni locali e dell’area centro occidentale dell’Africa, da qui raggiunge numerosi luoghi del continente e l’immediata essicazione è la lavorazione idonea alla conservazione. Il pesce essiccato, poco costoso, per molti è alimento fondamentale di sopravvivenza. L’escursione compresa di soste racchiude buona parte della giornata (15k a persona, pasto compreso), i rami del delta navigati sono molto ampi, se si vuole andare in passaggi più ridotti dove essere più a contatto con la vegetazione occorre pensare di far tappa sulle isole, altrimenti il tempo non lo permette. Recuperato il pulmino, andiamo a nord attraversando la turistica Palmarin che si trova tra saline naturali che tagliamo per raggiungere Simal, villaggio in cui il tempo pare essersi fermato. Attraversato pure questo tappa per la serata all’Ecolodge de Simal, splendido posto sul fiume Fimla, affluente finale del Saloum. Tappa finale o iniziale alla scoperta del delta, non è stato semplice trovare un posto per la nottata in questa zona anche con largo anticipo, consigliato da un’altra struttura esaurita (chi lo direbbe da questa parti), si è rivelato un luogo perfetto per continuare a vivere l’esperienza della scoperta del delta, soprattutto di mattina quando i pellicani ed altra avifauna vive a ridosso dei viandanti. Ottimo bungalow in mattoni con bagno sul retro tra le frasche a cielo aperto (fornito pure di acqua calda), dotazione di zanzariera, ma in questo momento le zanzare erano assenti, qui dato anche l’isolamento occorre far tappa per cena-pernotto-colazione (28k a testa). Cena varia ed abbondante, nei paraggi del bar funziona il wi-fi, la struttura è gestita da una famiglia del posto vissuta a lungo in Francia, gli standard sono di ottimo livello mentre il prezzo nella media se non minore di quanto incontrato in Senegal. Il chilometraggio riportato dal pulmino per la giornata è di 255km ma non corrisponde in pieno al percorso fatto in piroga. Giornata calda, molto, serata invece ventilata.


Lampoul, incontri lungo il cammino

7° giorno

L’ottima ed abbondante colazione è servita sul fiume coi pellicani in lotta tra di loro a pochi metri, lo spettacolo colto all’alba è splendido, pure meglio di quanto visto durante la navigazione del giorno precedente, basta aver voglia di alzarsi presto. Terminata colazione si parte con prima sosta al baobab sacro di Nianing, in realtà denominato Mbanj Fadial. Vecchio di 18 secoli, con 32 metri di diametro, ospita al suo interno una cavità che pare una vera e propria casa (si può entrare salendo all’imboccatura alta circa un metro, giusto qualche pipistrello all’interno in modo che non vi siano zanzare), qui oltre ad essere considerato sacro è denominato il più grande d’Africa, chissà. Peccato solo che su due lati siano sorte bancarelle con venditori insistenti da togliere fascino al baobab, ma del resto chiunque passi di qua fa una sosta, come non provare a vendere prodotti in larga parte uguali su ogni bancarella, descritti ovviamente come totalmente artigianali? Lasciato il baobab è tempo di giungere all’isola delle conchiglie, ovvero a Jaol-Fadiout, una grande isola di pescatori che sorge su di un’enorme riporto di conchiglie in riva all’oceano. Vi si accede percorrendo un ponte pedonale (ma possono passare anche biciclette, motorini e piccoli treruote) di 522 metri, che a chi ha attraversato l’U Bein Bridge in Myanmar rimanderà sicuramente il ricordo. Per accedervi occorre acquistare il biglietto al centro turistico di Jaol (1,25k) dove si può prendere contatto anche con guide locali (10k a gruppo). Percorriamo il fascinoso ponte che di mattina causa marea attraversa prevalentemente una sorta di pantano in cui alcune donne vanno alla ricerca di mitili, per entrare nell’isola vera e propria, Fadiout. La prima parte è come facile immaginare, un mercato turistico, girovagando si colgono aspetti interessanti della vita locale, la convivenza pacifica tra diverse religioni, i centri per anziani ben frequentati, costruzioni ardite a fianco di resti in rovina, pozzi per la raccolta dell’acqua (sempre le donne al lavoro), un ponte più corto porta invece al cimitero dove una piccola collina regala la vista sull’isola. Cimitero misto, a predominanza cristiano gesuita, terminata la visita e per chi non sa resistere, gli acquisti, riattraversiamo il ponte per ripartire verso Mbour lungo la statale che costeggia l’oceano, molto trafficata. Qui visita ad un orfanotrofio, Maison des Enfantes de Mbour, fondata oltre 15 anni fa da 2 italiani, versa in condizioni non propriamente ideali, ma la guerra coi marabout locali è sovente perdente in questi ambiti. A questo punto lungo trasferimento, destinazione Lago Rosa (vero nome lago Retba), a nord di Dakar, tra le dune ed il lago, luogo celebre perché per anni è stata la tappa finale della Parigi-Dakar e da qualche anno, trasferita questa prima in Sud America, poi in Arabia Saudita, della non competitiva African Eco Race. Al di là dei km da percorrere, circa 80, son le condizioni del traffico locale a farci impiegare molto tempo, così quando giungiamo all’hotel Salim il tramonto sta già mostrandosi all’orizzonte. Tempo giusto per prendere un quad in hotel (molto più costoso che nei noli in paese) e partire seguendo una guida che non ha più tanta voglia di girare, attraversiamo alcune dune e la spiaggia a velocità ridicolamente bassa, impiegando tanto tempo per vedere poco. Dalla parte delle dune, che sarebbe la più interessante, rientriamo per giungere al Lago Rosa, una sorta di grande pozzanghera che di rosa nulla ha, attorniata da costruzione erette a caso, il sole è già calato, c’è giusto il tempo di giungere dove la Dakar terminava e rientrare. Non giriamo nemmeno l’ora promessa, 45’ scarsi, trattiamo il prezzo all’hotel (25k), nonostante lo splendido quad CF520 a disposizione, l’escursione è stata molto deludente, alla pari del lago. L’hotel è formato da tante piccole costruzioni indipendenti lontano dal corpo centrale, il wi-fi non funziona praticamente mai (e sarebbe utile per effettuare il check-in on line), la cena a buffet di scarsa qualità in una struttura a parte che di bello avrebbe una grande piscina, ma dati i tempi stretti, inutilizzabile (17k per cena-pernotto-colazione). Percorsi 133km su strade in buone condizioni ma altamente trafficate, a parte alcuni tratti autostradali nei dintorni di Dakar, i tempi sono dilati.


La Grande Mosche della città santa di Touba

8° giorno

Colazione in hotel, buffet ma non certo indimenticabile, poi diretti al porto di Dakar in pulmino per imbarcarci destinazione Ile de Gorée, la famigerata isola degli schiavi, conosciuta ai più come isola senza ritorno. Per accedere al porto si pagano 2k per il mezzo che può restare in parcheggio per tutto il periodo, 0,5k come tassa di accesso all’isola, 5,2k a/r con la nave, ai quali occorre aggiungere 1k per il museo degli schiavi, non obbligatorio ma praticamente imperdibile se si decide di visitare l’isola. Per ogni biglietto c’è una fila dedicata, le partenze sono all’incirca ogni ora o ora e mezzo, verificate prima di accedere, pratiche velocissime per salire a bordo, in pratica lo stesso traghetto che tutto il giorno fa andata e ritorno. In 20’ si giunge a destinazione, circumnavigando buona parte dell’isola poiché causa naufragi alcuni passaggi in mare sono interdetti. La vista dell’isola, dei suoi bastioni a protezione e delle sue case colorate regala un clima di relax che poco si addice a quanto accadde qui, il tutto riscontrato appena sbarcati dove tra venditori improbabili, comunità artistiche residenti e i tanti ristoranti prospicienti l’attracco pare tutto tranne che un luogo di disperazione. Già, perché questa disperazione? L’isola è stata il primo luogo di concentramento degli schiavi africani per la partenza verso le americhe già dal XV secolo, milioni di persone strappate alle loro case, costrette a forza a passare di qua, rinchiusi in piccole strutture per lungo tempo, chi non moriva (milioni porti solo sull’isola) veniva imbarcato per essere venduto come carne da lavoro. Con una guida andiamo alla visita del luogo (circa 10k, dipende anche da quante persone sia formato il gruppo), la prima distinzione è data dal colore delle case, gialle portoghese, le più antiche, rossi olandesi, subentrati ai primi, bianche francesi, gli ultimi occupanti che lasciarono il Senegal dopo la metà del XX secolo, indipendente dal 1960. L’isola, patrimonio dell’umanità Unesco dal 1978, ora è in parte restaurata come attrazione turistica, in parte anche in condizioni fatiscenti, ed è lì dove vive il grosso dei 1800 abitanti, in questo piccolo scoglio nell’Atlantico di 900x300 metri. Ascesi al punto più alto da dove si domina l’isola, con vista su terraferma e aperto oceano, non riusciamo a visitare il museo perché chiuso, resta visibile la parte della contraerei francese attiva nella II guerra mondiale da parte del famigerato governo di Vichy, alle prese con le incursioni inglesi. C’è anche un monumento alla memoria, lasciato andare senza manutenzione, poiché perdersi è impossibile, dopo il giro con guida vago per le viuzze (non ci sono vere e proprie strade, non ci sono auto) fino al forte rotondo sito all’estremità nord. Noto come le comunità locali, interessate ai turisti fin quando sono in zona compere, mal accettino questi quando passano per le aree urbane, sarà per il contrasto fortissimo tra le condizioni delle due zone. Un tempo la maggior parte delle costruzioni erano case degli schiavi, dove questi venivano brutalmente “stoccati” in attesa della partenza, ora ne resta solo una di Casa degli Schiavi, che tatticamente chiude all’orario del pranzo, così da far passare tutti i viandanti nei ristoranti vicini. Quella è quindi l’ora migliore per girarsi con calma l’isola, per vedere piccole botteghe d’arte, per notare come il celebre Georges Soros si sia comprato un’antica magione sull’isola, ma in questo momento non c’è maniera di entrare in contatto con gli abitanti, restii a mostrare le loro abitazioni. La casa museo riapre alle 14, al momento del mio passaggio visitabile solo al piano terra, ogni stanza piange disperazione narrata dalle voci delle molteplici guide che accompagnano i visitatori, il passaggio obbligato è alla porta del non ritorno, quella che da sull’oceano dove avveniva l’imbarco. Ora manca la lunga passerella di 50 metri che conduceva alle navi, resta l’immagine a imperitura memoria, ma forse nemmeno tanto imperitura per quel che si vede al giorno d’oggi. Non ci sono prenotazioni valide per il rientro, si fa fila per il primo traghetto che parte in base al numero di persone che imbarca, se si decide per un determinato orario in base ad impegni successivi sulla terraferma, meglio andare con un certo anticipo. In 20’ tocchiamo terra, velocemente ripartiamo in pulmino destinazione Saly, centro marittimo a sud di Dakar, direi al momento centro turistico dove si moltiplicano hotel, casinò, ristoranti, del resto la spiaggia calma, le palme, le piroghe colorate dei pescatori al rientro regalano un piccolo microcosmo diverso dalla frenesia incontrata su tanti altri luoghi costieri. Trattiamo una sorta di “pacchetto” con l’hotel Saly, dove per 15k a testa abbiamo a disposizione camera per doccia, accesso al mare e piscina, bar e buffet serale, poiché la nottata sarà in aereo. Dopo veloce doccia, tempo per un giro sulla battigia, le piroghe colorate paiono qui più per far folklore che per vero lavoro, si tratta di una spiaggia ben diversa da quella di Saint Louis o Kayat, ma dopo tanta corsa all’inseguimento di luoghi e persone, un ultimo momento in relax è apprezzato. Il buffet è sontuoso, compreso pure di birra e vino, per le consumazioni al bar chi anticipatamente ne aveva usufruito, non avendo più moneta contante, ha penato grandi fatiche per le pratiche del pagare. Terminata la cena, ottima ed abbondante, tempo dell’ultima partenza, destinazione aeroporto internazionale Blaise-Diagne, che provenendo da Saly evita l’attraversamento di Dakar, riducendo di molto i tempi di percorrenza. Con check-in già fatto on line le procedure sono velocissime, il controllo passaporti dipende dallo sportello, questa volta in uscita mi prendono le impronte digitali che ovviamente non combaciano con nulla non avendole prese in entrata, ma poco male, si avanza senza problemi. Più metodico il controllo del bagaglio a mano, tante persone fermate per verifica manuale, situazione che causa lunghe file poiché si blocca il rullo che trasporta i bagagli pure di coloro che non vengono controllati. Una volta entrati nell’area delle partenze internazionali, verso mezzanotte c’è ben poco di aperto, chi avesse intenzione di mangiare qualcosa nell’attesa dovrà accontentarsi di snack in negozio di cartoleria o sandwich nei distributori automatici. Scatta mezzanotte nell’attesa dell’apertura del gate dedicato al volo TAP per Lisbona, al termine di una giornata dove son stati percorsi 193km su strade buone ma in alcuni punti molto trafficate.


Incontri sulle isole nel Delta del Saloum

9° giorno

Qui all’aeroporto di Dakar TAP gode di un terminal riservato, per accedervi alla fine conto ben 3 verifiche della carta d’imbarco, il volo è puntuale con un Airbus A321neo, che a differenza di quello dell’andata non ha nemmeno prese di ricarica, dimentichiamoci schermi per proiezioni e altro, in tutti e 4 i voli nemmeno lo schermo generale per le istruzioni di volo, vocali e manuali. Qui poi mancano pure i poggiatesta con alette direzionabili, nonostante sia notte ed i più vorrebbero provare a dormire, anche se a metà volo è servita una sorta di colazione, nemmeno male. In dotazione la coperta, la temperatura interna fa si che non se ne necessiti, un caldo esagerato per tutto il volo. Atterriamo in perfetto orario, il trasferimento con bus al gate è molto lento, i controlli passaporto veloci solo per chi ha quello elettronico, per fortuna il volo per Roma sempre di TAP è in ritardo di 20’ e correndo riesco a salirci, sorte non comune ad amici che avevano il volo per Milano, partito 10’ prima del mio. Ringrazio del ritardo, che diventa maggiore attendendo a lungo sulla pista di rullaggio, in volo non c’è nessun servizio, solo bevande a pagamento (caffè 2,8€) ad eccezione di acqua minerale non gassata, niente coperta, anche se pure qui il caldo la rende inutile. Atterriamo a Roma con 45’ di ritardo, poco male comunque non avendo perso il volo, il lungo percorso per accedere al ritiro bagagli fa sì che sia quasi in contemporanea la distribuzione al mio giungervi, complimenti ai servizi interni portoghesi per essere riusciti in pochissimo tempo a smistare il bagaglio. Ritirato quello, contatto con l’addetto al parcheggio che immediatamente attiva la navetta, auto subito a disposizione e partenza per il rientro a Bologna, dal bel tempo romano alle nebbie lungo l’A1, fino al fresco bolognese, dimenticato ben volentieri nei giorni caldi e tranquilli del clima senegalese.


Al lavoro nelle saline di Kabatoky


Lungo il cammino mi hanno accompagnato le parole di :


Ryszard Kapuscinski “Ancora un giorno”

Carlo Lucarelli “Bell’abissina”

Lawrence Osborne “Il regno di vetro”


Le dune a Lampoul


E le musiche di :


The Smile “A light for Attracting Attention”

Vasco Brondi “Paesaggio dopo la tempesta”

Wet Leg “Wet Leg”

The Goon Sax “Mirror II”

Fontaines D.C. “Skinty Fia”

Moltheni “Senza eredità”


Ile de Gorée, l'isola degli schiavi

Per info

fer4768@libero.it


A colazione lottando coi pellicani




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